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Autore: 1rebeccam    17/03/2014    15 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 24
 

 
L’ascensore non gli è mai sembrato così claustrofobico.
Man mano che il pannello dei numeri s’illumina verso l’alto, sente una stretta allo stomaco che gli toglie il respiro. Cerca di fare mente locale per riuscire a capire se ha mai affrontato niente di più difficile in tutta la sua vita, ma il cervello non riesce a concentrarsi per dargli una risposta positiva. Il silenzio li ha avvolti d’improvviso e anche Kate sembra persa nei suoi pensieri, con le labbra strette e gli occhi bassi.
Tende di poco il braccio ed apre la mano, senza voltarsi o spostare lo sguardo, fisso sui piani che scorrono veloci. Kate si riscuote e, senza guardarlo nemmeno lei, intreccia le dita alle sue. Solo allora lui sospira, come a voler rilassare i muscoli e la tensione nervosa.
Il campanello li sorprende mano nella mano. Si guardano per un istante, in cui lei gli fa un cenno impercettibile con la testa per dirgli, ancora una volta, che è la cosa giusta da fare e si avviano alla porta.
Quando la apre, si ritrova immerso in quell’atmosfera intima e familiare che ama. Ogni volta che torna a casa e vede la testa rossa della sua zucca si sente scaldare il cuore, in quel momento invece, il suo cuore è un cuscinetto punta spilli.
C’è roba sparsa un po’ ovunque e gli viene da sorridere, Alexis è così impegnata a cercare di chiudere una valigia troppo piena che non si accorge di loro.
-Oh… finalmente avete trovato un minuto anche per noi!-
Esclama Martha dalla cucina, solo allora Alexis solleva la testa e sorride.
-Papà! Finalmente!-
Lascia perdere la valigia, che si riapre di colpo lasciando uscire il superfluo e va loro incontro.
-Oggi non ci siamo sentiti per niente. So che avrei dovuto chiamarti, ma ho avuto una marea di cose da fare e poi ho un problema con il telefono, è come se fosse fuori servizio. Ho cercato di chiamare il gestore, ma non ho linea completamente e…-
Si ferma all’improvviso quando si accorge del cerotto sulla sua fronte, cosa che nota anche Martha.
-Richard, cos’hai fatto alla testa?-
Alexis si avvicina sfiorando il cerotto con un dito, gli solleva i capelli e nota anche la parte violacea intorno.
-Papà cosa ti è successo?-
Lui le prende la mano e gliela bacia.
-Non è niente, solo un paio di punti.-
-Va bene, ti hanno dato solo un paio di punti, ma perché? Sei caduto? Hai sbattuto contro qualcosa?-
Lui scuote la testa e si avvicina al divano chiedendo loro tacitamente di sedersi.
-Ha a che fare con il caso che stiamo seguendo.-
-Ti sei messo in mezzo ad un’azione di polizia e questo è il risultato!-
Esclama Martha interrompendolo e lui sbuffa.
-Ti prego mamma, se m’interrompi non lo dirò mai… è già così difficile!-
Alexis guarda Kate, rimasta in disparte e poi torna su Rick.
-Cosa è difficile papà?-
Castle si porta le mani ai capelli e fa un paio di passi avanti e indietro cercando di mantenere la calma. Sente le mani tremare e la testa vuota. Per quanto si sforzi non riesce a trovare il modo di dire quello che gli sta succedendo.
-Tutto… è tutto così difficile… così insensato…-
Continua a gesticolare con le mani, mentre Alexis e Martha lo guardano a bocca aperta, sempre più preoccupate. Sente un tocco sulle spalle, si volta e si ritrova la mano di Kate sul viso.
Non gli dice niente, lo guarda soltanto. Punta gli occhi dentro i suoi e lui sospira, poggiando la fronte sulla sua.
Alexis prende istintivamente la mano della nonna, percependo una strana sensazione allo stomaco.
-Papà, Kate… che sta succedendo? Così ci spaventate… che dobbiamo sapere di così terribile?-
Sussurra con un nodo in gola. Kate continua a guardarlo e lui annuisce, si siede sul divano accanto ad Alexis e le prende la mano che tiene stretta a quella di Martha.
-Vi ricordate l’uomo che ha fatto saltare in aria l’appartamento di Beckett qualche anno fa?-
Le due rosse annuiscono entrambe e Alexis guarda Kate.
-Scott Dunn!?-
-Ti ricordi perfino il nome?-
Le chiede Rick e lei annuisce.
-E chi se lo dimentica. Quella sera eri seduto qui a guardare le foto e se non ti fosse venuta quella folgorazione sul fatto che era mancino, ora lei sarebbe morta.-
Dice facendo un cenno verso Kate, lui annuisce e Alexis si sporge in avanti sul divano.
-Ma cosa c’entra questo con il caso e la ferita che hai alla testa? Quell’uomo è in prigione!-
Castle scuote la testa e china lo sguardo.
-Non sappiamo ancora come, ma è riuscito ad evadere e ha ricominciato ad uccidere…-
Solleva lo sguardo su Kate e sospira.
-…ancora nel nome di Nikki Heat e di quel maledetto libro!-
Dice in un sibilo tra i denti. Alexis s’irrigidisce e Martha si porta la mano alla bocca sgranando gli occhi.
-E’ tornato per vendicarsi? E’ questo che stai cercando di dire Richard? Che la ferita alla testa è opera sua?-
Rick deglutisce annuendo.
-Ha assassinato quelle ragazze per sfidarci, sia me che Beckett. Erano dei messaggi diretti a noi.-
Le due donne aspettano immobili ed in silenzio che continui, percependo la tempesta che sta per abbattersi su di loro.
-Stamattina, mentre eravamo sul luogo dell’ultimo omicidio, mi è arrivato un tuo messaggio.-
Dice rivolto alla figlia che scuote la testa energicamente.
-Io non ti ho mandato nessun messaggio!-
Lui la ferma alzando la mano.
-Nel messaggio mi chiedevi di raggiungerti al più presto alla Columbia, perché mancava una mia firma nei documenti necessari per la tua partenza. Ho lasciato Kate a continuare le indagini ed ho preso un taxi per venire da te…-
Sospira pesantemente passando lo sguardo da Martha ad Alexis.
-…ma era una trappola di Dunn. Una volta sul taxi, mi ha portato in un posto isolato e mi ha aggredito iniettandomi della droga e colpendomi alla testa.-
-Oh buon Dio, Richard!-
Esclama Martha soffocando un urlo e Alexis corruccia la fronte.
-Il messaggio l’ha mandato lui? Come!?-
Chiede piano quasi a se stessa e poi sgrana gli occhi.
-Ha clonato il mio numero?-
Castle annuisce, constatando per l’ennesima volta quanto possa essere sveglia sua figlia e a come anche lei abbia il piglio investigativo.
-Per questo non riesci ad usare il telefono, Ryan ha provveduto a fare disattivare la tua sim, per non avere altri problemi.-
-Ma come ha fatto? Come sapeva della Columbia e del mio viaggio? Ci tiene d’occhio, siamo in pericolo papà? E’ questo che ti è  difficile dirci?-
Lui scuote la testa e le stringe ancora le mani.
-Siete sotto sorveglianza da stamattina, voi non siete in pericolo… tranquille!-
-Allora se noi siamo al sicuro cosa c’è di così difficile che devi dirci? La ferita alla testa è più grave di quanto dici?-
Alexis sente salire le lacrime agli occhi senza spiegarsi il perché, sa solo che ha una gran voglia di piangere senza motivo e lui si sente sprofondare.
-Il problema non è la ferita. Dalle analisi che mi hanno fatto in ospedale, hanno scoperto che oltre alla droga mi ha iniettato un’altra sostanza…-
Le guarda dritte negli occhi mentre si sente pugnalare dal loro sguardo.
-…mi ha avvelenato!-
Sussurra così piano che ha paura di non essere riuscito a farsi sentire, ma si rende conto del contrario quando entrambe irrigidiscono la stretta alle sue mani e spalancano la bocca incredule.
-E’… è una cosa assurda!-
Esclama Martha sgranando gli occhi.
-Che vuol dire che ti ha avvelenato? Con cosa? E perché?-
-Sta giocando mamma. Sta sfidando Nikki e l’uomo che l’ha aiutata ad arrestarlo.-
Alexis stringe la mascella e guarda Kate, rimasta in silenzio, in piedi accanto a loro.
-Sta giocando! Lui sta giocando con la tua vita papà? Che tipo di veleno è? Che cura ti stanno facendo?-
Non le ha lasciato le mani un solo istante da quando ha cominciato a raccontare e adesso gliele stringe ancora più forte.
-E’ una tossina sconosciuta, probabilmente studiata in un laboratorio, che agisce in maniera lenta e per avere una cura occorre conoscere la formula esatta della composizione.-
-Che significa questo Richard!?-
Chiede Martha passandosi la mano sulla fronte.
-Significa che potrebbero volerci settimane per trovare la formula esatta e fare l’antidoto!-
Risponde secca Alexis mentre Rick la guarda a bocca aperta.
-Perché ti stupisci papà? I tuoi soldi per i miei studi sono ben spesi, le lezioni di chimica e il mio tirocinio all’obitorio sono stati preziosi. E’ così, giusto? Cercheranno di trovare una cura, ma ci vorrà del tempo… e di solito i veleni non ne lasciano molto!-
Conclude sussurrando e posando lo sguardo a terra.
-Scott Dunn ha il veleno allo stato puro, l’intero distretto lo sta cercando, lo troveremo e avremo l’antidoto.-
Le dice Rick cercando di essere convincente soprattutto con se stesso, ma lei alza lo sguardo di colpo guardandolo dritto negli occhi.
-La tua vita dipende da una caccia al tesoro? Hai detto che agisce lentamente. Quanto lentamente? Quanto tempo avete per dargli la caccia?-
Ecco la domanda a cui non poteva e non voleva rispondere. Guarda Kate per farsi coraggio, uno sguardo che non sfugge né a Martha, né ad Alexis, che digrigna ancora la mascella.
-Un paio di giorni circa…-
Dice alla fine Rick, stanco di quella discussione, provato dalla paura che vede negli occhi di sua madre e della rabbia che si sta impossessando di sua figlia.
-Un paio di giorni?-
Ripete Martha lentamente.
-Vuoi dire che se non trovate questo pazzo criminale entro un paio di giorni…-
-Sto morendo mamma!-
Sussurra Rick chiudendo gli occhi, incredulo di averlo detto davvero.
Martha resta pietrificata, mentre Alexis lo guarda con l’espressione dura e gli occhi pieni di lacrime.
-Com’è potuto succedere?-
Sposta lo sguardo su Kate con la stessa espressione.
-Come hai potuto permettere che si arrivasse a questo?-
-Calmati Alexis!-
La implora Rick, ma lei lascia le sue mani di scatto e si alza in piedi.
-Hai promesso che non ti saresti mai messo in pericolo… me lo avevi promesso papà…-
Castle deglutisce, cercando di non dar retta alla fitta che gli sta stritolando lo stomaco. 
-…hai detto che Beckett non avrebbe permesso che tu fossi in pericolo.-
Guarda ancora Kate con gli occhi infuocati, stringendo i pugni.
Eccola la rabbia che si aspettava, quella rabbia che avrebbe distrutto definitivamente la poca fiducia che Alexis dimostrava ancora per lei.
-Dov’eri tu quando è successo? Dove diavolo eri tu, quando quel pazzo lo ha rapito!?-
Rick si alza con difficoltà, cerca di prenderle la mano, ma lei si divincola.
-Non toccarmi papà… non mi toccare!-
Guarda ancora Kate e le lacrime si liberano sul suo viso.
-Dov’eri tu quando dovevi proteggerlo!? Non c’eri, come ogni volta che ha avuto bisogno di te…-
Grida con la voce incrinata dai singhiozzi, per poi correre nella sua stanza sbattendo la porta.
Rick si china in avanti portandosi la mano allo stomaco, le fitte sono più forti, Martha lo aiuta a sedersi sul divano con gli occhi sbarrati dalla paura e Kate s’inginocchia davanti a lui.
-Prendo la medicina in macchina!-
Gli dice accarezzandogli il viso, ma lui scuote la testa.
-Non credo sia il veleno, penso più ad un attacco di bile.-
Dice chiudendo gli occhi e respirando a fatica, mentre Martha corre in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Lui la beve avidamente e si lascia andare sulla spalliera del divano. Respira freneticamente davanti a sua madre che non riesce a proferire parola e ha lo sguardo sempre più terrorizzato.
-Devo parlarle…-
Comincia a dire facendo la mossa di volersi alzare, ma Kate gli mette una mano sul petto per fermarlo.
-Permetti che lo faccia io?-
I suoi occhi sono determinati e Rick non crede di essere capace di sopportare una discussione con Alexis immediatamente, così non può fare a meno di annuire, guardando sua madre.
-Anche tu vuoi scappare via per il dolore che vi sto procurando?-
Martha si siede accanto a lui e gli prende il viso tra le mani.
-E’ scioccata quanto me Richard! E’ normale che reagisca così, ha paura! Va da lei Kate… io resto qui a fare quattro chiacchiere con mio figlio.-
Esclama la donna con le lacrime agli occhi.
 
Beckett sale i gradini con calma, ogni passo che l’avvicina alla stanza di Alexis è come un macigno che si deposita sul suo cuore. Ha sbattuto la porta così forte che è rimasta socchiusa per il rimbalzo. La intravede dalla fessura, seduta sul letto, con le spalle ricurve.
Sospira. Apre completamente la porta e resta a guardarla ancora un attimo. Capisce che Alexis si è accorta di lei, perché la vede irrigidirsi e smettere di singhiozzare.
-Lo so che ce l’hai con me…-
Le dice facendo un paio di passi dentro la stanza e lei solleva la testa senza voltarsi.
-Sai sempre tutto tu, non è vero?-
Risponde tra i denti, solo allora si gira a guardarla.
-E tu? Tu ce l’hai con te? O la cosa non ti tocca?-
La voce di Alexis è una lama affilata che la trafigge, corruga la fronte per cercare di mettere insieme i sentimenti che prova al momento ed esternarli a lei, perché capisca che ora deve pensare solo a suo padre.
-Certo che mi sento in colpa. So benissimo che se tuo padre non mi avesse mai incontrata ora non sarebbe in pericolo, ma so anche che farmi sopraffare da questo non lo aiuterà.-
Alexis scuote la testa e riporta lo sguardo davanti a sé, voltandole di nuovo le spalle.
-Quando stamattina il medico ci ha detto cosa stava succedendo, ho perso la capacità di pensare, la razionalità di agire e lui se n’è accorto subito e sai cos’ha fatto?-
Percorre velocemente il metro di distanza che la separa dalla ragazza e le si mette davanti, anche se Alexis non alza lo sguardo verso di lei.
-Mi ha detto che il mio sentirmi in colpa non gli serviva a niente. Mi ha detto che la Kate disperata non gli serviva a niente. Mi ha detto che aveva bisogno di un poliziotto in gamba che trovasse Dunn e gli salvasse la vita.-
Alexis si tortura le mani e respira velocemente cercando di mantenere la calma.
-Già! Ha messo di nuovo la sua vita nelle tue mani…-
Risponde carica di rabbia, ed ecco che la lama affonda con più forza. Sospira e si siede sul letto accanto a lei.
-Hai tutte le ragioni di avercela con me, di darmi la colpa… solo non è il momento. Non voleva nemmeno dirtelo, voleva che  partissi per l’Europa senza che sapessi nulla per non vederti soffrire.-
Alexis finalmente si gira a guardarla.
-Lo avrebbe fatto davvero? Mi avrebbe fatta partire?-
-Non voleva vedere il dolore e la rabbia nei tuoi occhi. Non vuole che tu lo veda soffrire o…-
Chiude gli occhi sollevando la testa all’indietro, come se questo movimento potesse impedire alle lacrime di uscire.
-…o che tu lo veda morire!-
Finisce in un sussurro. Si gira a guardarla anche lei e resta persa in quelle iridi dello stesso colore azzurro del suo cielo.
-Alexis, qualunque cosa tra me e te dovrà aspettare. Adesso Rick ha bisogno di te, del tuo affetto e del tuo sostegno. La rabbia, la frustrazione, l’odio… tienili da parte per quando questa storia sarà finita!-
La ragazza scuote la testa.
-E come finirà?-
Gli occhi le si riempiono di lacrime, mentre continua a tormentarsi le mani.
-Un paio di giorni! A mio padre restano poco più di un paio di giorni di vita… come finirà?-
Kate china la testa sospirando.
-Non lo so!-
Risponde in un sussurro e ad Alexis scappa un sorriso amaro.
-Almeno in questo caso sei sincera!-
-Sono realista…-
Risponde con una punta di rabbia, alzandosi in piedi, non riuscendo a capire l’allusione sull’essere sincera.
-…è così che devo essere se voglio trovare Scott Dunn e salvare la vita a Rick. Dimentica me adesso e pensa solo a tuo padre. Va da lui e fagli sentire il tuo amore, perché è più preoccupato della tua disperazione che della sua vita. Ti chiedo solo questo Alexis, ne ha un bisogno immenso.-
Senza aggiungere altro si avvia alla porta.
-Mio padre ti ama Kate!-
La voce di Alexis la blocca proprio un passo prima di uscire. Si volta a guardarla, ma lei è sempre seduta e di spalle.
-Ti ama… più della sua vita, lo sai?-
Kate corruccia la fronte continuando a non capire i telegrammi di Alexis, che finalmente si alza e si volta verso di lei. L’espressione da ragazzina che aveva visto appena entrata, mentre litigava con la valigia, si è trasformata in quella di una giovane donna, consapevole di quello che ha nel cuore.
-Quel giorno al funerale del capitano Montgomery non ha pensato per un solo istante che quel proiettile potesse colpire lui, si è semplicemente buttato addosso a te per salvarti e quando ha fallito si è sentito in colpa.-
China lo sguardo e sospira.
-Forse la stessa insensata colpa che senti tu adesso.-
Kate continua a guardarla in silenzio.
-Lui sarebbe morto per te. Ti ha detto che ti amava e tu… tu hai continuato per la tua strada senza curarti di lui.-
Scandisce ogni parola lentamente, per essere sicura che lei capisca.
-Il tuo fidanzato lo ha picchiato in ospedale, urlandogli in faccia che era colpa sua e lui ha assorbito il colpo, non si è nemmeno difeso perché è così che si sentiva. In colpa!-
Kate spalanca gli occhi senza riuscire a parlare e lei scuote la testa.
-Non lo sapevi? Non te lo ha detto? Certo che no, se te lo avesse detto avresti sofferto e non sia mai che tu soffra… meglio che soffrano solo gli altri!-
Alexis stringe i pugni e fa una smorfia con le labbra.
-Ti ha detto di amarti e tu che cos’hai fatto? Sei sparita! Lo hai lasciato ad aspettarti. Certo non pretendo di sapere cosa significhi avere un proiettile nel petto, ma tu non hai preteso di sapere cos’ha significato tutto questo per lui!-
Kate deglutisce e abbassa lo sguardo. Alexis aveva capito tutto. Nella confusione, nella paura di quei momenti concitati, dopo che le avevano sparato, lei aveva capito tutto.
-Lo hai lasciato qui ad aspettare. Lo sai quante ore ha passato seduto sul divano al buio a guardare il telefono sperando che squillasse? Lo sai quante volte gli ho chiesto, fingendo di non capire, cosa lo faceva soffrire? E lui mai una parola, mai… solo per difenderti. Ha sempre messo la sua vita nelle tue mani Beckett e tu che hai fatto? Niente… lo hai fatto aspettare come sempre, tenendolo sulla corda e appena hai schioccato le dita, tutto è ricominciato.-
Sospira sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.
-Quando ha ricominciato a venire al distretto gli ho chiesto se era questo che voleva, se gli bastava e lui ha risposto di si… gli bastava Kate! Gli bastava solo averti vicina e nient’altro.-
Si avvicina di un paio di passi.
-Ora state insieme e, contrariamente a quello che puoi pensare tu, io sono contenta. Ti ho sempre stimato e voluto bene Kate. Ho sempre pensato che quella strana chimica magnetica tra di voi gli facesse bene, perché mio padre è cambiato in meglio vicino a te. Ma dopo quel giorno al cimitero si è rotto qualcosa in me, dopo aver visto la sofferenza di mio padre per causa tua, non sono più riuscita a fidarmi di te.-
Sospira pesantemente, rilassa le mani e la  guarda dritto negli occhi.
-Ora io ti chiedo: tu lo ami? Tu ami mio padre nello stesso modo in cui lui ama te? Oppure alla prima occasione scapperai di nuovo? E’ una domanda lecita la mia. Io conosco mio padre, le altre storie gli hanno lasciato l’amaro in bocca, ma ne è sempre venuto fuori. Tu sei diversa, tu hai scalfito la parte vera del suo cuore, quella che non mostrava mai a nessuno. Sei più pericolosa di quel veleno per lui… tu lo distruggeresti!-
Kate è ammutolita, ha ascoltato ogni parola di Alexis senza quasi respirare. La verità sui suoi anni vicino a Rick le si presenta davanti come la canna di una pistola puntata alla tempia.
-Te lo chiedo di nuovo Kate, indipendentemente da quello che sta succedendo adesso. Tu lo ami come lui ama te? Sei disposta a tutto per lui?-
Kate continua a non rispondere. Quante volte, da quando si è finalmente lasciata andare ascoltando il cuore, si è posta queste domande? Quante volte ha avuto paura di quel sentimento che non riesce ancora ad esprimere, ma di cui sa di non poter più fare a meno? Alexis ha guardato tutto da lontano, percependo ogni cosa, capendo i sentimenti del padre e le paure di entrambi e adesso sta chiedendo semplicemente una certezza.
Per proteggerlo.
Solleva lo sguardo. Alexis ha smesso di piangere e i suoi occhi mostrano solo dolore e non più rabbia. Il suo sguardo è pieno d’orgoglio per il padre e Kate si sente scaldare il cuore per il modo in cui si preoccupa per lui. Anche lei mostrerebbe gli artigli per proteggere Jim.
La guarda un attimo negli occhi e si siede pesantemente sul letto, cosa che fa anche la ragazza, sistemandosi proprio accanto a lei.
-Non ho mai creduto nell’amore eterno, quello sublime, quello che ti raccontano le favole o i film strappalacrime. Quando ero ragazzina forse, quando ancora era facile tenere il cuore aperto a tutti e tutto. Quando ogni cosa era una novità ed una sfida contro il mondo. Poi la vita prende un’altra strada e capisci che, anche quando il sentimento può essere eterno, succede sempre qualcosa che lo distrugge.-
Solleva lo sguardo sulla finestra davanti a lei e osserva il cielo nero che sferza scrosci d’acqua con rabbia.
-Proprio il giorno prima del mio ferimento, tuo padre ha cercato di farmi capire quanto fossi importante per lui, quanto sarebbe stato bello lasciarsi andare e voltare pagina, lontano dal dolore e dal rimpianto per la morte di mia madre. Mi ha rinfacciato che restavo imprigionata in relazioni senza senso e senza futuro perché era più facile lasciare la porta aperta…-
Scuote la testa e deglutisce.
-…ha sempre saputo che ad un certo punto scappo!-
Riporta lo sguardo su Alexis che la osserva seria ed in silenzio.
-E’ vero. Ho sentito le sue parole quel giorno, parole che mi hanno permesso di non arrendermi, ma che nello stesso tempo mi hanno terrorizzata. Ho fatto finta di non ricordare e mi sono allontanata consapevole di fargli del male, non immaginavo però che si fosse riflesso tutto anche su di te.-
I lampi dal cielo squarciano la penombra della stanza, mentre la pioggia batte incessante sul vetro della finestra.
-Sono stata egoista Alexis e non so come farti capire che non avevo altra scelta. Stavo sprofondando, gli ultimi eventi mi avevano devastata e l’unica cosa che desideravo era perdermi tra le sue braccia… ma non potevo. Dovevo risalire da sola, dovevo rimettere insieme i pezzi da sola o avrei rovinato anche lui.-
Sospira guardandosi distrattamente le mani.
-Dovevo allontanarmi Alexis… dovevo! Non ho mai contato su nessun altro che me stessa da quando mia madre è morta e ammettere di avere bisogno di lui, di volerlo accanto a me in quel momento ci avrebbe distrutti entrambi,  perché non ero pronta, non ero in grado di darmi a qualcuno come meritava lui e alla fine lo avrei perso. Così è stato più facile farlo soffrire.- 
Si alza e si avvicina alla finestra, un lampo le illumina il volto, mentre le lacrime prendono strada sulle sue guance.
-Perché stare con Castle significava tenere i piedi ben saldi dentro la porta. Dentro o fuori, senza possibilità di scelta e questo implicava mettere in discussione il cuore e i sentimenti. Mettere in discussione ancora la mia vita in funzione di qualcun altro.-
Appoggia le mani al vetro della finestra come a voler toccare la pioggia e la voce le s’incrina per un attimo.
-Ho cercato in ogni modo di cambiare, di scrollarmi di dosso tutte le paure che mi frenavano evitandomi di vivere appieno la mia vita… sono stata in analisi per questo…-
Si sofferma un momento e sente contorcersi lo stomaco.
-Questo non lo sapevo!-
Esclama Alexis stupita e lei scuote la testa.
-Non lo sapeva nessuno… ma l’ho fatto proprio per distruggere quel muro che mi teneva lontana dalla mia vita. Ho sempre pensato che reprimendo i sentimenti, quali che fossero, il cuore si sarebbe assopito, ma funzionava solo con quelle relazioni senza senso.-
Continua a guardare la pioggia che cade incessante.
-Ma con tuo padre non ha funzionato. Ci ho provato ad allontanarlo, per le mie paure e anche perché standomi vicino era costantemente in pericolo. Ma non ci sono riuscita, il cuore mi ha fregata in pieno e ha avuto il sopravvento sulla razionalità… l’ho capito il giorno del tuo diploma, quando mi ha detto che non sarebbe rimasto a guardare mentre rischiavo ancora di farmi ammazzare.-
Scuote la testa e si volta a guardare la giovane donna dai capelli rossi.
-Non è stata la paura della morte. Ho capito cosa volevo nel momento in cui la mano che mi ha salvata non era quella di tuo padre… e lì sono crollati tutti i muri. Non mi piace più tornare a casa da sola, non m’importa niente dei miei spazi e la mia vita non è solo mia… non so quando è successo, ma adesso penso alla ‘nostra’ vita.-
La guarda seria per un paio di secondi, poi sospira.
-Mi hai fatto una domanda prima. E la risposta è che io amo tuo padre. Non so se lo amo più di quanto lui ami me, non so quantificare i sentimenti che sento, so solo che dipendo da lui… dipendo da un suo sguardo, da un suo sorriso, dalle sue teorie strampalate. Dipendo dal suo modo di essere geloso, dalle sue manie protettive nei tuoi confronti, dai suoi esperimenti gastronomici terribili…-
Sposta lo sguardo sul cuscino di Alexis e lo sfiora sorridendo.
-…dipendo anche dall’odore che lascia sul cuscino accanto al mio.-
La guarda ancora e nota un piccolo sorriso sulle sue labbra.
-Io amo tuo padre, più della mia vita, lo amo… e il solo pensiero di quello che sta passando adesso e di quello che dovrà sopportare nelle prossime ore mi uccide.-
Scuote la testa energicamente asciugandosi a forza le lacrime.
-Vorrei poter tornare indietro e capire, dare retta alle mie sensazioni e al presentimento avuto a causa dell’orologio rotto…-
Alexis corruccia la fronte avendo perso il senso del discorso, ma lei non se ne accorge e continua imperterrita.
-…avrei dovuto uccidere Dunn tre anni fa e avrei dovuto essere più cauta e non mettere Rick in pericolo. Continuo a ripetermi che troverò Dunn, che gli darò la caccia fino allo sfinimento, che troverò quel maledetto veleno e salverò la sua vita, ma la verità è che non so come finirà… non so se riuscirò a salvarlo, ed io…-
-Ehi…-
Quel sussurro la riscuote e si rende conto che Alexis ha messo la mano sulla sua per fermare quel monologo che sta raccontando più a se stessa che a lei. Solleva lo sguardo e, tra le lacrime, non riesce a decifrare la sua espressione. Ha come l’impressione che la guardi con tenerezza.
-Mi dispiace Alexis. So che una volta persa la fiducia in una persona è difficile recuperarla, ma vorrei almeno che credessi a quello che sento adesso, alla sincerità del mio amore per tuo padre.-
Alexis le stringe la mano e sorride.
-Ti credo! Gli occhi sono lo specchio dell’anima ed in questo momento ho visto finalmente quello che vede mio padre nei tuoi.-
Kate china lo sguardo sulle loro mani strette e sorride.
-Gli occhi! A volte ci guardiamo senza parlare, ma è come se ci dicessimo un miliardo di cose…-
Alexis annuisce e solleva le spalle.
- L’avete sempre fatto, non è mica una novità!-
Sorridono insieme, sempre con le mani intrecciate.
-Sai Kate, avremmo dovuto fare questa discussione molto tempo prima e se non è successo è stato anche per colpa mia. Dopo quei tre mesi mi sono chiusa a riccio verso di te, forse per proteggermi anch’io dalla tua lontanza.-
Kate la guarda corrucciando la fronte.
-Sei mancata anche a me… ho pensato tante volte di chiamarti, di sputarti in faccia come stava male lui per te e poi mandarti al diavolo!-
-E perché non l’hai fatto? Ti avrebbe fatto sentire sicuramente meglio.-
Alexis china lo sguardo.
-Perché non erano affari miei. Quando papà è tornato al distretto ho deciso che non mi sarei più lasciata andare con te e ora che vi siete messi insieme, ti ho tenuta d’occhio anche per lui… invece avremmo dovuto parlare.-
-Se potessi trasferirei quel veleno nel mio corpo… ma non posso…-
-Lo so Kate… adesso lo so! Mi sono fatta prendere dalla rabbia e sopraffare dalla paura, ma non posso colpevolizzarti per un assassino che vi ha preso di mira e vi vuole morti entrambi. Volevo solo essere sicura che non ti saresti tirata indietro in questa storia con lui. Adesso so che è così!-
Si alza sospirando, si sente più leggera per la discussione appena avuta con Kate, ma sente un peso sul cuore che le fa salire ancora le lacrime agli occhi.
-Salva mio padre Kate!-
Sussurra guardando le gocce di pioggia scivolare sul vetro della finestra.
-Morirei per salvarlo Alexis!-
Risponde lei con lo stesso sussurro prendendole la mano, ma inaspettatamente Alexis le butta le braccia al collo. Kate la stringe a sé, sentendola tremare. Chiude gli occhi e torna indietro di parecchi anni, quando ragazzina abbracciava sua madre per sentirsi al sicuro.
Sospira, si scosta di poco da lei e le mette la mano sul viso.
-Va da lui… ha bisogno di sapere che non sei arrabbiata.-
-Si andiamo, o penserà che ci siamo uccise a vicenda!-
Risponde Alexis, prendendole ancora la mano.
-Non pensi sia meglio che gli parli da sola?-
-Penso che adesso gli serva il supporto della sua famiglia… di tutta la sua famiglia!-
 
-Che succederà Richard?-
Martha lo guarda con gli occhi lucidi, tenendogli il viso tra le mani e Rick gliele prende tra le sue, stringendole con forza.
-Richard parlami. Voglio sapere cosa ci aspetta, voglio essere pronta!-
Deglutisce cercando il suo sguardo, perso in ogni angolo della stanza, tranne che sul suo viso.
-Guardami Richard… ti prego…-
Lui sospira pesantemente e finalmente inchioda lo sguardo al suo.
-Che vuoi che succeda? Il veleno colpirà lentamente le mie funzioni vitali e…-
Non finisce la frase e si gira a guardare verso le scale. Lascia le mani di sua madre e si appoggia di peso alla spalliera del divano. La stanchezza comincia a farsi sentire e non ha voglia di lasciarsi sopraffare. Ha sentito le voci di Alexis e Kate senza riuscire a capire cosa si dicessero, a causa anche dei tuoni e del rumore incessante della pioggia, ma adesso dal piano di sopra non si sente proprio niente e questo lo preoccupa ancora di più. Il pensiero che stiano litigando gli fa  male.
Si passa le mani sul viso e torna a guardare Martha.
-Posso girarti la domanda di prima mamma?-
La donna corruccia la fronte e Rick le prende di nuovo le mani.
-Che succederà!?-
Martha sposta lo sguardo verso il pavimento, stringendo le labbra come a voler mettere ordine dentro la sua testa.
-Succederà che affronteremo anche questa… insieme.-
Riporta lo sguardo sul figlio e gli mette una mano su viso.
-Abbiamo affrontato momenti belli e momenti brutti nella vita noi due. Quando eri piccolo i momenti belli erano pochi, chi ci vede adesso non può capire cosa siamo realmente tu ed io. Un mondo… ecco cosa siamo stati e cosa siamo ancora adesso. Un mondo immenso di sentimenti, fantasia, forza, fragilità, gioie, dolori e paure, fatto solo di te e di me. Quante volte un tuo sorriso ha reso splendida una mia giornata di pioggia e quante volte una mia follia, giudicata poco idonea per un ragazzino, ti ha dato il coraggio di buttarti nella mischia e combattere.-
Solleva le spalle e scuote la mano davanti al suo viso.
-D’accordo! A volte tornavi a casa acciaccato, ma che importanza aveva… è così che si diventa uomini…-
Rick sorride e lei gli posa ancora la mano sul viso, seria stavolta e con gli occhi lucidi.
-Ce la faremo anche adesso, affronteremo tutto insieme ancora una volta. Anche se stavolta…-
China lo sguardo per non mostrargli la prima lacrima che le solca il viso e lui la stringe a sé.
-…anche se stavolta sarà davvero dura!-
Conclude Martha soffocando la voce contro la sua spalla.
Restano in silenzio qualche secondo, poi Martha scioglie l’abbraccio e Rick si volta ancora a guardare verso il piano di sopra.
-Non preoccuparti Richard!-
-Come faccio a non preoccuparmi? Perché non scendono? L’ultima cosa che volevo è che le cose tra Alexis e Kate andassero male. Non posso pensare che se la prenda con lei per questo. Devo trovare il modo di farle capire…-
Lascia la frase a metà, quando nota il sorriso sulle labbra di sua madre mentre guarda verso la scala.
-Forse lo ha già capito!-
Esclama facendo segno alle sue spalle.
Alexis sta scendendo mano nella mano con Kate e sembra tranquilla. Quando si accorge che Rick la sta guardando, si fionda verso di lui, abbracciandolo.
-Scusa la mia sfuriata papà… mi dispiace.-
Lui scuote la testa, guardando Kate che annuisce per fargli capire che è tutto a posto.
-Scusami tu tesoro. Lo so che hai paura, ho paura anch’io, ma ne verremo fuori.-
La scosta da sé per guardarla negli occhi preoccupato.
-Tesoro ascolta, vorrei tanto che tu e Kate…-
Lei scuote la testa e lo blocca.
-Io e Kate abbiamo parlato un po’, ci siamo chiarite su certi punti e ci siamo tolte i sassolini dentro le scarpe che ci facevano male. Va tutto bene papà… ora pensiamo solo a te.-
Gli sorride, Rick guarda Kate e Alexis segue il suo sguardo.
-Tranquilla… sono in ottime mani!-
Esclama senza distogliere lo sguardo dalla donna, ferma ancora sulle scale e Alexis guarda Martha sorridendo dell’espressione dolce con cui si fissano.
Sospira in modo teatrale per attirare la sua attenzione.
-Sai una cosa papà? Il giorno che un uomo mi guarderà come tu guardi Kate, potrai contorcerti dalla gelosia quanto vuoi, perché tanto io lo seguirò ovunque!-
Castle la guarda stranito, arriva al senso della frase poco dopo e contrariamente a quanto potessero pensare, lui non risponde con nessuna battuta di gelosia, si limita soltanto a sorridere e a guardare ancora Kate che si è avvicinata a loro.
-Lo accetterò soltanto se anche tu guarderai lui, come lei guarda me!-
Gli occhi della ragazza sono lucidi e annuisce abbassando lo sguardo.
-Quel giorno tu... devi esserci papà!-
L’abbraccia stretto e Rick chiude gli occhi appoggiando il mento sui suoi capelli, mentre il cellulare di Kate avverte che le è arrivato un messaggio.
-Abbiamo il mandato!-
Dice rimettendo il telefono nella tasca dei pantaloni.
-La Gates c’è riuscita! Accidenti, avrei dato la Ferrari per vedere la scena.-
Esclama Rick e Kate scuote la testa mettendosi il cappotto.
-Perché non resti qui? Ti riposi e mangi qualcosa, ne hai bisogno. Quando finisco alla prigione passo a prenderti per andare al prossimo controllo.-
-E perdermi la faccia cattiva del detective Beckett, mentre se la prende con il direttore del carcere e mette sottosopra l’amministrazione? Nahhh!-
Torna serio guardando Kate.
-Ho bisogno di un attimo...-
Si dirige verso il suo studio e mentre chiude la porta, fa capolino con la testa.
-Non andartene, mi raccomando.-
Dice rivolto a Kate che annuisce corrucciando la fronte.
Si siede alla scrivania e resta a guardare un foglio bianco.
Per scrivere tutto quello che sente nel cuore avrebbe bisogno di tutta la vita, ma al momento 'tutta la sua vita' si riduce a poche ore. Sospira, prende la stilografica e con un'insolita calma, riempie entranbe le facciate del foglio. In pochi minuti mette nero su bianco tutti quei pensieri e sentimenti che avrebbe voluto esprimere in futuro.
Sospira ancora, guarda davanti a sé la porta chiusa che lo separa dalle donne che ama di più al mondo e pensa, angosciato, a quel futuro che qualcuno si sta prendendo la briga di portargli via.
Piega il foglio in quattro e se lo mette in tasca. Apre il primo cassetto, prende un piccolo astuccio e poi si dirige alle sue spalle, mettendosi davanti alla stampa della scala che sovrasta tutta la stanza. Senza guardare e a colpo sicuro, trova quello che cerca dietro la cornice, chiude il pugno ed esce di corsa per non perdere altro tempo.
-Volevo dartelo all'aeroporto.-
Dice ad Alexis porgendole l'astuccio.
-Sai, una scena tipo film strappalacrime, mentre sventolo il fazzoletto bianco per salutare la mia bambina che se ne va lontana da me!-
Alexis scuote la testa sorridendo e lui solleva le spalle, aprendo l'astuccio tra le mani della figlia.
-Indossalo comunque.-
Le dice prendendo il braccialetto dentro lo scatolo e facendola scoppiare a ridere.
-Papà... ma... sono zucche!-
Gli dice facendo ridere anche Martha e Kate, vedendo i ciondoli a forma di zucca che dondolano dalla catenina in oro bianco.
-Certo! Sarai anche diventata grande, ma dovrai ricordarti sempre di essere la mia zucca ovunque ti troverai!-
Alexis gli butta le braccia al collo e lui la stringe forte a sé, baciandole la fronte.
-Devo andare… lo capisci?-
La ragazza annuisce e gli dà un bacio sulla guancia. Lo accompagna alla porta, scambiando uno sguardo d’intesa con Kate, che annuisce, come a rassicurarle che farà di tutto per avere l’antidoto.
-Andrà tutto bene tesoro.-
Le sussurra Riack attorcigliando le dita alle sue, mentre l'altra mano scivola nella tasca, facendo cadere una minuscola chiave dorata accanto a quel foglio che parla di lui, dei suoi segreti e del suo cuore pieno d'angoscia.
 
 
I lampi s'insinuavano tra i rami facendo apparire la grande quercia quasi spettrale.
L'acqua incessante staccava la neve a pezzi dalle foglie, sciogliendola immediatamente prima che potesse toccare terra.
Il giorno che si era ritrovato libero dalla sua colpa, solo, con tutti i suoi averi dentro un unico zaino, si era ripromesso che non sarebbe tornato mai più indietro. Aveva chiuso con il vecchio quartiere, il vecchio appartamento e soprattutto con le vecchie abitudini che l'avevano imprigionato, prima nella sua stessa vita e poi all'interno di quella cella che lo aveva distrutto.
Si era incamminato verso l'opposto che era stata la sua vita fino ad un anno prima, nessuno avrebbe saputo più niente di lui e lui non voleva più sapere niente del mondo.
Si era ritrovato di colpo davanti a quella grande quercia e si era stupito, perchè era difficile trovare un esemplare così grande e rigoglioso a New York.
Era rimasto a guardare i rami che si sporgevano verso l'alto, come braccia che chiedono aiuto ad un cielo che, però, non ascoltava niente e nessuno. Aveva abbassato lo sguardo sul tronco enorme, si era avvicinato e lo aveva accarezzato con cura e attenzione, sentendo sotto le dita la ruvidezza del legno e delle spaccature prodotte dal tempo e dalle intemperie.
Non ricorda quanto tempo fosse rimasto lì ad ammirare la quercia, ricorda solo che si era sentito al sicuro per la prima volta dopo mesi, come se i suoi rami enormi e le sue foglie fitte, potessero proteggerlo da quel mondo in cui si sentiva un estraneo. Solo dopo si era accorto del cartello 'affittasi' e solo allora aveva notato la casa, nascosta alla vista della strada, dal grande albero.
Un'ora dopo il proprietario della casa, elogiava la bellezza della finitura della carta da parati e dell'arredo, mostrando il soggiorno, le due camere da letto e il cortile sul retro.
Lui però guardava  fuori dalla finestra e con un sorriso estasiato, continuava a fissare l'albero;  se avesse potuto avrebbe affittato soltanto quello, riparandosi tra le sue forti braccia. Si riscosse solo al tocco del proprietario, che sorridendo lo invitò a seguirlo nella cantina.
E fu lì che dimenticò per qualche istante la sua quercia.
Lì, in quell'enorme stanzone sotterraneo.
Lo immaginò d'improvviso con le pareti tinteggiate di bianco, un bancone circolare per quasi l'intero perimetro, sul quale vide sistemati i suoi strumenti, i suoi alambicchi, le sue lavagne completamente ricoperte delle sue formule magiche.
Eccola casa sua: una grande quercia che nascondeva e proteggeva il suo laboratorio dal mondo esterno.
Firmò il contratto di locazione, pagò in contanti la caparra e sei mesi anticipati di pigione, poteva permetterselo, aveva lavorato per anni e per anni non aveva mai speso niente per se stesso, tranne che per le sue ricerche e i suoi studi.
Adesso, dopo un anno da quel giorno, guardava la grande quercia sferzata dalla pioggia e illuminata dai lampi e, per la prima volta, quella protezione in cui aveva creduto, gli faceva paura.
Guardava al di là del tronco e non riusciva ad intravedere nulla a causa della pioggia. I rami stridevano tra loro spinti dal vento e lui non riusciva a vedere oltre la strada.
Sospirò, appoggiò le spalle al muro e strinse i pugni.
Chiuse gli occhi cercando di cancellare l'ombra che, la notte precedente, aveva visto riflessa dietro il grande tronco.
Un'ombra oscura, malvagia, che cercava lui...
Riaprì gli occhi e rimase a guardare Abraham, che cercava di sistemare l'anta di un mobile della cucina che cigolava.
Sorrise a quella vista.
Abraham era come quella grande quercia là fuori. A vederlo era piccolo e storpio, ma dentro al suo cuore era grande e forte come quei rami. La sua dignità, la sua lealtà, ogni sua espressione gli davano sicurezza e sensazione di casa e normalità.
Lo conosceva da anni, lavorava come tutto fare nella sua scuola e, nonostante fosse sempre gentile e premuroso con tutti, veniva trattato come un emarginato, solo per la sua malattia deformante. Sarà stato perchè anche lui si sentiva malato dentro, una malattia deformante che non lo guastava agli occhi della gente, ma solo alla vista di se stesso. Si sentiva solo e diverso, non riusciva a relazionarsi con i colleghi o con gli studenti, ma riusciva a parlare per ore con Abraham, stupendosi giorno dopo giorno del suo orgoglio e della sua sofferenza, fisica e morale. Fu allora che aveva deciso che avrebbe cercato di aiutarlo. Aveva studiato la sua malattia giorno e notte e alla fine era riuscito a sintetizzare delle proteine, che Abraham aveva preso fidandosi ciecamente di lui. La medicina aveva funzionato, dopo poche settimane Abrahm riusciva a camminare dritto e a svolgere il suo lavoro con meno sofferenza.
Era stato l'unico che gli aveva scritto ogni settimana in quell'anno orribile. Era stato l'unico che aveva ottenuto il permesso di andarlo a trovare, anche se solo una volta. Era stato l'unico che nonostante le sue colpe, non lo avesse abbandonato.
Adesso era ancora lì, a svolgere il suo lavoro in silenzio, senza giudicare, ma soffrendo per lui.
Sospirò pesantemente, sentendo la colpa ancora più incombente. Quello che aveva fatto era terribile, era complice di un killer, aveva le mani macchiate del sangue di quelle vittime perchè non era stato capace di avere coraggio e dire NO... e quello che gli pesava di più era sapere che Abraham sarebbe andato a fondo con lui.
Scosse la testa e si voltò di nuovo verso la finestra. La pioggia si stava calmando, i lampi erano lontani, così come il rombo dei tuoni, ma la quercia sembrava guardarlo ancora con rimprovero.
-Perchè non fa quello che le dice la coscienza?-
La mano di Abraham sulla spalla lo fece sussultare, si voltò di scatto, non riuscendo a capire le parole dell'amico, che si avvicinò alla finestra e rimase immobile a guardare l'albero.
-Porti quella formula alla polizia. Sa che è l'unica cosa giusta da fare!-
Il Professore s'irrigidì, mise la mano nella tasca dei pantaloni e strinse il foglio di carta che teneva nascosto.
-Se lo facessi... ci ucciderebbe...-
Abraham scosse la testa senza distogliere lo sguardo dalla quercia.
-Per tutta la notte ha fissato il grande albero, per tutta la notte ha avuto paura che dietro di esso si nascondesse il male...-
Si voltò a guardarlo e si portò la mano sul petto, all'altezza del cuore.
-...il male è già dentro questa casa. Professore, il male è la colpa che sente nel cuore, quella colpa che non la fa dormire... tutto questo ci ucciderà...-
Rimase a guardarlo dritto negli occhi, con un senso di speranza che gli fece brillare le iridi.
Il Professore si allontanò, prese il foglio che teneva nascosto nella tasca dei pantaloni e si avvicinò al camino acceso.
Abraham strinse i pugni, senza togliergli gli occhi di dosso.
Il Professore sentiva il suo sguardo su di sé, sapeva che lo stava trapassando da parte a parte, pregandolo in silenzio di non farlo.
Prese un lungo respiro e allungò la mano verso le fiamme.
Abraham digrignò la mascella.
-Non lo faccia Professore...-
Sussurrò pianissimo, avvicnandosi a lui, mentre sporgeva la mano stretta a pugno sul foglio di carta verso il camino.
Le fiamme illuminarono il suo viso e la mano si mosse, ma Abraham la ricoprì con la sua impedendogli di lasciare andare il foglio.
-Non lo faccia Professore!-
Sussurrò ancora una volta, tenendolo fermo e sperando che la sua fiducia fosse stata ancora una volta ben riposta, ma uno strattone lo fece vacillare. Non si apettava quella forza e, soprattutto, non si aspettava quello sguardo su di lui.
Il Professore si liberò della sua stretta con forza, aprì la mano e lasciò andare il foglio tra le fiamme.
Guardarono entrambi quel piccolo pezzo di carta annerirsi e distruggersi, poi il Professore tornò a guardarlo, con lo stesso sguardo di poco prima, con gli occhi carichi di risentimento.
-Non farlo mai più Abrahm! Non azzardarti mai più a mettere in dubbio le mie decisioni, quali che siano.-
L’uomo strinse i pugni e digrignò la mascella, senza distogliere lo sguardo.
-Prendi la tua roba Abraham. Non voglio che resti qui nemmeno un altro minuto. Io cerco di salvare la vita ad entrambi e tu mi giudichi… non lo sopporto… non da te…-
Abrahm non si mosse e il Professore gli voltò le spalle appoggiandosi al camino.
-Vattene! E non tornare finchè non sarai in grado di accettarmi… sennò puoi anche fare a meno di tornare!-
Il tono non ammetteva repliche. Abraham chiuse gli occhi, rilassò i pugni e sospirò.
Si mosse in silenzio, prese con sé solo la sua tracolla, giubbotto e cappello, si coprì per bene ed uscì.
Il Professore si avvicinò ancora alla finestra, guardò il suo fedele Abraham allontanarsi e sparire dietro il tronco della grande quercia. Annuì, ripetendo a se stesso ‘non tornare amico mio...’ poi si sedette sulla poltrona davanti al camino.
-Perdonami Abraham... almeno tu, perdonami!-


Angolo di Rebecca:

Altro capitolo lungo, ma impossibile da dividere.
Direi che Alexis ha messo bene in chiaro cosa le rodeva e Kate ha avuto la possibilità di chiarirsi con lei e di "ammettere" la verità con se stessa: ama Rick (certo che è dura di comprendonio!)
Martha è soltanto una mamma, ed è dolcissima *-*
Rick si è preso due minuti per sè, nel suo studio, ha messo in ordine le idee (almeno ci ha provato) e adesso è pronto a seguire la sua Kate.
Il Professore... beh! Lui si sente oppresso dal peso di quello ha fatto e a fare le spese è stato il povero Abraham!

Che altro dire? Solo grazie a tutte! *-*
 
  
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