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Autore: Yellow    01/07/2008    1 recensioni
"Alcuni instanti della nostra vita ci appaiono come un'eclisse: ciò che è celato si mostrerà. Come la luna, una parte a noi sconosciuta guiderà i nostri passi verso un futuro oscuro, illuminato da chiari bagliori."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Al solito, ringrazio la mia beta preferita 2lei.




Capitolo 1
Scagliò con forza il mattone contro una delle finestre. Il vetro si frantumò in mille pezzi sotto gli sguardi di molteplici occhi soddisfatti. Delle risate si diffusero nell’aria, coprendo in parte il fracasso dei vetri che si schiantavano sul pavimento.
-Gut! Qua la mano!- esclamò un ragazzo tipicamente tedesco: capelli biondi e corti con la fronte coperta da una fascia nera, occhi azzurri, dando il cinque ad un altro ragazzo dai cappelli lunghi e lisci che gli ricadevano sulle spalle.
-Bravissimo Gero!- cinguettò una ragazza dalla pelle abbronzata ed un corpo da sballo. Si avvicinò con passi felpati a quello che aveva chiamato Gero e gli si strusciò lentamente contro. Gero sensualmente le cinse la vita e si chinò su di lei baciandola appassionatamente.
-Danke!-formulò appena le loro labbra si staccarono, poi si girò verso gli altri ragazzi che li stavano guardando: alcuni con l’espressione visibilmente schifata, altri divertita.- E’ così sexy la mia gattina preferita! Mi fa venire una voglia- pronunciò Gero indicandola fiera, scatenando risate generali e qualche “porco” e “sei il solito”.
-Ehi! Fatte le porcate a casa vostra! - Ribatté il giovane dalla corporatura massiccia che poco prima gli aveva dato il cinque, doveva avere al massimo vent’anni.
-Oh! Aaron sii ragionevole, è troppo eccitante la mia piccola Francis- terminò la frase rivolgendole uno sguardo malizioso e le diede un altro bacio, la ragazza ricambiò ed emise una risatina.
-Fate quello che volete, ma levatevi dalle palle.- Si rassegnò, scolandosi una dose massiccia di birra. Prese un altro mattone da terra- Chi vuole essere il prossimo?- Sghignazzò.
Erano una decina di ragazzi, tra i sedici e i vent’anni, alcuni parevano già ubriachi, altri bevevano tranquillamente, chi la vodka, chi la birra. Aaron era il più anziano della “famiglia”, anche se solitamente i componenti di una “famiglia” non erano soggetti ad un ordine gerarchico, tutti rispettavano Aaron e lo ritenevano il loro capo anche se non ufficialmente. Si guardò un po’ intorno  incrociando vari sguardi vogliosi ed eccitati. I suoi occhi si posarono su una figura seduta in disparte, lontana dal gruppo, col capo chino. I lunghi rasta raccolti in una coda alta che gli cadevano abbandonati lungo le guance.
-Simon! Ti vedo un po’ floscio oggi!
- Cazzo Aaron! Ti piace tanto il mio cognome? Te lo regalo se vuoi!- il ragazzo alzò lo sguardo, il volto semi-nascosto dalla visiera del cappellino della NY, inclinato leggermente verso destra, sotto di essa una fascia che nascondeva le orecchie.
-Sei peggio di una donna incita! Trascina il tuo culo qui! - Ordinò amichevolmente Aaron, suscitando una risata generale. Gli piacevano tutti della “famiglia”, ma Tom Simon era speciale per lui, lo considerava come suo fratello minore e a Tom non sembrava dispiacere affatto.
Il Rasta si alzò, si stirò per bene i vestiti extralarge e si avvicinò sghignazzando, incurvando la bocca leggermente verso sinistra mettendo in bella mostra un piercing al labbro inferiore.
-Non è colpa mia se le tue feste diventano sempre di più da pappamolle, stai invecchiando papi!
-Cinque che non riesci a centrare quella finestra al secondo piano! Eroe!- Gli lanciò il mattone, Tom lo prese al volo con spontaneità.
-Dieci e ti becco quella al terzo piano a destra!
-Vada per dieci!
-Inizia a tirarli fuori, bello!- Si caricò, sotto i fischi e le urla d’incoraggiamento degli altri ragazzi. Scagliò con forza il mattone che andò a segno, spaccando senza tanti complimenti il vetro. Esultò per l’esito.
- Sgancia la grana, papi!
-Culo!- Appoggiò i dieci euro nella mano di Tom. Improvvisamente un suono tremendo, spaccatimpani si diffuse nell’aria.
- Cazzo! L’allarme! Tom, coglione! Che cosa hai beccato?!- Urlò Gero per nulla nel panico, anzi divertito. Doveva essersi fatto nuovamente.
-Ma che cazzo ne so io?!
-Volete rimanere ancora qui a discutere o vogliamo darcela a gambe, prima che arrivino gli sbirri?!
I ragazzi buttarono in malo modo tutte le bottiglie per terra, lasciando li’ tutti i rifiuti che avevano prodotto nel corso della nottata e corsero il più velocemente possibile, attraversando il grande parco e scavalcando con agilità il muro, Tom, come al solito, rimase un po’ in dietro rispetto agli altri, cercando di fare il meglio che i vestiti extralarge gli permettevano.
Appena al di là del muretto, che delimitava la proprietà privata, i ragazzi si divisero in piccoli gruppi e andarono in direzioni diverse ridendo e scherzando, lasciando alle spalle la “Kaulitz International School of Deutschland. Come indicava una targa di ottima fattura in bella vista accanto al cancello.
Mentre scappavano via, sentirono la sirena della polizia interrompersi davanti alla scuola.
Corsero per due isolati e si fermarono ansimando mentre si stavano soffocando dalle risate.
Aaron, Gero, Francis e Tom avevano imboccato la stessa via.
-Simon, quei vestiti prima o poi ti rovineranno! Cazzo ci nuoti dentro, mettiti qualcosa della tua misura!
-Schesse! Non farmi la paternale Aaron!- si infastidì leggermente Tom. Sin da piccolo non aveva mai avuto nessuno che gli dicesse cosa era meglio e cosa peggio, non amava ricevere ordini da nessuno, tanto meno dal suo migliore amico e fratello Aaron.
-Serio Tom, così prima o poi ti farai beccare- insistette. Sapeva che Tom non amava il fatto che qualcuno si preoccupasse per lui, ma non voleva vederlo un giorno in mano alla polizia perché era inciampato nei suoi pantaloni stramaledettamente larghi. Sarebbe stato ridicolo
-Oh! Piantatela voi due!- intervenne Gero separando bruscamente i due che si stavano guardando in cagnesco- Tu fatti venire meno lo spirito paterno, specialmente per delle cazzate! E tu, cazzi tuoi se un giorno ti beccano perché magari i tuoi vestiti si sono impigliati da qualche parte.
-Ben detto!!- annuì soddisfatto Tom.
Era sempre così, tra Tom ed Aaron avvenivano spesso moltissime discussioni poiché erano le lingue di un’unica fiamma, e toccava sempre a Gero calmarli con parole schiette e vere. A Tom piaceva moltissimo Gero, appunto per il suo menefreghismo.
-Ti amo ‘more- Francis lo tirò a sé afferrandolo per il colletto della maglietta per scambiarsi delle effusioni non poco implicite.
-Schesse, che schifo!- Gridarono all’unisono Aaron e Tom. Si allontanarono, dirigendosi verso casa, lasciando i due a fare quello che amavano fare.

Le periferie di nessuna città erano sicure e quella di Berlino non faceva di certo eccezione. I borghi di Berlino erano stramaledettamente pericolosi e bui. La legge era poco presente. Avvenivano molti omicidi e gli assassini non si preoccupavano nemmeno di disfarsi del corpo. Semplicemente li gettavano nella spazzatura a cielo aperto finché non marcivano ed iniziavano a produrre un odore irritante, solo a quel punto qualcuno denunciava la presenza del cadavere e la polizia interveniva.
Tom non aveva mai conosciuto i suoi veri genitori, ma nello stesso tempo aveva avuto tantissimi padri e madri. Era stato cresciuto da una coppia di anziani, i Simon appunto, che desideravano disperatamente un figlio, ma non ne potevano avere; gli avevano sempre raccontato che lo avevano raccolto per strada, in una carrozzina abbandonata. Quando compì dieci anni la copia morì, lasciandolo solo, d’altronde lo era sempre stato. Non si era mai sentito veramente completo, era una strana sensazione, come se metà della sua anima mancasse. Passò di casa in casa. Infine fu adottato dalla famiglia di Aaron con cui aveva relazionato bene ed era relativamente felice, anche se si sentiva sempre un estraneo. La famiglia Mueller era formata solo da due componenti prima che arrivasse lui: madre e figlio. Da quel che Aaron gli aveva detto non avevano vissuto sempre in quella topaia. Erano una normale famiglia benestanti, non eccessivamente ricca, ma neanche povera. Suo padre era dipendente della “Kulitz & Co.” , era addetto al controllo dei computer e guadagnava discretamente, almeno da permettere un appartamento nel centro di Berlino a sua moglie e a suo figlio di 5 anni. Poi un giorno accadde il disastro. Herr Mueller fu licenziato, accusato di passare informazioni private alle ditte concorrenti. Aaron credeva fermamente che suo padre fosse innocente, come poteva un uomo dolce e pacato fare la spia? Non aveva abbastanza fegato.
Infine accadde l’inevitabile: Herr Mueller si suicidò poco dopo il licenziamento ed Aaron e sua madre furono costretti a trasferirsi nei borghi di Berlino.
Aaron ammirava suo padre, dal profondo del suo cuore, amava la sua onestà, la sua devozione per la sua famiglia, ma alla fine li aveva abbandonati. Era stato un meschino che non aveva avuto il coraggio di affrontare i problemi ed aveva semplicemente preferito scappare dalla vita, voltare le spalle alla propria famiglia, abbandonare moglie e figlio.
Tutto il mondo gli crollò addosso, iniziò ad odiare quella figura paterna che aveva sempre considerato un eroe ed iniziò a cambiare, non voleva essere come suo padre e fare la sua stessa fine.
A cosa serviva essere onesti, buoni e gentili se la fine che portava era questa?
Aaron affermava sempre di odiare suo padre, ma Tom sapeva bene che lo adorava ancora e che la sua mania di distruggere le proprietà dei Kaulitz era una sorta di vendetta personale.
Almeno lui aveva il ricordo di un padre, qualcuno da odiare. Tom invece neanche conosceva il volto di suo padre e se non era certo che un bambino nascesse necessariamente da un rapporto fra uomo e donna, si sarebbe sicuramente ritrovato a pensare di non avere neanche dei genitori.

Ridendo e spingendosi a vicenda, percorsero un vicolo che conduceva ad  una casa in uno stato poco rassicurante. Aaron fece segno di fare silenzio ed aprì lentamente la porta, immediatamente qualcosa lo colpì in pieno viso: il cazzotto di sua madre.
-Dove sei stato?Sono le 5 di mattina!- era furiosa.
-Cazzi miei!
-Non ti permettere, bamboccione che non sei altro! Hai vent’anni ed ora che ti trovi un lavoro fisso!
-So badare a me stesso!
-Sai badare a te stesso! Allora perché mi stai ancora appiccicato al culo come un moscerino e non te ne vai a farti una vita?!
-Una vita mia ce l’ho!
-Ok, certo! Non parliamo di te allora, ma di Tom! Lui deve andare a scuola! Non lo farò diventare un secondo te! Piantala di dargli brutti esempi!
Tom, che era stato zitto ed immobile fino a quel momento, si sentì improvvisamente in colpa e sentì il bisogno d’intervenire.
-Ma Frau Mueller, non è colpa…
- Tom zitto! Andiamocene di sopra.- Aaron lo trascinò via, lasciando la donna sola.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto che li portava alla loro camera. Aaron e Tom condividevano la stanza , non che fosse grande, ma era più per necessità che per altro. Certo dividere la camera con un’altra persona portava i suoi vantaggi ma anche molti svantaggi come ad esempio la mancanza di qualunque tipo di privacy. Per il più delle volte era divertente avere un compagno nella stessa stanza, parlare fino a notte fonda delle cazzate, specialmente se quel compagno si chiamava “Aaron”, capace di tirar fuori le stupidate più varie.
Aaron si tolse malamente la fascetta e la gettò in un angolo della stanza sicuro che il giorno dopo non l’avrebbe trovata, ma poco gli importava in quel momento, era l’ultimo dei suoi problemi. Sospirò fortemente quasi sbuffando, il tutto mente Tom lo osservava silenzioso e pensoso.
-Perché?-si decise a parlare finalmente il rasta, dopo aver esitato aprendo e chiudendo la bocca più e più volte.
-Cosa?-gli  lanciò un occhiata quasi infastidito, sedendosi sul bordo del letto disfatto dalla mattina. Tom esitò di nuovo, non per paura o per timore, ma per disagio. Non sapeva che dire o che fare in quei momenti, sapeva che la cosa migliore da fare era starsene zitto e lasciare che Aaron si calmasse da solo. Aveva sempre fatto così quando tra l’amico e la madre avvenivano queste discussioni, ma questa volta avevano tirato in ballo pure lui e non gli piaceva essere la causa del litigio.
Viveva con loro ormai da molti anni ormai e in teoria si dovrebbe sentire parte della famiglia, ma non era così, non era mai stato così. Si sentiva un perfetto estraneo, un perfetto parassita capace di infastidire con la sua sola presenza. Tom aveva il capo chino con la visiera a coprirgli parte del viso visibilmente a disagio.
-Perché non mi hai fatto finire la frase? Lo sai che tu non c’entri niente, non sei tu che mi costringi a marinare la scuola, a rubare, a combinare cazzate. Perché lasci che tua madre pensi male di te?
Aaron lo guardò prima infastidito, poi stupito ed infine scoppiò in una fragorosa risata, distendendosi sul letto e portandosi teatralmente una mano sulla pancia. Toccò a Tom irritarsi, era già stato tanto imbarazzante dire quelle parole ed Aaron cosa faceva? Gli  rideva in faccia con la grazia che solo un mammut riusciva a superare.
Aaron si alzò dal letto sghignazzando, si avvicinò a Tom che era rimasto tutto quel tempo accanto alla porta.
-Tom Simon che ha i sensi di colpa! Non è cosa che si vede tutti i giorni!- lo canzonò
-Io...-boccheggiò Tom non sapendo che dire, ma prima che potesse trovare una battuta stupida o qualsiasi frase da ribattere, Aaron lo precedette.
-Ti vuole bene e ti stima, pensa che tu sia un ragazzo per bene. Non vedo perché dovrei disilluderla così. Tanto per lei sono già un delinquente, non mi cambia la vita qualche accusa in più. Ti considera più suo figlio di me!- Aaron gli prese le guance fra le mani schiacciandole leggermente, deformando buffamente il viso sorpreso di Tom.
-Dalle tutte le soddisfazioni che io non riesco a darle Tom!-Gli abbassò ulteriormente la visiera del cappellino per poi scappare fuori dalla porta urlando qualcosa tipo:”Sii il suo gattino preferito!” ridendo a crepapelle. Era chiaro che lo stava nuovamente prendendo per il culo e lui per un millesimo di secondo pensava di aver intravvisto l’altra parte di Aaron, quella sentimentale, invece era l’ennesima presa per i fondelli: eppure a  Tom era apparso che Aaron fosse stato sincero e un po’ triste mentre pronunciava quelle parole.
Figlio. Davvero Frau Mueller lo considerava come suo figlio? Che domanda scema, certo che sì, lo sapeva, bastava vedere come lei cercava sempre di metterlo a suo agio, i modi affettuosi che gli rivolgeva, le piccole attenzioni che gli dedicava. Si sentì in colpa, lui non la considerava sua madre, mai lo aveva pensato. La chiamava semplicemente Frau Mueller con distacco. Era un ingrato e un bastardo, a volte si chiedeva se anche lui come tutti gli esseri umani sulla terra fosse dotato di sentimenti profondi o Dio semplicemente era in pausa pranzo quando era nato e si era scordato di donargli la capacità di amare e di legarsi a qualcuno. Scrollò le spalle e si buttò a peso morto sul suo letto attaccato orizzontalmente al muro, accanto alla porta della stanza.
“Quanto mi manca.”
Nello stesso momento in cui formulò quel pensiero si sorprese di se stesso.
Gli mancava…

Ma chi?
  
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