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Autore: venerdi 17    16/03/2014    3 recensioni
Il mondo, tu, stretto in una mano, la mia.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAP. 40 - I WAS MADE FOR LOVIN’ YOU
 
**
 
RUSSEL
 
Già da un po’, talvolta mi capitava di beccarla a scrutarmi con una strana espressione dipinta in volto che non riuscivo a decifrare, con i suoi occhietti indagatori mi osservava di nascosto, e li spostava in fretta quando me ne accorgevo. Mai avrei sospettato cosa stava pensando in quei momenti. Ma dopo una divertente serata con gli amici, tante risate e qualche bicchierino di troppo, finalmente mi ha detto cosa le stava frullando in testa. Sia benedetto il gin tonic.
Mentre eravamo in ascensore aveva preso il mio cappello e se l’ere messo in testa, e dopo mi aveva ordinato di abbassarmi perché voleva salirmi sulla schiena, e appena le porte si sono aperte, ha cominciato a canticchiare una specie di filastrocca, dopo avermi gridato di correre più veloce perché i cattivi stavano scappando. E io ridevo, ridevo come un pazzo, mentre attraversavo il corridoio per raggiungere la porta di casa.
Poi, come siamo entrati nel nostro appartamento, si è spenta, ha gettato a terra la pistola e il cappello, pregandomi di portarla a letto perché voleva dormire. E così ho fatto.
L’ho spogliata, le ho sciolto la treccia e le ho rimboccato le coperte, mentre lei stava praticamente già dormendo, ma dopo essermi spogliato anch’io e appena le sono scivolato al fianco, ha aperto gli occhi. Aveva il tipico sguardo di chi ha bevuto troppo, lucido e assente, ma sono sicuro che sapeva che ero lì accanto a lei, perché i suoi occhi vagavano lentamente sul mio viso mentre mi sorrideva. Così, certo che in quel momento le sue difese fossero in parte crollate, ho deciso di approfittarne.
Vedendo che aveva chiuso gli occhi l’ho chiamata dolcemente, sfiorandole una guancia “Ehi, Sirenetta, c’è qualcosa che devi dirmi?”
Sentivo che mi stava nascondendo qualcosa, qualcosa di importante, ma sapevo anche che affrontare di petto con lei l’argomento non sarebbe servito a niente, dovevo assolutamente approfittare della sua sbronza per estorcerle una confessione.
Nella mia mente si stavano sovrapponendo gli scenari più raccapriccianti, temevo che mi avrebbe detto che si era sbagliata, che non mi amava, che venire a vivere a casa mia era stato uno sbaglio, che si era già stancata di me.
In fondo anche io non ero del tutto lucido, i brindisi per Brian e Meg si erano protratti fino a notte fonda e l’alcol che avevo in circolo mi stava facendo un brutto scherzo. Stavo dubitando dei suoi sentimenti, della sua sincerità quando mi aveva promesso che mi avrebbe sempre detto tutto, e soprattutto della mia capacità di capire quando mentiva. E poi c’era quello sguardo, quello sguardo che mi riservava ultimamente e che mi faceva sentire ogni volta come se mi stesse soppesando.
Lei non rispose e non aprì nemmeno gli occhi. La chiamai ancora, ormai deciso a svegliarla, chiedendole di nuovo se c’era qualcosa che doveva dirmi.
“Ho sonno” si lamentò, sfregando il viso sul cuscino. Poi parlò a voce bassissima, come se mi stesse per rivelare un segreto e la camera fosse piena di gente “E poi non posso dirtelo.”
Quella fu la riprova che mi stava nascondendo qualcosa, così mi feci più insistente, e le scossi una spalla, alzando la voce per essere certo che mi stesse sentendo “Mi hai promesso che mi avresti detto sempre tutto, quindi non hai scelta. Dimmi cosa mi stai nascondendo” invece di rispondermi, con un movimento brusco si voltò dall’altra parte. Sapevo che non si era ancora addormentata, perché, stando sollevato su un gomito alle sue spalle, vedevo che sbatteva le ciglia insistentemente, come se si fosse innervosita o come se stesse cercando di scacciare le lacrime.
Si decise a parlare solo quando mi avvicinai ulteriormente e le circondai la vita con un braccio “A te… a te piacciono molto i bambini, vero?”
Capii che stava usando l’unica tecnica vincente e ormai super collaudata che adottavo anche io con lei: stava partendo da lontano per avvicinarsi lentamente al nocciolo della questione, e pur non capendo il senso della domanda, annuii appoggiando il viso alla sua spalla “Ti ho visto con Susy e con Liam, ti diverti molto con loro.”
Cominciavo a capire, e sapevo che alla fine mi avrebbe chiesto se fossi davvero convinto di passare il resto della mia vita con una donna che non desidera avere figli, così mi preparai mentalmente a risponderle che doveva smettere di pensare che quello sarebbe stato il motivo per cui un giorno l’avrei lasciata. Ne avevamo già parlato altre volte, e le avevo sempre risposto che non sarebbe mai successo, ma evidentemente non le entrava in testa.   
Sapevo che un’altra piccola Sirenetta che gira per casa o un maschietto avrebbero aumentare a dismisura la mia felicità, magari entrambi, ma visto che i figli si fanno in due, non potevo imporle un mio desiderio, e rinunciare a lei per questo non era nemmeno contemplabile.
“Ehi, lo sai che ti amo, vero?” lei annuì, stringendo la mano che avevo appoggiato sul suo ventre “E sai anche che ti amerò per sempre?”
“Sì, lo so, e so anche che è lo stesso per me.”
“E sai anche che sarà così anche se non avremo dei figli?”
Stavo pensando di far cadere il discorso, pensando che in fondo parlare con lei mentre era alticcia non avrebbe portato da nessuna parte, perché sapevo che tutto quello che le stavo dicendo, la mattina dopo se lo sarebbe scordato sicuramente, quindi la strinsi più forte, deciso a lasciarla dormire in pace ma intenzionato ad affrontare nuovamente il discorso il giorno dopo.
Ma lei si divincolò per liberarsi dal mio abbraccio e si mise seduta, guardandosi un po’ attorno. Per un attimo pensai che la sbronza le fosse passata di botto, ma poi vidi il sguardo assente puntato sulle lenzuola.
“E se… se avessi cambiato idea?” chiese, senza guardarmi.
Cazzo! Quindi avevo ragione, si era pentita di stare con me!
“Riguardo a cosa?” le chiesi in ansia. Ricordo che mi misi a sperare con tutto me stesso che mi stessi sbagliando, che intendeva tutt’altro, che ero ubriaco fradicio anche io e che quella conversazione in realtà non stava avvenendo.
“Riguardo ai figli. Se invece avessi capito che voglio un bambino?”
Be’, il discorso stava prendendo decisamente una piega migliore rispetto alle mie terribili previsioni, ma mi fece male lo stesso sentirle dire quella frase.
Mi sollevai e le presi il viso in una mano per obbligarla a guardarmi, ma si allontanò impedendomi di incrociare il suo sguardo.
Raccolsi tutta la pazienza che avevo a disposizione e le parlai cercando di addolcire il più possibile il tono “Non devi farlo per me. Un figlio si deve desiderare in due, e se tu lo vuoi solo perché temi che se non ne avremo io smetterò di amarti, non sarebbe giusto, né per te né per lui.”
“No no, tu non hai capito!” esclamò, con maggiore sicurezza nella voce e nello sguardo che aveva spostato su di me “Voglio davvero un bambino, e non lo faccio per te o… o perché temo che altrimenti mi lasci. Davvero. Lo so che mi ami, lo so che vuoi stare con me. Sono io che lo voglio, che voglio un bambino da te. Ma solo da te
“Vuoi un bambino da me?” ero sbronzo, non poteva esserci altra spiegazione. Lei voleva un bambino, anzi, voleva un bambino da me.
“Sei ubriaca, non sai cosa stai dicendo” dissi, passandomi una mano tra i capelli.
“Oh sì che so cosa sto dicendo. Ed è già da un bel po’ che lo penso” detto questo, si gettò all’indietro e coprendosi le spalle chiuse gli occhi, sembrava una bambolina che aveva finito le batterie. Mentre io rimasi immobile a pensare a quello che mi aveva appena detto, destando l’udito appena la sentii aggiungere un’ultima cosa con un filo di voce “E vorrei che avesse i tuoi occhi, e lo spicchio di luna sulla guancia.”
Un attimo dopo dormiva, io invece trascorsi l’intera notte in bianco, seduto accanto a lei.
 
**
 
“Cosa hai pensato quando Reb ti ha detto di essere incinta?”
Più di un mese fa, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Meg e Brian, Luca si è avvicinato e mi ha fatto questa domanda. E io sono rimasto zitto per un po’, perché non sapevo cosa rispondere. Stringendo una bottiglia di birra in mano, ho cercato con lo sguardo la Sirenetta, stava chiacchierando con Meg, Karen e Connie sotto al gazebo dove avevano allestito il buffet.
Era davvero carina quel giorno, e l’abitino leggero e a fiori che indossava non riusciva a nascondere del tutto la pancia che si incominciava a vedere, anche a causa di quel gesto istintivo che ha di passarci una mano sopra distrattamente. Ed è esattamente quello che stava facendo, mentre sghignazzava con le amiche. E io mi sono sentito immensamente felice quando ha sollevato lo sguardo e mi ha sorriso.
“Luca, è stato talmente strano che non so nemmeno spiegartelo.”
 
Rebecca mi ha svegliato scuotendomi una spalla, e quando ho aperto gli occhi mi ha messo di fronte il suo Iphone, nello schermo sua sorella gridava frasi incomprensibili e piangeva. L’unica parola che avevo capito era baby, e vedendo che anche la Sirenetta aveva gli occhi rossi e gonfi, sono schizzato fuori dal letto e ho afferrato un paio di jeans, pronto a correre in aeroporto per prendere il primo volo per l’Italia, convinto che fosse successo qualcosa al piccolo Tommaso.  
Lei, rimanendo seduta sul letto, ha detto qualcosa alla sorella e ha lanciato il telefono tra le lenzuola.
“Che diavolo stai facendo?” mi ha gridato, mentre chiudevo i bottoni dei jeans.
“Come cosa sto facendo? Forza, vestiti anche tu, e prepara le valigie. Muoviti!”  
Invece di fare come le avevo detto, ha spalancato gli occhi, e un attimo dopo ha cominciato a piangere a dirotto, farfugliando qualcosa in italiano. Ed io mi sono sentito un perfetto cretino, perché invece di metterle fretta avrei dovuto consolarla, e soprattutto cercare di capire cosa fosse successo a Tommaso. Così ho cercato di rimediare, e inginocchiandomi di fronte a lei le ho preso le mani “Ehi, lo sai che se parli in italiano non ti capisco. Ce la fai a dirmi cosa è successo a Tommaso?” le ho chiesto, porgendole un kleenex. Lei, invece di afferrare il fazzolettino, mi ha guardato un attimo ed è scoppiata a ridere. Spiazzato dalla sua reazione e pensando che fosse colpa dello shock, sono scattato in piedi. Solo che non sapevo come comportarmi, dovevo estirparle quante più informazioni possibili, ma non sembrava in grado di parlare, rideva e piangeva, piangeva e rideva. Finché ha fatto un respiro profondo, e recuperato il fazzoletto che era caduto ai suoi piedi, si è asciugata gli occhi e soffiata il naso.
“Tu non hai capito una sola parola di quello che ha detto Camilla, vero?”
“No… ho solo capito che parlava del bambino… e che piangeva, come… come te” mi stavo preparando a vederla scoppiare di nuovo a piangere da un momento all’altro, quindi mi muovevo lentamente e con circospezione mentre mi avvicinavo di nuovo a lei.
“E io che pensavo che volessi cacciarmi da casa!” e scoppiò a ridere istericamente.
“Cacciarti da casa?” stava delirando, decisamente “Perché dovrei cacciarti da casa?”
“Quando hai detto che dovevo fare le valigie, ho pensato che avessi cambiato idea, che non volevi più un bambino, che…”
Sedendomi al suo fianco la interruppi “Ma cosa c’entra tutto questo con Tommaso?”
“In realtà è Tommaso che non c’entra niente con quello che ti stava dicendo mia sorella.”
“Be’, allora posso sapere cosa mi stava dicendo tua sorella?” stavo cominciando a spazientirmi perché sembrava che si stesse prendendo gioco di me, e il suo sorrisino compiaciuto, tipico di chi sa un gran segreto e che sta valutando se svelartelo o no, me lo confermava.
“Bene, seduto sei seduto, quindi posso anche dirtelo, e se hai intenzione di svenire, ti pregherei di cadere all’indietro sul letto invece che in avanti sul pavimento. Perché per i prossimi mesi, anzi, per tutto il resto della nostra vita, mi servi tutto intero”
Ero sempre più confuso, e spazientito, ovviamente.
“Okay, basta girarci intorno, che diavolo sta succedendo?” la spronai, lanciandole un’occhiataccia.
Dopo aver chiuso un attimo gli occhi e un lungo sospiro, si decise finalmente a rispondermi senza più nessun giro di parole “Sono incinta.”
Solo la sua prontezza mi impedì di cadere in avanti e farmi seriamente male, perché la testa cominciò a girarmi all’improvviso, e tutt’oggi ricordo ben poco di quel che è successo nell’ora successiva, so solo che l’euforia di diventare padre si alternava al timore per lei e per il bambino, e ancora non mi hanno abbandonato, e penso che mai lo faranno.
 
Bevvi un sorso di birra e mi voltai verso Luca che paziente al mio fianco aspettava ancora una risposta.
“Euforia e timore” dissi, e lui annuì, come se la risposta l’avesse sempre saputa.
 
**
 
Venerdì 13 Settembre 2013
 
Con un calcio chiudo la porta di casa alle mie spalle e lascio cadere a terra le valigie.
La cerco in fretta con lo sguardo ma non la vedo «Sirenetta, sono tornato» grido verso il piano di sopra.
Sto morendo dalla voglia di vederla, cinque giorni a New York per lavoro sembravano non passare mai, un’altra notte lontano da lei e sarei impazzito, ne sono certo. Mi affretto verso le scale per raggiungerla, ma sentendo la sua voce assonnata mi blocco sul primo scalino e mi volto.
«Sono qui» farfuglia con la voce impastata dal sonno, e vedo una sua manina che sbuca da sopra la spalliera del divano.
Torno indietro sui miei passi e faccio il giro intorno al divano, trovandola distesa là sopra, è avvolta in una coperta e sbadiglia coprendosi la bocca con una mano.
«Ehi, come mai dormi a quest’ora?» le chiedo, piegandomi sulle ginocchia e sfiorandole il viso con una mano «Stai male?»
«Perché, che ore sono?»
«È l’ora di cena»
«Cavolo! Quando sono rientrata dal lavoro mi sono distesa un attimo, ma evidentemente mi sono addormentata come sempre»
«Ma stai male?» le chiedo di nuovo.
«No, ero solo stanca» si solleva e appoggiandosi su un gomito mi bacia. Sorrido sulle sue labbra, sentendomi finalmente a casa. Quanto mi sono mancati i suoi baci.
Scivolo con le ginocchia a terra e circondandole le spalle con un braccio cerco di approfondire il bacio, ma lei si ritrae.
«Ma non dovevi tornare domani mattina?» chiede, corrucciando poi le sopracciglia «Oh no, non dirmi che me l’avevi detto e me lo sono scortata» passandosi una mano sul viso, si lascia cadere con la schiena sul divano.  
«No, non te lo sei scordata. Ho solo finito l’ultima intervista prima del previsto e ho preferito prendere il primo volo disponibile invece di tornare domani. Volevo chiamarti ma poi ho pensato di farti una sorpresa»
Lei si toglie la mano dal viso e mi sorride «Meno male, cominciavo davvero a pensare di avere dei seri problemi di memoria» mi accarezza il viso, e io chiudo gli occhi sfregandomi contro il suo palmo.
«Mi sei mancata. Tanto» le dico, riaprendo gli occhi per incontrare i suoi.
«Anche tu»
Mi piego su di lei e la bacio, mentre le sue mani passano insistentemente tra i miei capelli, so bene quanto le piace farlo, soprattutto quando li ho lunghi come adesso, ma forse non sa quanto piace a me. Mi sento squagliare ogni volta che mi sfiora.
«E la mia bambina come sta?» sollevo la coperta leggera in cui è avvolta e sorrido come un cretino guardandole la pancia. Possibile che in soli cinque giorni sia cresciuta così tanto? Mi sembra decisamente più grossa.
«Sta bene, sono io che sono a pezzi, stanotte mi ha svegliato diverse volte, scalciava un bel po’, e poi aveva il singhiozzo»
«Davvero?» spalanco gli occhi e appoggio una mano sulla sua pancia «E come fai a sapere che era davvero singhiozzo?»
«Mah, non ne sono sicura, però sembrava proprio singhiozzo. Sentivo dei leggeri colpetti a ritmo regolare, poi dopo qualche minuto sono terminati, ma io sono rimasta sveglia lo stesso perché speravo di poter sentire ancora qualche movimento. Sembra che succeda quando bevono per sbaglio un po’ di liquido amniotico»
Sorrido con le labbra appoggiate sopra la sua pancia «Ehi, non diventerai mica un’ubriacona come la tua mamma?»
«Idiota!» mi becco uno scappellotto che già sapevo sarebbe arrivato «Io non sono un’ubriacona!»
«Non vorrai negare che ti piace il gin tonic?» le chiedo sollevando un sopracciglio con fare ovvio.
«No che non lo nego, ma da lì a darmi dell’ubriacona ce ne corre. E poi ti ricordo che è proprio grazie alla mia, chiamiamola predilezione per il gin tonic…» dice sventolando una mano «se mi hai raggirata e sei riuscito a portarmi a letto con te la prima volta»
«Sì, peccato che hai dormito come un ghiro tutta la notte» le ricordo.
«Beh, questo è quello che hai detto a me, ma la verità non la saprò mai»
Scoppio a ridere e lei mi guarda sbuffando. È colpa mia se ritorna spesso sull’argomento, perché ogni volta che mi prega di dirle quello che è successo davvero quella notte, le do sempre una versione diversa, divertendomi anche ad aggiungere qualche particolare assolutamente falso, e non contento concludo sempre dicendole che è meglio per lei se non verrà mai a sapere tutta la verità perché altrimenti potrebbe anche morire per la vergogna. E quasi sempre chiudiamo il discorso con lei che mi zittisce dicendo che mi diverto a sparare una marea di balle e che la verità è che quella notte non è successo assolutamente niente, e che quindi devo smettere di prendermi gioco di lei. Ma come faccio? È troppo buffa quando si arrabbia. Soprattutto da quando ha cominciato a crescerle la pancia a vista d’occhio e gira per casa con addosso simpatici vestitini colorati, sbuffando e gonfiando le guanciotte su quel faccino sempre più paffuto. Non farebbe paura nemmeno a un topolino.
Ma stasera è meglio se non la stuzzico troppo perché sembra davvero molto stanca, così cambio discorso «Sei davvero sicura di voler andare al club domani sera?» le chiedo accarezzandole i capelli.
«Assolutamente. È il compleanno di Matt e non possiamo mancare» risponde decisa.
«Va bene, ma non faremo tardi, perché la mia bambina è ancora troppo piccola per far baldoria la sera»
Sorride prendendomi il viso tra le mani, e io mi sento completo, così sorrido anch’io, ad occhi chiusi, mentre le sue dita indugiano sopra la fossetta che ho sulla guancia.
«Non pensi che sarebbe meglio se smettessi di parlare sempre come se avessi l’assoluta certezza che è una femmina?»
Spalanco gli occhi «Ma io ho la certezza che là dentro si nasconde un’altra Piccola Sirenetta» ribatto assolutamente convinto.
«E se invece fosse un Sirenetto?»
Storco il naso e le bacio la pancia, lasciandoci poi la bocca sopra «Non darle retta» sussurro «La mamma non sa che parliamo sempre di nascosto e che quindi questa scommessa la vincerò io»
«Ah, davvero, vorresti dire che voi due avete già fatto comunella contro di me?» chiede la Sirenetta muovendo un dito da me al suo ventre.
«Certo»
«Be’, se alla prossima ecografia si deciderà ad allargare le gambette, vedremo se hai ragione o se invece sei stato vittima di un suo scherzetto»
«Dici che ha mentito?» le chiedo, spalancando gli occhi per fingermi preoccupato.
«Chi lo sa. Magari è d’accordo con me e ti sta prendendo in giro» assume un’espressione presuntuosa come se davvero fosse certa che nascerà un maschietto. In questi mesi mi sono chiesto spesso come abbia fatto a non cedere alla curiosità, non è decisamente da lei, comincio a sospettare che abbia fatto un’ecografia di nascosto e che in realtà sappia già qual è il sesso del bambino.
«Sei troppo sicura di vincere. Dimmi la verità, sai qualcosa che io non so?»
«Ma piantala di essere così sospettoso»
«Se hai mentito me la pagherai cara» le dico minaccioso «E comunque, da padre geloso, se la mia bambina continua a tenere strette le gambe, può farmi solo piacere»
Scoppiamo a ridere e dopo un bacio fugace mi spinge via «Fammi alzare, svelto, che mi sto facendo la pipì addosso»
Prendendole una mano l’aiuto a sollevarsi. È sempre più goffa. Ed è adorabile.
La osservo mentre si allontana, ha messo su anche qualche chilo, se c’è una cosa che non le manca ultimamente è l’appetito, e per fortuna non ha sofferto molto di nausea, e a causa della sua gastrite era quello che più ci ha preoccupato fin dall’inizio della gravidanza.
Il campanello di casa mi fa distogliere lo sguardo da lei per posarlo sulla porta di casa.
«Merda!» impreca fermandosi «Mi ero scordata che veniva Luca per cena» si passa entrambe le mani tra i capelli poi mi guarda, ancora non mi sono mosso «Be’, che aspetti? Vai ad aprirgli» nel frattempo il campanello suona di nuovo, e sento Luca che la chiama «O penserà che sto male. Poi portava la pizza» aggiunge con sguardo famelico «Sto morendo di fame. Arrivo subito, intanto voi apparecchiate. O anche no, possiamo sederci davanti alla tv. Basta che mi fate mangiare» poi si volta in fretta.
Col cavolo che Luca cenerà con noi! Ora che è tornato il legittimo proprietario del bambino che ha in grembo, non c’è alcun bisogno che lui stia qui a farle da balia. Ho rimandato ogni impegno lavorativo a data da destinarsi proprio per non doverla lasciare più sola nemmeno un giorno, quindi da oggi ristabiliamo le regole.
«Che ci fai qui?» chiede Luca appena apro la porta. In una mano ha un cartone della pizza gigante e nell’altra la custodia di un dvd. Piego il capo per leggere il titolo: “Django Unchained”. Perfetto, un film western è proprio quello che ci vuole per allertare i suoi ormoni. Lei crede che io non sappia che effetto hanno su di lei questo genere di film, e invece lo so benissimo e quando posso ne approfitto spudoratamente.
«Forse ci abito?» rispondo saccente.
«Non dovevi tornare domani?»
«Ho anticipato il rientro»
«Per fortuna ho preso la pizza gigante»
Quanto è ingenuo, se spera che gli farò varcare la soglia è proprio un illuso. Infatti, appena tenta di entrare, mi pianto al centro della porta bloccandogli il passaggio.
«Be’, togliti»
«Sono tornato prima per stare con Rebecca, quindi, se non ti dispiace, preferirei rimanere solo con lei»
«Non ho certo intenzione di disturbare i piccioncini» ribatte sarcastico «Mangio e me ne vado subito»
«Dai, Luca. È cinque giorni che non ci vediamo e non ti voglio tra i piedi»
«Certo che sei proprio uno stronzo!»
«Già» confermo soddisfatto.
«E da quando Reb è incinta lo sei ancora di più»
«E sarà sempre peggio. Fidati»
«Non ne dubito. Dammi almeno qualcosa per metterci un po’ di pizza per me, il resto ve lo lascio»
«Oh no!» gli sfilo il cartone dalle mani e lui preso alla sprovvista spalanca gli occhi «Non vorrai togliere il cibo di bocca alla mia donna e alla mia bambina?»
«E io con cosa dovrei cenare? Lo sai che ho sempre il frigo vuoto» cerca di riagguantare il cartone ma lo allontano in fretta dalla sua mano.
«Vai a comprarti una pizza»
«Ma io l’ho già comprata una pizza! E se tu non fossi così stronzo me ne lasceresti portare via almeno un pezzo!»
«Lo sai anche tu che ultimamente Rebecca mangia come un lupo, e quando anche tu avrai una famiglia, capirai perché lo sto facendo»
«Russel, sto davvero morendo di fame»
«Be’, allora sbrigati, o finiranno la pizza»
Gli sbatto la porta in faccia e sghignazzo soddisfatto, mentre lo sento imprecare contro di me.
Forse sto davvero diventando troppo possessivo, ma Luca a volte si comporta come se fosse lui il padre di mia figlia.
«Quando sarà grande lo zio gli regalerà questo e quello. Quando sarà grande con lo zio farà questo e quello» lo scimmiotto avvicinandomi al divano per appoggiare il cartone sopra al tavolino «Ma che cazzo!»
Forse però dovrei darmi una calmata, in fondo sono anche sereno sapendo che quando non ci sono si prende cura della Sirenetta. Sospiro un po’ scocciato e torno sui miei passi. Apro la porta e vedo Luca che sta per svoltare l’angolo.
«Luca!» lui si ferma e lo raggiungo in fretta.
«Lo sapevo che non potevi essere così stronzo» dice voltandosi e sorridendo.
«Ehm… veramente mi serve il dvd» glielo strappo di mano e torno verso casa.
«Che grandissimo figlio di puttana!»
«Buona serata, zio Luca» lo sfotto, e senza voltarmi rientro in casa. Molto, ma molto soddisfatto. Pizza e cinema, e tutto gratis.
«E Luca dov’è?» mi volto di scatto. Mentre inserivo il dvd nel lettore non mi ero accorto che la Sirenetta era uscita dal bagno.
«Oh… è dovuto scappare. Un imprevisto» tergiverso, aprendo il cartone della pizza. Wow, doppia mozzarella!
«Problemi al club?» chiede la Sirenetta sedendosi a terra davanti alla pizza.
«Sì, sembra che abbiano finito le noccioline, ed è dovuto correre a comprarle» sghignazzo da solo per la mia battuta, e lei mi osserva corrucciando la fronte. Forse è meglio se faccio meno il simpatico, o finirà per capire che l’ho sbattuto fuori «Non so perché sia scappato, ma in compenso ci ha lasciato la pizza, e questo» dico mostrandole la custodia del dvd.
Sapevo che sarei riuscito a distrarla, le si sono illuminati gli occhi «”Django Unchained”, fantastico!» afferra un pezzo di pizza e mi indica il lettore «Dai, fallo partire»
«Tutto quello che vuoi» le dico, dandole un bacio prima che addenti la pizza.
 
Della sua gravidanza, l’unico aspetto negativo è la speculazione dei media. Spesso Rebecca si lamenta per la troppa pressione a cui è sottoposta, e vorrei poterle risparmiare tutto questo.
Già da un po’ uscivano articoli in cui parlavano di una sua sospetta gravidanza, e pur sapendo che prima o poi non sarebbe più stato un segreto, ci eravamo accordati per mantenere la massima discrezione e poter così rimandare il più possibile l’assalto dei fotografi.
Ma qualche giorno prima che partissi per New York, involontariamente, lei ha fatto un passo falso, ed ormai che aspettiamo un bambino è di dominio pubblico.
Ero andato a prenderla a lavoro per pranzare con lei. Indossava uno dei suoi abitini nascondi pancia, come li chiama lei, e in effetti, fra tutte quelle pieghe di stoffa, faticavo anch’io a credere che là sotto ci fosse davvero la mia bambina.
Mentre camminavamo per strada tenendoci per mano, dal niente è spuntato un fotografo e ha cominciato a scattare una foto dietro l’altra, girandoci attorno e tartassandoci di domande.
Quando si è avvicinato a meno di un metro da noi e il suo tono è diventato arrogante, ero sul punto di atterrarlo con uno spintone, ma Rebecca, percependo il mio nervosismo e le mie intenzioni, mi ha strinto più forte la mano, e senza rendersene conto, si è appoggiata l’altra sul ventre. In quell’istante, ho capito che avevo delle responsabilità e che quindi dovevo darmi una calmata. Ovviamente quel suo gesto non è sfuggito al fotografo, che ha smesso di chiedere se fosse davvero incinta, passando a domande più dirette “Quando nascerà?”. “È maschio o femmina?”. “Come lo chiamerete?”. Nel frattempo, un folto numero di curiosi ci guardava, mentre alcuni negozianti che conosciamo perché ci serviamo da loro, erano usciti per strada, e solidali con noi gridavano al fotografo di lasciarci in pace.
Io ho tirato un profondo respiro per calmarmi, e dopo aver scambiato una veloce occhiata con la Sirenetta, ho posato la mia mano sopra la sua. Lei ha abbassato la testa e ha spalancato gli occhi, davvero non si era accorta che stava camminando con la mano sopra la pancia come se volesse proteggere nostra figlia da quel fotografo. In quel momento ho sentito di amarla oltre ogni limite, e non ho potuto fare a meno di sfiorarle le labbra con le mie e accarezzarle la pancia per farle capire che per lei e per nostra figlia ci sarò sempre, che non sarà mai più da sola ad affrontare il mondo, perché da quando la conosco ho capito di essere nato solo per amarla.
 
«Ehi, non lo guardi il film?» si accoccola meglio sul mio petto e mi sfiora i capelli.
«Certo che lo sto guardando, solo non sapevo che fosse così lungo» se avessi saputo prima che durava tre ore, avrei lasciato che Luca si portasse via il dvd, perché speravo di poter andare a letto presto per fare l’amore con lei, ma da come è presa da questa banda di omaccioni armati, temo che non riuscirò mai a trascinarla a letto prima che appaia la scritta fine sullo schermo.
«Bugiardo, non lo stai seguendo già da un po’. Dimmi cosa stavi pensando»
«Vuoi davvero saperlo? Perché non credo che ti piacerà»
«Certo che voglio saperlo!» insiste.
«Tu sai quanto desidero una bambina» affermo, e lei annuisce facendosi seria «Ma sai anche che sarò ugualmente felice se sarà un maschio» 
«Dove vuoi arrivare?» chiede affilando lo sguardo perché ha capito che sto tergiversando.
«Vorrei una promessa da te»
«Quale?» chiede circospetta.
Mi schiarisco la voce e caricandomi di coraggio le dico il resto «Voglio che mi prometti che se sarà maschio, proveremo almeno un’altra volta ad avere una femminuccia»
«Tu sei pazzo!» esclama sfuggendo al mio abbraccio «Sono a metà gravidanza e tu già pensi alla prossima. Tipico di voi uomini!»  
«Non ci vedo niente di male»
«Non ci vedi niente di male? Quando ho detto che volevo un figlio era proprio quello che intendevo. Un. Figlio. Non due o tre o quattro. Ma uno»
Forse avrei fatto meglio ad aspettare ancora un po’ prima di dirglielo.
«Ne riparliamo più avanti, okay?»
«Col cavolo! Ne parliamo adesso invece. Anche perché conoscendoti non ti darai per vinto tanto facilmente. Quindi chiariamo subito che questo…» si indica la pancia «è l’unico figlio che avrai da me»
«Stai dicendo che posso averne anche con altre?»
Attraverso la t-shirt mi afferra un capezzolo tra due dita e lo torce, facendomi lanciare un urlo di dolore.
«Non azzardarti nemmeno a pensarlo! O giuro che non vedrai mai crescere tuo figlio perché ti ammazzo ancor prima di partorirlo»
«Ma stavo solo venendo dietro al tuo discorso!» mi giustifico, liberandomi dai suoi artigli per massaggiarmi il petto.
«Allora impara a non venirmi dietro quando dico stronzate!» 
«Okay okay. Chiudiamo il discorso qui» le circondo le spalle con un braccio e la riporto al mio fianco.
«Ecco, bravo, chiudiamo il discorso e lasciami guardare il film»
Certo che chiudiamo il discorso, ma solo perché se ti faccio arrabbiare troppo dopo non vorrai fare l’amore con me, e solo per dimostrarmi che hai ragione tu e che non hai intenzione di cedere. Ne riparleremo quando sarà il momento giusto, e se non cederai, cosa che dubito, manometterò il blister delle tue pillole o forerò i preservativi.
 
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È finita, più o meno. Più o meno perché di tanto in tanto pubblicherò qualche capitolo extra, giusto per continuare a farci un po’ gli affari loro. Non sono ancora pronta a lasciarli andare, perché Reb e Russel mi hanno davvero dato tantissimo.
 
Non so come ringraziarvi per aver aspettato questo capitolo per così tanto tempo, spero solo di non avervi deluso. Io mi sono divertita a scriverlo, perché stare nella testa di Russel è sempre uno spasso.
Vi informo che prossimamente pubblicherò un capitolo della raccolta delle scene rosse e uno dal punto di vista di Dario perché glielo devo, e poi devo confessarvi che sono follemente innamorata di lui. Sarà una cosa piccola piccola ma che ho in testa già da un po’. Ancora non ho deciso se inserirlo qui o fare una one-shot a parte.
 
Vi ringrazio tutti infinitamente, perché questa è stata una storia molto complicata e sofferta da scrivere, soprattutto alcuni capitoli in cui ho davvero pianto molto, perché… insomma… molte esperienze vissute da Reb le ho vissute io, ed avevo bisogno di scriverle.
 
Sono gradite le impressioni finali, le critiche, e anche i pomodori se volete lanciarmeli.
 
Tempo permettendo, riprenderò in mano PECORA, SEX LIST (con la storia di Craig e Gabrielle) e DAD.  
 
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui, perché è vero che si scrive per se stessi, ma se si pubblica si fa per essere letti.
 
Claudia
 
 
   
 
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