Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: hill22    16/03/2014    0 recensioni
Emma gray è una studentessa eccezionale e un’atleta prodigio. Ma è una ragazza sola: non frequenta nessuno tranne la sua amica Sara. Non è un adolescente come tutte. Si copre bene per nascondere i lividi, per paura che qualcuno possa indovinare quello che succede tra le pareti domestiche. Mentre gli altri ragazzi della sua età si divertono spensieratamente, Emma conta in segreto i giorni che mancano al diploma, quando finalmente sarà libera di andare via da quella casa. Ma ecco che all’improvviso, senza averlo cercato o atteso, incontra l’amore. Un amore intenso e travolgente che entra prepotentemente nella sua vita. E nascondere il suo segreto non sarà più così facile.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 
Respira. I miei occhi si gonfiarono mentre mi sforzavo di mandare giù il groppo che avevo in gola. Stanca di sentirmi così debole, mi asciugi subito con il dorso della mano le lacrime che si erano fatte strada sulle guance. Non potevo continuare a pensarci – rischiavo di esplodere.
Mi guardai intorno: quella stanza era mia ma non aveva nessun vero legame con me – una scrivania di seconda mano con una sedia spaiata appoggiata al muro, e accanto una libreria a tre ripiani che aveva visto troppe case in troppi anni. Non c’erano fotografie alle pareti. Niente che ricordasse chi ero prima di arrivare qui. Era solo un posto in cui potevo nascondermi – nascondermi dal dolore, dagli sguardi minacciosi e dalle parole taglienti.
Perché mi trovavo lì? Conoscevo la risposta. Non era stata una scelta: era stata una necessità. Non avevo un altro posto dove andare, e loro non potevano voltarmi le spalle. Erano l’unica famiglia che avevo, sebbene la cosa non mi rendesse affatto felice.
Mi distesi sul letto e cercai di concentrarmi di nuovo sui compiti. Ebbi una fitta quando provai a prendere il libro di trigonometria. Non riuscivo a credere che la spalla mi facesse male un’altra volta. Fantastico! A quanto pareva avrei dovuto di nuovo mettere le maniche lunghe quella settimana.
Il dolore lancinante alla spalla mi fece tornare in mente immagini orribili. Sentivo crescere la rabbia, che mi faceva serrare la mascella e digrignare i denti. Feci un respiro profondo e mi lasciai avvolgere da un’ondata di vuoto. Dovevo togliermi quel pensiero dalla testa, quindi mi sforzai di concentrarmi sui compiti.
Fui svegliata da un leggero bussare alla porta. Mi sollevai sui gomiti e provai a mettere a fuoco la stanza buia. Dovevo aver dormito per almeno un’ora, anche se non ricordavo di essermi addormentata.
«Sì», risposi, con la voce rotta.
«Emma?», disse una timida vocina mentre la porta si apriva lentamente.
«Entra, Jack», provai a sembrare accogliente nonostante avessi il morale “morale sotto i piedi.
Con la mano afferrò la maniglia mentre con la testa – non era molto più alto della maniglia – sbirciò dentro.
I grandi occhi marroni di Jack passarono in rassegna la stanza finché non incontrarono i miei – vedevo che era agitato al pensiero di ciò che avrebbe potuto trovare – e mi sorrise sollevato. Sapeva fin troppe cose per i suoi sei anni.
«La cena è pronta», disse, guardando a terra. Capii che non voleva essere considerato responsabile del messaggio che portava.
«Arrivo subito». Provai a sorridergli per fargli capire che era tutto a posto. Lui fece marcia indietro e tornò verso le voci che arrivavano dall’altra stanza. Il rumore dei piatti e delle scodelle che venivano messi in tavola risuonava in tutto il “corridoio, assieme alla voce impaziente di Leyla. Se qualcuno avesse osservato quella scena dall’esterno, avrebbe pensato che era l’immagine perfetta della famiglia americana che si prepara per la cena.
La scena cambiò quando lentamente scivolai fuori dalla mia stanza. L’aria si fece improvvisamente pesante, per il fastidioso ricordo che esistevo anch’io, la macchia sul loro ritratto. Feci un altro respiro profondo e provai a convincermi che potevo farcela. In fondo era solo un’altra serata, giusto?
Ma era proprio questo il problema.
Camminai lentamente lungo corridoio verso la luce della sala da pranzo. Mi si rivoltò lo stomaco quando varcai la soglia. Tenevo lo sguardo fisso sulle mani, che mi torturavo per l’ansia. Con mio grande sollievo, nessuno si accorse che ero entrata.
«Emma!», esclamò Leyla, correndo verso di me. Mi chinai, lasciando che mi saltasse in braccio. Mi strinse forte le braccia intorno al collo. Non riuscii a trattenere una smorfia quando il dolore al braccio tornò a farsi sentire.
«Hai visto il mio disegno?», chiese, orgogliosa dei suoi scarabocchi rosa e gialli. Sentii uno sguardo minaccioso alle mie spalle, e sapevo che se fosse stato un coltello, sarei stata trafitta all’istante.
«Mamma, hai visto il mio disegno del Tyrannosaurus rex?», sentii Jack chiedere a sua madre, nel tentativo di distrarla.
«È magnifico, tesoro», l’elogiò lei, spostando l’attenzione sul figlio.
«È bellissimo», dissi piano a Leyla, guardandola nei suoi occhi marroni ballerini. «Perché non inizi a sederti per la cena?»
«Ok», annuì. Non aveva idea che quel suo semplice gesto d’affetto aveva creato tensione attorno al tavolo. Come avrebbe potuto? Aveva quattro anni, mi adorava perché ero la sua cugina più grande, e lei era il mio sole in quella casa buia. Non avrei mai potuto arrabbiarmi con lei per quella nuova fitta di dolore causata dall’affetto che provava per me.
La conversazione riprese, e io fui ben lieta di tornare a essere invisibile. Dopo aver aspettato che tutti gli altri si fossero serviti, presi un po’ di pollo, patate e piselli. Sentivo che ogni mio movimento era controllato a vista, quindi continuai a fissare il piatto mentre mangiavo. La porzione che avevo preso non bastava a saziarmi, ma non avevo il coraggio di prendere altro.
Non davo ascolto a lei, che continuava a parlare del suo giorno di prova al lavoro. La sua voce mi scavava dentro dandomi il voltastomaco. George rispondeva con frasi tranquillizzanti, nel tentativo di rassicurarla, come faceva sempre. Si ricordarono della mia esistenza solo quando chiesi di potermi alzare. George guardò dall’altra parte del tavolo con i suoi occhi incerti e, con fare distaccato, mi diede il permesso.
Presi il mio piatto, assieme a quelli di Jack e Leyla, che erano già andati in soggiorno a guardare la televisione. Cominciai la mia routine serale fatta di piatti risciacquati e messi in lavastoviglie, e lavai i tegami e le padelle che George aveva usato per preparare la cena.
Aspettai che le voci si spostassero in soggiorno prima di tornare al tavolo volo per finire di sparecchiare. Dopo aver lavato i piatti, aver portato fuori la spazzatura e aver pulito il pavimento, tornai nella mia stanza. Oltrepassai il soggiorno con i rumori della televisione e le risate dei bambini in sottofondo. Nessuno si accorse di me, come al solito.
Mi stesi sul letto, attaccai le cuffie al mio iPod e alzai il volume al massimo per fare in modo che la mia mente fosse troppo occupata dalla musica per riuscire a pensare. Il giorno successivo sarei tornata a casa tardi perché avevo una partita dopo la scuola, così avrei saltato la splendida cena in famiglia. Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi. Domani era un altro giorno – più vicino al giorno in cui mi sarei lasciata alle spalle tutto questo.
Mi rotolai sul fianco, senza pensare alla spalla, finché il dolore non mi ricordò cosa volevo lasciarmi alle spalle. Spensi la luce e mi lasciai cullare dal suono della musica.
Presi una barretta ai cereali mentre attraversavo la cucina con una sacca in mano e lo zaino sulla spalla. Leyla spalancò gli occhi per la gioia quando mi vide. Mi chinai e la baciai sulla fronte, sforzandomi di ignorare lo sguardo penetrante che proveniva dall’altra parte della stanza. Jack era seduto al tavolo accanto a Leyla e mangiava i cereali. Senza alzare lo sguardo, mi fece scivolare in mano un pezzo di carta.
“Buona fortuna!”, c’era scritto con un pennarello viola, accanto a un adorabile scarabocchio che voleva essere un pallone da calcio nero. Mi guardò per un attimo, per vedere la mia espressione, e io feci un mezzo sorriso, in modo che lei non si accorgesse di nulla. «Ciao, ragazzi ragazzi», dissi, girandomi verso la porta.
Prima che potessi uscire, la sua mano fredda mi afferrò il polso. «Lasciala».
Mi voltai verso di lei. Dava le spalle ai bambini, in modo che non potessero vedere il suo sguardo astioso. «Non era fra le cose che hai richiesto nella tua lista. Perciò non è per te che l’ho comprata. Lasciala». Tese l’altra mano.
Le misi in mano la barretta di cereali e all’istante fui liberata dalla sua energica stretta. «Scusa», mormorai, e corsi fuori di casa prima che ci fosse altro per cui chiedere scusa.
«Allora… che è successo quando sei arrivata a casa?», chiese Sara ansiosa, abbassando il volume della canzone punk che stava ascoltando quando entrai nella sua coupé decapottabile rossa.
«Eh?», risposi, ancora massaggiandomi il polso.
«Ieri sera, quando sei arrivata a casa», replicò Sara impaziente.
«Niente di speciale, in realtà – solo le solite urla», risposi, sminuendo la scenata che mi era toccata quando ero rientrata dagli allenamenti. Decisi di non aggiungere altro mentre mi massaggiavo con noncuranza il braccio contuso. Per quanto volessi bene a Sara e sapessi che avrebbe fatto di tutto per me, c’erano delle cose che ritenevo fosse meglio risparmiarle.
«Quindi solo urla, eh?», sapevo che non se la stava bevendo del tutto. Non ero brava a mentire, ma ero abbastanza convincente.
«Già», mormorai, serrando le mani, che ancora tremavano per il contatto con lei. Tenni gli occhi fissi fuori dal finestrino, guardando gli alberi che passavano, intervallati dalle enormi case con i loro giardini perfetti, mentre l’aria frizzante di settembre mi sferzava il viso accaldato.
«Meglio così, allora». Sentivo che mi stava guardando, aspettando che confessassi.
Certa che non le avrei detto altro, Sara riaccese la musica e cominciò a strillare e ad agitare la testa al ritmo di una band punk inglese.
Entrammo nel parcheggio della scuola, accolte come al solito dagli studenti che si voltavano a guardarci e dai professori che scuotevano la testa. Sara non se ne accorgeva, o almeno faceva finta che non le importasse. Io li ignoravo, perché davvero non me ne importava nulla.
Mi misi lo zaino sulla spalla sinistra e attraversai a piedi il parcheggio assieme a Sara. Il suo viso si illuminava luminava di un sorriso contagioso quando la gente la salutava. Io venivo a malapena notata, ma quella mancanza di attenzione non m’infastidiva. Era facile lasciarsi eclissare dalla presenza carismatica di Sara, con la sua meravigliosa chioma fiammeggiante, che le scendeva voluminosa sulla schiena.
Sara era l’oggetto del desiderio di ogni liceale, e di sicuro anche di parecchi insegnanti. Era incredibilmente attraente e aveva il corpo di una modella di costumi da bagno, con tutte le curve nei posti giusti. Ma ciò che mi piaceva più di tutto di Sara era che fosse una persona sincera. Poteva anche essere la ragazza più desiderata della scuola, ma non si montava la testa.
«Buongiorno, Sara», diceva praticamente chiunque incontrassimo, mentre camminava sprizzando energia nei corridoi del terzo anno. Lei ricambiava con un sorriso e un saluto.
Qualcuno salutava anche me, e io rispondevo con un rapido sguardo e un cenno della testa. Sapevo che l’unico motivo per cui si accorgevano di me era Sara. In realtà desideravo non essere notata affatto mentre camminavo di soppiatto per i corridoi protetta dalla sua ombra.
«Penso che finalmente Niall si accorgerà che esisto», dichiarò Sara mentre prendevamo dai nostri armadietti vicini l’occorrente per la prima ora di lezione. Per qualche miracolo, facevamo parte dello stesso gruppo e avevamo lo stesso supervisore, e questo ci rendeva inseparabili. Be’, almeno fino alla prima ora, quando io avevo Letteratura Avanzata e lei Algebra II.
«Tutti sanno che esisti, Sara», risposi con un sorriso ironico. Alcuni anche troppo, pensai, trattenendo un altro sorriso.
«Be’, con lui è diverso. A malapena mi guarda, anche quando siamo seduti accanto. È così frustrante». Si appoggiò con le spalle all’armadietto. «Hai fatto caso che i ragazzi si accorgono anche di te», aggiunse, notando la mia enfasi, «ma tu non alzi lo sguardo dai libri abbastanza a lungo per accorgerti di loro?».
Diventai rossa e aggrottai la fronte. «Ma che dici? Si accorgono di me solo perché sono con te».
Sara scoppiò a ridere, e i suoi perfetti denti bianchi brillarono. «Non capisci niente», mi prese in giro, continuando a sorridere divertita.
«Basta così. E comunque non mi interessa», risposi secca, con il viso ancora rosso. «Che hai intenzione di fare con NIall?». Sara sospirò, stringendosi i libri al petto mentre alzava gli occhi azzurri verso il soffitto, persa tra i suoi pensieri.
«Non lo so ancora», disse da quel mondo lontano che le faceva increspare la bocca in un sorriso. Era chiaro che stava immaginando lui e i suoi capelli biondi pettinati all’indietro, gli occhi azzurri e il sorriso mozzafiato. Niall era il capitano e il quarterback della squadra di football. Insomma, lo stereotipo del ragazzo più ambito della scuola.
«Che vuoi dire? Tu hai sempre un piano».
«Stavolta è diverso. Non mi guarda neanche. Devo fare più attenzione».
«Non hai detto che finalmente si è accorto di te?», domandai confusa.
Sara girò la testa per guardarmi: gli occhi le brillavano ancora per quel mondo tutto suo dal quale stava lentamente tornando, ma non sorrideva più.
«Non capisco, davvero. Ieri mi sono seduta accanto a lui durante la lezione di economia, e lui mi ha detto ciao, e basta. Quindi sa che esisto. Punto». Riuscivo a sentire l’esasperazione nella sua voce.
«Sono sicura che ti verrà in mente qualcosa. Oppure è gay», sorrisi.
«Emma!», esclamò Sara spalancando gli occhi e dandomi un pugno sul braccio destro. Mi sforzai di sorridere digrignando i denti, sperando che non si fosse accorta di quanto era tesa la mia spalla nonostante l’avesse colpita solo leggeremente. «Non dirlo neanche per scherzo. Sarebbe una tragedia – almeno per me».
«Non per Kevin Bartlett», sorrisi, e stavolta fu lei ad aggrottare la fronte.
Vedere Sara così presa da questo ragazzo era divertente e disarmante al tempo stesso. Aveva un tale modo di fare con le persone, che riusciva quasi sempre a convincerle a stare dalla sua parte, soprattutto i ragazzi. Con chiunque riusciva a essere così affettuosa e così convincente che le persone davvero non vedevano l’ora di accontentarla.
Era evidente che NIall Horan la confondeva. Era un lato di lei che ancora non conoscevo. Sapevo che si trovava ad affrontare una situazione del tutto nuova, ed ero curiosa di vedere che cosa avrebbe fatto.
Le uniche persone che finora le avevano dato filo da torcere erano mia zia e mio zio. Cercavo continuamente di convincerla che lei non c’entrava nulla con tutto questo, ma le mie proteste non facevano no che rafforzare il suo proposito di sfidarli. Così facendo, sperava di rendere il mio inferno personale un po’ più vivibile. Chi ero io per impedirglielo? Anche se sapevo che era una causa persa.
Dopo aver chiuso gli armadietti ci separammo. Io entrai nell’aula di Letteratura Avanzata e mi sedetti all’ultima fila come al solito. La signora Abbott ci salutò e cominciò la lezione restituendoci gli ultimi compiti.
Si avvicinò al mio banco e mi guardò con un sorriso affettuoso. «Hai scritto un bel tema, Emma. Molto profondo», si complimentò restituendomi il compito.
I miei occhi incrociarono i suoi con un rapido e imbarazzato sorriso. «Grazie».
Il compito era contrassegnato da una “A” scritta a penna rossa in alto, e ai bordi del foglio c’erano vari commenti positivi. Era quello che prevedevo e che i miei compagni si aspettavano da me. Gli altri studenti si sporgevano per vedere cosa avesse preso il compagno seduto accanto. Nessuno guardava il mio compito. Lo infilai in fondo al quaderno.
Non ero imbarazzata per i miei voti; non m’interessava quello che pensavano gli altri studenti dei miei giudizi positivi. Sapevo che me li ero meritati. E sapevo anche che un giorno sarebbero stati la mia salvezza. Quello che nessuno capiva, a parte Sara, era che l’unica cosa che m’importava era contare i giorni che mi separavano dal momento in cui avrei potuto lasciare la casa dei miei zii per andare al college. Se ciò voleva dire sentirmi parlare alle spalle quando ricevevo i voti più “alti di tutta la classe, pazienza. Nessuno di loro sarebbe venuto in mio aiuto se non ce l’avessi fatta, quindi non avevo nessun bisogno di farmi coinvolgere nei pettegolezzi e in tutte quelle sciocchezze tipiche dei teenager.
Era solo grazie a Sara che avevo una parvenza di vita da liceale, e lei la rendeva sicuramente divertente. Era ammirata da moltissimi, invidiata da tanti, e per sedurre un ragazzo le bastava un sorriso. La cosa per me più importante era che potevo fidarmi ciecamente di lei – e non era poco, considerando che non potevo sapere ciò che mi attendeva ogni sera a casa.
«Come va?», mi chiese Sara quando ci incontrammo agli armadietti prima di pranzo.
«Niente di nuovo o eccitante da queste parti. Qualche novità con Niall a economia?». Era l’ultima lezione di Sara prima di pranzo, quindi di solito le dava abbastanza materiale di cui parlare fino alla lezione di giornalismo.
«Magari!», esclamò. «Niente… è così frustrante! Cerco di non essere troppo aggressiva, ma sto decisamente lanciando tutti i segnali possibili per fargli capire che sono interessata».
«Si vede che non è quello che gli interessa», la presi in giro sorridendo.
«Sta’ zitta, Em!», Sara mi guardò con occhi severi. «Penso che dovrò essere più diretta. Nella peggiore delle ipotesi mi dirà…».
«Sono gay», la interruppi ridendo.
«Ridi quanto ti pare, ma alla fine vedrai che uscirò con Niall Horan».
«So che ci riuscirai», la rassicurai, continuando a sorridere. “Mi comprai il pranzo con i soldi della paghetta settimanale presi dal gruzzolo che avevo guadagnato durante l’estate – soldi che venivano controllati al centesimo, e che io non potevo toccare. Un’altra delle regole irrazionali con cui dovevo convivere per i prossimi seicentosettantatré giorni.
Decidemmo di pranzare all’aperto, sui tavoli da pic-nic, per goderci il tepore dell’estate di San Martino. L’autunno nel New England è molto imprevedibile. Un giorno si gela e fa freddo, e il giorno dopo fa abbastanza caldo da togliersi i maglioni. Ma quando arriva l’inverno, dura molto più a lungo di quanto si possa desiderare.
Mentre quasi tutti gli altri studenti si toglievano i vestiti per godersi il caldo, io potevo solo tirarmi su le maniche della maglietta. Il mio guardaroba dipendeva dai colori dei lividi in via di guarigione sulle mie braccia, e non aveva niente a che fare con il clima.
«Cosa hai fatto ai capelli oggi? Stai bene. Sono più in ordine. Molto chic».
Guardai Sara con la coda dell’occhio mentre uscivamo: l’unico motivo per cui avevo la coda di cavallo era che quella mattina avevo esaurito i cinque minuti di doccia che mi erano consentiti, e non avevo potuto risciacquare il balsamo dai capelli prima che venisse chiusa l’acqua. «Di che stai parlando?», chiesi incredula.
«Lascia perdere. Non ti si può mai fare un complimento». Cambiando argomento, mi chiese: «Allora domani sera riuscirai a venire alla partita?».
Mi limitai a guardarla alzando il sopracciglio, dando un morso a una mela.
Quando si rese conto che non le avrei dato la risposta che aspettava, Sara prese la sua soda, e si fermò con la lattina sospesa davanti alle labbra.
«Perché mi tortura così?», sussurrò, abbassando lentamente la lattina, con gli occhi fissi su qualcosa dietro di me.
Mi voltai per capire cosa avesse attirato la sua attenzione. Niall Horan e un altro ragazzo dell’ultimo anno dal fisico impeccabile si erano tolti le magliette e le avevano infilate nel retro dei jeans mentre palleggiavano con un pallone da football. Ovviamente, la scena non poteva che attirare l’attenzione. Lo osservai per un minuto mentre Sara si lagnava dietro di me. Stranamente, Niall sembrava non accorgersi di tutte le ragazze che sbavavano per lui – interessante.
«Sara, forse non capisce di essere così desiderato», osservai, oggettivamente. «Ci hai mai pensato?»
«Come può non saperlo?», domandò, incredula.
«È un ragazzo», risposi con un sospiro rassegnato. «Lo hai mai visto in giro con qualcuna, a parte i due anni in cui è uscito con Holly Martin? Solo perché pensiamo che sia un dio non significa che si metta su un piedistallo».
Guardammo quel ragazzo alto con i muscoli ben definiti e il sorriso complice. Nemmeno io potevo fare a meno di perdermi nei dettagli del suo corpo. Solo perché ero concentrata sulla scuola non significava che ero morta. Facevo caso a certe cose – be’, alle volte. «Forse», disse con un sorrisetto subdolo.
«Sareste una splendida coppia», dissi con un sospiro.
«Em, devi venire alla partita con me domani!», mi supplicò con una punta di disperazione.
Strinsi le spalle. Non era una mia scelta. Non avevo controllo sulla mia vita sociale; di conseguenza, non avevo una vita sociale. Tenevo duro pensando al college. Non che facessi a meno della vita da liceale. Solo, la gestivo a modo mio: praticavo tre sport e dirigevo il giornale della scuola, oltre a partecipare all’annuario, alle rassegne d’arte e ai club di francese. Era abbastanza per farmi rimanere a scuola dopo le lezioni ogni giorno, e a volte anche di sera quando c’erano delle partite o delle scadenze per il giornale. Avevo bisogno di crearmi il profilo ideale per una borsa di studio. Era l’unica cosa che sentivo di avere sotto controllo, e a dirla tutta era più un piano di sopravvivenza che un piano di fuga.

 
Salveeeee ragazzeee! mi presento sono hill22! Questo account l'ho creato perchè una mia amica scrive storie, c'è scrive storie ispirate alla sua vita! ed io l'aiuto!
Lo so che forse non capirete molto da questo primo capitolo ma ovviamente non possiamo svelarvi tutto da subito no? Però spero vi abbia intrigato un pochino...
Chissa cosa sarà il livido sulla spalla? 
Cosa pensate a primo impatto?
vi chiedo una piccola recensione sui vostri pensieri così vediamo di continuare...
Grazie in anticipo :) 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: hill22