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Autore: Jo_March_95    16/03/2014    1 recensioni
"I don't wanna love to destroy me like it has done my family"
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La mattina, in casa Milkovich, abbiamo tutti gli occhi cuciti a forza di lacrimare punti di sutura vomitati al vento, abbiamo tutti le orecchie tese perché chiunque respiri nelle vicinanze è un pericolo, abbiamo tutti le dita strette in pugni congelati nel tempo e le articolazioni scricchiolano sotto il peso delle intenzioni.
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Mandy e Mickey Milkovich, che quella firma "M.M.", alle elementari ci sembrava una cosa divertente, una
siglia solo nostra, un segreto a lettere puntate che poteva significare tante cose, ma la "S." di salvami non la trovavamo mai.
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Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mandy Milkovich, Mickey Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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That's not funny

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Una guerra in trincea si combatte con la faccia nel fango, urlando per la vita fino a vedertela sfuggire dalle mani.
Una guerra in trincea la si combatte per perdere, per il gusto di provare la morte con il cuore ancora caldo nel petto.

Mandy non sa con precisione in quale libro del cazzo abbia letto di questo particolare metodo bellico e a dirla tutta non ha intenzione di andare a scavare tra gli archivi della memoria a lungo termine, probabilmente sarà stato Lip a soffiarle queste strane storie in testa, tra un orgasmo e l’altro, prima che tutto precipitasse nell’oblio senza espiazione dello sguardo da ritardata di Karen Jackson.
Eppure, ironia della sorte, di tutto il discorso sulle guerre mondiali le era rimasto impresso solo questo particolare.
Guerra di posizione, guerra di stallo.
Potenze in bilico, pedine cadute a terra a formare una catena di vite spezzate.
Qualcosa di familiare per una Milkovich.
Un solo errore e si era ritrovata col culo scoperto e la faccia di Terry davanti, un mix che non avrebbe certamente augurato a nessuno.

In un primo momento era sembrata una buona idea, fare l’uccellino ferito nel nido di casa Gallagher, accoccolarsi al petto di Lip, la sera, sicura che nessun sessantenne ubriaco venisse a solleticarle i capezzoli nel sonno, nessuno che condividesse metà dei cromosomi con lei e l’altra metà con satana.
Era sembrata una fottutissima favola, svegliarsi la mattina con le mani vuote e nessuna bottiglia rotta tra le dita.
Un po’ come quando Terry era in galera, un po’ come pensare ad una fortezza inespugnabile dove i polmoni pieni di alcool impedissero al padre la scalata e un fiume di lava circondasse le sue stanze, lasciandola intatta per un’altra notte.
Poi, inevitabilmente, era finito tutto.
Un fottutissimo sbaglio ed era finito tutto.
Smaterializzato, cancellato, disatomizzato.
Poteva gridare fino a far esplodere il cristallino di quegli occhi troppo azzurri e asimmetrici che Lip continuava a portare in giro, ma non sarebbe mai riuscita ad arrivare a casa.
La sua casa.
Gli occhi gentili e l’imbottitura da sapientone del suo Gallagher personale.
Sbrigava le sue faccende da domestica tra le gambe valghe di Lip prima di ristorarsi tra i bicipiti scolpiti; faceva ben attenzione a non disturbare la presenza ingombrante del cervello troppo attivo, riducendo al minimo la voce, limitandosi ad essere ciò che la vita le aveva insegnato.
Ma una Milkovich sarà sempre solo una Milkovich.
Puoi spegnere il fuoco ma resta la brace, puoi soffiare sulla cenere ma quegli atomi insignificanti si disperderanno ovunque in un entropico disegno di distruzione.
Non ti accorgi nemmeno del loro peso quando si poggiano, non puoi scacciarli via se ti arrendi al tocco leggero del nulla che li avvolge.

Era ritornata a casa con la testa bassa e la mascella contratta.
Appena oltrepassata la soglia Terry le aveva ficcato due dita in gola, incrostato sotto le unghie c’era qualcosa di appiccicoso e aspro, la quint’essenza della prostituzione clandestina.
Mickey si era limitato allo sguardo vuoto che esibiva senza orgoglio dal giorno delle nozze, il resto della gang era via, probabilmente per sempre, probabilmente da mai.
Da allora Terry le aveva fatto rimpiangere in ogni singolo instante, di aver abbandonato casa Gallagher.

Mandy aveva inghiottito l’orgoglio e recuperato le mutande sparse sotto il letto prima di chiudersi per sempre la porta della salvezza alle spalle, ma il nulla che l’aveva generata strideva a morte con il tutto che si era illusa di poter diventare.
La verità era, che per quanto lo sguardo di Lip bruciasse sulla pelle, i lividi di Terry avrebbero fatto sempre più male.
“Nessuno è mai stato buono con me come lo sei tu”.
Era una mezza verità o una bugia inconsapevole, perché nessuno in assoluto era mai stato gentile con Mandy Milkovich.
Non sua madre, non suo padre, non Lip o Ian o Mickey o nessuno.
Era sufficiente guardarla negli occhi per leggerle tra le iridi una fierezza che non le apparteneva.

A scuola gli insegnanti notavano i lividi sulle braccia magre, ma poi bastava fissare la minigonna per ripulirsi la coscienza e magari anche qualche goccia di sperma, infondo era una cagna e la sua è una razza dalle mille risorse.
Le troiette del Southside non sono mai solo vittime, sono sempre anche artefici.
E infondo chi non vorrebbe tornare a casa da un padre ubriaco e molesto, se la società è più incline a giustificare uno stupratore e non la sua vittima?
Concorso di colpa,lo chiamano gli avvocati. Per Mandy resta solo un “mi fa male tutto” sussurrato al mattino tra le lenzuola zuppe di sudore e fumo.

Che Lip aveva sempre saputo tutto ma mai una volta che l’avesse sul serio compresa, mai che si fosse vergognato di rimandarla a casa nel cuore della notte, con la minigonna stracciata, già calda per il secondo round con il padre.
Mai nessuno che avesse afferrato la cornetta e telefonato alla cazzo di polizia, che si fosse battuto per lei senza sbattersela prima.
A Karen era bastato un danno celebrale permanente, una delusione alla festa della purezza, una macchina mancata e una madre psicopatica ed eccola innalzata ad emblema del bisogno.
Uno sguardo liquido di quell’azzurro falso e tutto le era stato concesso.
Mandy aveva visto Lip preoccuparsi per un brutto voto di Karen più spesso di quanto si fosse preoccupato di una sua fuga da casa.




Mandy Milkovich inizia e finisce tra le lenzuola, sono gli altri a renderla infinita.
Si danno il turno senza presentarsi, le accarezzano le cosce ma non la guardano mai in faccia.
A volte qualcuno resta, a volte qualcuno ritorna, ma l’epilogo non cambia.
Non hai paura di abbandonare una Milkovich, perché sai che è nata con una mancanza opprimente nel petto che nessuno potrebbe colmare.
Non ci sono rimorsi nel lasciarla nella merda fino al collo perché è nata sguazzando tra i mille cazzi in culo della vita, ha sempre vissuto in apnea.



Con Lip via al collage, Ian scappato di casa, Mickey occupato a ricostruire una marionetta etero con cui sostituirsi e Terry impegnato ad insozzarla ancora e ancora, tutto sembra essere tornato al suo posto.
Lo schifo non ha più un nome perché non ne distingue i confini.
Sta lì, in periferia, a godersi e rallegrarsi della propria esistenza che svanisce come una nuvola dopo un temporale.
Lo sguardo inorridito non è una polemica mirata, giusto uno stato d’animo di perenne accettazione di nulla.
Nulla che vada mai per il verso giusto, nulla che la faccia sentire abbastanza.
E’ come non aver mai conosciuto un’alternativa, salvo quel peso all’altezza dello sterno che le ricorda di averlo fatto eccome.
E di aver mandato tutto a puttane.


Che Mandy non è mai stata amata da nessuno e non si illuderebbe mai al punto da crederci sul serio, eppure qualcosa di molto simile all’amore l’aveva colpita, una volta.
Come un ritorno di canna.
Aveva sparato la freccia carica da cupido ubriaca ma Lip era rimasto blandamente scalfito dal peso di quei sentimenti, il tutto era ritornato al mittente, mandandola gambe all’aria in tutti i sensi.


Vederlo ritornare in carne ed ossa era stato ancora peggio, peggio del non avere notizie, peggio dell’inventarsi la sua morte.
Eccolo lo sguardo di chi è disperato abbastanza da ritornare da lei.
Chi è stato ferito dal meglio della vita e vorrebbe trovare la consolazione scaduta sul fondo.
Come quando compri una scatola di cereali e ti manca la sorpresa, continui a scavare finché non tocchi il cartoncino, continui a scavare finché non sei sicuro che non ci sia proprio nulla, solo allora trovi il coraggio di riemergere.
Ed eccola lì, Mandy, graffiata da mille dita estranee, lasciata a sé stessa una volta che quelli trovavano il modo di far leva sulle sue costole sporgenti e librarsi in aria.
Ti sembra di respirare lassù perché il puzzo della vita non è così evidente, perché la merda pesante è depositata sul fondo.

E Mandy ci sguazza e quasi si diverte. Guarda sé stessa e si trova carina, a tratti. Guarda gli altri e forse le fanno un po’ pena.
Poi basta un niente, una scintilla, una lucidità immeritata.
Allora guarda di nuovo sé stessa e rivede i mostri che l’hanno generata, guarda gli altri e vede dei mostri generati da lei. E Mandy ci annega in quella merda, e quasi ci si perde.

Tutto si riconduce al suo essere inadatta, al suo essere nata con l’intenzione di rovinare la propria vita e di trasformare in peggio quella degli altri.
Ci ha provato con Lip ed è finita con un occhio nero e la minaccia di un futuro insieme.
Quella proposta esplicita di voler avere una famiglia, quello sguardo folle di chi ha vissuto tra formule matematiche prima di adattarsi alle regole del mondo.

Nella vita reale se scopi con una Milkovich ti resta dentro per sempre, non lo dimentichi.
Nella vita reale se una Milkovich scopa con te poi vorrà trattenerti ad oltranza, perché le ragazze problematiche cercano ancore nell’oceano.
Nella vita di Mandy, invece, gli stronzi del ghetto, una volta ripulitisi i polmoni, ritornano a cercare una dose di schifo per apprezzare maggiormente ciò che hanno. Credono di avercela fatta perché hanno le mani pulite da troppi mesi, credono di appartenere ancora al passato e di potersene riappropriare.
Nella vita di Mandy un figlio con Lip sarebbe un sogno in un incubo.

Sarebbe un utero rispolverato dall’ultima gravidanza forzata, un cervello che imploderebbe per lo sforzo di far combaciare tutti i pezzi.
Pensa se vuole essere amata, considerata, adatta.
Pensa se volesse tenere il bambino e crescerlo come fosse lei sua figlia, pensa se Terry lo toccasse.
Pensa a quando Lip si stancherà di vederla divisa tra il suo letto e quello di suo padre.
Pensa a quando le sarà tolto tutto,ancora, ancora, ancora.


Non è divertente, non lo è mai stato.



Le guerre in trincea sono così rumorose da farti perdere l’udito, quindi in realtà sono silenziose. E nel silenzio non sai mai di chi fidarti.
Se della pelle d’oca che ti urla pericolo, o della stanchezza che ti culla nel riposo.
Nelle guerre in trincea hai gli occhi incollati dalla polvere ma continui a vedere la morte ovunque, nelle guerre in trincea tutti ti chiedono di restare e tu devi solo scegliere.
Ci sono fosse comuni, ci sono partenze per casa, ci sono membra vuote da puntare e riempire di pallottole.
Nelle guerre in trincea continui ad accarezzarti i capelli finché non ti cadono le dita, finché non scopri di non avere più le braccia, eppure non smetti mai di esistere.
Nelle guerre in trincea sei tu ad essere la guerra più importante, quella fondamentale.
Nelle guerre in trincea, vince la guerra.
  
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