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Autore: Louis_smile    17/03/2014    4 recensioni
"Caro diario,
esattamente una settimana fa ho deciso di abbandonare la scuola, di gettare la spugna, per paura di rivedere quei volti, di subire di nuovo tutti i loro 'trattamenti speciali', come li chiamano loro.
Oggi, però, le cose sono tornate come prima.."
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciao! Questa è la mia prima ff e spero vivamente che vi piaccia. Se vi va, lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate. :)
L'ho scritta con una mia amica. Date un'occhiata anche al suo profilo, ecco il link  --->
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2426166&i=1
                
Un'ultima cosa, leggete la storia con questa canzone di sottofondo. (metto qua sotto il link)
Buona lettura! :)     
                                             
 
Link della canzone
:  http://www.youtube.com/watch?v=1tGO1Y4FGpI
 
 
                                                                              PASSATO…
               


 




 
"7 Febbraio 2010.
 
 
Caro diario,
sono anni che ti tengo nel cassetto, senza averti mai usato: dal mio decimo compleanno, per l'esattezza.
Mi chiamo Emily, e ho 15 anni ormai.
Ti starai sicuramente chiedendo perchè ho deciso di tirarti fuori proprio ora..
Il motivo è molto semplice.
Sai, sto passando un momento brutto, molto brutto della mia vita.
Ti va se ti racconto di che si tratta?
A scuola sono presa di mira da tutti.
Sono vittima di violenza psico-fisica, e vengo odiata solo perchè non sono come tutte.
Mi sento diversa, mi fanno sentire diversa, a causa del fatto che a me piacciono le ragazze.
Ogni giorno un gruppo di miei compagni di scuola, mi circondano e mi insultano, e io non ne posso più. Giuro.
Vorrei solo piangere, ma non posso.
Vorrei parlarne con qualcuno, ma non so chi.
A casa non posso dire nulla, i miei non sanno della mia omosessualità.
Perchè? Beh, sono omofobi.
Come minimo mi rinchiuderebbero da qualche parte dandomi della malata mentale.
No, grazie, mi mancherebbe solo questo per farmi toccare il fondo.
Da ora in poi mi sfogherò un po' con te, ti spiace?
So che mi ascolterai senza giudicarmi, ed è proprio questo di cui ho bisogno: non essere giudicata.
E' buffo come l'unica cosa che in questo momento sia in grado di aiutarmi sia un oggetto inanimato, vero? Non un amico, non un parente.
Le mie amiche mi hanno abbandonata tutte, per paura che potessi "contagiarle", come se si trattasse di una malattia.
Nonostante la sua indifferenza durante quei momenti in cui bisogno, non riesco a mandar via Alec, il mio migliore amico.
Quando mi circondano per picchiarmi, lui resta sempre in un angolo a guardare, senza far nulla.
Non capisco se stia cominciando ad odiarmi anche lui, o se si tratti di semplice paura, fatto sta che io adesso mi sento più sola che mai.
Vedi, lui, però, è l'unico a scuola che continua a parlarmi. E gliene sono grata.
Non posso chiudere con lui, non posso. A quel punto non avrei, davvero, più nessuno.
Nella mia classe, per esempio, ieri mi hanno fatto trovare il mio banco accanto alla cattedra, lontano da tutti gli altri.
A terra, una linea tracciata con un pennarello indelebile, delimitava il territorio in cui dovevo stare, e sia sul banco che sulla sedia, con lo stesso pennarello, la scritta "GAY" non passava di certo inosservata.
Quando entro in classe vedo Alec che, con un tovagliolino di carta bagnato, cerca di cancellare almeno le scritte.
Scappo in bagno, lasciando cadere lo zaino sulla soglia dell'aula.
Al mio ritorno, lo trovo, vuoto, sul mio banco, e il suo contenuto dentro il cestino ai piedi della lavagna.
Ho trascorso tutta la mattinata lì, isolata.
Ormai non mi hanno più esclusa solo moralmente, ma anche fisicamente.
Alla ricreazione Alec mi si avvicina, << Emy, ignorali. E' solo un periodo, vedrai che passerà. Devono solo trovare un scoop più interessante
che gli faccia dimenticare della tua omosessualità. >> mi dice.
Non posso credere alle mie orecchie. Come mi aveva chiamata?
<< E così sono solo uno scoop?! La notizia più succulenta dell'intero istituto?? Bene, vi darò io un argomento più interessante di cui parlare: la mia morte. >>
Ovviamente non intendo farlo davvero, ma in quel momento è stata la prima cosa che mi è venuta in mente.
Alec non prende sul serio le mie parole, mai. E, infatti, nemmeno stavolta lo ha fatto.
Sono sconvolta per ciò che mi ha detto il mio amico, così, terminato l'intervallo, chiamo mio padre per farmi venire a prendere, fingendo di star male.
Ho paura che lui possa entrare in classe e vedere il mio banco e la mia nuova postazione, così, quando la bidella ci avvisa del suo arrivo, scappo fuori dalla classe col libretto e la penna, per fargli firmare il permesso.
In pochi minuti sono finalmente fuori di lì: il mio inferno personale.
 
 
 
10 Febbraio 2010.
 
 
Non ne posso più!
Voglio cambiare scuola, e oggi ne parlo con mamma e papà.
Devo solo trovare una motivazione valida che non vada a toccare la mia sessualità e tutti gli attacchi di bullismo a cui vengo sottoposta per questo.
Come quello di oggi, ad esempio.
In ricreazione, dei ragazzi più grandi, mi hanno legata al pilastro del canestro da basket, e nel frattempo mi hanno bagnata dalla testa ai piedi.
Alcuni, con dei palloncini pieni d'acqua, che hanno lanciato addosso a me facendo a gara a chi riusciva a colpirmi meglio e a bagnarmi di più, altri con la pompa che i bidelli usano per tenere pulito il cortile.
Delle ragazze, invece, hanno pensato di svuotare i secchi per lavare a terra sulla mia testa, facendomi cadere l'acqua dalle finestre dei piani superiori.
Stavo morendo di freddo, l'acqua era gelida, soprattutto se consideriamo che siamo ancora a Febbraio, e non sono riuscita a trattenere le lacrime.
Non stavolta.
Nessun professore, nessun bidello, nessun segretario ha visto mai nulla. Nessuno. Mai.
Suonata la campanella, è stato Alec a slegarmi.
Come se non bastasse, il professore di matematica, l'ora dopo, mi rimprovera perchè sono entrata in classe bagnando a terra << Qualcuno potrebbe scivolare, e farsi male, signorina Tyler, ci ha pensato? >> mi dice, e tutti i miei compagni iniziano a ridere di nascosto.
Loro sanno cosa è successo.
<< Mi scusi, signore. >> bisbiglio con gli occhi lucidi e la testa bassa. Ci mancava solo quest'altra umiliazione.
Vado a sedermi al mio posto, e i miei compagni dietro iniziano a dirsi tra loro frasi poco carine sul mio conto.
Il mio banco, che insieme alla sedia è stato sostituito, è tornato in mezzo agli altri.
Eppure, loro non hanno ancora smesso di 'marchiarmi'.
Non c'è giorno che io, uscendo da scuola, non tolga un biglietto da dietro la schiena con scritto "LESBICA", "GAY", "DIVERSA" o altri insulti così.
Qualche volta me lo scrivono pure a penna sui maglioni e io sono costretta a tornare a casa senza, pur di non farlo vedere ai miei, fingendo di averlo tolto per il caldo e di averlo perso.
Dicono che alla mia età, la vita, dovrebbe essere bella e spensierata, che un giorno, da grande, vorrò tornare indietro per rivivere ogni secondo della mia adolescenza.
Quello che vedo io, però, è tutto il contrario di quello che mi è sempre stato descritto da tutti gli adulti che ricordano con malinconia gli anni della loro pubertà.
Molte volte mi capita di affrontare l'argomento con i miei genitori, come oggi a tavola.
<< Facciamo pure a cambio, se volete, anzi. >> concludo quasi sempre così la discussione e loro non hanno mai capito che dietro il mio tono ironico, si nasconde una disperata voglia di passare oltre, saltare questa fase della mia vita e raggiungere direttamente l'età adulta.
Mi ignorano, come ogni volta che non sanno cosa rispondere.
Decido di cambiare argomento, è inutile insistere: << Comunque voglio cambiare scuola. >> dico diretta, con tono deciso.
<< Come mai questa decisione drastica, tesoro? >> mi chiede mia madre, mentre mio padre mi guarda da sopra il giornale che stava leggendo.
<< Odio la mia classe, mamma, non sono riuscita a legare con nessuno. Non andiamo d'accordo. Punto. Non c'è un motivo particolare. >> provo a tirar fuori l'argomento 'scuola', pensando, ingenuamente, di riuscire a convincerli.
Quello che ottengo, infatti, sono solo scarsi, scarsissimi risultati.
<< Andiamo, Emy, forse sei tu che sei troppo timida. Perchè non inviti qualcuno a casa? Così fate amicizia. >> mi propone mia madre.
Cosa?! Invitare qualcuno di quei mostri a casa mia? Assolutamente no.
Escludendo il fatto che io non li voglio nel mio ambiente personale, nella mia vita, ma poi l'unico motivo per cui loro potrebbero accettare, sarebbe quello, eventualmente, di rendermi la vita un inferno pure qui.
<< Ehm.. magari un'altra volta, okay ma'? Grazie, comunque. >> sorrido forzatamente, << Vado a studiare. >>, mi alzo e vado in camera mia.
Per fortuna non si sono  soffermati troppo sul fatto che fossi tornata a casa tutta bagnata, così quando gli dico che abbiamo solo giocato ai gavettoni d'acqua con i compagni, se la bevono e non fanno altre domande.
Prendo il telefono: 79 messaggi.
Li scorro velocemente e vedo che sono tutti insulti per me.
Tutti tranne uno. Il messaggio di Alec.
'Emy, mi dispiace per oggi. Posso fare qualcosa per te?'
Seleziono l'opzione per rispondergli, 'Se volevi fare qualcosa, potevi pensarci stamattina. Ormai non c'è nulla da fare. Grazie lo stesso.'
Mi stendo sul letto e chiudo gli occhi, cercando di non pensare all'orrenda mattinata che ho trascorso.
Mi suona il telefonino: il mio "migliore amico" - che potevo definire anche come unico amico - ha risposto al mio messaggio.
'Hai ragione, scusa, ma non sapevo che fare.. Ti va di uscire così ti distrai un po'?'
'Nel caso in cui non te ne fossi accorto, oggi ho preso un bel po' di acqua gelida addosso. Ne ho abbastanza, per oggi, di freddo. Sarà per
un'altra volta.'
Non mi risponde più, forse ha capito che non sono dell'umore giusto.
Mi è venuto mal di testa, così mi alzo dal letto, e mi asciugo i capelli prima di mettermi a studiare.
 
 
 
16 Febbraio 2010.
 
 
Basta, basta, basta!
Non ne posso più di essere picchiata.. fa male, da morire.
Per fortuna mi hanno sempre colpita sul petto, sulla pancia o sulle gambe, e non sulla faccia: altrimenti come avrei nascosto i lividi? Come li avrei giustificati ai miei genitori?
Oggi mi hanno aspettata all'uscita da scuola.
Quando li vedo, dal portone principale, so già quali sono i loro intenti, così decido di rientrare per scappare dalla palestra. Quando mi giro per tornare dentro, due ragazzi dell'ultimo anno mi ostruiscono il passaggio e mi costringono a scendere quelle maledette scale che mi hanno
portata direttamente nelle mani dei miei 'esecutori'.
<< Che cosa volete? Basta, vi prego. >> imploro con un filo di voce in gola.
Nessuno mi risponde.
Noto che questa volta ci sono solo ragazzi, ad aspettarmi, e la cosa mi stupisce, perchè di solito ci sono sempre 4 o 5 oche che assecondano i 'giochi' dei maschi.
Stavolta invece no.
Solo ragazzi. Solo ragazzi, che hanno sulle labbra un sorriso più inquietante del solito.
Si guardano con sguardo complice, e al minimo cenno del più grande, uno dei suoi cinque scagnozzi, mi trascina per i capelli, costringendomi a seguirli dietro il cortile, ormai deserto, della scuola.
Aprono la porta del ripostiglio dove i bidelli tengono scope, detersivi e tutto il materiale che serve loro per lavorare.
Inizio a tremare quando l'ultimo ad entrare si chiude la porta alle spalle, girando addirittura la chiave nella serratura.
<< Cosa volete da me? >> ripeto, terrorizzata.
<< Vogliamo farti divertire. Farti vedere cosa ti perdi, preferendo le ragazze. >> mi risponde il più grande, accarezzandomi il collo.
Chiudo gli occhi. Voglio solo scappare. Piangere e andare a casa mia.
Istintivamente sposto la testa per evitare il suo tocco, e lui se ne accorge.
<< Lo so che non ti piace essere toccata da un ragazzo, ma per questa volta devi giocare con me. >>  scoppia a ridere, e dopo di lui, tutti i suoi amici.
Quando riapro gli occhi, pochi secondi dopo, lui ha già abbassato i pantaloni e i boxer.
Rabbrividisco a quella vista, e richiudo di scatto gli occhi.
In un attimo mi tira dai capelli e mi costringe ad accogliere in bocca il suo membro.
Non ce la faccio più, e scoppio a piangere, strizzando gli occhi fino a farmi male, mentre lui continua a guidare i miei movimenti su di lui.
Prego con tutte le mie forze che si tratti solo di un brutto, bruttissimo sogno, ma purtroppo so bene che non è così.
Cerco di scappare, ma i suoi amici mi stanno trattenendo dalle braccia, costringendomi a stare in ginocchio davanti al loro 'boss'.
A turno, approfittano di me tutti e sei i ragazzi, che, una volta soddisfatti della loro...tortura, mi lasciano da sola, con la mia vergogna,
sdraiata a terra a piangere come una disperata.
Non ho mai pianto tanto prima d'ora, e non ho nemmeno la forza di alzarmi da terra per andare via.
Alla fine, la paura che quei mostri possano tornare di nuovo, mi sprona ad alzarmi e a correre verso casa.
Al mio arrivo, per fortuna non c'è ancora nessuno.
Non ho fame, quindi non mangio, e mi metto direttamente a letto, fingendo di dormire.
I miei genitori, vedendomi a letto, non mi avrebbero disturbata, così non avrei dovuto raccontar loro quanto "fantastica e piena di cose interessanti fosse stata la mia mattinata a scuola".
Ovviamente sto dormendo per finta: in realtà sto scrivendo su di te, caro diario.
Non entrerò mai più in quella scuola. Mi vergogno troppo anche solo per avvicinarmi a quell'istituto.
Tralasciando il fatto che io lo odio con tutta me stessa.
Odio le pareti, spettatrici silenziose della mia guerra personale.
Odio i bagni, custodi dei miei pianti più disperati.
Odio tutto lo staff, professori, bidelli, segretari e tutti gli altri, omertosi figli di puttana che non hanno mai fatto nulla per me.
Odio i miei compagni, di classe e non, protagonisti principali dei miei incubi peggiori.
E da oggi odio anche quel maledetto ripostiglio, scenario di uno dei momenti più brutti della mia vita.
Assolutamente no.
Io lì dentro non ci metto più piede, mai più. Con o senza il permesso dei miei.
 
 
 
23 Febbraio 2010.
 
 
Caro diario,
esattamente una settimana fa ho deciso di abbandonare la scuola, di gettare la spugna, per paura di rivedere quei volti, di subire di nuovo tutti i loro 'trattamenti speciali', come li chiamano loro.
Oggi, però, le cose sono tornate come prima..
Dopo scuola, Alec è venuto a farmi un po' di compagnia, ma alcuni ragazzi dell'ultimo anno lo hanno seguito.
Quando lui è andato via, Joseph, il più grande di tutti, suona al campanello di casa mia, e io, ignara di tutto, vado ad aprire.
Rimango pietrificata, appena lo vedo. Non posso credere ai miei occhi.
Come ha fatto a trovarmi?
Con un cenno del capo, chiama a sé tutti i suoi amici, e insieme entrano in casa, senza darmi nemmeno modo di replicare.
Accade tutto in fretta.
Io urlo di uscire, loro ridono come iene.
Le loro risate squillanti riecheggiano nella mia mente. Non riesco a liberarmene.
Joseph prende qualcosa dalla tasca, ma non capisco cosa.
I suoi amici mi prendono dalle braccia e mi trattengono ferma.
Finalmente riconosco l'oggetto tra le sue mani.
Inizia a passarmi la macchinetta per i capelli su tutta la testa, rasandomi a zero.
Poi, come se non bastasse, prende il solito pennarello indelebile, e scrive a caratteri cubitali la parola 'GAY', proprio lì, sulla mia testa.
Scappano via di corsa, per paura che possano arrivare i miei e vederli.
Piango come non ho mai fatto prima.
Adesso nemmeno casa mia è un posto sicuro per me.
E i capelli? Come li giustifico ai miei genitori?
Non avrò mai il coraggio di uscire così.
Ripenso alle parole che qualche settimana fa avevo detto al mio amico: "Vi darò io un argomento più interessante di cui parlare: la mia morte."
Comincio a pensare che questa sia davvero la soluzione migliore, la risposta a tutti i miei problemi, e più mi guardo allo specchio, più me ne convinco.
Sono arrivata al limite.
Prendo carta e penna, e scrivo i miei ultimi saluti a mia madre e mio padre.
 
"Cari mamma e papà,
vi prego di perdonarmi per il dolore che vi ho causato.
Perdonatemi per essere stata così debole.
Perdonatemi per non essere stata la figlia che voi avreste voluto, e che meritavate.
Perdonatemi per essere stata sempre una delusione.
Ma soprattutto, perdonatemi per essere sempre stata me.
Sono così fiera di voi, come genitori, infatti il problema sono io.
Sono la pecora nera della famiglia.
La mela marcia del cesto.
E vado eliminata, prima che possa rovinare anche voi, i fiori più belli del campo.
Non avrei mai voluto abbandonarvi, ma so che è meglio così, per tutti.
Resterò sempre con voi, nei vostri ricordi, nei vostri cuori.
Vivrò in voi, nelle vostre parole, nei vostri sorrisi, nelle vostre lacrime.
Vivete, e io sarò viva con voi.
Vi amo con tutto il cuore e anche di più,
Per sempre vostra figlia,
Emy.
 
PS: mamma, ti prego, di' ad Alec che gli voglio tanto bene, e che gli sarò grata a vita.
Lui capirà."
 
Ho perso il controllo delle mie lacrime. Ormai vedo tutto appannato. Mi asciugo gli occhi con la manica del pullover e mi alzo dalla scrivania.
Sono in bagno.
Sto per commettere il primo e ultimo gesto estremo della mia vita.
Addio caro diario. E' stato bellissimo parlare con te.
Grazie di cuore."
 
 
 
Emily chiuse il diario, amico fidato di quei mesi di fuoco.
Teneva stretto in una mano la lettera per i suoi genitori, mentre con l'altra cercava nel mobiletto del bagno una delle lamette di suo padre.
La trovò.
Per qualche minuto la fissò immobile. Le mani tremanti. Il cuore a mille. La paura si percepiva nell'aria. Era titubante.
Poi...
Poi alzò lo sguardo, e si vide riflessa nello specchio.
Strizzò gli occhi, come se si vergognasse di sé stessa, e ritrovò la sicurezza che aveva perso mentre salutava i genitori.
Alzò la manica del maglione, e iniziò a tagliare in profondità, in senso verticale.
Un solo taglio, ma fatale.
Il sangue scorreva rapido.
Emily lo sentiva scivolare sul polso, poi sulla mano. Poteva sentirne il calore.
Le girava la testa, fortissimo. E iniziava a vedere nuovamente sfocato, ma stavolta non era solo colpa delle lacrime.
Cadde a terra, priva di forze e di sensi. Il foglio ancora tra le sue mani. Il diario a terra, accanto a lei. Non l'aveva lasciata
sola nemmeno all'ultimo, proprio come un vecchio e caro amico.
In pochi minuti, quella bellissima ragazza, salutò la sua vita terrena e si avviò verso un posto migliore, riacquisendo il suo normale aspetto fisico: lunghi capelli biondi e mossi, gli occhi avevano ripreso il loro colore naturale, un limpido azzurro cielo,
perdendo quell'alone rossastro, sinonimo di lunghi e continui pianti, per troppo tempo passati inosservati.
Le labbra rosee e morbide, non più violacee e screpolate.
Il viso emanava un luce bianca e splendente: Emily era diventata un angelo, un bellissimo angelo. E nessuno poteva più farle del male.
Pochi minuti dopo, tornarono i genitori.
La cercarono per tutta la casa, chiamandola a squarciagola, senza mai ottenere alcuna risposta.
La madre aprì la porta del bagno, e trovò la sua bambina a terra, priva di sensi, riversa sul suo stesso sangue.
Iniziò ad urlare, chiamando il nome della figlia, e nel frattempo accorse anche il marito.
Chiamarono l'ambulanza, che in pochi minuti arrivò.
La scuotevano, la bagnavano, facevano di tutto per rianimarla. Ma ormai era troppo tardi.
I genitori non avevo nemmeno notato che la figlia non aveva più i capelli, perchè per loro sarebbe sempre stata bellissima.
Mentre la sollevavano per metterla sulla barella, cadde dalla sua mano il foglio di carta dove lei aveva scritto le sue ultime parole per i genitori.
La madre lo raccolse e lesse.
Scoppiò a piangere mentre lo passava al marito, che dopo averlo letto, reagì colpendo ripetutamente il muro con un pugno.
Passarono un paio di giorni, arrivò il giorno del funerale, ma nessuno aveva capito il perchè di questo gesto. Nessuno, o quasi.
C'erano tutti i suoi parenti, e anche qualcuno della scuola.
Non poteva mancare Alec, al quale la madre aveva recapitato il messaggio di Emy.
Tra tutta quella folla, si sentivano le urla, i pianti disperati della signora Tyler, che pensava di aver perso per sempre sua figlia.
Invece lei non sapeva che proprio in quel momento, Emily era lì con lei e la stava abbracciando.
La bara era bianca, simbolo di purezza, come sarebbe piaciuto a lei. Sopra, la sua foto faceva sfigurare anche i fiori più belli, di cui la cassa era completamente coperta.
Il funerale era ormai finito, e tutti stavano facendo le condoglianze ai parenti più stretti, mentre andavano via.
La madre, immobile, pietrificata, davanti alla tomba della figlia. Non riusciva a smettere di guardare il suo sorriso, e a domandarsi dove avesse sbagliato.
Non avevano ancora letto il suo diario... altrimenti avrebbero capito tutti.
 
Ormai sono passati anni da quel tragico momento, eppure i signori Tyler non hanno mai smesso di andare a trovare la figlia.
Le parlano come se fosse viva, proprio come aveva chiesto lei nel suo biglietto.
Ogni giorno la tomba era pulita e piena di fiori freschi e profumati, anche quando non andavano i genitori.
Nessuno seppe mai che il gruppo di ragazzi che a scuola la torturava, andava ogni giorno da lei per chiederle scusa, anche se ormai era troppo tardi. Si sentivano responsabili e terribilmente in colpa.
Soprattutto Joseph, che in una delle sue solite visite alla dolce ragazzina, le confidò di essere gay anche lui.
Nel frattempo, l'angelo Emily, continuava a stare al fianco dei suoi genitori, proprio come aveva promesso.

 
  
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