Maledetti. Maledetti. Maledetti.
Siamo noi. I maledetti.
Siamo noi. I maledetti.
“Cosa ti ricordi?”
Dacché esiste la vita, esiste anche la morte e il suo veleno.
E io non sono né vita né morte. Ma ti trascino all’inferno.
Ed è un viaggio senza biglietto.
Non so se si possa nascere così.
Ma tu, che mi guardi con questi occhi spauriti, nascesti; anche se non te lo ricordi.
E visto che non lo ricordo, come te, raccontiamoci che una sorta di nascita l’abbia anche io.
Nacqui primavera. Mirto, o forse rovo.
E vengo per non portarti nulla di bello.
Queste mani come spine non recano doni né lusinghe. È finito il tempo degli scherzi. Ora vieni con me.
Fui, come sono la paura, la rabbia. Un po’ come trascorrono le ore.
Ore, ere; hanno lo stesso suono. E sono trascorse entrambe in silenzio.
Ma tu, se me lo chiedi sottovoce, devo rispondere; non mi ricordo niente.
Ho le mani piene delle loro urla, ma i miei occhi maledetti non sono compassione, né sanno piangerti.
“Cosa ti ricordi?”
E non cosa sai, cosa vedi.
Lo sai già.
Dimenticai tutto.
E forse non c’era nulla che io sapessi, che io imparassi.
Mi ricordo di te. Che ti fai trascinare senza ribellarti, e questo inferno intero si ghiaccia davanti a questi occhi. E le mie mani ti sorreggerebbero in eterno.
Ma non nacqui per nulla che fosse bello.
Ti guardo cadere, e non trattengo tra le mani né un ultimo grido, né negli occhi immagine di compianto.
Solo la tua voce.
Ho sentito “grazie”.
Ma a noi maledetti non dissero mai cos’era il vero.
Buonasera, sono la morte.
Giungo senza invito, ma non curartene, non avevi bisogno di saperlo.
Scrivo:
Questa storia è stata un piccolo parto doloroso. Ma andava scritta.
Ispirazione tratta da un post su Tumblr. Probabilmente in due righe quel post aveva espresso meglio quello che avevo capito e cercato di spiegare.
Comunque, ci ho provato.