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Autore: zoey_gwen    16/03/2014    4 recensioni
Gwendolyn Smith è una ragazza solitaria, insicura, esclusa da tutti e sola.
Nessuno, neanche suo padre, Jack Smith, sembr capirla.
Solo un piccolo ciondolo di ghiaccio delle steppe russe, la rappresenta, ed è la chiave di un oscuro passato a cui Gwen non può sfuggire..
E poi l'amore, quello vero, che Gwen non ha mai provato fino ad ora, sarà la chiave per la felicità.
Tratto dal capitolo 13:
"Smisi di ascoltare, per via delle calde e silenziose lacrime che da tempo sgorgavano dai miei occhi color pece, gli stessi di quella sgualdrina di mia madre. Aveva ingannato me e Crystal, con le sue false parole mielose... Come aveva potuto? Mi sedetti per terra, affondando i jeans nella terra umida e rigogliosa, mentre rivoli cristallini solcavano le mie guance"
---
"-E così sono la tua ragazza, adesso?- ironizzai, baciandolo per l'ennesima volta. Lui mi fissó intensamente, guardandomi con il suo solito ghigno beffardo -Certo, a meno che tu non lo voglia...- come risposta lo baciai appassionatamente, mentre un anello dalla struttura d'argento con due smeraldi ed un onice incastonato al centro si infilasse al mio dito come segno del nostro amore."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Cuore di ghiaccio




 Ero ancora impietrita, il cuore batteva a mille e il respiro irregolare ed affannato riempiva l'aria taciturna che si era creata attorno a me, colmata soltanto dall'ardore che bruciava vivido e denso negli occhi di Alejandro.
Il coltello saldamente impugnato nelle membra strette a pugno riluceva minaccioso e torvo, pronto a scagliarsi verso Duncan, altrettanto impietrito, caduto goffamente a terra dopo una spinta del latino.
Il cielo, ancora apparentemente rosato, nascondeva l'oscurità che dilagava nei nostri animi, per poi tingersi in un blu scuro avvolto da un fascio di stelle e sfumarsi con un nero intenso e perennemente triste.
"Come gli animi delle persone. Dalla bontà si passa alla malignità, senza nemmeno soffermarsi un attimo. Come è successo ad Alejandro." pensai, non trattenendo un sussulto che si dissipó nell'anima come un insidioso virus contagioso.
Ero io il motivo di tutto? Ero io il motivo dell'ardore irato che giaceva nelle iridi del moro? 
Improvvisamente mi riscossi da quei pensieri, cercando di mantenere la mente lucida e pronta all'azione, esattamente come il mio corpo gracile ed indifeso, che il punk aveva gentilmente difeso prestando la sua massa muscolosa e prestando il coraggio che in quel momento aveva iniziato a ruggire come un leone.
Gli occhi mi si inumidirono a quei pensieri su Duncan, e un lampo squarciò le iridi color inchiostro per lasciare spazio ad un irrefrenabile impulso, che mi spinse a parare io stessa il punk, come atto eroico e sentito.
Mi ritrovai davanti il corpo muscoloso e traslucido per il sudore di Alejandro, mentre la mano in cui impugnava saldamente l'arma tremolava alla vista innocua della mia figura, corsa a salvare l'amore della sua vita essendo pienamente conscia del fatto che non sarebbe servito a nulla.
-Togliti di mezzo, stronza- sibilò il moro, mentre il fuoco crepitante che contornava la pupilla ellittica sprigionava mille scintille cangianti che si rifugiarono nei meandri smeraldini degli occhi.
-Uccidimi, Alejandro. Uccidimi, se ne hai il coraggio. Uccidimi, forza- ripetei con più forza l'invito, fronteggiando pienamente lo sguardo folle e irato del latino, il quale sembrava essere stato sbaragliato dalle semplici e significanti che avevo pronunciato con facilità, sebbene il mio cuore invece fosse scavato dentro al solo pensiero della morte.
In quel preciso istante, il moro scosse la testa con lentezza, mentre il pugno si apriva lentamente rivelando il palmo abbronzato, che abbandonó la presa sul coltello. Questo cadde a terra con un clangore metallico a pochi centimetri dal viso di Duncan, il quale tiró un tirato sospiro di sollievo, prima di gemere di dolore al tentativo di articolare la spalla in qualche movimento.
Una sirena della polizia echeggió nell'aria tersa di sentimenti del molo, accompagnata da una decina di auto dagli inserti blu metallizzati e da un auricolare luminoso che tuonava con potenza squarciando il silenzio con prepotenza.
Molti uomini in divisa scesero dall'auto, divaricando le gambe ed estraendo una pistola dal fodero del pesante cinturone di cuoio che portavano alla cinta, per poi puntarla all'unisono contro Alejandro.
Questo aveva le palpebre chiuse, le braccia elevate e i palmi dischiusi in segno di resa, ma sembrava essere in pace con se stesso per quella rassegnazione.
Un uomo dai lineamenti grossolani e dalla carnagione scura si avvicinó, con la pistola stretta in mano e lo sguardo austero.
-Venga con noi, lei! E voi- roteó gli occhi indicando il punk superstite e me -State bene? Tu, ragazzo, non sembri messo molto bene. La signora Azirya ci ha pregato di assicurarci delle condizioni della ragazza soprattutto.-  appena pronunció quelle parole, io scattai, mentr una rabbia furiosa si espandeva dentro al cuore e mentre le sopracciglia venivano inarcate in segno d'ira. Ma mi contenni, e tutto quello che pronunciai a fior di labbra fu -È qua?- l'uomo scrolló le spalle, prima di prendere fra l'indice e il pollice il grosso sigaro che gli pendeva dalle labbra. -No, ma mi ha pregato di non accennare alle sue condizioni.- concluse velocemente il dialogo creatosi su mia madre, per poi ordinare a due uomini forzuti di trascinare Alejandro nella macchina della polizia.
Questo non oppose resistenza alla forza bruta dei poliziotti, chinando il capo sulla strada acciottolata e fredda, per poi lanciare uno sguardo carico di malizia ad Heather Wilson, la ragazza che osservava in lontananza la scena.
Il cappotto azzurro, di flanella, a doppiopetto le stringeva il corpo snello ed elegante e la gonna corta a ginocchio le segnava profondamente la coscia con uno spacco profondo.
Le iridi intense lanciavano lampi ardenti e carichi di disgusto nei confronti del latino, per il quale provava però una grande attrazione tradita dal labbro che si mordicchiava con vigore alla vista del fusto.
Io lanciai uno sguardo preoccupato a Duncan, che giaceva inerme a terra.
Stringeva i denti con incredibile resistenza, raccogliendo con un fazzoletto a schiacci il sangue viscido che colava lungo la pelle rosea, per poi imprecare a voce alta un "Merda" dovuto al sangue che con una chiazza aveva impresso la maglietta.
-Duncan, non me lo perdoneró mai se ti è successo qualcosa di male- commentai, rivelando tutta la mia ansia in quel momento racchiusa dentro al mio cuore, lui apprezzó quel gesto liberatorio perchè abbozzó un sorriso dapprima sincero, poi sghembo e malizioso, completato da una scintilla seducente che gli si accese nell'azzurro cielo delle iridi.
-La signorina Smith si preoccupa per me? Ma che onore- si aprì in un sorriso beffardo, e io scossi ironicamente la testa per poi aiutarlo a rimettersi in piedi. 
-La smetta di fare l'idiota, signor Nelson- battibeccai, lanciandogli un'ironica stilettata con il movimento rapido degli occhi.
-Tenteró- commentó semplicemente lui, prima che un altro gemito lo cogliesse impreparato e prima che la ferita riprendesse rovinosamente a sanguinare.
Con l'aiuto della polizia, che ci diede un gentile e obbligato passaggio all'ospedale, ci trovammo proprio dinnanzi all'edificio quando l'emorragia ormai perenne di Duncan si rivelò in tutta la sua potenza.
Il sangue colava precipitosamente lungo le membra del ragazzo, cadendo a terra formando piccoli cerchi concentrici rossi che impregnarono il marciapiede con tenacia.
Mi morsi il labbro, mentre un rivolo freddo di sudore colava lungo la fronte. 
Lo asciugai in fretta e sorressi Duncan fino all'entrata automatica nella clinica: un edificio dalle pareti bianche ricoperte di scaffalature d'ebano che creavano un forte contrasto con il candido della moquette, regalando all'ambiente uno spazio sobrio ed essenziale.
Un medico dalla capigliatura grigia e dallo sguardo affilato e intelligente ci accolse calorosamente, prima di portare il punk in una sala adempita e spoglia per visitarlo, chiudendomi fuori con una certa insistenza.
Mi ritrovai a passeggiare nervosamente per i corridoi come un anima in pena, le mie gambe vagavano spedite come la mia anima cercava di non restringersi al pensiero di Duncan.
Ok, era solo una ferita, ma non sapevo quanto grave fosse e cosa comportasse.
Ad un certo punto, mentre passeggiavo per un corridoio affusolato e riempito da piccoli comodini di legno bianco su cui poggiavano pile di libri medici ed impolverato, vidi una donna davvero bella parlare con un'infermiera dall'aria gentile.
I lunghi capelli vaporosi le contornavano voluminosi il viso diafano e affilato dall'espressione seriosa e tesa, delineata dai lineamenti contratti che le donavano un aria ancora più nervosa.
Riconobbi subito quegli occhi scuri e penetranti, e anche quelli inchiostro della ragazza che la affiancava rigorosamente.
Crystal.
Mia madre.
Un tuffo al cuore mi fece sussultare, mentre inspiravo inarcando la schiena e mentre tentavo di calmarmi.
Crystal era truccata ampiamente, un ombretto azzurro ghiaccio le ricopriva la palpebra sfumando nel grigio argento che si prolungava fino all'arco sopraccigliare, e un rossetto rosso carminio e le contornava le labbra carnose e seducenti, ora contratte in una linea tesa.
Indossava un top attillato, ricoperto di paiettes in modo laterale e con un ampia cucitura che svettava al centro, e un paio di jeans di marca stretti e a vita bassa, che le sottolineavano le curve sinuose.
Irina discuteva animatamente con l'infermiera, la quale l'aveva accolta con tutti gli ossequi possibili, 
di una questione a me sconosciuta, ma l'espressione cupa e scura che si agitava nel volto di mia madre mi faceva 
presagire nulla di buono.
Feci qualche passo indietro, con gli occhi incollati alla scena che si susseguiva dinnanzi a me, per poi voltarmi e ritornare alla sala d'aspetto.
Le poltroncine bianche e rigide erano poste in file parallele, e un mobiletto pregiato carico di libri ed essenze oleose donava all'ambiente 
un tocco in più molto gradevole.
Improvvisamente vidi la maniglia metallica della porta incurvarsi in giù, e la figura del medico comparve
davanti ai miei occhi e mi spaventó parecchio, forse per via degli occhi scuri e cupi, o forse per via dell'ombra scura che donava al volto
gioviale un aspetto quasi torvo.
Elevò le mani al petto e le dispiegó, per poi cominciare a gesticolare ampiamente seguendo il fiume di parole che sgorgavano 
dalle sue labbra -Beh, signorina Smith, quello che sto per comunicarle potrebbe non farle piacere.- già questo mi fece sussultare,
e cercai di restare lucida per quello che aveva ancora da dirmi -Duncan ha una ferita molto profonda, che tocca l'osso, e per questo 
potrebbero esserci delle complicazioni, mi spiego?- domandó, innalzando una mano per grattarsi la nuca, mentre io riflettevo sull'esperienza vissuta. -Mi scusi- mi azzardai di parlare, dopo un'accurata rispolverata dei ricordi di poco fa -Ma il coltello ha toccato solo di striscio Duncan.
Non puó essersi fatto molto!- urlai, cercando di quasi "costringerlo" a dirmi ció che volevo sentire, mentre i miei occhi si riempivano di veli cristallini, che resero acquose e fragili le mie iridi. Quasi quanto lo ero io in quel momento.
-La punta del coltello, nel momento in cui ha perforato la spalla, si è conficcata in profondità, stabilendo il contatto con la scapola, la quale ora è fragile e deve essere operata- taglió corto, senza alcun tentativo di rassicurarmi sull'intervento.
Scoppiai a piangere, mentre calde lacrime imboccavano le guance e scivolavano lente sulla pelle del collo, dove si dissolvevano procurando piccoli cerchi. Dalle ciglia pendevano lacrime su lacrime, fiumi su fiumi, e non trattenni i singhiozzi lamentosi che uscivano dalle mie labbra. 
-Signorina, non è niente di grave, si calmi. Un'operazione del genere l'abbiamo fatta molte volte- mi tranquillizzó improvvisamente l'uomo, battendomi poche e confortevoli pacche sulla schiena, che mi diedero un po' di speranza.
Strinsi al petto il mio cuore di ghiaccio, e appena vidi le sue curve rasserenanti e il suo cristallino lucente mi calmai un attimo e smisi di proferire singhiozzi su singhiozzi.
-P-posso vederlo?- balbettai incerta, innalzando la mano all'altezza della vista del medico per puntare il dito indice contro la porta bianca che separava me e Duncan.
Lui fece un breve cenno do assenso con il capo, e il mio corpo scattó alla soglia con incredibile rapidità, per
spingere tutto il mio peso sulla maniglia.
Duncan era steso in un letto molto confortevole, e la spalla era innalzata da una fasciatura pesante che ne ricopriva tutta la spalla.
Timidi soffi di luce penetravano dalle sgualcite tapparelle grigiastre, che il medico si era assicurato di chiudere per non disturbare 
troppo il paziente.
Mi sedetti accanto a lui, cercando il suo contatto con un rapido bacio sulle labbra, calde e febbricitanti, e poi gli strinsi
la mano con forza, cercando di trasmettergli la mia energia.
-Come stai?- sussurrai debolmente, per paura di interrompere il contatto che si era creato fra di noi.
Lui scrolló le spalle, poi forzó un sorriso e ritornó serio, ma si vedeva l'amore e l'energia sprigionata dai lampi azzurri che gli squarciavano
l'azzurro dell'occhio.
-Non male, ma di certo sono stato meglio.- la capacità di Duncan era di sdrammatizzare i momenti scuri con qualche nota ironica, spesso
divertente, spesso invadente, ma comunque in quei momenti l'aria tersa di malinconia si rasserenava, mostrando spirali di luce, proprio come quelli che penetrarono invadenti le tapparelle della finestra.
-Non è niente di grave, hanno fatto questa operazione un centinaio di volte. Sopravviverai, e se non fosse così sulla tua lapide stai pur certo che metteró i fiori più belli- ironizzai, strappandogli una risata forzata, per poi chiudere le dita del palmo in un pugno che scaglió amorevolmente contro la mia coscia.
Questo gesto gli costrinse un gemito di dolore, e fu costretto a rinunciare al suo amichevole gesto con dolore.
Mi morsi il labbro con ferocia, deglutendo rumorosamente e inspirando per ritrovare la calma tranquillizzante di poco prima, 
che fungeva da calmante meglio di qualsiasi medicina.
Improvvisamente il medico interruppe il nostro discorso, e io fui costretta ad abbandonare la mano di Duncan, che lasciai con rammarico per 
allontanarmi al di fuori della stanza.
Mentre imboccavo l'uscita, qualcuno chiamó il mio nome con insistenza, costringendomi a voltarmi e a ritornare indietro.
Ormai, quell'aria sciropposa ed intensa dell'ospedale mi dava la nausea, e per questo ritornai indietro a malincuore.
Quando vidi chi mi aveva chiamato, sussultai e scossi impercettibilmente la testa, cercando di ricacciare l'ira che mi saliva dentro.





ANGOLO AUTRICE:




Ciaoooo! 
Eccomi qua, con un altro capitolo!
Ho aggiornato in fretta perchè avevo più tempo, spero vi piaccia!
Allora, prima di tutto ci terrei a ringraziare Stella_2000, la quale mi ha dato numerosi apprezzamenti e non :D
E poi, volevo chiedere: voi gli trovate noiosi i capitoli? Se sì, vi dico che sono essenziali per spiegare quello che
Succederà dopo, se no... Meglio XD
Perchè SmileSmoke mi ha fatto notare che l'inizio dello scorso capitolo era noioso, e pensavo che la colpa
fosse anche di tutte le descrizioni che ci metto... :/
Vabbe, spero vi piaccia lo stesso! 
Un bacione e tanti dolci :3
Gwen



 
  
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