In un momento
Sei disperato.
Lo capisco dal modo in cui mi accarezzi. Quando le tue mani vagano sopra di me, fredde, nervose, e annaspi, senza nemmeno darti il tempo di respirare, baciandomi furioso sul collo, come se ne dipendesse la tua stessa esistenza.
E forse è così.
Forse credi che quel piacere, cercato tanto spesso nella debolezza, possa cancellare un momento le paure e le ansie e, chissà, magari darti un attimo di respiro da quell’ombra che senti aleggiare dietro di te ogni secondo. Lo spettro delle cose che hai fatto o magari delle cose che avresti potuto fare, non saprei dirlo, so solo che ne vedo il riflesso nei tuoi occhi chiari ogni volta che ti guardo.
E allora sei lì, in quella camera d’albergo lisa, in cui ci siamo incontrati per la prima volta nemmeno ricordo quando, e ti spingi dentro di me con tutta la tua forza, mentre con una mano cerchi di soffocare i miei gemiti. Non perché qualcuno possa sentirci, in quel posto dimenticato da tutti, ma perché non vuoi lasciare testimonianza di quel gesto che senti così sbagliato e necessario allo stesso tempo.
E io ti assecondo.
Ogni volta sempre di più ti assecondo.
E quando sono sola a casa, mentre fingo di vivere una vita normale che di normale non ha niente, sono in ansia mentre ti aspetto e non posso fare a meno di chiedere che tu ti faccia vivo presto.
Non è amore il mio, né il tuo.
È disperazione.
Cos’altro?
Mi sento così estranea da quello che mi circonda, ogni volta che giro lo sguardo e vedo tutti quanti cercare di ritornare a una quotidianità che non abbiamo mai vissuto. Un presente che è finto e non mi trasmette altro che un sapore amaro sulle labbra.
E invece tu fuggi, costantemente, da quel passato che avresti tanto voluto non aver mai avuto.
E ci incontriamo, alla fine, in questa camera lisa, in un momento del tempo che non è né passato né presente, cercando di trovare una via per riemergere, mentre probabilmente non facciamo che affondare.