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Autore: LaniePaciock    16/03/2014    5 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Cap.10 Roy Montgomery


“Buongiorno, Fraulein.” disse  in tedesco l’uomo, toccandosi appena il cappello in un cenno di saluto. Aveva un sorriso che sapeva di pericoloso. I suoi occhi neri come la pece volavano sul corpo di Kate, facendola sentire a disagio. “Cercavo il Colonnello Castle. Ah, mi scusi, non mi sono presentato. Sono il Colonnello Michael Dreixk.”
Beckett rimase immobile davanti all’apparizione di Dreixk. Castle le aveva accennato una volta sola di quell’uomo, ma era stato abbastanza per capire di non potersi fidare.
“Posso entrare?” domandò il colonnello con un sorriso storto che fece inquietare Kate. “Non mi sembra buna cosa lasciare un ospite fuori dalla porta in questo modo.” aggiunse. Quindi, senza altre parole, si fece avanti, entrando in casa senza essere invitato e mettendosi il cappello sottobraccio. Beckett al contrario indietreggiò d’istinto, quasi dietro la porta. Il suo cuore batteva furioso. Doveva mandarlo via. La spaventava il fatto che fosse così tranquillo della sua presenza in casa di Rick. Il suo istinto inoltre le stava dicendo, con preoccupante consapevolezza, che Dreixk doveva aver saputo con precisione che lei era in casa senza Castle.
Kate prese un respiro profondo per tentare di calmarsi e fece un passo verso il colonnello, fermo all’entrata del salone. Decise di non chiudere la porta d’ingresso, in modo da poter fuggire se le cose si fossero messe male. Memore inoltre delle raccomandazioni di Rick, Beckett si impose non solo di parlare in tedesco all’uomo, ma anche di farlo con accento russo, in modo da mascherare la sua vera origine.
“Castle non qui.” gli disse con un tono che tentava di essere sicuro. A quella strana cadenza, Dreixk si voltò e la guardò per un attimo stupito. Kate represse un sorriso. Almeno questo non se lo aspettava. Per fortuna sapeva così bene il russo da poter nascondere quasi del tutto l’accento americano. “Può venire più tardi, quando lui torna.” La sorpresa del colonnello durò solo per un secondo, poi sulla sua faccia spuntò un sorriso mellifluo che sembrava calzare perfettamente su di lui.
“Sa, Fraulein, non mi dispiacerebbe aspettarlo qui.” disse con tono cordiale, ma che non accettava repliche. Beckett poté sentire la minaccia sotto le sue parole. “E’ davvero una bella casa questa.” aggiunse poi Dreixk osservando il salone. “Mi spiace non essere venuto più spesso a trovare il Colonnello.” Kate si agitò sul posto, nervosa. Se quell’uomo avesse deciso seriamente di restare, non avrebbe potuto far molto per impedirlo. Conosceva qualche tecnica di difesa che le aveva insegnato suo padre, ma Dreixk era il doppio di lei e alto più o meno quanto Castle. Non sarebbe mai riuscita a sopraffarlo o a cacciarlo. Inoltre aveva lasciato il coltello in camera, quindi neanche quello avrebbe potuto esserle d’aiuto.
“Non può stare qui.” riprovò Beckett, cercando di tenere la voce più ferma possibile. “Colonnello torna tardi, inutile aspettare. Cerca lui in centrale. Trova sicuro lui lì.” A quelle parole, Dreixk sospirò e scosse la testa.
“No, grazie, preferisco aspettare qui.” dichiarò con un mezzo sorriso, andando poi a sedersi comodamente sul divano del salone come se fosse stato lui il padrone del posto. Kate rimase immobile dov’era, all’entrata della sala con alle spalle il corridoio d’ingresso con la porta aperta. Non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi a quel serpente. “Allora,” continuò poi Dreixk. “Mentre aspettiamo il nostro caro Colonnello Castle, non vuole offrirmi niente Fraulein… oh, ma mi accorgo solo ora che non so ancora il suo nome.” disse sorridendo, come a volersi scusare di quella mancanza. Solo che quel sorriso la fece rabbrividire piuttosto che tranquillizzare.
“Kate.” rispose solo Beckett. Nella fretta e presa dall’ansia, non era riuscita a pensare a niente di meglio. Ma in fondo Kate poteva benissimo essere un diminutivo di Katerina, molto comune in Russia.
Dreixk alzò un sopracciglio.
“Solo Kate?” chiese ironico. Lei non rispose, così lui annuì lentamente e sospirò di nuovo.
“Sai, Kate,” iniziò, rimarcando sarcasticamente sul suo nome. “Sembra che avere una conversazione con te sia molto difficile. Ma devo ammettere che ogni tua parola può essere tranquillamente superata dalla tua bellezza. Posso capire perché Castle abbia deciso di tenerti in casa…” aggiunse, lanciando un’occhiata ben più che approfondita al corpo di lei e osservando ogni curva con particolare interesse con i suoi occhi neri. Beckett deglutì e si mosse a disagio sul posto. Si strinse le mani intorno alla vita senza pensarci, come a volersi proteggere.
“Castle torna tardi.” ripeté come una automa. “Se tu vuole parlare con lui ora, tu deve andare in centrale. Qui non trova lui.” Dreixk scoppiò in una risata senza gioia che le fece rizzare i capelli.
“Questo l’ho capito, Kate.” rispose, sottolineando ancora una volta il suo nome e alzandosi in piedi. Si avvicinò a lei lentamente, come a voler studiare le sue reazioni. Beckett rimase immobile, ma si sentì come presa in trappola da un animale feroce. Uno di quelli che poteva scattare se solo facevi un passo. Dreixk si fermò esattamente davanti a lei. Kate poté sentire il suo respiro sulla fronte e il calore emesso dal suo corpo, tanto era vicino. Tremò, mentre il cuore le accelerava per la paura. Voleva Castle. Aveva bisogno di lui. “Tu mi comprendi quando parlo, vero?” domandò il colonnello a bassa voce. Il timbro avrebbe voluto essere suadente, ma risultò più che altro minaccioso. Beckett annuì appena. “Ottimo.” continuò lui sempre con lo stesso tono. “Voglio aspettarlo qui. E tu potresti aiutarmi a… passare il tempo, per così dire.”dichiarò con un mezzo sorriso, come se fosse una cosa divertente, iniziando a sfiorare lentamente il viso di lei con le dita. Appena le sue mani la carezzarono, Kate rabbrividì. “Capisci cosa intendo?” domandò ancora, passando lievemente le dita tra i suoi capelli sciolti. Beckett rimase paralizzata, terrorizzata. Era sbiancata e non riusciva neanche a respirare. Sobbalzò quando una mano di Dreixk si posò sul suo fianco. Cercò di tirarsi indietro, ma il Colonnello al contrario la trascinò più vicina a sé con forza per la vita, facendo cozzare i loro corpi. “Dove vorresti andare, Kate?” le sussurrò divertito all’orecchio, facendola rabbrividire di nuovo. “Sapevo che tu eri qui,” le confessò con tono eccitato. “E so anche che non mi hai detto la verità su di te…” Beckett stava tremando ormai tra le sue braccia, mentre il naso di lui si infilava prepotente tra i suoi capelli. Cercò di aggrapparsi alla sua giacca per spingerlo via, ma sembrava che tutte le forze l’avessero abbandonata. Gli occhi le divennero lucidi mentre lui le lasciava un bacio sul collo. “Ma non avevo idea che tu fossi così bella.” continuò poi Dreixk con tono basso e appena roco. “Io cercavo un modo per sbarazzarmi una volta per tutte di Castle, ma tu… tu mi permetti di fare molto di più, Kate...” Aveva un suono disgustoso il suo nome nella bocca di lui. “Per cui, credo che potrò anche non tener conto di questa tua piccola bugia, se tu…”
Ma Kate non seppe mai, per fortuna, cosa avrebbe potuto fare, perché all’improvviso Dreixk si spostò bruscamente da lei, finendo violentemente con la schiena contro la parete del corridoio. Poi Castle si parò tra di loro. Fu solo alla sua vista che Beckett ricominciò a respirare.
 
Rick rimase immobile, ansante, furioso, i pugni serrati e la mascella contratta, rivolto verso Dreixk. Era tornato per prendere le chiavi, ma quando aveva notato la porta di casa aperta si era preoccupato ed era corso all’interno. La visione di Dreixk praticamente addosso a Kate gli aveva fatto perdere ogni controllo. Non ci aveva visto più. In pochi attimi aveva attraversato l’ingresso, preso il colonnello per le braccia e tirato all’indietro con tanta forza da farlo sbattere contro il muro.
“Ah, ma guarda chi è arrivato.” disse Dreixk ironico con il suo sorrisetto mellifluo, mentre si chinava a raccogliere il cappello caduto. Fu una soddisfazione per Castle vederlo fare una smorfia di dolore nel piegarsi. Sperò solo di avergli fatto molto male. “E noi che pensavamo già di doverci intrattenere in tua assenza…”
“Fuori.” sibilò Rick. Nel suo tono si notava una furia controllata. Se non si fosse frenato, era certo che in quel momento avrebbe avuto abbastanza energia per prendere a pugni Dreixk fino a cancellargli quel viscido sorriso dalla faccia.
Dreixk ridacchiò.
“Ma come, Castle?” chiese divertito. “Stavo appena iniziando a fare conoscenza con questa bella donna.” continuò, lanciando un’occhiata a Kate. Rick si spostò subito di lato, sbarrandogli la visuale con il suo corpo. “Dì un po’, da quant’è che è nascosta in casa tua? Perché non ce l’hai presentata prima?” aggiunse poi Dreixk con tono quasi canzonatorio. C’era uno scintillio di trionfo in quegli occhi neri che non piacque per niente a Rick.
“Fuori.” ripeté lui senza rispondere alla sua provocazione, il tono gelido. “Fuori da casa mia.” Dreixk gli fece un mezzo sorriso, ma rimase per un momento in silenzio a studiarlo, come se cercasse di capire se valeva la pena stuzzicarlo ancora un po’. Alla fine si rimise il cappello in testa, fece un cenno a Kate e si incamminò verso l’uscita. Un momento prima di oltrepassare la soglia però, l’uomo si fermò e si voltò di nuovo verso di loro.
“Sai, Castle,” commentò con aria divertita. “Non dovresti tenere qualcuno in casa senza farlo sapere a nessuno. La gente mormora e non fatica a pensare male… Quanto pensi ci metteranno a chiedersi perché non hai mai parlato di lei?” Rick strinse ancora più forte i pugni, quasi a perforarsi la carne con le unghie.
“Fuori.”ripeté per l’ennesima volta, cercando di controllare la voce perché non tremasse dalla rabbia. Dreixk fece un ultimo ghigno, quindi afferrò la maniglia della porta e uscì chiudendosela alle spalle.
Per diversi secondi, dopo l’uscita del colonnello, nessuno si mosse. Castle era troppo furioso, Beckett troppo spaventata dall’implicita minaccia dell’uomo. Alla fine, Rick prese un respiro profondo e si voltò verso di lei.
“Stai bene?” le domandò. Si sentiva ancora la rabbia nascosta sotto quella finta calma, ma era ben udibile anche la preoccupazione. La donna lo guardò con gli occhi sgranati e lucidi, la bocca semiaperta, il respiro veloce, ancora pallida e paralizzata. “Kate?” la chiamò angosciato. Non avendo ancora nessuna reazione, Castle si fece lentamente avanti di un passo, come se avesse paura che lei potesse scappare da un momento all’altro, e le sfiorò le braccia nude con le mani. Le sentì gelide al tatto. Quel gesto però sembrò ridare vita a Beckett perché sobbalzò per un attimo, quindi mormorò il suo nome e si gettò praticamente contro il suo petto. Rick rimase spiazzato per un momento, quindi la abbracciò forte, sfregando intanto le sue mani contro la schiena e le braccia di lei per darle un po’ di calore. “Va tutto bene, Kate, tranquilla.” la rassicurò piano. “Se ne è andato. E non permetterò che ti si avvicini ancora, hai la mia parola.” aggiunse, lasciandole un bacio tra i capelli. Nonostante gli occhi lucidi di prima, Beckett non piangeva né singhiozzava, ma Rick poteva sentirla tremare tra le sue braccia.
Continuò a stringerla a sé a lungo, tranquillizzandola, e intanto pensando a come fare per proteggerla, finché non si fu calmata. L’unica soluzione che Castle trovò, sapeva già che non sarebbe piaciuta a nessuno dei due. Ma era la sola che aveva. “Kate,” la chiamò piano. “Devo fare una telefonata e poi andare in un posto. Appena te la senti ti porto da Jenny.” Beckett alzò la testa di scatto dal suo petto.
“Dove vai?” chiese, stringendo la presa sulla sua divisa, lo sguardo spaventato. Rick le prese il viso tra le mani e le baciò la fronte per calmarla.
“A trovare il modo di proteggerti.” le rispose con un piccolo sorriso. Kate lo osservò per un lungo momento senza dir nulla, indecisa se lasciarlo andare o tenerlo con lei. Quindi annuì.
“Ok…” mormorò, lasciando piano la presa sulla sua divisa. Castle la accompagnò a sedersi sul divano del salone, quindi chiamò Ryan a casa. Dopo aver dato con impazienza il numero del maggiore al centralino, finalmente la voce dell’amico uscì dall’apparecchio.
“Pronto?”
“Kev, sono io.” rispose Castle.
“Ehi, Rick, cosa…”
“Non ho tempo, ti spiegherò tutto dopo.” lo bloccò il colonnello nervoso. “Quanto ci metti ad arrivare da me?”
“Dammi venti minuti.” replicò subito Ryan serio.
“Ok, ti aspetto.” ribatté, quindi chiusero la comunicazione. Nell’attesa dell’arrivo di Kevin, Castle tornò da Kate. La trovò rannicchiata con le braccia intorno alle ginocchia in un angolo del divano, mentre squadrava con sguardo d’odio il punto opposto. Qualcosa gli disse Dreixk doveva essersi andato a sedere lì in qualche modo. Rick prese posto nello stesso punto osservato da Beckett perché lo guardasse. Quindi le sorrise, le appoggiò una mano sul piede rivolto verso di lui e le chiese di riferirgli esattamente cosa fosse successo con quel bastardo. Beckett gli raccontò ogni cosa, dall’aver aperto stupidamente la porta con il finto accento russo, fino al suo arrivo. Sfogarsi faceva bene, Rick lo sapeva, e inoltre così il colonnello poté farsi un’idea di cosa Dreixk sapesse già e di cosa no. Mentre lei raccontava, più volte gli venne voglia di spaccare qualcosa per la frustrazione. Ringraziò il fatto di aver dimenticato le chiavi o non sarebbe mai tornato in tempo per salvare Kate.
“Questo è tutto.” concluse Beckett con tono basso e malinconico, stringendo appena le spalle. Ora che la paura era passata, era comparsa la consapevolezza di aver fatto molti errori. Nonostante tutto, si era creduta al sicuro a casa di Castle, ma aveva scordato come andavano le cose nella vita reale.
“Troverò un modo.” disse Rick serio, guardandola negli occhi e stringendo appena la presa sul piede di lei. Gli faceva male vederla così in colpa con sé stessa, anche perché in parte erano anche causa sua quei guai. Non avrebbe dovuto lasciarla da sola. “Troverò un modo per tenerti al sicuro anche ora che quel serpente sa di te. Te lo prometto.” Kate gli fece un piccolo sorriso e un lieve cenno con il capo.
“Grazie.” replicò sincera. In quell’istante il campanello della porta suonò.
Castle strinse ancora leggermente il piede di Beckett, quindi si alzò e corse alla porta. Ryan lo stava aspettando con impazienza dietro di essa, le dita a battere incessantemente sul cappello della divisa che aveva in mano in un tic nervoso.
“Che è successo?” domandò Kevin entrando. Doveva aver capito dalla voce del colonnello al telefono che qualcosa di spiacevole doveva essere accaduto. Rick trattenne il maggiore per un braccio nel piccolo corridoio e gli fece segno di parlare a bassa voce.
“Dreixk è stato qui.” dichiarò Castle, chiudendo la porta.
“Cazzo.” sibilò Ryan, sorpreso e agitato. “Perché era qui? Che voleva?”
“Sapeva di Kate.” gli svelò il colonnello. Kevin rimase a bocca aperta.
“Ma come…??”
“Non lo so come!” lo fermò Rick nervoso a bassa voce, lanciando un’occhiata in direzione del salone. “Qualcuno forse si è ricordato di averla vista da qualche parte o l’ha notata uscire da qui, non lo so. Però, da quanto mi ha detto Kate stessa, lui sapeva che lei era qui e io non c’ero.”
“Figlio di…” sbottò Ryan, fermandosi comunque prima di concludere la frase. Prese un respiro profondo e cercò di calmarsi. “Ok di questo ce ne occuperemo dopo.” continuò con tono pensieroso. “Ora la priorità è capire come fare con Kate.”
“Dobbiamo andare da Montgomery.” dichiarò subito Rick. Kevin lo studiò per un momento con aria incerta e insieme con compassione.
“Sei sicuro?” gli chiese cauto. “Se Beckett va via ora, rischi di non rivederla più…”
“Lo so.” lo bloccò Castle, mentre sentiva un peso formarsi nel petto. “Ma è l’unico modo che ho per proteggerla in questo momento.” continuò serio, cercando di non far trasparire quanto la cosa lo addolorasse davvero. “Non posso nasconderla perché, visto come si è presentato quel bastardo in casa mia, sicuramente ha qualche galoppino che ci spia e ci seguirà ovunque andremo. Quindi l’unico modo che ho per aiutarla è farla andare via.”
“E questo lei lo sa?” domandò Ryan con un sopracciglio alzato. Rick non rispose, semplicemente deviò lo sguardo al pavimento.
“Lo saprà presto.” mormorò tetro.
“Rick, non puoi presentarle la cosa a fatto compiuto!” lo sgridò a bassa voce il maggiore. “Devi dirglielo!”
“E cosa dovrei dirle??” ribatté arrabbiato Castle. “Che la sto cacciando e obbligando ad andarsene, senza ancora averle detto nulla della madre, perché non sono stato in grado di tenerla al sicuro??”
“Sì, forse dovresti fare così!” lo riprese Kevin serio. “Se non facciamo qualcosa subito saremo tutti in pericolo, ma tu devi dirglielo!” continuò, rimarcando particolarmente sul ‘devi’. “Non puoi presentarle in faccia i documenti e mandarla via con il primo aereo. La conosci ormai, sai che non accetterà di andarsene così!”
“Non è detto che Roy ci dia subito i documenti.” borbottò il colonnello di rimando. “Lo sai che ci vuole qualche giorno e…”
“Rick, ti sto parlando da amico.” lo fermò Ryan, mettendogli le mani sulle spalle e obbligandolo a guardarlo in faccia. “So che non vuoi ammettere che stai per perderla.” A quelle parole, Castle sentì il peso che aveva nel petto aggravarsi. Strinse la mascella e deglutì. “Ma non possiamo fare altrimenti. E lo sai anche tu, perché proprio tu hai suggerito di andare da Roy. Hai ragione, ci vuole qualche giorno per avere un documento falso, ma a Kate devi dirlo ora, non quando la costringerai a imbarcarsi per l’Inghilterra.” Il colonnello abbassò lo sguardo al pavimento, colpevole, mentre Kevin indietreggiava di un paio di passi. “Diglielo, Rick.” ripeté il maggiore con tono più dolce. In quel momento la voce di Kate arrivò dal salone.
“Castle?” lo chiamò un po’ incerta. “E’ arrivato Ryan?”
“Sì.” le rispose il colonnello ad alta voce. “Arriviamo…” aggiunse poi in tono malinconico e più basso.
“Mentre aspettiamo il documento,” gli disse velocemente Ryan sottovoce, prima di incamminarsi verso il salone. “Possiamo sempre cercare una soluzione alternativa, ma per ora questo è tutto ciò che abbiamo e non possiamo discutere sul suo destino senza che lei ne sappia nulla. Non lo trovo giusto.” Rick osservò per un momento l’amico, quindi annuì piano. No, Kevin aveva ragione. Non era corretto nei confronti di Kate nasconderle cosa volevano fare. Ma dirglielo avrebbe reso reale il pensiero che presto l’avrebbe persa. ‘Buffo.’ pensò Castle cupamente, mentre i due soldati si avviavano nel salone. ‘Non ho avuto neanche bisogno di dirle di sua madre per perderla… Ci ha pensato Dreixk a risolvermi la situazione.’
“Ciao, Kate, come stai?” le chiese Ryan con tono preoccupato non appena la vide. Rick notò che la donna era rimasta nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata, rannicchiata con le ginocchia al petto contro uno dei braccioli. Beckett fece un piccolo sorriso al maggiore.
“Ho avuto mattinate migliori.” rispose.
“Ti credo.” replicò Kevin stizzito, ripensando probabilmente all’audacia di Dreixk. “Immagino ti porteremo a casa mia…” aggiunse poi con tono più calmo, lanciando un’occhiata di conferma a Rick, che annuì. “Quindi sei pronta per uscire o devi cambiarti?” 
“No, sono pronta.” dichiarò Kate, senza comunque spostarsi dalla sua posizione rannicchiata. “Dobbiamo andare ora?”
“Sarebbe meglio.” le rispose Ryan con un piccolo sorriso dolce, anche se appena lei abbassò lo sguardo, lanciò un’occhiataccia a Castle che intendeva ‘Allora vuoi dirglielo??’. Rick sospirò, quindi bloccò la donna.
“Aspetta, Beckett…” disse non troppo convinto. “Io… devo prima dirti una cosa.” continuò mentre si avvicinava e si sedeva davanti a lei, nella stessa posizione che aveva occupato prima che arrivasse Ryan. “Uhm, ricordi che ti ho detto che avrei trovato il modo di proteggerti, vero?” Kate annuì piano, confusa, le sopracciglia aggrottate. “Ecco, ho un… un modo.” continuò schiarendosi la gola. “Non c’è ancora nulla di deciso ovviamente, ma… ma l’idea è di procurarti un passaporto falso e farti uscire dalla Germania con quello.” disse alla fine tutto d’un fiato. Beckett sgranò gli occhi, sorpresa. Quindi scattò in piedi, sotto lo sguardo stupito dei due uomini.
“Io non me ne vado.” disse sicura.
“Beckett…” cercò di calmarla Rick, ma lei lo fermò ancora prima che cominciasse.
“Niente ‘Beckett’, Castle!” dichiarò con tono alterato. “Non me ne vado.” Lui sbuffò contrariato.
“Cerca di ragionare!” la supplicò il colonnello, alzandosi a sua volta. “Qui non sei al sicuro! Non ora che Dreixk sa di te!”
“Mia madre è ancora qui da qualche parte, quindi no, non me ne vado!” ribatté Kate, incrociando le braccia al petto e voltandogli le spalle. Rick represse a stento l’istinto di mettersi ad urlare. Scambiò uno sguardo con Ryan, a disagio nella discussione in corso, i cui occhi sembravano dirgli: ‘Avresti dovuto informarla già prima della madre e ora la cosa si ritorce contro il tuo tentativo di metterla al sicuro. Quindi cosa intendi fare?’. O almeno, questo era quello che leggeva Castle. Forse erano solo i suoi sensi di colpa a suggerirgli quella frase.
“Kate, ascoltami.” disse alla fine il colonnello con tono basso e abbattuto. “So che vuoi ritrovare tua madre, ma al momento non so come posso proteggerti. L’unica soluzione che abbiamo al momento è questa.” le spiegò. Lei continuò a restare immobile, dandogli la schiena. “Non è qualcosa che succederà subito in ogni caso. Per avere un documento falso serve qualche giorno, quindi fino ad allora non andrai da nessuna parte. Intanto possiamo sempre cercare un piano alternativo per farti restare qui e non metterti in pericolo...”
“E se non ci fosse?” gli chiese lei dura. Rick rimase per un attimo in silenzio, pensieroso.
“Allora lo creerò io.” rispose alla fine, serio. A quelle parole, Kate iniziò a voltarsi verso di lui lentamente. “So che ti sto chiedendo molto,” continuò poi il colonnello. “Ma ti chiedo di fidarti di me.” Il silenzio era assoluto nel salone. Beckett perse diversi secondi a osservarlo con un’aria ancora rabbiosa. Alla fine però abbassò lo sguardo e sospirò.
“Io mi fido di te.” disse in tono più calmo. Quelle parole fecero fremere Castle. Sia per la felicità, sia per il dolore, perché sapeva che era da quando si conoscevano che le stava mentendo. “Ma non voglio andarmene lo stesso.” Rick fece un mezzo sorriso, nascondendo i suoi sentimenti contrastati in qualche punto del suo cervello.
“Allora metteremo insieme le nostre menti geniali e tireremo magicamente fuori dal cappello un piano.” Quella frase strappò un piccolo sorriso a Kate, che finalmente lasciò andare le braccia lungo i fianchi, più serena.
“Allora andiamo?” domandò a quel punto Ryan speranzoso. Beckett annuì.
“Vado a mettermi le scarpe.” disse solo, prima di passare davanti ai due uomini e sparire sulle scale per il piano di sopra.
“Beh, è andata bene…” commentò Castle alla fine. Ryan alzò gli occhi al cielo senza rispondere e si voltò per tornare alla porta d’ingresso.
 
“Kate, che è successo??” chiese Jenny preoccupata, facendo entrare in casa la donna e i due soldati. “Kevin non ci ha detto niente e…”
“Jen, lasciala respirare.” la calmò con un sorriso Ryan. “Sta bene, è solo un po’ scossa.”
“Scossa per cosa però??” chiese Lanie, spuntando dal salone non appena ebbe sentito la porta d’ingresso chiudersi.
“Vado a preparare del thé.” disse la Gates, sulla soglia della cucina, non appena vide la faccia di Beckett. “Mi sembra che ci sia un gran bisogno di qualcosa di caldo, magari corretto con un po’ di liquore…” commentò, sparendo all’interno della cucina. Jenny e Lanie accompagnarono Kate in salotto e la fecero accomodare sul divano.
“Leandro dov’è?” chiese Rick perplesso.
“Sta ancora dormendo.” gli rispose Esposito, avvicinandosi ai due soldati all’entrata del salone e lasciando tranquille le tre donne. “Dopo la tua chiamata, ci è sembrato meglio così invece che svegliarlo.” Castle annuì comprensivo. Non era il caso di far sapere quanto accaduto anche al bambino. “Allora, volete dirmi che diavolo è successo?” domandò poi stizzito, abbassando la voce.
“Ve lo racconterà Kate,” replicò Ryan. “Ma, per farla breve, Dreixk è stato a casa di Castle mentre lui non c’era.” Javier sgranò gli occhi preoccupato.
“E lui… lui sapeva…” mormorò incerto.
“Che io non c’ero?” lo precedette Rick ironico, intento a fissare la figura di Kate di nuovo rannicchiata sul divano con le ginocchia al petto dopo essersi tolta le scarpe. “Sì. Deve averci spiato e non me ne sono accorto…”
“Non è il momento di prendersi le colpe, Rick!” lo riprese subito Kevin a bassa voce. Esposito sospirò e si passo una mano sulla faccia stancamente.
“Ragazzi, vorrei…” Javier si interruppe per lasciar passare la Gates con un vassoio con sopra una teiera fumante, diverse tazze vuote e un piatto con dei biscotti. “Vorrei poter uscire da qui e darvi una mano.” continuò. “Ho buon occhio e riuscirei a scovare quel verme che ti ha spiato.”
“Grazie, Javi.” disse Castle con un mezzo sorriso. “Lo apprezzo, ma al momento eliminare la spia non aiuterebbe. Quel che è fatto, è fatto. Ora dobbiamo cercare di arginare il problema prima che ci sfugga di mano.”
“Ah, non ci è già sfuggito di mano?” chiese Kevin ironico. Rick lo fulminò con lo sguardo.
“Non se siamo più veloci e furbi di Dreixk.” rispose poi il colonnello, tornando a guardare Kate. “Lo siamo stati fin’ora. Dobbiamo solo continuare a esserlo.” Ryan sospirò e annuì.
“Allora è il caso di andare.” gli disse il maggiore. “Più tempo perdiamo, peggio sarà.”
“Ok, dammi un secondo.” replicò Castle. Lasciò i due uomini e si avvicinò a Kate, poggiandole poi una mano sulla spalla. Lei sobbalzò a quel contatto inaspettato e voltò la testa di scatto. “Scusami.” disse il colonnello. “Prima che vada, posso parlarti un secondo?” Beckett lo guardò confusa, quindi annuì e si alzò. Si avviarono insieme per pochi passi nel corridoio interno, sentendo gli sguardi curiosi degli altri sulle loro schiene, quindi si fermarono appena furono fuori vista. Castle a quel punto si abbassò, sotto lo sguardo stupito e perplesso di Kate, e tirò fuori una piccola pistola da un laccio legato poco sopra la caviglia. Beckett sgranò gli occhi sorpresa.
“Pensavo avessi una sola pistola!” esclamò a bassa voce, indicando il fodero chiuso sul suo fianco.
“E’ di riserva.” replicò Rick, controllando intanto che l’arma fosse carica. Quindi gliela tesa. “Prendila.” Kate lo guardò come se fosse impazzito.
“Cosa??”
“Prendila.” ripeté il colonnello paziente. “Nel caso arrivasse qualcuno che non conoscete.” Beckett pareva anche trattenere il respiro mentre fissava la pistola nella mano di lui, come se le stesse dando un qualche tipo di serpente velenoso.
“Rick, so di averti detto che mi sarebbe piaciuto saper usare una pistola,” cominciò lei nervosa. “Ma io non credo che…” Castle sbuffò, le prese una mano e le mise sopra l’arma, chiudendola poi nel pugno.
“Per ora nascondila. In caso ti serva, puntala e premi il grilletto.” disse serio, tenendo la sua piccola e fredda mano stretta tra le sue. “Quando torno, giuro che ti insegno a sparare, ma per il momento non posso fare di più.” Poi Ryan lo chiamò e il colonnello dovette congedarsi. “Resta con loro e non aprite a nessuno.” sussurrò veloce. “Ci vediamo tra poco.” concluse quindi Rick prima di lasciarle un bacio sulla fronte, abbandonare la sua mano con la pistola e tornare all’ingresso dell’appartamento.
 
Venti minuti dopo, Castle e Ryan parcheggiarono in una stradina stretta e un po’ nascosta, racchiusa tra due alte palazzine. Due macchine non sarebbero passate affiancate, ma per fortuna erano pochi quelli dotati di auto a transitare per quella via. Rick si diede un’occhiata veloce intorno. Quel posto diventava sempre più squallido ogni volta che ci tornavano. Nonostante fosse mattina inoltrata e il tempo fosse sereno, quel vicolo era talmente incassato da risultare in ombra e quasi al buio. C’era puzza di marcio, urina ed escrementi, di uomo o animale il colonnello non avrebbe saputo dirlo, mescolato anche a un lieve sentore di sangue. Castle non voleva neanche sapere da dove arrivasse, se dalle fogne sotto di loro o da uno dei mucchi di spazzatura abbandonati ai lati della strada. Alzò lo sguardo in alto. La maggior parte delle finestre era chiusa e coperta da persiane. Dal silenzio che regnava, sembrava che tutti gli appartamenti sopra di loro fossero vuoti. Ed effettivamente molti lo erano.
Prima della guerra, quel quartiere era famoso per la grande varietà etnica dei suoi occupanti. Si diceva pure che fosse il quartiere in qualche modo più liberale, dove nessuno teneva molto in conto chi eri, anche fossi una prostituta, un ladro o un omosessuale. Se non davi fastidio e pagavi l’affitto, eri ben accetto. I più fortunati erano scappati prima dei rastrellamenti. Molti erano stati portati via con la forza nei campi di lavoro. Chi si era ribellato, era stato ucciso all’istante. Alcuni erano riusciti in qualche modo, per lo più nascondendosi, pagando o offendo servizi ‘particolari’, a restare in salvo nelle loro case, ma c’era da chiedersi quanto ancora sarebbe durato. Roy Montgomery era uno di quelli che si era salvato.
Prima della guerra, Roy aveva messo su una piccola bottega di stampe per giornali. In una delle prime perlustrazioni dei nazisti, rischiò di vedersi bruciare la stamperia con sua moglie e i suoi tre figli all’interno, prima di essere internato in uno dei campi per sospetto lavoro contro il regime. Fu salvato per un pelo da Ryan, che arrivò appena in tempo per fermare la mano che teneva il fiammifero per appiccare il fuoco alla benzina che avevano cosparso sulla sua porta. Il maggiore cacciò quegli uomini, che non erano nemmeno soldati, minacciando di sparargli in testa all’istante se non lo avessero lasciato andare. Si inventò inoltre che Montgomery fosse uno degli stampatori ufficiali delle locandine pubblicitarie per il Fuhrer e che quindi, se gli avessero torto un solo capello, si sarebbero cacciati in grossi guai. Grazie a quel piccolo stratagemma, atto a salvare cinque vite, Ryan ebbe abbastanza tempo per organizzare un trasporto per Roy e la sua famiglia con dei documenti falsi, che lo stampatore stesso aveva creato nel giro di qualche giorno. Dopo averne parlato e discusso, Montgomery decise che sua moglie e i suoi figli sarebbero partiti, mentre lui sarebbe rimasto per aiutare il maggiore a far scappare altra gente nelle sue condizioni, spostando la stamperia in un luogo più sicuro e usandola per creare nuovi documenti contraffatti. Quello fu il suo modo di scontare il debito di vita contratto con Kevin, nonostante lui non gli avesse mai chiesto niente in cambio.
“Credi che i documenti per gli Esposito siano pronti?” domandò Castle, avviandosi con Ryan a una piccola porta seminascosta. Era impossibile da vedere fuori dalla via ed era talmente mimetizzata che anche dall’interno della strada ci si sarebbe dovuti fermare davanti per vederla. Una volta doveva essere stata la porta di accesso al magazzino di un negozio, ma nessuno ci aveva più messo piede dentro da anni e quasi tutti si erano dimenticati della sua esistenza.
“Li abbiamo ordinati più di un mese fa.” replicò Ryan, controllando che non ci fosse nessuno intorno a loro prima di bussare con tre colpi cadenzati. “Con tutto quello che è successo non siamo più riusciti a prenderli, ma direi che a questo punto saranno più che pronti.” Attesero impazienti per più di trenta secondi, prima che qualcuno venisse ad aprirgli. Finalmente sentirono due chiavistelli scorrere nei supporti e una chiave girare più volte nella toppa. Poi la porta si aprì di uno spiraglio e il viso di un ragazzino fu visibile da esso.
“Semir, siamo noi.” disse Castle riconoscendolo. Semir Gerkhan aveva circa sedici anni, di origini turche, ed era l’aiutante di Roy. I suoi genitori erano stati uccisi per essersi imposti contro il nazismo, ma erano riusciti a mettere al sicuro il figlio prima che lo trovassero, più di due anni prima. Da allora il ragazzo aveva vagabondato finché per caso, affamato e stremato, non era incappato in quella viuzza per nascondersi e ci aveva trovato Montgomery, che subito l’aveva aiutato. Per averlo salvato, Semir aveva deciso di restare con lui come garzone. Non aveva comunque altro luogo dove andare e Roy l’aveva preso, senza chiedergli nulla, sotto la sua ala, insegnandogli anche il mestiere nella speranza di migliori giorni futuri. Era stata una bella sorpresa per Rick e Kevin arrivare dal vecchio Montgomery e ritrovarsi un piccoletto mingherlino davanti.
“Un attimo!” esclamò subito Semir appena li riconobbe. Richiuse la porta, tolse l’ultima catena che la bloccava e finalmente la spalancò. “Bentornati! Pensavamo vi fosse capitato qualcosa!”
“Ehi, sei più alto?” domandò Ryan stupito, osservandolo mentre entravano. Semir fece una smorfia.
“Non credo.” commentò. “Ma se è così, meglio per me!” aggiunse ridacchiando. Semir era magro e piuttosto basso di statura, con corti capelli neri e una leggera peluria sul volto che voleva far passare per barba e baffi. “Ma sul serio, cosa vi è successo??” chiese il ragazzo.
“Semir, lascia tranquilli i nostri ospiti.” lo riprese affettuosamente Roy Montgomery, spuntato in quel momento da dietro la tenda dove riposava per andargli incontro con un sorriso. Roy era ormai sulla cinquantina passata e i radi capelli bianchi riccioluti, in contrasto con la sua pelle scura, lo rendevano ben evidente. “Rick, Kevin,” li salutò stringendo loro le mani. Castle notò che sembrava più vecchio e magro, con delle rughe di preoccupazione in più rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. “Come state?” Poi Roy notò la lunga cicatrice chiara sul dorso della sua mano. “Rick, che hai fatto?” domandò preoccupato, aggrottando le sopracciglia.
“Stiamo bene, Roy.” lo rassicurò Ryan. “Anche se, se dovessimo raccontarti tutto quello che è successo nell’ultimo mese, ne rimarresti alquanto sorpreso…” aggiunse, lanciando un’occhiata a Castle.
“Sono un vecchio, mi piacciono le storie lunghe e sorprendenti!” replicò Montgomery divertito. Poi si rivolse a Semir. “Ragazzo, puoi prendere due sedie in più?” Quello annuì e corse subito a prendere le sedie in un angolo. “Oh, quasi dimenticavo,” continuò poi tornando a rivolgersi a due soldati. “I documenti per la famiglia Esposito sono pronti.”
“Grazie Roy.” disse Castle, mentre Semir tornava con le sedie e le poggiava accanto a un tavolo dove ce ne erano già altre due. Senza fermarsi, scattò poi di nuovo verso una cassettiera con cassetto a doppio fondo dove Roy teneva i documenti nuovi.
“Eccoli!” esclamò il ragazzo, dando i tre documenti color crema in mano a Ryan. Kevin in cambio tirò fuori un sacchetto con all’interno il compenso per il lavoro e lo diede a Semir, che subito volò a sistemarlo. Maggiore e colonnello osservarono i certificati per un controllo finale. Erano ben fatti come al solito, nuovi, ma preparati in modo che sembrassero piuttosto vecchi e usati. Davanti c’era lo stemma della nuova Germania nazista, l’aquila nera che spicca il volo con alle zampe la svastica racchiusa dentro una corona d’alloro circolare, e sopra la scritta Deutsches Reich. All’interno invece erano trascritte le poche informazioni principali riguardanti il proprietario e insieme era incollata una foto. Roy aveva persino apposto il timbro che rendeva autentico il documento, il cui stampo era stato sottratto da Ryan quando aveva iniziato a lavorare con lui.
“’Alejandro Domingo Lopez’?” lesse Castle divertito nel certificato con la foto di Javier. “Sai che faccia farà quando vedrà che si chiama Domingo?” Kevin ridacchiò.
“Moglie e figlio sono stati più fortunati.” commentò il maggiore, leggendo gli altri due nomi. “Nina Esperanza e Diego Estefan.”
“Non ho potuto dargli dei nomi tedeschi, visto che hanno la pelle nera quanto la mia.” disse Montgomery con un mezzo sorriso.
“Sono perfetti, Roy.” dichiarò Castle. “Grazie.” Roy annuì in risposta.
“Altre informazioni che dovranno conoscere?” chiese Ryan, nascondendo i documenti in una tasca interna della giacca. “Qual è il loro passato?”
“Marito e moglie entrambi nati in Colombia.” iniziò a dire Montgomery, sedendosi stancamente su una delle seggiole e facendo segno anche agli altri di prendere posto. “Cresciuti e sposati lì, si trasferiscono in Germania prima della guerra per cercare lavoro in un’azienda di allevatori di alcuni parenti già stabiliti fuori Dresda da tempo. Diventano cittadini tedeschi dopo due anni. Allo scoppio della guerra hanno continuato a servire le caserme e le città di carne dei loro animali finché una delle ultime bombe non ha distrutto l’azienda. A quel punto sono arrivati a Berlino nella speranza di prendere un aereo che li avrebbe fatti tornare in Colombia.”
“Non è una storia che li protegga molto…” commentò amaramente Ryan.
“Mi hai detto che conoscono il tedesco alla perfezione, giusto?” chiese Roy. Kevin annuì. “Sono neri, quindi l’unica storia che possono avere è una simile a questa. L’importante è che ricordino di essere degli allevatori. I nazisti li crederanno dei sempliciotti spaventati che vogliono correre alla gonna della loro terra per i recenti bombardamenti. Li derideranno, ma con un po’ di fortuna li faranno comunque passare in aeroporto. Con la loro idea di razza pura, molti di loro non riescono neanche a immaginare che ci sia qualcuno più furbo di loro. Più di così non potevo fare, mi spiace.”
“Hai già fatto tanto.” replicò Rick sincero. “Non potevano più girare dopo essere sfuggiti alla fucilazione perché Javier aveva preso a pugni un nazista per difendere la sua famiglia e la sua casa. Fortunatamente i loro documenti sequestrati avevano già foto poco recenti, quindi saranno più difficilmente riconoscibili se li maschereremo un poco al momento della fuga.” Kevin annuì, in accordo con le sue parole.
“Ora volete dirci che è successo là fuori??” domandò Semir impaziente dopo qualche secondo di silenzio. Si vedeva che tentava di stare fermo sulla sedia con scarso successo. Continuava a tamburellare un piede per terra, eccitato. La presenza di altre persone, oltre il vecchio Roy, lo rendeva euforico e bisognoso di notizie esterne. Non che non uscisse mai, visto che, avendo la pelle chiara, di solito era quello che comprava gli alimenti e faceva le commissioni per Montgomery. Solo che non aveva il permesso di parlare con nessuno per prevenire qualsiasi curioso. Se qualcuno glielo avesse chiesto, lui avrebbe dovuto dire di essere il garzone di un sarto.
Castle ridacchiò per l’impazienza di Semir e scambiò un’occhiata con Ryan. L’amico alzò le spalle con un mezzo sorriso.
“Guai tuoi, racconti tuoi.” gli disse il maggiore divertito. Così Rick sospirò e iniziò a raccontare brevemente gli avvenimenti delle ultime settimane. Gli disse che era diventato colonnello (“Ah, mi sembrava che le tue mostrine avessero qualcosa di differente!” aveva commentato Roy), della donna che aveva cercato di salvare, dell’apparizione della figlia di questa e dei bombardamenti. Parlò soprattutto di Kate, di come non avesse trovato un modo per dirle cosa era successo alla madre, di come l’aveva salvata dal Fidel Weltbummler distrutto, l’aveva portata a casa di Ryan e di come infine aveva dovuto ospitarla a casa sua, fino all’apparizione di Dreixk di quella mattina. Quando finì di raccontare, Rick si sentì in qualche modo più leggero. Narrare quei fatti a una terza persona l’aveva fatto sentire meglio.
“Questo è tutto.” concluse Castle, passandosi una mano tra i capelli. “Per proteggerla ora, ho bisogno di farla andare via, ma non può andare via senza documenti.” Montgomery annuì pensieroso.
“Lei non sa il tedesco, hai detto, giusto?” chiese l’uomo. Rick annuì.
“Però sa bene il russo.” replicò il colonnello. Roy si grattò il mento su cui era visibile una leggera peluria bianca.
“Potrei farla passare per russa…” commentò, più a sé stesso che agli altri. “Sempre meglio che americana comunque. Ma dimmi di nuovo...” aggiunse poi rivolto a Castle. “Non le hai ancora detto della madre quindi?” domandò con un lieve tono di rimprovero. Rick si sentì un verme.
“Andiamo, Roy, come potevo dirle di aver praticamente ammazzato sua madre??” chiese con una voce che suonava quasi disperata. Ryan alzò gli occhi al cielo a quelle parole, per niente convinto della cosa, ma Rick non gli badò. “Prometto che glielo dirò, solo… non ora. Devo… devo trovare il momento giusto, ecco.” Montgomery lo osservò per un momento, quindi scosse la testa rassegnato.
“La ragazza è la tua.” commentò.
“Non è la mia ragazza!” esclamò subito Rick.
“Però, da quello che mi hai detto, dormite insieme.” dichiarò Roy divertito. Prima che Castle riuscisse a ribattere, lo fermò alzando una mano. “Va bene, va bene, non voglio intromettermi, ma ora fammi pensare a cosa si può fare per Kate. Ci vorrà qualcosa di un po’ più solido degli altri perché dovrà restare qui un po’…”
“Cosa??” ribatté il colonnello sorpreso. “Perché non può andare via subito??”
“La macchina è rotta.” rispose Semir per il vecchio, indicando con un cenno la stampatrice nascosta sotto un telo bianco dietro di lui. “Un pezzo di soffitto gli è caduto addosso durante l’ultimo bombardamento. Ci vorrà un po’ a ripararla.”
“Un po’… quanto?” chiese, incerto di volerlo davvero sapere. Lui doveva proteggere Kate, una stupida stampatrice non poteva mandare a monte i suoi piani!!
“Almeno tre settimane.” rispose Roy con un sospiro. “Più un’altra settimana per il certificato. Diciamo che, se partiamo da ora, avrai quel documento per l’anno nuovo.” Castle sbiancò. Evidentemente la stampatrice poteva mandare tranquillamente all’aria i suoi piani.
“Cazzo!” si lasciò sfuggire il colonnello, passandosi una mano sulla faccia. “Come faccio a nascondere Kate per un mese da Dreixk?? E’ impossibile!!” Montgomery scosse la testa dispiaciuto.
“Uhm… forse la tua soluzione può essere non nasconderla…” borbottò però un attimo dopo pensieroso. “Ma metterla in bella vista.” Rick aggrottò le sopracciglio confuso.
“Che stai dicendo?” chiese brusco. “Non ho intenzione di piazzarla in mano a Dreixk e ai suoi sgherri!” Roy scosse la testa.
“Intendo dire che forse la tua unica possibilità è di mostrarla al mondo.” si spiegò il vecchio. “Magari come una parente o una fidanzata. Vi somigliate?”
“Per niente!” rispose per lui Ryan, ora divertito, mentre un sorrisetto gli spuntava in volto. Castle gli lanciò un’occhiataccia mentre Montgomery ridacchiò.
“Allora mi spiace, amico,” disse Roy. “Ma ho l’impressione che la tua unica possibilità sia dire in giro che è la tua fidanzata.”
“Ma non c’è un altro metodo??” chiese Rick quasi supplicante.
“Se c’è, al momento non mi viene in mente.” rispose seriamente desolato lo stampatore. “Se vuoi ospitarla a casa tua e non destare sospetti, allora dì che è la tua fidanzata e che siete prossimi a sposarvi.” aggiunse, mentre iniziava a tessere la storia di Kate nella sua mente. “Vi siete conosciuti recentemente e a causa della guerra avete deciso di affrettare le cose tra di voi. Mettici poi che la sua casa è stata distrutta e non ha altro posto dove andare. Inoltre spacciala per russa, così puoi giustificare il fatto che eri restio a farla conoscere in giro.” Castle si passò una mano sul collo poco convinto.
“Non mi sembra una buona idea…” commentò.
“A me invece sembra grandiosa!” esclamò Ryan eccitato. “Sai anche tu quanto siano pettegoli i tuoi vicini. Se sapranno di Kate, la terranno d’occhio loro per te e Dreixk non potrà più avvicinarsi senza che qualcuno di loro lo noti! Sono tutte mogli di ufficiali quelle che stanno alla finestra, quindi sai che scandalo vedere quel bastardo a casa tua dopo aver tagliato, meno di due mesi fa, il pene all’uomo che gli faceva le corna con sua moglie?? Perderà tutta la sua credibilità di uomo integerrimo e la sua fama!” aggiunse euforico. “Inoltre vuoi mettere il divertimento per noi ora che voi vi fidanzate?” concluse ghignando. Rick, che fino a quel momento lo aveva ascoltato pensieroso, divenne all’improvviso rosso per l’imbarazzo.
“Noi non ci fidanziamo!” sbottò scocciato. “Almeno, non sul serio. Sarà solo finzione!”
“Una finzione di cui tanto fate già parte…” commentò a mezza voce Kevin divertito.
“Che hai detto??” lo riprese Castle irritato.
“Nulla!” rispose subito Ryan con le mani alzate, come a volersi arrendere, ma con un ghigno divertito in faccia che sembrava non volerlo abbandonare. Il colonnello sbuffò.
“Rick rassegnati,” lo riprese ridacchiando Roy. “Se vuoi salvare Kate, allora devi fidanzarti con lei.” Kevin non riuscì più a resistere e scoppiò a ridere. Castle invece fece una smorfia preoccupata. Jenny e gli Esposito si sarebbero divertiti alla notizia tanto quanto il presente maggiore. Ma Beckett che ne avrebbe pensato? Ma la domanda peggiore era, perché aveva avuto la brillante idea di darle una pistola prima di uscire?

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Xiao!! :D
Per la gioia di chi sperava che Dreixk non violentasse Kate, eccovi servite! XD Il nostro caro Colonnello Castle è stato (per fortuna) veloce a tornare e a sbattere fuori quel lurido figlio di *cough* -guarda lì sta tosse che non mi passa...-
Anyway, abbiamo conosciuto Roy e il suo giovane aiutante (chi mi sa dire da che altra serie viene?? XD), ma, problema dei problemi, la macchina è rotta! Che sfiga eh? ù.ù Beh, ma what's the problem? Roy aggiustatutto ha la soluzione! :D Far fidanzare Castle e Beckett!! XD Dite che la prenderà bene Kate? Mah... di sicuro qualcuno si sta già facendo quattro risate.... XD
Ok ho scritto pure troppo qui! XD Sparisco ringraziando come sempre le mie "consulenti" Katia e Sofia! (vi voglio un mondo di bene!! <3) :)
Ah, spero di riuscire a pubblicare di nuovo domenica prossima... :)
A presto! <3
Lanie
  
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