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Autore: a_marya    17/03/2014    1 recensioni
Alexis ha una missione da compiere, affidatagli dal padre naturale: recuperare i capitoli di una storia scritta dallo stesso, prima che fosse assassinato. Quella storia, infatti, contiene informazioni preziose che qualcun altro, da qualche parte nel mondo, intende usare per smascherare l'Organizzazione, un gruppo di fanatici responsabili di molti omicidi, tra cui quello del padre di Alexis. Ma recuperare quelle pagine è tutt'altro che semplice: con l'Organizzazione sulle sue tracce, Alexis deve fare di tutto per restare nell'ombra, se vuole proteggere se stessa e coloro che le vogliono bene. Ma restare nell'ombra non sarà più possibile, quando l'enigmatico Alex e il brillante Giulio entreranno a far parte della sua vita e allora non le resterà che lottare per difendere se stessa e la memoria dei suoi genitori naturali...
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Lascio la penna e mi strofino il naso, poi vado in cucina e mi verso un bicchiere di succo di frutta all’arancia. Mi ci vuole qualcosa di un po’ agro per riprendermi stamattina. Ieri notte ho scritto fino alle tre passate e alle sei e mezza di questa mattina la sveglia implacabile mi ha costretto a cominciare una nuova giornata.
Mio marito è già uscito, ormai sarà già nel suo ufficio con quella segretaria un po’ troppo gentile (ma non mi preoccupo, ci vuole ben altro per separarci) e quindi ho la casa libera, così ho deciso di approfittarne per continuare a scrivere il mio regalo speciale.
Guardo il bordo spesso dei fogli già scritti e mi sorprendo di aver già scritto così tante pagine per descrivere così pochi eventi. Non credevo che la mia memoria avesse serbato tutti questi particolari e la cosa è un tantino preoccupante, a dirla tutta. Gli psicologi non parlano di rimozione come strumento di difesa?
Comunque, visto quanto poco tempo manca al nostro anniversario e quanto poco tempo ho per scrivere, forse è un bene, non perderò molto tempo a lambiccarmi il cervello alla ricerca di passaggi censurati. Se continuo a ricordare tutto con la lucidità che ho avuto finora, non avrò nessun problema a finirlo.
Chissà però quanto questa lucidità mi accompagnerà nel mio racconto. Forse scrivendo mi riuscirà più facile che ricordando rievocare gli ultimi atti di questa triste storia, e potrò finalmente ricordare qualcuno di quei momenti che sembrano così confusi nella memoria. Una specie di terapia del diario segreto.
Ma so già che non sarà così. Sono invece piuttosto certa che quando arriverò alla parte davvero cruciale della storia, la mia mente si rifiuterà di ricordare, censurerà e confonderà esattamente come ha fatto nei miei ricordi.
È un problema però che affronterò quando ci sarò arrivata, ancora tra molte pagine.
Per ora, penso mentre esco il quadernino dal cassetto, devo ancora raccontare la sera di gala.

 
13 marzo 1997
Mi guardo allo specchio per la centesima volta, controllando che tutti i capelli siano al loro posto. Ovviamente per ora sono tutti ordinati ma la vera prova del nove sarà uscire all’aperto. C’è vento stasera, il che non va d’accordo né con i miei capelli, né con la mia gonna, penso con una smorfia.
Non metto una gonna da un sacco di tempo e non mi piace l’idea di doverlo fare per Alex Geneticamente Fastidioso. Non gli ho ancora perdonato di aver interrotto la mia buonanotte con Giulio quella sera. Anche se è una storia destinata a finire prima di nascere, sarebbe stato bello sapere cosa si prova a baciare un professore, specialmente quando è così affascinante.
Controllo di nuovo l’orologio, sono le nove in punto. Per fortuna alla serata di gala ci sarà anche da mangiare, sto morendo di fame. Vado in cucina e cerco il cartone di succo di frutta: mi servono zuccheri per affrontare l’intera serata ma se mangio rischio di rovinare il trucco e non ho il tempo di ricominciare.
A meno che il mio accompagnatore oltre che fastidioso non sia anche ritardatario. Sarebbe possibile, visto che sono le nove e cinque minuti e il campanello non suona. Un altro buon motivo per rendergli la serata impossibile.
Mentre sorseggio il succo, attenta a non rovinare il rossetto o altro, cerco di immaginare di cosa potrei parlare con quel bell’imbusto e non mi viene niente a parte le torture che sarei felice di infliggergli.
Faccio un’altra smorfia: con Giulio non siamo stati un solo momento in silenzio, l’intera serata è stata all’insegna della naturalezza. Perché non può essere Giulio ad accompagnarmi alla serata di gala? Sono sicura che saprebbe farmi divertire anche lì. Alex invece non farà altro che sorridere come un ebete e propinarmi le sue frasi gentili fino alla nausea. Oppure mi racconterà la sua brillante vita americana di cui non potrebbe importarmi di meno e allora non riuscirò a trattenermi e gli butterò lo champagne addosso, rovinando la serata a tutti.
Qualcuno suona al campanello.
Accidenti.
Vado ad aprire camminando lentamente, un po’ per colpa dei tacchi semplicemente vertiginosi, un po’ per farlo aspettare. Controllo di nuovo l’orologio: otto minuti di ritardo. Penso a una frase molto sarcastica ma sottile per farlo sentire in colpa, ma quando apro resto senza parole. Non mi sono preparata ad uno spettacolo del genere, per niente.
Alex non è bello questa sera, è semplicemente divino: indossa un completo nero che sembra essergli stato cucito addosso e una camicia nera aperta sul collo, senza cravatta. È l’equilibrio tra semplicità ed eleganza fatto persona. Inoltre ha tirato i capelli indietro come la prima sera che l’ho conosciuto e ogni suo movimento emana quel profumo che ormai credo producano solo per lui. La Coste.
Come faccio ad odiare un tale spettacolo? Odiare lui ora, vestito così, con quell’aria sicura di sé, di quelle che ti promettono serate indimenticabili…dovrebbe essere un peccato capitale, un reato da pena di morte.
Intanto però vedo con piacere che anche lui mi fissa senza una parola e stranamente la cosa mi fa piacere. Non credevo che mi sarebbe importato, ma ora mi sento tremendamente felice di aver seguito il consiglio di mia madre.
- Io… dovrei invitarti più spesso a serate di gala. Sei meravigliosa stasera – mi dice, riprendendosi. Anche io riprendo a respirare finalmente.
- Io sono sempre meravigliosa. E ora andiamo, sei in ritardo – replico ma l’effetto non è da regina di ghiaccio come volevo che fosse, piuttosto da fedele davanti ad un’apparizione divina, a metà tra l’estasiato e l’impaurito.
Chiamo l’ascensore, sentendo il suo sguardo bruciarmi sulla schiena come un marchio a fuoco. Di nuovo ringrazio il cielo di aver ascoltato mia madre e aver indossato il vestito. Avrei fatto una figura tremenda accanto a lui vestita in altro modo.
L’ascensore si apre ed entriamo. Con la scusa di aggiustarmi i capelli allo specchio cerco di mettere più distanza possibile tra noi. Il suo profumo è decisamente troppo…troppo.
- A che ora finisce l’incantesimo? Mezzanotte come per tradizione? – domanda con il suo sorrisetto. Come si può avere un sorriso così bello?
Fortunatamente proprio in quel momento l’ascensore emette un suono e apre le porte. Sulla strada ci sono già i miei genitori, fermi vicini alla loro auto parcheggiata. Corro loro incontro e li saluto con un bacio, ammirandoli entrambi per la loro eleganza.
Loro però non fanno nessuna meraviglia così eleganti. Sono sempre stati due tipi “di classe” come li definisce zia Ade, e sembra che con un abito da sera e gli abiti grezzi che indossano quando curano l’orto o il giardino facciano la stessa splendida figura. Qualche anno fa zia Ade li aveva presentati ad una sua amica proprio cominciando da questa loro caratteristica, dicendo che tutti e due potrebbero ricevere la regina di Inghilterra anche in pigiama e non farebbe differenza. Tutti si erano messi a ridere, loro due compresi, ma quell’affermazione mi è rimasta impressa. È come se li avesse ritratti con le parole.
- Sarà meglio andare ora, o saremo in ritardo. Non posso permettere a quell’ipocrita di Susanna Modigliani di arrivare prima di me o me lo rinfaccerà per sempre – dice mia madre dopo avermi salutata in tono sbrigativo, spingendo mio padre delicatamente verso lo sportello dell’auto.
Io annuisco e vado verso la mia macchina, contenta di avere quei pochi minuti di guida per me. Mi aiuteranno a rilassarmi. Invece appena un passo dopo, Alex mi afferra il braccio.
- Credo che sia meglio andare con una macchina sola. Non avremo problemi di parcheggio. E poi sono il tuo cavaliere stasera, e tu la mia dama – mi ricorda, sorridendomi con quell’aria spavalda. È meglio dell’aria ebete ma la odio lo stesso.
Non mi sembra una buona idea comunque. Non sono certa di sopportare la sua vicinanza dirompente per troppo tempo, mi serve qualche minuto per ritrovare il mio autocontrollo. Mia madre però ci guarda dal finestrino e non sono del tutto certa di saper guidare con i tacchi che indosso, perciò alla fine sbruffo e salgo nella sua macchina, grande quanto un jet in confronto al mio piccolo catorcio.
Durante il tragitto io rimango seduta rigida e immobile, senza dire una parola, lo sguardo perso oltre il finestrino. Darei di tutto per non essere in questa macchina in questo momento. Nemmeno l’alberello profumato appeso allo specchietto retrovisore riesce a coprire il profumo intenso di Alex e io sento il mio stomaco fare le capriole dentro di me. All’improvviso, non ho più tanta fame.
Quando scendiamo Alex esclama una valanga di complimenti rapiti a mia madre, organizzatrice della serata mentre io osservo tutto con un sorriso estasiato. Per quanto io sia più abituata a questo genere di successi materni, stavolta resto anche io a bocca aperta: mia madre si è davvero superata.
Lo spiazzo davanti a noi, che solitamente è un enorme campo abbandonato con l’erba che cresce disordinata qua e là in uno stato di abbandono totale, è diventato una specie di gigantesco giardino luminoso. Non so come, ha steso dell’erba sintetica al posto del pavimento e ha circondato l’area con infiniti lampioncini stile inglese, tutti addobbati.
Su tre lati del campo ha fatto montare gazebo giganteschi sotto cui i tavoli sono stati preparati con estrema eleganza, mentre al centro, circondato da un’altra fila di lampioni inglesi che mandano però luci di diverso colore, è stato lasciato uno spazio vuoto, nel caso qualcuno voglia ballare. I colori dominanti sono il bianco e l’oro e l’atmosfera è rilassata e tranquilla. Sembra quasi una rappresentazione sull’Olimpo.
- Dove hai trovato i fondi per creare questa meraviglia? – domando a mia madre, rubandola alla gente che si è avvicinata per i complimenti.
Lei sorride compiaciuta mentre saluta la temuta Susanna Modigliani, arrivata dopo di noi, ovviamente.
- La tua cara mamma ha ancora parte del suo fascino, tesoro – risponde in un sussurro.
Io sorrido e scuoto la testa. Non riesco ad immaginare mia madre che usa il suo fascino per corrompere il sindaco e ottenere più fondi. Certe cose è meglio non domandarle.
- Abbiamo per caso ospiti da Hollywood? – domanda Alex, appena dietro di me.
- Non per fare la guastafeste ma credo che l’ospite sia tu, stasera – rispondo sorridendo, mentre un gruppo di anziane signore lo occhieggia discretamente.
- Fortuna che non potrò essere importunato allora. Questa sera sono già impegnato – replica mettendosi affianco a me e cingendomi la vita con un braccio.
Il contatto sembra bruciare e gelarmi allo stesso tempo e deglutisco a fatica, resistendo alla tentazione di spostarmi e allontanarmi. Non mi piace questa vicinanza, mi turba. E non mi piace essere turbata. Non da lui. Non per lui.
- Volevo ringraziarti ancora una volta per aver accettato di accompagnarmi. Spero che questa serata sia davvero importante come dice tua madre per il locale – continua mentre mi spinge delicatamente verso il centro del campo, dove si è riunita la maggior parte della folla già arrivata. Mi chiedo quanta altra gente arriverà prima della fine della serata.
- E’ una città piccola, vedrai che la voce si spargerà in fretta – lo rassicuro con una smorfia, pensando a quante mani dovrò stringere, quanti sorrisi finti dovrò esibire e quante frasi ridicole dovrò pronunciare prima che sia finita. Fare pubblicità non è un compito facile come si pensa, bisogna essere esperti diplomatici. E non so se mi riuscirà bene con questo profumo a confondermi le idee.
Nell’ora successiva facce di diversa grandezza, età, colore e sudorazione si susseguono senza nessuna tregua e sia io che Alex non facciamo che continuare a sorridere a tutti e tutto, indistintamente. Per mia sfortuna però, ad Alex il sorriso finto sembra riuscire molto meglio, più naturale e sereno del mio che invece deve sembrare tirato con le mollette ormai. Perché diavolo a lui riesce sempre bene di fare tutto?
Più lo guardo stasera conoscere gente nuova e più me ne convinco: ha stretto un patto col diavolo. Una sera si è messo in una stradina di campagna isolata, si è appostato ad un incrocio e si è messo a chiamare il maligno, offrendogli la sua anima per un fascino irresistibile. Già che c’era però, poteva fare il servizio completo e guadagnarci anche in quanto a quoziente intellettivo, penso con un sorriso trattenuto appena.
- Vedi qualcosa di divertente in questa situazione? Perché sarei felice di sapere cosa c’è di bello nel dolore lancinante alla faccia. Credo che sorriderò per settimane da stasera – mi chiede Alex in un sussurro.
- Non mi sembra un grande cambiamento. Tu sorridi sempre, lo facevi anche prima di stasera – preciso io guardandolo eloquentemente e rido alla sua espressione offesa.
- Solo con te, per dimostrare quanto sono felice di vederti – replica. Il suo fiato contro il mio orecchio mi fa rabbrividire.
- Allora cosa ti comunica il fatto che io non sorrido mai quando sei con me? – replico con un sorrisetto, lisciandomi la gonna.
- Che sei acida e scontrosa. Ma io so che fingi per nascondere la tua parte tenera e gentile e ho deciso di scoprirla e tirarla fuori – risponde e io soffoco una risata.
Finalmente il sindaco della città annuncia al microfono che è arrivato il momento di prendere posto ai tavoli per gustare la cena. così ringrazio il cielo, queste scarpe mi stanno segando le caviglie, e mi avvicino al tavolo dove mia madre ha già preso posto.
- Cara ti spiace se tu e il caro Alex prendete posto qui accanto? Sabrina e Francesco non conoscono nessuno qui intorno… sono certa che saprete metterli a loro agio.
Io sto per replicare, con una scusa qualsiasi: quei due non conoscono nessuno perché non esiste umano in grado di restare sveglio più di cinque minuti in loro compagnia. Purtroppo, nonostante il tono gentile come sempre, lo sguardo di mia madre non ammette repliche e comunque i due simpaticoni sono già dietro di me e non so proprio che scusa inventare per non sembrare maleducata.
Come serata non poteva davvero andare meglio: ho dei trampoli al posto delle scarpe, indosso un vestito di una taglia troppo stretta per i miei gusti e sarò circondata per tutta la cena da Alex Bei Vestiti e la coppia più noiosa nell’intera galassia…
Ci sediamo e Alex mi scosta la sedia con fare galante ma io non lo degno di uno sguardo: queste moine possono conquistare mia madre ma a me non mi sfiorano nemmeno. Prendo il menu e fingo di leggerlo. Lo conosco già, ho consigliato io stessa mia madre mentre sceglieva tra i diversi piatti che le erano stati proposti, ma non voglio cominciare io la conversazione. Preferirei anzi evitare di parlare con questi due il più possibile, c’è il rischio che si convincano che da stasera diventiamo amici e mi fermino ogni volta che li incrocio per strada.
- Non sembri proprio divertita, mia cara – mi bisbiglia Alex curvandosi verso di me e investendomi in un’ondata di profumo che mi toglie momentaneamente il fiato.
Trattengo a stento una risposta poco adatta alla serata: l’unica che può chiamarmi mia cara è mia madre, che conosco da una vita. E poi nessuno gli ha detto che gli uomini non usano il termine cara da più o meno quarant’anni?
- Non è esattamente il genere di serata che preferisco – rispondo secca. Come ho potuto convincermi a sottopormi a questa tortura?
- Di serata…o di compagnia? – replica. Dal tono direi che sta sorridendo e la cosa mi innervosisce.
Solitamente la gente si offende, si irrigidisce, ti guarda male… nessuno sorride mentre ti chiede se per caso non sopporti la sua vista!
Sono quasi tentata di rispondere che sì, in effetti cambierei volentieri anche la compagnia ma uno sguardo ai pesci lessi seduti davanti a noi (che ci fissano apatici tenendosi per mano, come se stessimo per giustiziarli) mi ridà in parte il mio autocontrollo.
Non è né il luogo né il momento per dare spettacolo. Prendo un respiro profondo, cercando di tornare calma come sono di solito: non posso permettere al suo profumo di distruggere a questo modo il mio autocontrollo, accidenti.
- Perdonami. È stata una giornata piuttosto lunga e non sono abituata a tutto questo sfarzo – rispondo, cercando di usare un tono gentile.
In fondo non è tutta colpa sua: sono stata io ad accettare il suo invito, ben sapendo che genere di feste organizza mia madre. E non è nemmeno colpa sua se è così dannatamente ricco e bello.
- E’ un peccato. Sei incantevole in questo sfarzo – replica lui e gli sorrido appena, chiedendomi per quale stupido motivo mi sento così lusingata dai suoi complimenti. Non è certo la prima volta che ne ricevo e d’altronde ho messo questo vestito proprio perché solitamente fa questo effetto.
I camerieri cominciano la loro rapida sfilata attraverso i tavoli portandoci delle tartine in vari gusti. Nonostante nel vedere questo spettacolo di tartine mi sia tornata la fame lancinante, riesco a malapena ad assaggiarne due prima che i due al nostro tavolo spazzolino l’intero vassoio, sempre con quell’aria apatica da iniezione letale di morfina.
Lancio un’occhiataccia alla ragazza, Sabrina, che però ingoia tranquilla una tartina con lentezza esasperante, come per farmi dispetto. La prossima portata la divoro, anche se non mi piace. Deve sapere cosa significa guardare gli altri mangiare i tuoi antipasti.
Alex cerca educatamente di fare conversazione con i due sconosciuti ma quelli sono troppo concentrati a divorare le delicate tartine per rispondere con più di un sì o un no.
Quasi mi viene da ridere nel vedere i disperati tentativi di Alex di estorcere qualche informazione ai nostri amici. Lui non sa che non è un caso se non conoscono nessuno, che non parlano mai perché fanno parte di una strana setta religiosa. Credono di essere i detentori di non so quale verità misteriosa e che parlare con i comuni paesani possa contaminare la loro purezza d’animo, o qualcosa del genere.
Forse dovrei avvertirlo, ma in fondo se la sta cercando. Non deve necessariamente essere gentile con tutti, no?
Lascio Alex a scoprire da solo la verità su questi due simpaticoni e mi astraggo dalla conversazione, pensando invece alla retata nel mio appartamento. Da allora non sono riuscita a scoprire niente sui possibili ladri. Dopo essermi assicurata che non mancasse davvero niente in casa, ho provato a chiedere se nel palazzo qualcuno avesse sentito niente ma i ladri sembrano essersi teletrasportati direttamente sul mio pianerottolo.
Una cameriera dall’aria frettolosa serve qualche altro antipasto raffinato e ne prendo qualcuno nel piatto, ma lo assaggio distrattamente, dimentica della mia vendetta per le tartine.
Ho parlato con Juno e ha detto che farà anche lui delle ricerche e che nel frattempo devo restare calma e passare inosservata. Il che significa interrompere la mia ricerca degli ultimi quadri mancanti per chissà quanto tempo, cosa che non mi piace proprio.
E non sopporto nemmeno di starmene buona ad aspettare che chiunque sia stato ad entrare nel mio appartamento decida di cercare meglio, magari facendo del male a qualcuno questa volta.
Mentre un elegante cameriere mi versa dell’altro vino nel bicchiere, mi chiedo ancora una volta se davvero si tratta delle persone da cui mi ha messo in guardia mio padre. Mi sembra così assurdo, dopo tutti questi anni. Perché poi si sarebbero fatti vivi proprio ora?
- Alexis qualcosa non va? – mi domanda Alex facendomi trasalire. Non può continuare a parlare con i divoratori di tartine e lasciarmi pensare in santa pace?
- Niente, scusate. Ero un po’ pensierosa. Dicevate?
Cerco di sorridere mentre rispondo e di scacciare il pensiero del mio appartamento violato dalla testa. Non è comunque il momento di pensare a certe cose.
- Parlavamo dell’Irlanda. Ci sei mai stata? – domanda Sabrina.
Incredibile, è riuscito davvero a farli parlare? Conversazione normale, a livello umano?
Tra l’altro scopro ora che Sabrina ha una voce bellissima, molto melodiosa. Mi aspettavo quasi che fosse roca a stentata, come quella dei sordomuti.
- No, ma mi piacerebbe moltissimo. Mi piacciono i paesaggi un po’ aspri – rispondo, cercando di interessarmi alla conversazione più noiosa e scontata del secolo.
- Allora l’Irlanda ti incanterebbe. Bisogna solo abituarsi al vento. Dopo tre giorni diventa un supplizio – continua Sabrina, sorseggiando il vino. Avrà sete dopo tutte le tartine che ha ingurgitato.
- Dipende dai punti di vista. Per me è l’essenza stessa dell’Irlanda. Ha qualcosa di incredibilmente…vivo, selvaggio. Sembra racchiudere lo spirito impetuoso delle centinaia di guerrieri irlandesi – replica Alex con aria rapita e io bevo un sorso di vino, resistendo alla tentazione di tracannare il bicchiere.
Ora ho avuto la prova di quanto la natura possa essere cattiva con qualcuno. Ma a chi può mai piacere un vento incessante e freddo? Il vento è la cosa più fastidiosa del mondo e lui la sente piena di “spirito impetuoso”. Sembra appena uscito da un romanzo e lo fa sembrare ridicolo.
Dopo qualche altra chiacchiera insulsa (Sabrina e Francesco ora non la smettono di parlare a ruota libera, era meglio quando si credevano moralmente superiori e chiudevano il becco) sulle bellezze irlandesi finalmente arriva di nuovo un cameriere che serve il primo, un risotto dall’aria tremendamente squisita.
Ringraziando il cielo che almeno questo Sabrina non possa rubarlo, assaggio la prima forchettata. Avevo ragione, è squisito, ed è chiaro che anche gli altri la pensano come me perché la smettono di ciarlare sull’Irlanda e si concentrano sul loro piatto.
Il resto della cena devo ammettere che trascorre in modo piuttosto tranquillo, la conversazione procede piuttosto spedita (con qualche vano tentativo dei due mangiatori di tartine di illuminarci sulla superiorità della loro religione) e mi sento finalmente sazia. Siamo anche riusciti ad accennare al futuro locale di Alex e i due si sono offerti di spargere la voce.
Eppure io non vedo l’ora che finisca tutto. Non mi piacciono queste feste così eleganti, dopo un po’ mi sento soffocare. E poi ci sono così tante cose da fare che l’idea di starmene seduta qui a sentire discorsi stupidi e noiosi mi fa venire l’orticaria. Quasi quasi servirebbe a me una dose di morfina. Dovrei chiedere ai miei nuovi amici se per caso non ne hanno un po’ in borsa. Su di loro ha un effetto pazzesco.
Mentre mi esamino annoiata i ricami della gonna all’improvviso sento l’uomo-tartina, Francesco, domandare ad Alex qualcosa a proposito di un certo romanzo, che io conosco molto bene.
- Ovviamente sì. Ma ad essere sincero, non lo trovo esattamente la rivelazione della letteratura che sembrano crederlo gli altri – risponde con aria saccente.
Io faccio una smorfia, non riesco a trattenermi. Questo ignorante, che crede che il vento sia poetico, sta giudicando banale il mio romanzo?
- E come mai? Quali sono i punti che non ti convincono? – domando prima di potermi fermare. Se pure avevo cominciato a provare un po’ di simpatia nei suoi confronti dalla sera in cui era venuto a sfogarsi a casa mia, ora lo trovo più che insopportabile. Più di quando mi ha rubato il posto vicino alla stufa a casa di mia zia Ade.
- Non so…la storia è un po’ troppo fantasiosa, troppo… insomma, sembra la copia letteraria di “Mission Impossible” – risponde con aria da grande intenditore.
Gliela strapperei a schiaffi quell’aria dalla faccia. Come si permette di giudicare mio padre troppo fantasioso? La copia di Mission Impossible?
Per un lunghissimo minuto ho voglia di raccontargli ciò che so di quella storia, di spiegargli quanto sia vero tutto quello che ho pubblicato per conto di mio padre. Vedere la sua espressione scioccata sarebbe un’emozione impagabile.
Fortunatamente i due mangiatori di tartine dicono qualcosa e io mi riprendo. Per quanto questo borioso incompetente abbia bisogno di una lezione, non posso certo dargliela qui, raccontando la verità sul romanzo, specialmente ora. Cercando di riprendere il controllo, sorseggio il mio vino, stringendo un po’ troppo il bicchiere.
Alex intanto continua a spiegare ai due apatici quanto creda che la critica letteraria abbia esagerato il caso di questa saga così esageratamente surreale, quanto trovi che il linguaggio sia esageratamente pomposo e raffinato per un libro così dozzinale.
Dozzinale? Ha detto proprio dozzinale?
Guardo fisso il mio piatto che non sto mangiando, solo per non rischiare che qualcuno possa leggermi in faccia la furia che mi stravolge il viso in questo momento.
Di tutti i cafoni boriosi, ignoranti, maleducati, tanto pieni di sé da non vedere quanto siano “pomposi e dozzinali”, di sicuro lui è il peggiore in assoluto che avrei potuto incontrare.
Dovrebbero dargli il nobel per la cieca arroganza superficiale da odioso figlio di papà! Il romanzo di mio padre, nonché il mio in una certa parte, sarebbe dozzinale!
- E tu cosa ne pensi Alexis? Hai letto almeno uno dei suoi romanzi? – mi domanda poi, sottolineando quell’almeno come se mi ritenesse un’ignorante. Idiota.
Respirando a fondo scaccio dalle mie mani la voglia di prendere il secchiello del ghiaccio per il vino e rovesciarglielo sulla testa, così saprebbe quanto posso essere più dozzinale se lo voglio. Quando mi sento più calma mi giro, sfoggiando un sorriso enorme quanto finto.
- Sì, gli ho letti tutti e mi sono praticamente innamorata dell’autore – rispondo con voce forse un po’ troppo scossa ma non importa.
- Trovo che nessuno negli ultimi cinquant’anni sia riuscito ad usare le parole in maniera così elegante eppure diretta. Leggere i suoi libri è come… non so, la “Morte del Cigno” letteraria. È semplicemente meraviglioso – concludo, allargando il sorriso.
Probabilmente devo aver fatto la figura dell’idiota con tutti questi complimenti per un libro perché Sabrina e Francesco davanti a me hanno abbandonato la loro aria da dose letale di morfina per sostituirla con una da “chiamate lo psicoanalista più bravo sul mercato e ditegli di portare della morfina anche a lei”, ma me ne frego dell’espressione dei divoratori di tartine, comunque. Nessuno può giudicare il mio romanzo “dozzinale” con tanta leggerezza.
Cosa ne sa lui dei rischi che ha affrontato mio padre per scrivere la sua storia fino in fondo? E di quelli che sto affrontando io per pubblicarla?
Finalmente i due affamati di tartine e risotti ci chiedono il permesso di alzarsi dicendo che devono assolutamente salutare una loro conoscente (come se avessero dei conoscenti) e io ne approfitto per fumare una sigaretta.
In realtà non fumo di solito ma nelle occasioni particolari una sigaretta mi aiuta a rilassare i nervi e questo è decisamente uno di quei momenti particolari, perché ho le mani che mi tremano tanto sono nervosa. Prendo perciò una delle sigarette dal mio pacchetto di emergenza che nascondo nella tasca interna della borsa e l’accendino, quindi mi alzo e mi dirigo verso un angolo non troppo illuminato del giardino, ma faccio appena qualche passo che Alex mi si affianca.
- Non sei costretto ad accompagnarmi – dico gelida, impegnandomi per non limitarmi a spintonarlo e correre via.
- Non sono d’accordo. Sono il tuo accompagnatore questa sera, quindi il mio compito è esattamente quello di accompagnarti – scherza lui. Ah ah, penso io.
Continuo a camminare a passo più svelto possibile, chiudendo gli occhi e stringendo la mano a pugno prima di ritrovarmela sulla sua faccia. La sua simpatia da quattro soldi non riesco a digerirla, ancora di più della sua arroganza.
- Devi proprio avere un disperato bisogno di quella sigaretta per correre così – mormora lui alzando il passo per seguirmi e io accelero ancora un po’ con un sorriso tutt’altro che allegro.
Per quanto mi riguarda, lo farei correre legato con le mani ad un cavallo imbizzarrito e riempirei la strada di massi pregando che riesca a colpirli tutti. Allora forse cambierebbe idea sul mio romanzo.
Raggiungo l’angolo più estremo e mi fermo di scatto, così velocemente che quasi mi finisce addosso. Bene, ho tutte le intenzioni di rendergli la serata più difficile possibile. Mi appoggio con la schiena contro un tronco vicino a me, dandogli volutamente quasi le spalle. Mi accendo la sigaretta e, chiudendo gli occhi, aspiro una lunga boccata lenta, sentendo la nicotina risalirmi le vie respiratorie. Trattengo qualche secondo, assaporando la sensazione di calma, ed espiro, sempre lentamente.
- E’ successo qualcosa? Ti vedo nervosa all’improvviso… - comincia, ma io non gli rispondo.
Continuo a tenere gli occhi chiusi e a concentrarmi sulla mia sigaretta. Ora che siamo lontani dalle luci e dai rumori, sono tremendamente cosciente del suo respiro dietro di me, del fruscio della sua giacca ogni volta che muove un braccio, del suo profumo che aleggia intorno a noi come una nube firmata La Coste ma mi sforzo di ignorare il tutto e pensare solo alla sigaretta tra le dita.
- Ho detto qualcosa di sbagliato, ho fatto qualcosa che ti ha… - insiste avvicinandosi di qualche passo.
- Non hai fatto assolutamente niente. Ti ho già detto che non sopporto questo genere di feste. Odio lo sfarzo e i discorsi insulsi da ricconi – lo interrompo brusca.
Qualcosa mi dice che dovrei evitare questo piccolo sfogo ma non riesco a controllarmi. La sua vicinanza sembra inibire il mio autocontrollo. E comunque, non ho nessuna voglia di fermarmi, si merita tutta la mia freddezza.
- E io ti ho già detto che è un vero peccato. Sei incantevole con quest’aria da regina di ghiaccio – sussurra lui alle mie spalle, quasi nel mio orecchio, facendomi sussultare.
Maledizione. Non mi ero accorta che si fosse avvicinato tanto. Ignoro l’istinto di allontanarmi per non dare l’impressione di aver paura di lui o cose del genere e chiudo più forte gli occhi, respirando un’altra boccata lenta. Per fortuna il fumo copre almeno in parte il suo profumo.
- E’ da quando mi hai aperto la porta questa sera che non riesco a toglierti gli occhi di dosso, sei la donna più affascinante che abbia mai sognato.
Queste lusinghe mi mettono tremendamente a disagio e continuo a dargli le spalle. Mi sento come presa in trappola e tuttavia non riesco a trovare la forza di replicare qualcosa di sarcastico e rimettere le giuste distanze tra noi. Mi sento come prigioniera di un qualche incantesimo. E la cosa peggiore è che in fondo all’agitazione, allo scompiglio che la sua vicinanza sta creando dentro di me, non riesco nemmeno a trovare la voglia di andarmene da lì, di allontanarmi da lui…
- So che tra noi non è scattata subito un’ondata di simpatia ma… tu mi piaci Alexis, mi sei piaciuta subito, da quando ti ho vista la prima sera a casa di tua zia e quando stasera ti ho vista così…così dannatamente bella io…
Mentre parla mi costringe a girarmi verso di lui e io mi ritrovo a fissare il suo collo possente, senza il coraggio di alzare lo sguardo al suo viso e con il cuore che galoppa forsennatamente togliendomi il respiro. Dov’è finita la mia sana antipatia per lui?
Vedendo che non alzo il viso di mia spontanea volontà lascia la mia mano per farmi alzare la testa fino a che i miei occhi non possono fare a meno di fissarsi nei suoi, che sono scuri, intensi, irresistibili. Sono così magnetici che non riesco a distogliere lo sguardo nemmeno quando Alex all’improvviso mi bacia.
Sulle prime, sono troppo sconvolta per reagire in qualunque modo e resto ferma immobile, assaporando la dolcezza di quella bocca morbida contro la mia. Per un momento sembra tutto immobile attorno a noi. È come se le luci, i suoni, la gente della festa a pochi metri da noi scompaia in una nebbia confusa sullo sfondo, lasciandoci soli in questa fioca oscurità mentre nella mia mente si accendono mille girandole luminose. Intanto la bocca di Alex non si stacca dalla mia, diventa anzi sempre più… affamata, in un certo senso, e io non riesco più a trattenermi dal rispondere a quel bacio intenso che mi sconvolge.
Rispondo al suo bacio abbandonandomi contro di lui, dimenticando tutta la mia antipatia verso di lui, la sensazione di irrequietudine che mi ispira, i commenti sui libri di mio padre, mettendo da parte ogni remora o pudore.
Incoraggiato dalla mia risposta, Alex mi cinge la vita con un braccio e con l’altra mano risale lungo la schiena fino ad arrivare al collo e io mi sento sempre più persa in quel bacio che sembra non avere fine. Senza smettere di baciarmi Alex mi spinge delicatamente indietro fino a che mi ritrovo incastrata tra lui e il tronco dell’albero. I suoi baci si fanno ancora più insistenti, ancora più famelici, mentre con il braccio mi stringe sempre più contro di lui. Credo che sto di svenire. Ho le gambe molli, la testa gira vorticosamente, il cuore va così veloce che salta i battiti, la mente in corto circuito totale…
- Alexis! – mi chiama una voce dietro di noi, emergendo dallo sfondo confuso.
Imbarazzata come una ragazzina, riesco a staccarmi a malincuore da Alex spintonandolo con uno scatto, quindi mi volto verso la voce che ci ha interrotti.
- Professore! – esclamo, col desiderio di sprofondare. Cosa avrà visto della follia che ha appena interrotto? Lui comunque non sembra imbarazzato. Forse col buio non si è visto molto…
Mi avvicino al professor Gagliani e gli stringo la mano che mi sta porgendo.
- Come mai qui? – domando, sperando di avere un tono sufficientemente frivolo. In realtà mi sento ancora tremendamente scossa dal bacio di Alex, dalla sua vicinanza pericolosa. Cosa mi è saltato in mente? Come ho potuto essere così sciocca e rispondere a quel bacio? Ora sarà tutto più difficile, più complicato.
Maledizione!
- Ho accompagnato una vecchia amica. Diceva che avrei potuto fare incontri interessanti - spiega lui sorridendo nella penombra.
Sento Alex avvicinarsi dietro di me e lo presento a denti stretti a Giulio. I due si stringono la mano ma non sembrano molto contenti di farlo.
- Ed è riuscito a farli questi incontri? – domando poi a Giulio, tornando ad ignorare Alex, nella speranza che decida di tornare al tavolo per conto suo. Ho bisogno di qualche momento da sola, per riprendermi.
- Ci siamo incontrati, no? – risponde lui con quel sorriso sghembo e io rispondo al suo sorriso. Ecco una persona che non mi innervosisce, anzi mi rilassa, mi fa sentire a mio agio nonostante le sue lusinghe. Forse è una fortuna che sia arrivato proprio ora, prima che potessi continuare questa assurda follia.
Chiacchieriamo ancora per qualche minuto di tutto e niente, mentre Alex dietro di noi si muove nervoso ma non dice una parola, poi sentiamo il sindaco annunciare la ripresa della cena.
- Sarà meglio andare ora. Non vorrei che i miei compagni di tavolo divorino anche questa portata – lo avverto sarcastica e Giulio ride di gusto. Adoro la gente che ride alle mie battute. Sento che sto già riprendendo un po’ di controllo.
Alex invece dietro di noi è taciturno e scuro in volto. Probabilmente non ha gradito l’intrusione di Giulio né di essere messo da parte così sfacciatamente ma non mi curo di lui. 
- Spero di rivederti dopo la cena. Potrei invitarti a ballare. Sono bravo sai? – mi avverte Giulio ammiccando e io sorrido.
Ovviamente non ballerei mai con lui. Mi sta troppo simpatico per distruggerlo in modo così crudele. E poi mi piace che abbia stima di me, perché disilluderlo con uno stupido lento?
- Sempre se riuscirà a liberarsi del suo cavaliere personale – interviene finalmente Alex con un sorriso che ha però molto poco di amichevole o scherzoso, a cui Giulio risponde con lo stesso sorriso tirato.
Non so perché ma ho come l’impressione che si stia creando un po’ di tensione tra i due, come se si stessero studiando per un duello. Scuoto la testa per scacciare queste sciocchezze dalla mente. La verità è che sono ancora sconvolta per quello che stava succedendo tra me ed Alex. Soprattutto a me a dire il vero. E comunque, io tifo per Giulio.
- Ora sarà meglio andare davvero, o tua madre ingaggerà qualche valletto per venire a cercarci – mi ricorda Alex in tono freddo, prendendomi sotto braccio. Di nuovo ho l’impressione che stia lanciando una sorta di silenziosa sfida a Giulio e la cosa mi irrita da morire. Non intendo essere il trofeo tra loro.
- Vengo con voi. Così saprò dove venirti a cercare per il nostro ballo.
Il sorriso di Giulio mentre dice queste parole sembra quello di uno dei protagonisti di quegli spaghetti western: tira fuori il piombo masnadiero, e combatti da vero uomo.
Alterno lo sguardo dall’uno all’altro, cercando di capire cosa stia succedendo tra questi due, ma alla fine rinuncio. Forse è solo una fantasia della mia mente sovraeccitata e comunque non mi importa, ho altro a cui pensare ora, come per esempio trovare il modo di rientrare in me stessa, tornare la solita Alexis fredda e distaccata.
Ne ho un bisogno disperato, ho già incasinato troppo la situazione.
Ci avviamo lentamente verso i tavoli mentre Giulio non fa che parlare a raffica raccontandomi qualcosa sull’università, così in fretta che riesco a stento a rispondere. Alex resta ancora silenzioso e cammina rigido, quasi tirandomi per il braccio come una bimba capricciosa, cosa che non riesco a sopportare. Ecco che riaffiora la mia sana antipatia nei confronti di Alex, finalmente. Forse è il segno che sto tornando normale.
Ormai siamo arrivati e Giulio si allontana, indicandomi il suo tavolo “per qualsiasi evenienza”, quindi riprendiamo a mangiare in silenzio. La portata che hanno appena servito è una spettacolare tagliata di non so quale tipo di carne, cucinata in modo più che squisito e cerco di concentrarmi sul mio piatto, con scarsi risultati: nonostante i miei sforzi, infatti, le immagini di poco prima si susseguono nella mia mente senza che possa fare niente per fermarle e basta questo per far galoppare nuovamente il cuore a mille.
Chiudo gli occhi e cerco disperatamente di scacciare quelle immagini dalla testa, ben attenta a non incrociare lo sguardo di Alex per niente al mondo. Mastico lentamente il boccone e bevo un po’ di vino. Anzi no, la definizione più esatta è tracanno il vino che resta nel bicchiere.
Che diavolo ci ha presi a tutti e due? Come abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione assurda? Lui è Alex, il mio vicino pomposo e antipatico, quello che mi ruba il posto accanto alla stufa e che mi fa sentire goffa e impacciata. Lui mi rende nervosa e suscettibile, non debole e…
L’unica spiegazione è che siamo entrambi ubriachi. Soprattutto io devo essere ubriaca. In effetti questo vino è così buono che forse ho esagerato un po’. Non mi sento ubriaca, ma non vuol dire niente no? Tanta gente non si accorge di essere ubriaca fino a che non si spoglia e comincia a ballare sui tavoli stonando qualche vecchia canzone da tavola calda. Sì, dev’essere quello. Il vino unito all’eccitazione della serata, a quest’atmosfera così rilassata, quasi da romanzo rosa, e magari anche al fascino del mio cavaliere. In fondo, per quanto sia odioso, nessuno può mettere in dubbio che sia l’uomo più affascinante che io abbia mai conosciuto. E con questi abiti eleganti poi…
E poi non può piacermi uno che non legge i miei libri. Discorso chiuso.
- Chi è quel professore? – domanda all’improvviso Alex, a voce bassa ma tesa.
- Il mio professore di storia dell’università – spiego sulla difensiva. Non so da cosa dovrei difendermi ma il suo tono accusatorio non mi piace. Sembra un marito geloso che ha visto la moglie dare troppa corda al primo giovane che le si è avvicinato.
- E cosa ci fa qui? – continua, stesso tono da interrogatorio.
- L’hai sentito, ha accompagnato una vecchia amica – rispondo, ancora più ostile. Lancio un’occhiata ai due divoratori di tartine davanti a noi ma sono tutti e due concentrati sulla loro cena e non si stanno accorgendo di niente. O almeno non sembra che stiano ascoltando noi.
- Io ho sentito che voleva fare incontri interessanti. E a quanto pare sei tu, l’incontro interessante. Cosa c’è fra voi due? – domanda a bruciapelo, nel suo tono risentito.
Io non rispondo, lo fisso soltanto a bocca aperta. È assurdo. Non è ubriaco è proprio impazzito. Alex-bei-vestiti è completamente fuori di testa. Mi sta facendo una scenata di gelosia! E non siamo nemmeno fidanzati! Non siamo fratelli, né amici d’infanzia, non ci stiamo conoscendo…
- Qual è il tuo problema? – domando, a voce un po’ troppo alta forse, perché i divoratori di tartine alzano la testa verso di noi. Lo fanno all’unisono e con la stessa identica espressione in faccia. Più che marito e moglie sembrano gemelli. Anzi, due cloni.
Mi costringo ad abbassare la voce e ripeto la domanda.
- Non hai risposto alla mia domanda. Cosa c’è tra voi?
Lo sguardo di Alex è incredibilmente duro e accusatorio quasi e io mi costringo ad ingoiare e contare mentalmente fino a cinque prima di rispondere o questa volta è vero che gli faccio saltare tutti i denti e al diavolo la serata perfetta.
- Qualsiasi cosa ci sia tra me e Giulio non ti riguarda, Alex. Voglio ricordarti che sono qui per far pubblicità al tuo ristorante, non per fare gli sposini. Piantala con questo tono – rispondo quando ho recuperato un minimo di autocontrollo, cercando di restare calma per non attirare altra attenzione.
Mi costringo a fissare i due divoratori, tanto per non guardare Alex, e mi accorgo di quanto quei due siano inquietanti: mangiano all’unisono!
Alzano insieme il braccio, aprono insieme la bocca…persino masticando vanno quasi in sincronia! È disgustoso. È veramente inquietante.
- Il che vuol dire che c’è qualcosa di grosso. Spero tu abbia notato che è un professore e tu un’allieva. Non avrei mai pensato che potessi essere così – risponde lui così a bassa voce che riesco a stento a sentirlo.
Mi volto verso di lui ma non dico niente. Sto fremendo di rabbia e se parlassi sono sicura che urlerei. Ma come si permette? Praticamente mi sta dando della troia, crede che vada a letto con lui solo perché è il mio professore! E poi anche se fosse, cosa gliene importa a lui? Di che si preoccupa?
Lui comunque non mi guarda e non aggiunge altro, all’improvviso sembra super concentrato sulla sua tagliata che non ha ancora assaggiato e alla fine torno anch’io a guardare il mio piatto. Non mangio però, mi si è chiuso lo stomaco.
Che razza di comportamento sarebbe questo? Perché ora improvvisamente gli sta tanto a cuore se mi vedo con Giulio? Come si permette di giudicarmi? Non mi conosce, ci siamo parlati in un paio di occasioni prima di stasera, non ha il diritto di venirmi a fare la morale!
Arriva ancora il cameriere e porta via i piatti, poi ne arriva subito un altro e serve un trionfo di pesce dall’aria divina ma non riesco nemmeno ad assaggiarlo, sono troppo nervosa per mangiare ancora.
I divoratori di fronte a me ovviamente non si lasciano scappare nemmeno una forchettata e cominciano subito il loro inquietante assalto sincronizzato ai poveri pesci. Non li sopporto veramente più. Se fanno anche solo un’altra mossa in sincronia, giuro che mi alzo e li prendo a schiaffi, in sincronia.
Alex intanto mangia lentamente il suo pesce con lo sguardo perso nel suo bicchiere, come affascinato da quel meraviglioso liquido colorato che è il vino e io resto per un po’ a fissarlo. Lascio scivolare lo sguardo sul suo profilo, sulla sua bocca, sulla sua mascella, sulla mano, poi ritorno a guardargli il viso, come se potessi capirlo solo leggendogli quell’espressione corrucciata. Com’è possibile che un uomo così perfetto all’esterno sia anche così maledettamente idiota all’interno? Forse è questo che intendono quando parlano di meraviglie della natura, è a lui che si riferiscono. Solo qualcosa di meraviglioso e sovrannaturale poteva creare tanto splendore con così poco cervello a separargli le orecchie. Ha un’espressione così assorta ora che sembra un pensatore greco, una statua perfetta scolpita nel marmo eterno. In questo momento è così bello da togliermi letteralmente il fiato e sento il cuore mancare un paio di battiti.
Scuoto la testa e torno a fissare a mia volta il mio bicchiere. Che mi sta succedendo? non posso davvero aver pensato una cosa del genere!
Pensatore greco? Marmo eterno? Devo seriamente smettere di bere questo vino, ha un effetto devastante sulla mia sobrietà!
Mi alzo di scatto esasperata da questa follia. Di nuovo i divoratori alzano la testa all’unisono per guardarmi e io mi trattengo a stento dallo schiaffeggiarli sul serio. Finalmente anche Alex ha alzato la testa ma la riabbassa prima di incontrare il mio sguardo. La sua indifferenza è la cosa che più mi indispettisce. Dopo la mia esagerata attenzione, ovviamente.
- Io vado al tavolo di Giulio. Se qualcuno mi cerca sono lì – avverto secca e parto in direzione del tavolo di Giulio. Di sicuro lui saprà trovare il modo di calmarmi, la sua voce ha un effetto meraviglioso sui miei nervi.
Non appena riesco a vedere il tavolo mi accorgo che lui guarda nella mia direzione e gli sorrido. Non voglio avvicinarmi al tavolo, meglio evitare le chiacchiere della gente. Speriamo solo che lui capisca e si avvicini spontaneamente.
Con mio enorme sollievo infatti lui intuisce subito e lo vedo alzarsi e avvicinarsi a me.
- La mia adorabile fanciulla è stanca della cena? – domanda non appena arriva a qualche passo da me.
- In effetti. Anche la compagnia non è delle migliori – mi lascio scappare prima di potermi controllare.
Giulio sorride e mi prende sottobraccio, intuendo forse la mia agitazione.
- Che ne dici se organizziamo una fuga romantica e ce ne andiamo a fare una passeggiata solo noi due? Anche la mia compagnia potrebbe essere migliore – propone raggiante.
Io non rispondo subito, sono un po’ titubante. Se mia madre dovesse accorgersi che ho piantato in asso il mio odioso cavaliere per una passeggiata romantica mi terrà il broncio fino alla fine dei secoli. Mi volto un momento verso il suo tavolo, ma la vedo impegnata a chiacchierare con un gruppo di persone abbastanza numeroso. Non sembra che si libererà facilmente.
Lo sguardo poi mi scivola automaticamente verso il mio di tavolo e vedo che Alex ci guarda da lontano. Non riesco a capire se guarda proprio noi o solo da questa parte, sono troppo lontana, ma non mi importa. Che pensi anche che sto comprando il voto del prossimo esame se crede. Torno a guardare Giulio e gli sorrido, quindi cominciamo a camminare.
- Chi è il ragazzo che era con te? – domanda non appena ci siamo allontanati un po’ dalla folla.
Alzo gli occhi al cielo. Ma oggi nessuno che si faccia gli affari suoi? Tuttavia la voce di Giulio non ha niente del tono accusatorio di Alex e anche la sua espressione è tranquilla, come se volesse solo essere socievole.
- E’ il figlio di un’amica di mia madre. Sta aprendo un nuovo ristorante e così abbiamo pensato che questa festa era l’occasione per fare un po’ di pubblicità al posto, ma lui non conosce nessuno qui, è nuovo, e aveva bisogno di un’accompagnatrice conosciuta… - spiego con noncuranza, agitando la mano in aria per fargli capire che non ha importanza.
In realtà non voglio parlare di Alex. Sono ancora troppo arrabbiata con lui. Lo odio ancora di più dei divoratori di tartine ed è difficile scendere al di sotto del loro livello.
- Allora avete parlato solo di quello? Meglio così – replica Giulio con un sorriso.
- Perché?
- Perché così posso farti tutti i complimenti che voglio senza essere ripetitivo – spiega lui e io rido. Mi sto già rilassando, sento il ricordo di Alex sempre più lontano.
Intanto è buio intorno a noi e faccio fatica a guardare dove metto i piedi, figuriamoci capire dove stiamo andando. Ma Giulio cammina a passo piuttosto sicuro e io mi lascio semplicemente trasportare da lui.
- Se avete parlato del ristorante per esempio, non avrà avuto modo di dirti quanto sei splendida stasera. Sembri una statua della dea Venere che ho visto una volta in un museo… - continua Giulio e io sorrido distogliendo lo sguardo.
Continuiamo a camminare per un po’ nel buio, chiacchierando del più e del meno, mentre mi godo la sensazione di tranquillità che mi ispira Giulio. Al confronto dell’irrequietudine che mi mette addosso Alex con la sua sola presenza, è il paradiso.
- Hai letto il libro? – domanda poi indicandomi una panchina a pochi passi, appena distinguibile nell’oscurità che ci circonda. Ora ho capito dove siamo, queste panchine riempiono solo il corso che porta al vecchio teatro.
Io gli rivolgo un’occhiata interrogativa, non riuscendo a capire di che sta parlando. Quale libro? Poi ricordo: la sera della nostra prima cena mi ha regalato uno dei suoi libri sulla storia dei simboli antichi. Ovviamente non ne ho letto nemmeno il titolo, mi ero completamente dimenticata dell’esistenza di quel libro nel momento successivo averlo riposto insieme a tutti gli altri che non leggerò mai. Non posso dire però al mio professore che mi ero dimenticata del primo e unico regalo che mi ha fatto (che ha scritto lui tra l’altro), mi caccia a pedate dall’università.
- Non ho avuto molto tempo, ma ho cominciato a leggerlo. È un libro che prende – mento spudoratamente, sperando che non mi faccia domande più specifiche.
- Sono contento che ti piaccia. Allora non sono proprio un fallito come storico no?
Rido.
- Anche se fosse non lo direi, visto che sei il mio professore, ti pare?
Cerco di sorridere ma non mi riesce. Improvvisamente, mi sento tremendamente stanca e vorrei solo poter chiudere gli occhi per un momento.
- Ti va di raccontarmi cosa ti rende così pensosa? – domanda intanto lui.
Accidenti, speravo che con il buio non se ne fosse accorto.
- E’ solo l’aria della festa. Non mi piacciono le cose formali e i gesti affettati e lì ce n’erano entrambe da fare indigestione – spiego in tono vago, sperando che lasci perdere.
- E’ un peccato. Sembri molto a tuo agio e quest’aria da regina delle fiabe ti rende… favolosa per l’appunto – continua lui.
Io non rispondo e non sorrido nemmeno. L’ha già detto Alex subito prima di baciarmi e distruggere il poco autocontrollo che ero riuscita a mantenere. Al solo pensare a quel bacio sento che mi si infiammano le guance e il cuore riprende quello strano palpitare frettoloso. Possibile che le radiazioni di quell’uomo finiscano con il provocarmi un infarto?
- Credo che sia più grave di un po’ di noia – continua Giulio, e questa volta gli sorrido a mo’ di scuse. Ha ragione, non sono venuta con lui per pensare ad Alex, devo concentrarmi solo su di lui. In fondo, si merita i miei pensieri molto più di quel bell’imbusto tutto soldi e moine.
- Hai ragione. In effetti, la noia e solo una piccola parte del problema… l’altra sono queste maledette scarpe. Mi stanno segando le caviglie e tra un po’ ti cadrò ai piedi sanguinante.
- Sediamoci allora – propone ma io non riesco a vedere nulla in quest’oscurità su cui sedermi e non posso certo sedermi a terra con questo vestito.
Infatti, lo vedo sedersi per terra e farmi segno di accomodarmi accanto a lui. Io gli indico la mia gonna e faccio una smorfia per fargli capire il problema ma poi ci ripenso.
Sono stanca, turbata e arrabbiata. Me ne infischio di quello che penserà la gente quando vedrà la mia gonna tutta sporca e spiegazzata. In fondo, c’è già che pensa che io sia una sgualdrina che si vende per qualche voto, no? Diamogli un motivo per pensarlo sul serio!
Mi siedo accanto a Giulio che mi sorride, approvando la mia “follia” e resta poi a guardarmi in silenzio. Io mi sento un po’ a disagio sotto quello sguardo indagatore e così chiudo gli occhi, assaporando il sapore fresco dell’aria. In quel momento una brezza leggera mi fa rabbrividire leggermente e mi fa cadere alcune ciocche di capelli davanti al viso. Lo sapevo che non avrebbero resistito fino alla fine, maledizione.
Alzo il braccio per ravviare quelle ciocche fastidiose ma quel movimento sprigiona un’ondata del profumo di Alex, che sembra essersi appiccicato addosso in modo indelebile, come se quell’odioso damerino mi avesse marchiata a fuoco nel breve spazio di quel lungo, dolce, appassionato bacio…
Solo allora mi accorgo di due cose che non avevo notato: primo, che qualcuno mi sta baciando davvero. Secondo, che il bacio che sento non è quello di Alex. È meno intenso, più famelico, più rude in qualche modo. Lentamente apro gli occhi e vedo che infatti non è Alex che mi sta baciando. È di Giulio quella bocca dal sapore aspro, come di sigaro.
Resto per qualche secondo immobile, senza sapere che fare o meglio troppo scossa per potere pensare a cosa fare. Ma tutti stasera hanno deciso di baciarmi?
Giro la testa, sottraendo la bocca a quella di lui e lo spingo dolcemente indietro con la mano.
- Giulio mi dispiace, davvero… è solo che… non stasera, ti prego, non stasera – bisbiglio e non appena lui si è allontanato abbastanza mi rimetto in piedi, sforzandomi di ignorare il suo sguardo dispiaciuto e confuso.
- Non stasera – ripeto di nuovo con un filo di voce.
Mi volto e comincio a camminare, cercando di non mettermi a correre. Non sarebbe una buona idea dato il buio e le scarpe e non voglio che Giulio pensi che sto scappando da lui.
Dopo qualche metro però mi risiedo di nuovo per terra, con la testa appoggiata alle ginocchia. Non posso tornare così alla festa, ho bisogno di qualche minuto per riprendere il controllo. In effetti, non so perché mi sento così sconvolta. Di certo non è la prima volta che ricevo un bacio fuori programma, anche se devo ammettere che mai ne avevo ricevuti due a meno di un’ora l’uno dall’altro.
Forse è un po’ il senso di colpa che mi fa sentire così male. Mi sento tremendamente in colpa con Giulio per averlo baciato pensando ad un altro e per essere fuggita via così, senza una spiegazione… di certo non era questo che si aspettava e nemmeno che meritava. Ma non potevo certo dirgli la verità. Non potevo spiegargli che scappavo perché in effetti stasera sono già stata baciata a tradimento da uno che odio perché di solito mi manda in corto circuito totale con la sua sola presenza e che era a quello che pensavo mentre lui mi baciava, no?
Inoltre, per un motivo talmente assurdo che non riesco nemmeno ad immaginarlo, mi sento in colpa anche con Alex. Mi sento come se l’avessi tradito, come se…
Ma questa è follia allo stato puro. Anzi, semmai è lui quello che deve sentirsi in colpa. È per colpa sua, del suo bacio e del suo maledetto profumo che mi sono comportata così con Giulio, è solo colpa sua!
Lentamente il senso di colpa comincia a trasformarsi in rabbia. Come si permette questo babbeo ignorante che ha definito il mio libro la versione letteraria di Mission Impossible e che mi ha rubato il posto vicino alla stufa di rovinarmi così una serata tanto tranquilla?
Se non fosse stato per lui mi sarei goduta la mia cena, che invece non ho quasi toccato, mi sarei goduta il mio bacio con l’affascinante professore. Invece lui ha rovinato tutto.
Mi alzo di scatto, presa dalla voglia disperata di fargli capire subito che razza di idiota penso che sia dopo stasera e costringerlo a scusarsi in ginocchio, ma ho dimenticato un dettaglio. Dove diavolo sono?
Mi guardo intorno nell’oscurità rischiarata appena dalla luna alla ricerca di una strada o qualcosa. Niente. Maledizione.
Quando siamo arrivati fin qui io seguivo Giulio ed ero così arrabbiata con Alex che non ho fatto proprio caso alla strada. Ma ora, come torno indietro?
Dannazione. Dannazione, dannazione e ancora dannazione.
Comincio a camminare dritta. Prima o poi arriverò da qualche parte. Intanto ingannerò il tempo pensando a tutte le torture che si possono infliggere a un maledetto guastafeste come il signorino Sono-Bello-E-Vi-Rovino-La-Serata-Come-Voglio.
Qualcosa tipo venti minuti dopo vedo davanti a me le luci della festa. Tiro un sospiro di sollievo, più che altro lo fanno i miei piedi distrutti, e non riesco a trattenere un sorrisetto sadico. Ora vediamo quanto resiste Alex-Rovina-Serate sotto la mia furia implacabile.
Mi dirigo verso il nostro tavolo ma mi accorgo subito che qualcosa non va: non c’è quasi nessuno in tutto il parco, sembra che se ne siano andati tutti a casa. Al momento però la mia vendetta è più importante di qualsiasi stranezza abbia fatto fuggire tutti gli invitati.
Mi guardo intorno, cercando Alex ma non riesco a vederlo. Non se ne sarà andato, voglio sperare. Anche perché, se spera di sfuggire così alla mia vendetta si sbaglia di grosso.
- Alexis, posso sapere di grazia dove eri andata a finire?
La voce di mia madre, leggermente stridula e molto accusatoria, mi costringe a girarmi verso di lei.
- E’ successo un casino mamma… ti spiego… - balbetto ma lei mi interrompe subito.
- Con tutta la sincerità tesoro, me ne infischio del tuo casino. Qui è successo di tutto mentre mia figlia era chissà dove ad amoreggiare con… lasciamo perdere. Io vado via, ne riparliamo a casa.
Detto questo, mi madre si gira e se ne va. Mia madre. Quella donna gentile, affettuosa, che cerca di giustificare anche Hitler quando si parla di lui, si è girata e mi sta lasciando qui come un’idiota!
- Mamma, aspettami. Si può sapere che ti prende? Con chi è che sarei andata ad amoreggiare adesso?
Mi rendo conto che la mi voce deve sembrare quella di un’isterica ma per stasera ne ho veramente abbastanza. Non posso crederci! Anche mia madre ora pensa male di me!
- Non fare finta di niente con me, signorina – mi ammonisce agitandomi un dito davanti al naso, come faceva quando ero bambina.
- Sai che non mi intrometto mai nella tua vita privata e sinceramente, avrei preferito continuare così, anche se forse se l’avessi fatto ora non saremmo arrivati a questo punto. Ma dopo stasera, mi riuscirà parecchio difficile, come immagino che valga anche per il resto della città. Non è così che ti ho educata!
Mi rendo conto che nonostante il tono pacato, mia madre è furibonda ma io continuo a non capire di cosa sta parlando.
- A parte il fatto che tu ti intrometti sempre nella mia vita privata mamma, mi vuoi spiegare per bene che… cos’è successo? – domando ancora, cercando di non cedere all’esasperazione. Chissà perché ho il sospetto che ancora una volta centri Alex.
- E’ successo che la mia festa è rovinata, che saremo sulla bocca di tutti almeno per un anno e che da adesso puoi dire addio al tuo tanto caro anonimato, tesoro. Hai giocato col fuoco, bambina mia, e ora ti si è ritorto contro. I tuoi amanti hanno fatto a… c’è stato un vero e proprio combattimento, con il sangue, le urla e… - mia madre si interrompe, troppo disgustata dal ricordo e io non riesco a fare altro che fissarla.
Chi diavolo sarebbero i miei amanti ora? Di quale combattimento sta parlando? Che c’entro io?
- Mamma, mi dispiace, qualsiasi cosa sia successa per colpa mia e sarò felice di chiarire con te tutta questa faccenda più tardi ma ora ho disperatamente bisogno di capire: di cosa stai parlando? Chi sarebbero i miei amanti? Perché c’è stato un combattimento?
Sono davvero agitata ora, lo sento dalla mia voce e probabilmente lo sente anche mia madre che finalmente la smette di guardarmi come se fosse una criminale incallita. Forse ha capito che davvero non riesco a capire di che sta parlando.
- Parlo di Alex e quel tuo altro amante, Alexis. Mentre tu eri a rassettarti come si conviene a una donna di quella risma, quel ragazzino è tornato qui e ha parlato con Alex che ha ben pensato di dargli un bel pugno sul naso e dopo hanno cominciato a litigare, urlando che eri ora di Alex, ora di quell’altro, ora che avevi baciato l’uno, ora che avevi baciato l’altro… e intanto tutti lì a guardare e a sentire…
Credo che sto per sentirmi male. Sento la testa girare un po’ troppo velocemente, ho le gambe molli e mi manca l’aria… chiudo gli occhi e faccio dei bei respiri, lenti e profondi.
E così, Alex e Giulio hanno dato spettacolo e ora il resto del mondo saprà tutti i dettagli della mia vita. Splendido. E mia madre pensa che io sia una… una donnaccia. Ancora più splendido.
Improvvisamente la mia testa smette di girare come una trottola e comincia a pulsare dolorosamente. Bene, sono le prime avvisaglie della mia furia cieca e selvaggia che monta lentamente. Ciò vuol dire che sta tornando la cara vecchia Alexis, finalmente.
Se prima Alex doveva aver paura, ora è meglio che cambi universo perché non ci sarà posto abbastanza lontano per sfuggirmi e quando l’avrò trovato gli farò rimpiangere per sempre di avermi incontrata.
Ma prima devo fare un’altra cosa. Mia madre è sull’orlo di una crisi di pianto e devo spiegarle la situazione.
- Mamma ascoltami. Io non so quello che si sono detti quei due durante la rissa ma non credo che sia la verità. Io non ho nessun amante, né l’uno, né l’altro e né nessun altro. Sono stati loro a baciare me, ironicamente entrambi stasera, ma li ho rimessi subito al loro posto (quasi subito, sussurra una vocina dentro di me mentre il ricordo del bacio di Alex mi sfiora il pensiero, ma scaccio quella voce con forza) ed è per quello che mi sono allontanata dalla festa, per allontanarmi da entrambi. Poi non so cosa sia successo ma ti assicuro che qualsiasi cosa si siano detti l’hanno fatto solo per farsi dispetto, non è successo niente con nessuno dei due.
Lei è rimasta in silenzio ad ascoltare, e questo è già un brutto segno. Mia madre non se ne sta mai zitta ad ascoltare. Comunque non ha più l’aria gelida da signora offesa e questo è un bene.
- Va bene tesoro ma questo non cambia le cose. Per quanto non sia d’accordo sul fatto che tu abbia un amante, non è così che ti abbiamo cresciuta io e tuo padre, non è quello che mi preoccupa. Ora tutta la città pensa che tu abbia degli amanti e tutti cominceranno a farsi gli affari tuoi e dopo quell’intrusione a casa tua…
Ora sì che sta piangendo e il vederlo non fa che aumentare la mia rabbia oltre i confini del possibile. Nessuno fa piangere mia madre impunemente. Alex è un uomo morto, questo è sicuro.
- Ho paura che quegli uomini possano scoprire chi sei se cominciano a circolare voci su di te. Se qualcuno dovesse seguirti o che so io per riferire di qualche altro amante e scoprisse invece… oh, bambina mia, sono così in pensiero ora… - continua trattenendo un singhiozzo.
Mai come in questo momento ho sentito di volerle bene. Ora tutta la città pensa che sua figlia sia una prostituta, una donna persa e perversa e lei si preoccupa solo per me. Non potevo chiedere una madre migliore.
- Ascolta mamma, se quegli uomini sono venuti a casa mia è perché sanno già chi sono e dove abito, le voci non cambieranno niente per loro. E per i ficcanaso troverò il modo di evitarli. Se proprio sarà una situazione disperata lascerò perdere per un po’ il libro, fino a che non si saranno calmate le acque, ok? Ora basta però preoccuparsi, raggiungi papà piuttosto, prima che si addormenti in piedi.
Per fortuna a quest’idea ride, mentre si asciuga gli occhi.
- Fa attenzione angelo mio, ti prego. È un gioco pericoloso quello a cui stai giocando – mi ammonisce e io le do un bacio sulla guancia ancora umida.
- Starò attenta mamma – la rassicuro.
- Mamma, un’ultima cosa. Dove sono ora Alex e Giulio?
- Alex è nella sua macchina credo, l’altro non lo so, è scomparso dopo la medicazione. Buonanotte tesoro.
- Buonanotte mamma – la saluto, poi la guardo andare alla macchina e aspetto che siano partiti. Non voglio che assista a un omicidio dopo tutte le preoccupazioni di questa sera.
Ora che mia madre è al sicuro, sento di nuovo la rabbia crescere oltre misura e la testa riprende a pulsarmi. Come diavolo si è permesso quell’idiota prepotente di fare una cosa del genere?
Cerco con lo sguardo la sua macchina e finalmente la vedo, parcheggiata dietro un albero poco distante. Mi avvicino rapidamente, senza più cercare di frenare la voglia di vendetta, con l’immagine di mia madre che piange fissa nella mente.
Quando arrivo vicino alla macchina lui è seduto al posto di guida con la testa rovesciata contro il sedile e tiene gli occhi chiusi, perciò non si accorge che sono lì fino a quando non apro lo sportello.
Lo vedo sussultare e gira di scatto la testa verso di me. Ha un’espressione strana, che non riesco a decifrare ma non ci provo nemmeno più di tanto. L’unica espressione che voglio vedergli sulla faccia in questo momento è dolore, atroce, lancinante, insopportabile dolore. Magari anche il terrore non guasterebbe.
- Che diavolo ti è saltato in mente di fare quella scenata, immenso ammasso di idiozia che non sei altro? – urlo. Non era mia intenzione urlare ma non ho saputo farne a meno. Il fatto che lui se ne rimanga lì a fissarmi instupidito poi non migliora di certo la sua situazione.
- Mettiamo bene in chiaro una cosa, mister Sono-Bello-E-Faccio-Quello-Che-Mi-Pare, è l’ultima volta che la tua faccia entra a far parte della mia vita. Sono venuta qui solo per non dispiacere mia madre e questo non ci rende né amici, né fratelli, né fidanzati né tantomeno amanti – pronuncio quell’ultima parola con disgusto.
- Non so cosa ti abbia fatto credere il contrario ma quello che hai detto il primo giorno che ci siamo visti era la pura verità: io ti odio. Ora più che mai. Non hai nessun diritto di metterti in mezzo ai miei affari, di qualunque natura essi siano, tanto più quelli privati.
Mi fermo per riprendere fiato e alzo una mano per indicare che non ho finito, anche se lui continua a fissarmi come se non capisse chi sono e non ha l’aria di uno che sta per ribattere. Meglio per lui perché sono capace di investirlo con la sua stessa macchina se fa un altro errore.
- Me ne infischio se sei solo, se sei straniero, se sei ricco, se sei bello, se abiti vicino a me. Me ne infischio anche se sei il nipote del papa o il figlio illegittimo del re di Inghilterra. Da questo momento, sta fuori dalla mia vita, Alex. Non voglio più sentirti, vederti o parlare di te in nessun modo che non sia il discorsetto obbligatorio al tuo funerale. Mi hai capita?
Ora che mi sono sfogata mi sento mille volte meglio. La testa ha affievolito quel pulsare diabolico ed è scomparso quel senso di oppressione dal petto.
Respiro affannosamente in attesa di una sua risposta, ma lui continua a fissarmi senza dire niente. Evidentemente Giulio deve avergliele suonate per bene per ridurlo così male. Sembra un deficiente. Anzi no, mi correggo. In effetti, il passo dal suo stato normale a quello di ebete è talmente breve, che non ci vuole certo Ercole per riuscirci.
- Quindi mi trovi bello – è la sua risposta, in tono asciutto e calmo, come se finora gli avessi parlato delle mie vacanze estive.
Io sono talmente spiazzata da una risposta del genere che resto lì a fissarlo, senza parole. Ma ha capito almeno una delle parole che gli ho detto?
- E’ bello che tu dica questo di me. E lo pensi di tutti quelli con cui vai a letto, oppure accetti anche persone brutte nel tuo letto? – mi domanda, sempre in quel tono tranquillo da chiacchierata davanti ad un caffè.
Ora sono più che spiazzata. Ora sono allibita. Mi sta dando della prostituta per caso?
- Be’ probabilmente dal tuo punto di vista siamo tutti belli se abbiamo i soldi per pagare la tua… generosità, se così possiamo definirla. O forse non ti interessano nemmeno i soldi… forse la tua è solo voglia di qualcuno che ti riscaldi il letto. È così?
Ora il suo tono è sfumato verso un incrocio di sarcastico e indispettito.
Questa è follia. Lui mi fa passare per una prostituta davanti a tutta la mia città, fa piangere mia madre, mi rovina la serata anche con Giulio… e lui è quello indispettito?
Intanto lui si alza lentamente e viene fuori dall’auto. Nella luce fioca delle lampade ancora accese nel parco mi sembra di cogliere una smorfia di dolore ma sono talmente scioccata dalle sue accuse che non ci faccio caso. Lui è indispettito. Ma guarda. Povero cucciolo.
- Sai qual è la cosa divertente? Io ti credevo diversa. Ho sempre pensato che le donne sanno fare solo un cosa nella vita e le ho sempre scansate per questo. Invece tu, con la tua finta morale, con la tua finta aria irraggiungibile, sembravi diversa. Sembravi migliore. Ti ho creduta tanto migliore delle altre che sono arrivato ad espormi con te… e tu meno di cinque minuti dopo già eri nelle braccia di quell’altro bamboccio…
Ora basta. Non me ne starò qui a farmi insultare da uno che avevo giurato costringere a scusarsi in ginocchio davanti a me. Eppure tutta la rabbia che provavo sembra essersi disciolta nel disprezzo, un disprezzo così totale e profondo da darmi allo stomaco.
Apro la bocca per spiegargli quanto mi faccia pena questa sua sfuriata ma non mi escono le parole, così mi volto scuotendo la testa e faccio un passo, intenzionata ad andarmene.
Lui però mi prende il braccio con tale forza che sono costretta a girarmi. Ora la sua faccia non ha più niente dell’ironia compassata di qualche secondo fa. Ora sembra furioso e… addolorato, mi viene da dire. Ma è assurdo. Un essere così non può nemmeno sapere cos’è il dolore.
- Non te ne andrai così facilmente, bellezza. Cos’è, fa male sentire la verità? Preferisci considerarti come una semplice ragazza che cerca compagnia?
Il suo tono è velenoso, quasi mi sembra di vedere del fumo verde uscire dalla sua bocca.
- Tu sei completamente pazzo, Alex. Non sai quello che dici. Evidentemente la botta in testa è stata forte. Lasciami andare ora e sparisci dalla mia vita. Non farti vedere mai più, nemmeno per scusarti – gli intimo glaciale, ma lui non muove un muscolo e non allenta la presa nemmeno di un millimetro.
- Credo che sia la prima cosa vera che dici da quando ti ho conosciuta. Sono pazzo. È l’unico motivo per cui potrei stare ancora così male dopo aver scoperto che razza di persona sei, Alexis.
- Ti ho detto lasciami.
Questa volta però la mia voce non ha nulla di glaciale. Sembra più una supplica che un ordine e forse è proprio di questo che si tratta. Le sue parole mi fanno male, il che è assurdo. So che sono fesserie e so che dovrei odiarlo, che dovrei fregarmene di quello che dice. Invece mi sento schifosamente male per ciò che sta dicendo. Mi sento tradita, offesa.
Lui non risponde e continua a fissarmi con quella strana espressione tra furore e dolore. Poi finalmente allenta la presa sul mio braccio senza smettere di guardarmi e io lo ritiro lentamente, massaggiando il punto in cui c’erano le sue dita, incapace di smettere di fissarlo a mia volta, chiedendomi chi è questa persona, cosa vuole da me. E soprattutto, perché mi fa così male la sua rabbia.
Dopo qualche secondo, lui si gira verso la sua macchina, la mano sullo sportello e resta lì, fermo in piedi. So che questo è il momento per fuggire via da questa assurda follia ma il mio cervello non reagisce minimamente. Continuo perciò a fissare la sua schiena, massaggiandomi ancora il braccio.
All’improvviso, come per un ripensamento, lo vedo girarsi di scatto, prendermi per le spalle e baciarmi. È un bacio violento, quasi disperato.
Ancora il mio cervello non reagisce, eppure quel contatto sembra accendere una miriade di interruttori dentro di me cancellando tutto quello che non riguarda la sensazione di quella bocca, di quelle mani, e istintivamente mi aggrappo a lui. Quella risposta sembra dare nuovo vigore a quella bocca affamata, a quelle mani indagatrici e mi ritrovo incapace di reagire in alcun modo, conscia solo del rumore dei nostri respiri affannosi e del battito dei nostri cuori.
- E’ così che ti ha baciata lui? – sussurra Alex in sussurro roco e rabbioso.
Quelle parole però sembrano penetrare nella nebbia del mio cervello. Finalmente riesco a spingerlo abbastanza forte da farlo indietreggiare, poi lo schiaffeggio con tutta la forza che ho.
Il suono dello schiaffo riecheggia secco nell’oscurità attorno a noi e per alcuni minuti sembra aleggiare nel silenzio che si è creato.
Io continuo a fissarlo furente, incapace di trovare parole che esprimano come mi sento in questo momento, mentre lui ricambia il mio sguardo con un’aria quasi disgustata.
Indietreggio lentamente per qualche passo, completamente scombussolata, poi senza dire una parola mi volto e me ne vado. Dopo qualche altro minuto sento lo sportello dell’auto chiudersi e il motore ruggire, quindi mi sfreccia accanto a una velocità incredibile. Probabilmente si ammazzerà, penso. Tanto meglio, mi risparmia la fatica.
Mentre torno a casa a piedi, mi concentro a fatica solo sui passi e sul mio respiro, costringendo la mia mente a scacciare il ricordo di tutta questa serata infinita. Non sono ancora pronta per elaborare quello che è successo. Ogni tanto mi viene da sorridere se penso alla scena che vedrebbe un passante se mi incrociasse: una bella ragazza vestita da sera, con dei tacchi vertiginosi, i capelli scompigliati, la gonna sporca di terra e l’aria di chi è reduce da una guerra. Che poi è esattamente come mi sento. Come se fossi appena stata in Vietnam e fossi tornata sconfitta.
Quando arrivo a casa fisso con orrore il portone, temendo di incrociarlo ancora, ma il palazzo è deserto. Faccio le scale, nonostante il dolore lancinante ai piedi, per ritardare ancora un po’ il momento in cui mi sarò messa a letto e la mia mente dispettosa avrà modo di pensare a questo inferno di giornata.
Non appena a casa vado dritta in bagno, mi spoglio, mi strucco e mi preparo per la notte, evitando con cura di riflettere sulla mia immagine riflessa nello specchio. Sembro sul serio tornata ora da una guerra ma non dal Vietnam. Una guerra del futuro, con le armi nucleari e i mostri cibernetici.
Mi stendo nel letto, sperando di addormentarmi prima di aver il tempo di ripensare a tutta la situazione. Ovviamente la sorte non è così buona con me. Eppure con mia grande sorpresa, non penso a stasera. Anzi, non penso affatto. È come se il mio cervello sia pieno di ovatta che impedisce il fluire dei pensieri. E va bene così. L’ovatta è sempre meglio dei pensieri.
  
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