Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: Helena Kanbara    18/03/2014    3 recensioni
Dal Prologo:
‘‘Ero nata e cresciuta ad Austin, ma non volevo più starci. Il Texas ormai mi andava stretto. Avevo sedici anni e tanta voglia di indipendenza. Se fossi stata fortunata, quella che stava per arrivare sarebbe stata la mia ultima estate laggiù.
Quello stesso inverno mi ero segnata volontaria per un corso di intercultura in California. Se solo qualche famiglia avesse deciso di adottarmi, sarei andata a stare lì per ben nove mesi. E mi sarei liberata almeno per un po’ di tempo della mia terra natale. Avrei frequentato il mio penultimo anno di liceo a Beacon Hills, una cittadina piccola e tranquilla.
[...]
A quel punto non potei far altro che chinarmi a raccogliere la lettera, aprendola in fretta e furia e leggendola con la curiosità che mi divorava. Fantastico. Una famiglia californiana aveva acconsentito ad ‘‘adottarmi’’ per nove mesi.
Gli Stilinski.’’
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sceriffo Stilinsky, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
N.B.: La 3B di Teen Wolf mi sta uccidendo lentamente, come penso un po’ a tutte, perciò anche solo pensare di scrivere riguardo ai ‘‘bei tempi’’ della 1S mi sembrava impossibile, tant’è che i lavori per questo nuovo capitolo sono stati fermi a lungo prima che potessi buttar giù qualcosa. Ad ogni modo ci ho provato e spero di non aver combinato casini, proprio come spero vi piacerà fare un tuffo nel passato e rinchiudervi con me, Harriet e Stiles, nella ‘‘felicità’’ dei vecchi tempi. Oggi filosofo, sì. Vabbè, comunque… buona lettura.

 
 
parachute
 

 
 

 
12. Who’s the Alpha?
 
 
«Harry, mi sto annoiando».
Non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo, mentre tuttavia trattenevo a malapena un sorrisino divertito – l’ennesimo. Poi cercai lo sguardo di Stiles, rivolgendogli un’occhiata interrogativa con tanto di sopracciglia sollevate.
«Lo so», stabilii a quel punto, parlando lentamente senza nessun motivo in particolare.
Forse c’entrava il fatto che improvvisamente Stiles sembrava essersi trasformato in un bambino capriccioso, ed ero convinta di dovermi applicare per fargli capire due parole in croce. Chissà.
«È tipo la centesima volta che lo dici, da quando siamo arrivati qui», continuai, senza mai interrompere il contatto visivo. «Non posso aiutarti se continui a ripetere sempre le stesse cose. Dimmi cosa vuoi fare e la facciamo». 
«Non lo so cosa voglio fare!», esclamò Stiles allora, mettendosi in piedi frettolosamente e mostrando finalmente tutto il nervosismo che fino a quel momento aveva nascosto quasi ad arte.
Non gli feci domande, comunque. Non mi mostrai preoccupata – anche se un po’ lo ero – né altro. Semplicemente me ne rimasi a guardarlo gironzolare per tutta la cucina mentre mi sorreggevo la testa con una mano. Sapevo che si sarebbe spiegato da solo. Aveva bisogno di confidarsi con qualcuno e glielo si leggeva in faccia. Personalmente, ero fiera del fatto che avesse scelto me.
«Sto morendo dalla curiosità, okay? Voglio scoprire cos’ha fatto Scott dopo scuola: se davvero è andato a chiedere aiuto a Derek o meno», mi spiegò, alzando la voce un po’ di più ogni minuto che passava. «E voglio anche sapere se ci sono sviluppi sul caso Mayers. Ma per quello avrei bisogno di mio padre e… indovina? Lui non è ancora ritornato da lavoro!».
«Ma tornerà presto», lo rassicurai, distogliendo finalmente lo sguardo dalla sua figura e spostandolo sul libro di filosofia aperto sempre sulla stessa pagina. «E per quanto riguarda Scott, puoi sempre chiamarlo».
«L’ho già fatto», rispose subito Stiles, un po’ più tranquillo mentre prendeva nuovamente posto a tavola di fronte a me. «Tredici volte». 
A quel punto risi, scuotendo la testa. Era un caso perso. Non avevo mai visto qualcuno che fosse almeno la metà curioso quanto lui. Feci anche per rispondergli, ma l’improvvisa suoneria del mio cellulare mi distrasse, e mi limitai semplicemente a mettermi in piedi mentre prendevo a cercarlo.
Quando finalmente lo trovai, nel fondo della mia borsa, ed ebbi occasione di leggere il display, scoprii che si trattasse di mia madre. Prima di rispondere, però, mi voltai ancora a guardare Stiles.
«È mia madre. Devo rispondere», gli spiegai, tranquilla. «Mi prometti che nel frattempo non ti fai venire un esaurimento nervoso?».
«Giurin giurello», mi rispose allora lui, subito, posando anche una mano sul cuore nella posa solenne.
A quel punto mi limitai a ridere ancora una volta, poi gli diedi le spalle e risposi finalmente al telefono.
«Ciao, mamma. Stai bene?», dissi, guardandomi intorno un po’ ansiosa mentre attendevo la risposta di Jenette.
Lei era pur sempre mia madre e la conoscevo come forse nessuno. Sapevo che stesse male, almeno un po’, e non potevo far altro che preoccuparmi. Lei tentava di nasconderlo ogni volta, ma con me non attaccava. Quel giorno ci provò nuovamente.
«Tu chiedi a me se io sto bene? Ma certo che sto bene. In fondo quella lontana da casa sei tu!», spiegò infatti, fingendo allegria e benessere.
«Te lo chiedo perché so che menti. Ti manco».
«Quello è naturale. Ma sto bene, davvero. Smettila di fare da mamma a me, okay? Non mi piace che ci scambiamo i ruoli».
A quel punto risi, scuotendo la testa mentre raggiungevo il divano. Ero stata seduta quasi tutta la mattina a scuola, tornata a casa mi ero seduta e adesso avevo bisogno di sdraiarmi. Ero proprio un’adolescente attiva, sì. Ad ogni modo, scacciai tutti quei pensieri inutili e mi limitai a prendere posto sul divano mentre mi arrotolavo una ciocca di capelli scuri intorno al dito e pensavo a cosa dire di adeguato.
Mia madre, comunque, mi tolse da quell’impiccio.
«Qui va tutto bene, davvero», mi rassicurò, apparentemente sincera. «Cassandra mi aiuta tantissimo e anche Adam mi sta più vicino del solito».
Quasi sobbalzai nel sentir di nuovo pronunciato dopo quelli che mi erano sembrati secoli, il nome dell’uomo col quale mia madre aveva una relazione da quattro anni. Adam Key era un compagno straordinario e fin da subito era riuscito a conquistare il cuore di Jenette. Lui e mia madre avevano una relazione che tuttavia non si decidevano ad ufficializzare: credo anche perché alla fin fine stavano bene così, e si poteva dire benissimo altrettanto di me e mia sorella Cassandra. Avevamo accettato Adam anche noi.
«Sono felice per te, davvero», mi decisi a dire ad un certo punto, parlando a voce bassa. «Anche qui va tutto a meraviglia. Non mi lamento, anche se mi mancate».
«Anche tu».
Jenny mi fece presente ancora una volta i suoi sentimenti molto simili ai miei e dopo quelle due parole cademmo nuovamente in un silenzio carico di doppi significati. Avremmo voluto dirci moltissime cose, ma farlo attraverso la cornetta di un telefono ci frenava. Volente o nolente, la mia mamma era distante, e non c’era niente che potessi fare per impedirmi di star male.
Ci limitammo entrambe a stare chiuse nei nostri pensieri per ancora un po’ di tempo, poi – quando finalmente mi decisi a parlare di nuovo – capii che al contrario il destino aveva in serbo per me piani ben differenti. Non appena sentii trillare il campanello di casa, infatti, scattai in piedi.
«Mamma, hanno suonato alla porta. Devo andare, scusami», mormorai, quasi senza nemmeno sapere perché. «Ci sentiamo presto, okay? Ti richiamo io».
Poi continuai a dirigermi verso la porta d’ingresso, grata per quell’improvvisa distrazione. Rischiavo di finire in un baratro di pensieri tristi e non mi ci voleva. Misi da parte il mio cellulare, alzando poi la voce per parlare a Stiles. Stranamente, non l’avevo sentito agitarsi quanto me di fronte all’idea di una visita.
«Stiles, vado io!», esclamai, già vicina alla meta. «Sono sicura che è tuo padre! Avrà dimenticato le chiav…».
Continuai a parlare a voce alta con Stiles anche mentre aprivo la porta d’ingresso, ma non riuscii a terminare la mia frase. Di fronte a me non c’era affatto il signor Stilinski.
 
Concentrai tutta la mia attenzione sul rumore che le ruote della Jeep emisero poco prima di fermarsi, esattamente di fronte al cancello – chiuso – della Beacon Hills High School. Preferivo pensare a cose stupide come quella quando erano quasi le due di notte ed io, Stiles e Scott ci ritrovavamo coinvolti nell’ennesima missione suicida. Era molto, molto più rilassante distrarsi.
Quando McCall si era presentato a casa Stilinski, proprio non mi aspettavo potesse essere lui. Credevo fosse Stephen – di ritorno da lavoro – ma mi ero sbagliata, ed avevo avuto modo di capirlo nel momento in cui i miei occhi scuri si erano trovati riflessi in quelli lievemente a mandorla di Scott. Osservando preoccupata il suo cipiglio agitato, mi ero fatta da parte per farlo entrare in casa ed avevo subito annunciato a Stiles che almeno un po’ della sua curiosità sarebbe stata sanata.
Alla fine, Scott aveva deciso di andare a chiedere aiuto a Derek. Durante tutto il suo racconto dettagliato io non avevo fatto altro che starmene in silenzio, in un angolino della cucina, a chiedermi perché mai McCall riuscisse a raccontare anche le cose più scomode – come per esempio chiedere aiuto al ‘‘nemico’’ – a Stiles, mentre io ero sempre lì a farmi seghe mentali per ogni minima cosa.
Se solo non fosse stato per la decisione repentina che era stata presa dopo, sarei finita nuovamente nel mio adorato baratro di insicurezze croniche, e lo sapevo più che bene. Quindi sì, almeno un 10% di me stessa era grata al destino per quella distrazione, ma il resto della Harriet Carter spaventata rischiava di morire per l’ansia. Mentre ancora ascoltavo distrattamente Stiles e Scott discutere del ‘‘piano’’ un’altra volta ancora, mi ritrovai a chiedermi perché mai ci fossimo sempre noi tre in mezzo a certe situazioni. Era come se fosse quasi obbligatorio, metterci nei guai. Ce le andavamo proprio a cercare, un po’ come il magico trio di Harry Potter.
Fui sul punto di scoppiare a ridere tra me e me per quel pensiero piuttosto stupido: io sarei dovuta essere la Hermione della situazione? Be’, la cosa non poteva essere più lontana dal vero di così! Non avevo nemmeno un quarto di tutta la sua intelligenza, ed in quel momento – colta da chissà quale pazzia – mi ritrovai a pensare che mi avrebbe fatto proprio comodo averne un po’ di più. Tuttavia, comunque, la risata mi rimase bloccata in gola nel momento in cui mi accorsi di Stiles e Scott che erano scesi dalla Jeep velocemente.
«Non osare scendere dalla macchina», mi sentii dire da Stilinski, e cercando il suo sguardo lo trovai intento a fissarmi con una delle espressioni più serie di sempre.
Cosa? Davvero credeva che me ne sarei rimasta lì da sola nella Jeep mentre lui e Scott andavano a mettersi nei guai? Tirai fuori un verso molto simile ad uno: ‘‘Mh!’’ infastidito e sorpreso, poi mi sporsi subito in avanti per poter aprire lo sportello dall'interno e alla velocità della luce, mi ritrovai in piedi vicina a Stiles. Non ero mai stata così agile in vita mia e per poco non me ne stupii. Ma sapete com’è, non volevo per nulla al mondo lasciare quei due testoni da soli.
«Sei un povero illuso se credi che davvero me ne starei qui buona senza fare storie», dissi a Stiles, riservandogli un sorrisone divertito con le mani posate sui fianchi.
Lo avvertii sbuffare lievemente – sconfitto – e lo intravidi anche alzare gli occhi al cielo.
«E tu sei una piccola testarda!», mi rimbeccò, poco prima che prendessimo tutti e tre a camminare in direzione del cancello di scuola.
Risi sinceramente, divertita da tutta la situazione. Mi piaceva forse più del lecito, il rapporto che stavo imparando a costruire con Stiles, e perché mai negarlo? Arrivati di fronte al cancello, mi ritrovai a chiedermi cos’avremmo fatto a quel punto. Cioè, era scontato che ci fosse da scavalcarlo – nessuno sarebbe venuto ad aprircelo – ma sapevo già che non ci sarei riuscita, perlomeno non da sola, e perciò me ne rimasi semplicemente lì in attesa di ancora non sapevo cosa.
Stiles però, iperattivo come al solito, non fece altrettanto. Provò ad arrampicarsi sul cancello, ma prima che potesse iniziare a fare sul serio, Scott lo bloccò.
«Vado solo io. Voi restate qui a tenere d’occhio la situazione», gli ordinò, con voce perentoria.
C’è bisogno di dirlo che Stilinski si trovò subito in disaccordo?
«Non ci sto, voglio venire con te».
Incrociai le braccia al petto, scuotendo la testa lievemente. Era prevedibile, quel suo comportamento, ma ad ogni modo non me ne preoccupai. Di quel gruppo forse un po’ strano, Scott era senza dubbio il leader, e sapevo benissimo che qualunque cosa avesse detto – volente o nolente – Stiles alla fine avrebbe ubbidito. Ci teneva troppo a lui.
«E lasciare Harriet qui da sola? Ho bisogno che qualcuno faccia la guardia, Stiles», spiegò ancora infatti.
A quel punto, non potei fare a meno di sentirmi un po’ un peso, per entrambi. Insomma, se io non ci fossi stata nessuno sarebbe dovuto restare con me a farmi compagnia. Tuttavia, prima ancora che potessi rassicurarli dicendo che me la sarei cavata anche da sola, Stiles sbuffò nuovamente e si incamminò verso la Jeep.
«Ti odio», sussurrò a Scott, poco prima di allontanarsi dal cancello.
Per un attimo sia io che McCall rimanemmo impalati a guardarci, poi io rivolsi un’occhiata preoccupata a Stilinski junior e mi sembrò anche di sentirlo borbottare qualcosa di molto simile a: ‘‘Se ne approfitta perché sa che ci tengo. Bel migliore amico’’, ma non posso dirlo tutt’oggi con sicurezza. Ad ogni modo, non potei fare a meno di sgranare gli occhi.
«Harry, vieni qui!», mi richiamò Stiles, quando era ormai di nuovo vicino alla macchina, usando – ovviamente – un tono piuttosto infastidito.
Chissà come non riuscii a prendermela per quella situazione: in fondo, riuscivo a capirlo. A chi sarebbe piaciuto restare dietro le quinte? Cioè, oh Dio… io ci sguazzavo, in certe situazioni, da brava ‘‘wallflower’’ qual ero. Ma Stiles… lui era diverso. Lui ci teneva, ad essere presente.
Solo quando ci ritrovammo di nuovo nella Jeep, io seduta accanto a lui al posto del passeggero che durante il viaggio di andata aveva occupato Scott, decisi di aprire bocca. Sapevo che fosse più che nervoso, e dovevo fare qualcosa per tranquillizzarlo. Mi sentivo quasi in dovere di rendermi utile.
«Scott vuole solo proteggerci. Lo sai, vero?», trovai quindi il coraggio di chiedergli, tuttavia senza cercare il suo viso.
Me ne rimasi, al contrario, con gli occhi puntati nel posto in cui avevo visto McCall per l’ultima volta, e cioè nelle vicinanze del famoso scuolabus incriminato. A dire il vero, non avevo capito in cosa consistesse esattamente il piano: sapevo solo che Scott avesse preso la decisione di chiedere aiuto a Derek dopo aver incontrato il signor Mayers all’ospedale. Da quanto ne avevo capito, bastava che annusasse qua e là per avere la risposta. Bah, licantropi. Chi mai li avrebbe compresi?
«Lo so», mi rispose Stiles, dopo quello che mi era sembrato un bel po’ di tempo, mettendo una fine ai miei soliti stupidi pensieri.
Non potei fare a meno di sorridere lievemente nel notare che il suo tono si fosse tranquillizzato almeno un po’, e mi misi più comoda contro il sedile dell’auto mentre mi portavo due dita alle labbra quasi istintivamente. Feci anche per incrociare le gambe, ma l’avvertire lo sguardo truce di Stiles puntato su di me mi fece decidere di evitare. Sbuffai, cercando di sistemarmi alla bell’e meglio senza dare ‘‘fastidio’’ alla sua preziosa macchina.
«Ho fame», borbottai ad un certo punto, improvvisamente infastidita da tutto e tutti.
Non mi piaceva più, quella situazione. Qualcosa di negativo sarebbe successo, me lo sentivo, e stavo seriamente iniziando a preoccuparmi. Stiles, comunque, non fece altro che riservarmi un’occhiata sconvolta.
«Che c’è?», gli chiesi, facendo spallucce. «Sono preoccupata, e ho sempre fame quando lo sono».
Per un attimo cadde il silenzio, ed io stessa decisi di non aggiungere nient’altro. D’altra parte, cosa avrei potuto dire? Incrociai le braccia al petto mentre scivolavo ancora un po’ più giù sul sedile, cercando di stare tranquilla e sperando che Scott finisse in fretta di ispezionare qua e là – anche se, sinceramente, ci credevo poco. Ad ogni modo, tutta la mia preoccupazione diventò più che sensata nel momento in cui Stiles mi indicò un punto nel giardino di scuola a me un po’ oscurato.
«Oh mio Dio, guarda quella luce!», esclamò, indicandomi con un indice una luce quasi sicuramente proveniente da una torcia. «C’è qualcuno!».
Certo che sì! Si trattava sicuramente del custode! Per poco non caddi nel panico più assoluto: fortuna che dopo aver preso due grossi respiri riuscii a pensare un po’ lucidamente. Sgusciai nei sedili posteriori della Jeep, ordinando a Stiles di suonare il clacson finché Scott non avesse sentito ‘‘l’avvertimento’’. In fondo, quello era l’unico modo che avevamo per comunicare con lui.
«Avanti, avanti, avanti, avanti», scongiurai, non appena notai McCall correre verso di noi a velocità quasi disumana.
Oh Dio, non volevo nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere se ci avessero trovati tutti e tre lì a notte fonda! 
«Parti!», ordinò Scott, praticamente urlando, solo una volta che fu al posto del passeggero.
Quando ormai fummo lontani da scuola e quindi al sicuro, mi resi conto di aver appena perso come minimo dieci anni di vita.
 
«Dimmi che perlomeno ti sei ricordato».
Dopo quelli che praticamente mi erano sembrati secoli di silenzio glaciale, mentre ancora tutti e tre riuscivamo ad avvertire senza problemi i battiti accelerati dei nostri cuori e la paura di quell’essere stati quasi scoperti, ci ritrovammo a casa di Scott.
Io – con ancora il respiro che mi mancava, praticamente – non potei fare a meno di traballare, un po’ incerta, in direzione del divano in tessuto rosso situato nel salotto di casa McCall. Mi ci sdraiai sopra, esausta sia fisicamente che emotivamente, e sentii gli occhi che mi si chiudevano in automatico. 
«Già, e dimmi che quindi è servito a qualcosa il mio rischiare l’infarto», pregai, con voce più che flebile.
Attesi, ancora ad occhi chiusi, una risposta da parte di Scott. Ad ogni modo, prima ancora che potesse riuscire a parlare, sentii Stiles venire a sedersi di fianco a me, e non potei fare a meno di donargli un’occhiata. Sembrava stare bene, per fortuna.
«Mi dispiace», sillabò lentamente, mentre io mi limitavo a fare spallucce.
Mi sforzai anche di fargli un sorriso, ma ero troppo stanca per poterci riuscire. Tuttavia, ogni mio pensiero fu scacciato via dalla voce di Scott. 
«Ho ricordato, sì. Ero lì, ieri notte. Il sangue sullo scuolabus in parte era mio», spiegò, prendendo a camminare nervosamente per tutto il salotto.
Mi ritrovai a chiedermi cosa avremmo fatto a quel punto, ma come quasi sempre tenni quel pensiero per me. Proprio non avevo la forza di parlare: volevo solo andare a dormire al più presto, e perciò aspettai che ci pensasse Stiles a chiedere le altre spiegazioni che in fondo volevo ascoltare anch’io.
«Quindi sei stato tu?», domandò infatti.
«No. Ho visto degli occhi sullo scuolabus: non erano i miei, ma di Derek».
A quel punto il respiro mi si mozzò in gola, e sgranai gli occhi. Era ufficiale, allora? Era Derek l’Alpha? Era lui il colpevole? E se davvero così era, perché non aveva detto fin da subito la verità a Scott? Perché, al contrario, aveva fatto in modo che lui capisse tutto in quel modo?
«E il conducente?», chiese ancora Stiles, stranito da tutta quella situazione almeno quanto me.
«Cercavo di proteggerlo». 
«Non ha senso», trovai la forza di dire a quel punto, scuotendo la testa. «C’è qualcosa che non quadra».
Ero sicura del fatto che fosse così, anche se non riuscivo a capire che ci fosse di sbagliato. Il mio cervello sapeva che fosse così, ma non riusciva comunque a mostrarmi la soluzione. Non ancora, perlomeno.
«Lo penso anch’io», mi appoggiò Stiles, mentre anche a Scott iniziavano a venire i primi dubbi. «Insomma, perché mai Derek vorrebbe che tu ricordassi una cosa del genere?».
«Non lo so: non capisco!», esclamò proprio McCall dopo poco tempo, passandosi una mano tra i capelli lunghi.
«Magari è questione di branco. Tipo iniziazione! Avete cacciato insieme».
Davvero non potevo credere al fatto che stessimo sul serio facendo dei discorsi del genere di primo ‘‘mattino’’. Era tutto così assurdo che ogni volta non potevo proprio fare a meno di chiedermi come avesse fatto la mia vita a cambiare così radicalmente. Mi limitai a sbuffare, però, senza dire nulla mentre mi voltavo su un fianco nella direzione di Stiles.
«Squarciare la gola a qualcuno è un’esperienza che unisce?», sentii domandare a Scott, con la sua voce che arrivava già ovattata alle mie orecchie, simbolo del sonno più che imminente.
Ad ogni modo, comunque, prima ancora che potessi cercare di farmi cullare dalle braccia accoglienti di Morfeo, qualcosa scattò improvvisamente nella mia testa e tutto mi fu almeno un po’ più chiaro. Sì, finalmente avevo trovato la soluzione a quell’enigma.
«Quindi tu saresti nel branco di Derek! Oh mio Dio, adesso capisco», trillai, improvvisamente sveglia, mettendomi in piedi quasi alla velocità della luce.
«Capisci cosa? Che succede, Harry?», mi chiese subito Stiles, preoccupato da quel mio scatto improvviso e curioso di sapere almeno quanto Scott.
Mi voltai a guardarli un’ultima volta entrambi poco prima di prendere a parlare, con tutti i pezzi del puzzle che iniziavano finalmente ad acquistare almeno un po’ di senso. Quello era senza dubbio il momento adatto per confidare tutto ciò che riguardava Derek Hale che ancora tenevo nascosto.
Mai come allora il suo essere sempre in giro mi sembrò adeguato.
 
Neo-licantropo (1)
Umani (2)
Alpha (1)
Vittime (1)
Calcai la parola ‘‘Alpha’’ col pennarello nero ripetutamente, cercando di riflettere a fondo, nell’attesa di un’illuminazione improvvisa. Era lì il problema, e ne ero ben consapevole. Tuttavia, nonostante gli sforzi, non c’era niente che potessi fare per arrivare ad una soluzione sensata.
Fatti i conti, eravamo proprio: un neo-licantropo, due umani, un Alpha ‘‘colpevole’’ di aver trasformato Scott e una vittima. Da quanto ne sapevo io – date le esperienze – la situazione non poteva far altro che peggiorare. E ovviamente, l’aveva fatto.
Sospirai, tirando indietro i lunghi capelli scuri mentre cercavo di scacciare fuori dalla mia mente tutto il baccano che erano capaci di fare i miei compagni di classe in assenza di qualsiasi professore. Il mio insegnante di matematica, infatti, era come al solito in ritardo. E nell’attesa, io facevo schemini deficienti nella speranza che questi potessero aiutarmi a capire.
Neo-licantropo (1)
Umani (2)
Alpha (1)
Vittime (0)
Deceduti (1)
... Derek (1)
Non appena il pennarello abbandonò il foglio per l’ennesima volta, me ne rimasi a scrutare lo ‘‘schema aggiornato’’ che ne era uscito fuori. Mi trovavo davvero in una situazione del genere? A quanto pareva sì. Strizzai gli occhi, provando ancora una volta a concentrarmi. Non che fosse facile, in una classe come quella nella quale ero, ma tentar non nuoce – mai.
Partendo dall’Alpha – perché sul neo-licantropo e i due umani, nessuno aveva dubbi – era scontato che ce ne fosse uno. Un Alpha che aveva trasformato Scott e che, udite-udite, si era scoperto non fosse Derek Hale. Oh già, perché il signorino aveva finalmente parlato chiaro e detto a McCall di non essere il ‘‘colpevole’’. Sinceramente, non sapevo se credergli, ma ammesso e non concesso che dicesse la verità, il tutto ci portava al dover aggiungere un… Derek… alla lista. Perché, insomma, se Derek non era l’Alpha allora cosa diavolo era?
«Se Derek non è l’Alpha e non ti ha morso lui, allora chi è stato?».
Mi voltai a guardare Stiles, seduto di fianco a me, prestando davvero pochissima attenzione al professore di matematica appena entrato in classe. La sua domanda era ovviamente rivolta a Scott, ma alla risposta ero interessata anch’io. E quasi non mi resi conto del fatto che avessimo pensato in contemporanea alla stessa cosa.
«Non lo so», si limitò a mormorare Scott, facendo spallucce.
Sembrava davvero non saperlo, quindi non potevo fargliene una colpa… ma allo stesso tempo sembrava non preoccuparsi abbastanza per quella situazione, e il tutto stava seriamente cominciando a darmi sui nervi. Cercando di mantenere la calma, distolsi lo sguardo dalla sua figura per poi spostarlo sul mio professore. Stava passando per tutti i banchi per distribuire i compiti corretti di matematica, e subito nascosi lo schema che avevo ideato. Non avevo bisogno di diventare la pazza di scuola.
«L’Alpha ha ucciso il conducente?», continuò Stiles, quasi imperterrito.
Sorrisi lievemente. La testarda tra i due ero io? Come no!
«Non so neanche questo».
Ovviamente.
«E il padre di Allison…».
Non appena Stiles riprese a parlare, trattenni una risata e cercai di distrarmi. Scott non sapeva nulla, era evidente, e non potevamo contare su di lui per risolvere l’enigma. Continue domande non avrebbero portato a nessuna soluzione.
Quando il professore arrivò di fronte al mio banco, gli rivolsi un: «Grazie» sussurrato ed afferrai il mio compito, ritrovandomi di fronte una bella ‘‘A’’ in pennarello rosso. Non potevo crederci! Allora qualcosa andava per il verso giusto, lì a Beacon Hills. Sorrisi, ma tutta la mia felicità fu scacciata via da ciò che urlò Scott pochi secondi dopo.
«STILES! Basta domande».
Mi voltai a guardar male McCall, ed altrettanto fece il nostro insegnante di matematica mentre gli consegnava il suo compito corretto. Vidi quasi per prima la ‘‘D’’ disegnata in alto, e anche lo sguardo dispiaciuto di Scott. Subito m’intristii per lui.
«Ehi, quanto hai preso?», mi sentii chiedere da Stiles, all’improvviso.
Sobbalzai lievemente, voltandomi a guardarlo. Gli sorrisi, grata perché mi avesse distratta, per poi mostrargli la A della quale andavo davvero molto fiera.
«Tu cos’hai preso?», domandai a mia volta.
Solo quando anche Stilinski mi mostrò il suo compito e la sua bellissima e rossissima ‘‘A’’, scoppiai a ridere di gioia.
«Ah, batti cinque!», trillai, allungando una mano nella sua direzione.
Ancora una volta, ero davvero felice.
 
«Un’altra giornata è passata».
La prima cosa che feci, non appena Stiles ebbe finito di pronunciare quelle poche parole, fu donare uno sguardo quasi vuoto al cielo che era già sul punto di imbrunire. Era vero, aveva ragione. Un’altra giornata era passata e stava quasi per volgere al termine, mentre io a momenti già mi disperavo per il tempo che mi sfuggiva dalle mani, privandomi di ulteriori giorni da trascorrere a Beacon Hills. Nonostante tutto, una parte di me ci sarebbe voluta rimanere più o meno per… sempre.
«Ed io non so se esserne felice o meno», mormorai infatti, stringendomi nel giubbotto di pelle mentre camminavo sempre al fianco di Stiles in direzione della Jeep azzurro cielo.
Eravamo soli, proprio come capitava spesso negli ultimi tempi. Scott sarebbe andato a studiare a casa di Allison mentre noi ci saremmo chiusi nella nostra, di casa. Non che ci fossero programmi speciali: dopo tutta l’avventura della notte prima, avevamo intenzione di non metterci nei guai per almeno un po’. Strano ma vero.
«Oh, posso solo immaginare», sentii dire a Stiles dopo qualche momento, e d’istinto mi voltai a guardarlo per trovarlo intento a scuotere lievemente le spalle mentre annuiva.
Mi stava appoggiando nuovamente e, senza che potessi impedirmelo, sorrisi mentre mi sistemavo la tracolla della borsa su una spalla. Feci per riprendere a parlare, ma mi accorsi che fossimo oramai arrivati di fronte alla Jeep e decisi dunque di aspettare. Solo quando entrambi fummo all’interno dell’abitacolo, dissi:
«Sai, pensavo di tornare ad Austin, per Natale. Voglio stare con la mia famiglia e…».
Ma fui interrotta dalla voce di Stiles, e dopo ciò che disse, rischiai seriamente di sciogliermi come un gelato al sole.
«Che peccato. Sarebbe stato bello averti qui con noi».
Parlò con estrema leggerezza, mentre io al contrario mi irrigidivo come forse non mai, ancora sporta verso i sedili posteriori dove stavo lasciando come al solito la mia borsa e lo zaino di Stiles. Solo dopo aver respirato a fondo nel modo più impercettibile possibile, tornai a sedermi composta mentre lo osservavo mettere in moto la Jeep.
«Be’, questa è una decisione che devo ancora prendere. Ho molto tempo, in fondo», decisi di dire alla fine, controllando nello specchietto di non essere arrossita più del solito.
Per fortuna, la mia pelle conservava ancora il suo naturale colorito abbronzato. Provavo l’impulso di urlare dalla gioia e allo stesso tempo di piangere senza quasi nessun buon motivo, ma tutte quelle sensazioni riuscivo a nasconderle piuttosto bene.
«Prometto che cercherò di non influenzarti ulteriormente. Prima cosa stavi cercando di dire? Ti ho interrotta, scusami».
«I-io…», presi a balbettare, di nuovo in imbarazzo. «… pensavo volessi passare il Natale insieme a tuo padre, senza me di mezzo. Come al solito».
«Stai scherzan…».
E fu improvvisamente questione di un attimo: quella volta fui io ad interrompere Stiles, bloccando la sua domanda un po’ stupita mentre gli posavo una mano su un braccio ancora fermo sul volante. Sapevo benissimo che fosse un gesto inutile ma lo feci comunque, impulsivamente. 
«STILES, ATTENTO!», strillai in contemporanea, individuando una figura scura ferma nel bel mezzo del viale.
Sarebbe stato un bel problema se avessimo investito qualcuno, mi dissi. Purtroppo, però, ancora non avevo riconosciuto chi fosse quel qualcuno.
«Oh, maledizione!», imprecò Stiles, frenando la Jeep giusto un attimo prima che questa potesse colpire a velocità elevata un Derek Hale dall’aspetto alquanto strano.
Aggrottai lievemente le sopracciglia mentre lo squadravo dall’alto in basso, con gli occhi nocciola sgranati.
«Merda. Che ci fa lui qui?», domandai poi subito dopo.
Ero seriamente curiosa e forse anche un po’ spaventata. Derek non accennava a muoversi dalla strada: non aveva intenzione di farci passare e questo era chiaro, ma allo stesso tempo sembrava come se non ne fosse nemmeno in grado. Mi stupii di vederlo così sorprendentemente pallido. Come… smorto.
«Non ci credo. Questo tizio è ovunque», sentii dire a Stiles, e mi voltai lentamente nella sua direzione per vederlo sospirare bruscamente.
Avrei desiderato poter avere del tempo per pensar bene a cosa fare, ma la situazione non mi permise niente del genere e, mentre mi rendevo conto del fatto che fossimo ancora tutti e tre immobili nel bel mezzo di una strada, tutte le auto in fila dietro di noi cominciarono a suonare i clacson.
«Stiles, dobbiamo muoverci. Stanno tutti impazzendo e…»
e stiamo attirando troppa attenzione, avrei voluto dire. Ma ancora una volta, venni interrotta. Quella giornata sembrava voler far sì che nessun discorso – soprattutto quelli importanti – venisse portato a termine.
Osservai Derek perdere i sensi e cadere a terra proprio di fronte alla Jeep, ma, immobilizzata senza nemmeno sapere perché, non feci nulla per anche solo provare ad aiutarlo. Stiles, poi, reagì nel mio stesso identico modo.
A smuoverci da quella situazione fu solo Scott, che trovai vicino alla nostra macchina quasi all’improvviso.
«Ma che cavolo succede?», domandò velocemente, donando un futile sguardo a Stiles prima di correre ad accertarsi delle condizioni di Derek.
Solo allora trovammo il ‘‘coraggio’’ di scendere, camminando sotto gli sguardi sconcertati di moltissimi studenti della Beacon Hills High School, nella direzione del licantropo Hale. Era ancora sdraiato a terra, sembrava non riuscire a muoversi, e Scott si era abbassato sulle ginocchia per potergli parlare. 
«Che ci fai qui?», gli chiese, confuso come tutti.
Di tutta risposta, io me ne rimasi accanto a Stiles mentre incrociavo le braccia al petto. Il rapporto – potevo definirlo così? – tra me e Derek non era affatto roseo, e in tutta sincerità devo dire che a quei tempi pensavo mai lo sarebbe diventato… ma ad ogni modo potei avvertire immediatamente un senso di preoccupazione nei suoi confronti, e quasi mi odiai per quelle sensazioni.
«Mi hanno sparato».
Derek parlò con una leggerezza tale che per poco non mi misi ad urlare. L’avevano sparato, diamine. Era un licantropo, certo, magari nemmeno sentiva dolore… ma stava morendo e lo diceva con così tanta nonchalance? Cercando di non perdere le staffe – perché capii che sarebbe stata una cosa del tutto inutile, in quel momento – spostai il peso del corpo da una gamba all’altra.  
«Non ha una bella cera», dissi poi, indicandolo con un lieve cenno della testa.
«Ma Scott, non dovrebbe guarire?», chiese invece Stiles, ovviamente più intelligentemente.
Non appena finì di parlare, rivolsi uno sguardo a Scott, aspettando la sua risposta. Nel frattempo, tutti intorno a noi impazzivano. Eppure, continuavamo quasi ad ignorarli.
«Non ci riesco… era un proiettile diverso».
Fu proprio il diretto interessato a rispondere, e solo a quel punto mi presi dell’altro tempo per osservarlo bene. Parlava a fatica, con voce flebile e spezzettata, e dubitavo che sarebbe stato in grado di mettersi in piedi senza problemi. D’altra parte, però, dovevamo andare tutti via subito. Per un sacco di motivi. 
«Era d’argento?», domandò Stiles, curioso come al solito.
Non avevo mai visto Derek in quelle condizioni, e solo in quel momento pensai a quanto potesse essere strana tutta quella situazione se vista dall’esterno. Fino ad allora, lui non aveva fatto altro che mostrarsi ai miei occhi come invincibile, quasi senza sentimenti e spaventoso. Quando invece quel pomeriggio mi ritrovai a rivolgergli l’ennesimo sguardo preoccupato, non vidi nulla di tutto ciò. Solo un uomo che soffriva.
«No, idiota», disse però poi rivolgendosi a Stiles, rovinando tutta la ‘‘magia del momento’’ e facendo sì che qualsiasi buon pensiero sul suo conto sparisse subito dalla mia mente.
Sentii la rabbia montarmi dentro e digrignai appena i denti, sfregando un piede sull’asfalto mentre mi facevo un tantino più avanti e gli dedicavo una delle mie solite occhiate truci. Come si permetteva a parlare in quel modo? A qualcuno, poi, che lo stava aiutando? O che perlomeno provava a farlo?
Tuttavia, prima ancora che potessi mettere su un’altra delle mie scenate, Scott disse qualcosa di abbastanza insolito, tanto che tutti prendemmo a guardarlo con le sopracciglia aggrottate.
«Aspetta! Ho sentito la donna che ti ha sparato dire che ti restavano quarantotto ore!», esclamò, sgranando gli occhi ogni secondo che passava un po’ di più.
Stiles sussultò lievemente mentre io assumevo un’espressione sconvolta. Scott aveva assistito alla sparatoria? E perché non aveva fatto nulla per impedire che tutto ciò accadesse?
Ovviamente, comunque, non ero l’unica ad essere piena di domande. Anche Derek infatti fece per parlare, tirandosi lievemente su sull’asfalto, ma non appena provò a dire qualcosa la voce gli venne a mancare, spezzandosi in una tosse violenta. Fu solo allora che vidi i suoi occhi brillare e trasfigurarsi in un azzurro intenso che decisamente non era naturale. D’istinto mi ritrovai ad indietreggiare, stringendo il braccio di Stiles con una mano senza che potessi impedirmelo.
«Derek, cosa stai facendo? Smettila!», lo riprese Scott immediatamente, preoccupato, scuotendogli le spalle nella speranza di farlo tornare in sé.
Si stava trasformando? Stavo davvero guardando coi miei occhi un licantropo trasformarsi? Avvertii ogni mio muscolo immobilizzato dalla paura e il respiro che accelerava mentre mi facevo ancora un po’ più indietro, trascinando Stiles con me. Potevo ancora avvertire tutt’intorno a noi il rumore incessante dei clacson e l’impazienza sempre crescente di gran parte degli studenti della Beacon Hills High School, ma proprio non riuscivo a curarmi anche di loro.
«Non ci riesco», sibilò Derek dopo un po’, parlando con voce debole mentre strizzava gli occhi, molto probabilmente ancora preda di un dolore lancinante.
Mentre ancora osservavo ciò che succedeva intorno a me con sguardo vacuo, avvertii gli occhi di Stiles posarsi sulla mia figura scossa letteralmente dai tremiti. Fino a quel momento mi aveva a malapena guardata, convinto del fatto che stessi bene e che la persona di cui ci si sarebbe dovuti preoccupare in quella situazione fosse solo Derek, ma quando sentì la mia mano tremante afferrargli un braccio e tirarlo verso di me, si voltò di scatto a guardarmi e potei vedere bene i suoi occhi riempirsi di preoccupazione. Tuttavia, non ebbe il tempo di far nulla.
«Dobbiamo portare Derek via da qui. Verrà in macchina con voi!», ordinò Scott all’improvviso.
E non c’era niente che potessimo fare per impedire quella cosa.
 
«Ce la fai a camminare?».
Distolsi subito lo sguardo dal display del cellulare di Stiles, abbandonandolo nella tasca della giacca in pelle. Fino a quel momento ne avevo fatto uso io per poter comunicare con Scott mentre Stiles guidava. Lui inizialmente aveva provato a fare entrambe le cose contemporaneamente, ma io gliel’avevo impedito. Non potevamo permetterci anche il rischio di un incidente: già era piuttosto preoccupante pensare a non farci scappare il morto.
In risposta alla domanda di Stiles, Derek si limitò ad annuire. A momenti sembrava stare un po’ meglio ed era in grado di parlare, mentre in altri la situazione sembrava improvvisamente colare a picco. La ferita sul braccio era piuttosto profonda e l’emorragia non si era ancora fermata. Derek diceva di aver bisogno del proiettile per sopravvivere e aveva incaricato Scott di cercarlo a casa Argent. A quanto pareva, la donna che lo aveva sparato era una di loro.
«Allora scendi. Harry, tu va’ con lui mentre io parcheggio», ordinò Stiles, cercando di restare tranquillo nonostante tutto.
In mancanza di Scott, aveva saputo prendere le redini della situazione nel migliore dei modi, evitando che mi venisse un attacco di panico e che Derek morisse nel mentre. Era stato davvero bravo e non potei fare a meno di sorridergli mentre seguivo Hale fuori dalla Jeep.
Fu solo in quel momento, però, che mi resi conto di dove fossimo sul serio. L’insegna dello studio veterinario di Beacon Hills dove lavorava Scott se ne stava di fronte ai miei occhi, e per un attimo mi chiesi cosa avrei dovuto fare. Era chiuso, ovviamente, ma se McCall aveva ordinato di andare lì doveva esserci per forza una possibilità di entrare.
«Merda», sibilai, avanzando lentamente in direzione della porta d’ingresso mentre ascoltavo Derek trascinare i passi dietro di me, evidentemente affaticato.
Mi volsi a donargli l’ennesimo sguardo preoccupato di quella giornata, osservandolo mentre mi raggiungeva accasciandosi poi contro il muro della struttura.
«Stai bene?», non potei proprio fare a meno di domandargli, mentre in contemporanea mi guardavo intorno attentamente.
Possibile che lì in giro ci fosse una qualche chiave? Perché Stiles non mi aveva detto come entrare? E soprattutto, perché io non gliel’avevo chiesto? Che stupida.
Derek, comunque, evitò la mia domanda, socchiudendo gli occhi stancamente mentre sospirava reggendosi il braccio ferito.
«Non sai cosa fare, vero?», lo sentii chiedermi all’improvviso, mentre ancora parlava con una voce così bassa da essere a malapena udibile.
«Stiles a volte dimentica che non sono del posto», borbottai, controllando sotto lo zerbino inutilmente.
Tra l’altro, dov’era finito?
«La chiave è in una scatola dietro al cassonetto».
Improvvisamente mi voltai a guardare Derek con gli occhi sgranati. Cosa? L’aveva saputo per tutto quel tempo e non me l’aveva detto, divertendosi a guardarmi annaspare in quel modo? E soprattutto, come faceva a saperlo?
«Muoviti», ordinò, troncando sul nascere ogni mio tentativo di protesta.
Feci come mi aveva ordinato, e seguendo il suo indizio trovai velocemente le chiavi della porta. La aprii proprio nel momento in cui Stiles ci raggiunse, e lo osservai aiutare Derek a mettersi in piedi poco prima che entrassimo all’interno della clinica tutti e tre insieme.
A passo spedito, ci dirigemmo verso quella che aveva tutta l’aria di essere una sala visite. Stiles accese tutte le luci ed io avanzai nel piccolo ambiente illuminato mentre mi guardavo curiosamente intorno, tenendo le braccia strette al petto nella speranza di avvertire meno freddo. Derek incominciò ben presto a rovistare in tutti i cassetti, e mentre mi prendevo del tempo per osservarlo con la testa piegata da un lato, mi chiesi cosa diavolo avesse intenzione di fare a quel punto.
«Devo avere il proiettile, altrimenti morirò. A che punto è Scott?», domandò a Stiles, voltandosi brevemente a guardarlo poco prima di tirar fuori da uno dei tanti cassetti uno strumento dall’aria pericolosa ed un elastico blu.
Aggrottai le sopracciglia, confusa, ma qualsiasi mia domanda venne spazzata via dalla visione che si presentò poco dopo ai miei occhi. Derek infatti prese a sfilarsi la maglia nera che indossava come se niente fosse, mentre io potevo avvertire distintamente le mie guance imporporarsi e l’imbarazzo salire alle stelle. Non ero pronta per una cosa del genere, assolutamente no. Non era il momento per ritrovarsi ad apprezzare un tipo come Derek a petto nudo. No, no, no, n…
«Harriet», mi sentii chiamare, e fui costretta a scuotere la testa violentemente mentre strizzavo gli occhi.
Rivolsi un ennesimo sguardo a Derek, concentrandomi per fissargli solo il viso pallido e nient’altro. Deglutii, sperando che fosse passata inosservata la reazione che avevo avuto nel trovarmelo di fronte mezzo nudo, notando solo in quel momento che mi stesse porgendo proprio l’elastico blu che gli avevo visto recuperare.
«Legamelo intorno al braccio», ordinò, mentre mi ritrovavo mio malgrado ad afferrare l’elastico.
Ero ogni minuto che passava un po’ più confusa e provai a chiedere spiegazioni, ma l’occhiata infastidita che Derek mi lanciò mi fece decidere di evitare. Muovendo un ulteriore passo nella sua direzione e trattenendo il fiato, feci come mi aveva chiesto, cercando di sfiorargli la pelle il meno possibile, ancora spaventata da chissà cosa.
«Che hai intenzione di fare?», domandò solo a quel punto Stiles, poggiando le mani a palmi aperti sul tavolo in metallo che lo separava da me e Derek.
«Mi devi amputare il braccio», spiegò proprio lui spiccio, porgendo a Stiles lo strano strumento che aveva recuperato in uno dei cassetti della clinica mentre si allontava un po’ da me. «È l’unico modo per evitare che io muoia».
«Spero tu stia scherzando!», urlai a quel punto, come improvvisamente sveglia da un lungo sonno, osservando Derek con occhi sgranati.
«Che si fa se ti dissangui?», gli chiese Stiles invece, restando tranquillo come quasi sempre in certe situazioni.
Derek decise di ignorarmi, rispondendo a Stiles mentre teneva gli occhi verdi fissi nei suoi.
«Sono un licantropo», esalò semplicemente, non osando posare lo sguardo sulla mia figura. «Le mie ferite guariscono. O perlomeno dovrebbero».
A quel punto mi posi di fronte a Derek, obbligandolo a guardarmi. Non poteva essere serio. Davvero no.
«Preferisco non dover scoprire quanto siano funzionanti i tuoi superpoteri di guarigione usando te come cavia», sibilai, stringendo le braccia al petto un po’ di più ogni minuto che passava.
«Perfetto: cos’altro hai intenzione di fare?», sospirò Derek, guardandomi senza tuttavia avere la minima voglia di farlo. «No, perché in caso non l’avessi capito… sto morendo, Harriet». 
Furono solo le ultime tre parole di quel discorso a placarmi almeno un po’. Socchiusi gli occhi mentre prendevo un grosso respiro e provavo inutilmente a calmarmi ancora, avanzando in direzione di Derek con sguardo minaccioso. Non era mia intenzione mettermi a discutere con lui, ma davvero non potevo impedirmi di essere preoccupata.
«Allora scordati che lo faccia io», sussurrai dopo qualche tempo, vicinissima al viso di Derek, parlando a denti stretti.
«Non l’ho chiesto a te», replicò lui immediatamente, rivolgendomi un ultimo lungo sguardo poco prima di voltarsi nuovamente a fissare Stiles.
Allora mi ricordai nuovamente di lui, e a mia volta cercai il suo viso. Era sconvolto, almeno quanto me e forse pure di più. Lo ascoltai mentre provava a rifiutarsi inutilmente, non riuscendo tuttavia a cogliere ogni sua parola. Non avevo idea di cosa stesse succedendo esattamente, ma era come se il cervello si connettesse ad intervalli alterni. Mi sentivo ancora una stupida, sì.
Solo quando improvvisamente Derek afferrò Stiles per la maglia, attirandolo a sé con forza, mi risvegliai dalla trance nella quale ero caduta per l’ennesima volta senza che riuscissi ad impedirmelo e mi avvicinai ai due, tirando subito Derek lontano da Stiles.
«Piantala! O ti lascio qui a morire una volta per tutte», lo ripresi, notando subito però come non reagì per nulla al mio sgridarlo.
«… Derek?», lo chiamò Stiles, osservando il licantropo con espressione confusa e anche vagamente preoccupata.
Questi non rispose ancora una volta, ed improvvisamente lo osservammo piegarsi su se stesso per vomitare sangue. 
«È il mio corpo che cerca di guarire», spiegò proprio lui, non appena fu nuovamente in grado di parlare. «Devi amputarmi il braccio, adesso».
Si rivolse nuovamente a Stiles, e lui di tutta risposta si limitò a balbettare. Proprio non voleva farlo, e come dargli torto? Derek di tutta risposta provò ad urlargli di nuovo contro, ma io glielo impedii anticipandolo.
«Prova a sbraitargli contro solo un’altra volta e ti uccido io personalmente!», lo redarguii, alzando la voce sempre di più mentre toglievo dalle mani di Stiles lo strumento del quale assolutamente non conoscevo il nome. «Lo farò io. Mi serve solo…».
Presi un lungo respiro, cercando di prepararmi mentalmente e fisicamente. Stavo davvero per amputare un braccio ad un licantropo in punto di morte? A quanto pareva sì.
Proprio nel momento in cui cominciai ad avvertire un vago senso di rassegnazione prendere possesso di me ed osservai quasi dall’esterno la lama della sega – potevo chiamarla così? – sfiorare la pelle chiara del braccio di Derek, capii che il destino fosse venuto nuovamente a salvarmi.
«Ragazzi?», sentii infatti dire a Scott, che finalmente era riuscito a raggiungerci alla clinica.
Immediatamente misi via lo strumento da operazione e liberai un grosso sospiro di sollievo, mentre tutti e tre ci voltavamo nella direzione da cui sapevamo sarebbe giunto McCall. Nel momento stesso in cui i miei occhi incontrarono i suoi, non potei fare a meno di pensare che ero grata a Dio per la sua presenza lì.
 
Derek Hale ha stretto amicizia col suolo.
Fu quella l’unica assurdità che riuscii a pensare nel guardare, piena di disperazione, Derek che sveniva di fronte a me per la seconda volta nel giro di meno di sei ore. Sperai che fare pensieri stupidi come quello sarebbe riuscito almeno un po’ a tirarmi su il morale, ma purtroppo quella mia tattica strampalata non sortì affatto l’effetto desiderato. Al contrario, la situazione colava sempre più a picco.
«Derek?», soffiai, raggiungendolo il più velocemente possibile mentre osservavo solo di sfuggita Stiles e Scott che cercavano di recuperare il proiettile caduto inavvertitamente.
«Oh no», continuai subito dopo, inginocchiandomi alla sua altezza e prendendogli il viso tra le mani quasi senza che nemmeno me ne accorgessi.
Aveva perso i sensi del tutto e non c’era nulla che potessi fare per rianimarlo, perlomeno nulla che mi venisse in mente in quel momento. Mi sentivo più stupida del solito, immobilizzata e tremante allo stesso tempo a causa della paura, che aveva fatto di me la sua preda. Incominciai a tremare quando osservai Derek non rispondere al mio ennesimo richiamo e mi resi conto di quanto fosse estesa a quel punto la sua ferita. Se solo l’infezione avesse raggiunto il cuore…
«Ti prego, no. Ti prego, non morire», piagnucolai quasi, con un tono di voce un tantino stridulo e fastidioso. «Sono troppo giovane per assistere alla morte di qualcuno, mi hai capita?».
A quel punto, la mia mano destra partì praticamente in automatico, andando a colpire la guancia di Derek. Non mi resi pienamente conto di ciò che avevo fatto almeno finché non sentii il palmo bruciare lievemente e un senso di sorpresa e soddisfazione perversa prendere possesso di me. Più volte, Derek si era comportato male e mi aveva fatta arrabbiare, mentre io sognavo già da moltissimo tempo di poterlo schiaffeggiare.
«Oh mio Dio! Avrei davvero dovuto farlo prima!», trillai, trattenendo a stento un sorrisino soddisfatto.
Solo quando la mia mano fu nuovamente ad un passo dalla pelle ghiacciata di Derek, lo vidi finalmente riacquistare un minimo di conoscenza, e senza che potessi impedirmelo, il mio sorriso si allargò ancora di più.
«Pazzesco. Allora sai sorridere anche tu…».
Inutile dire che la mia espressione mutò radicalmente nel giro di due millesimi di secondo, vero? Ritirai indietro le mani mentre le mie labbra formavano una perfetta linea dritta. Feci anche per dire qualcosa di molto simile a: «Ti davo già per morto, peccato» o «Ho pensato la stessa cosa anch’io, l’unica volta che ho visto sorridere te», ma prima ancora che potessi aprir bocca fui distratta dalle figure di Stiles e Scott che ci raggiunsero.
Mi misi in piedi velocemente, facendomi lontana da Derek mentre li guardavo aiutarlo a mettersi in piedi. Avevano recuperato il proiettile facendo un ottimo lavoro, ed in quel momento mi sentii fiera di loro come non mai. Cercai lo sguardo di Stiles, riservandogli un gran sorriso. Realizzai solo in quel momento che Derek fosse salvo e che tutto si sarebbe finalmente concluso nel migliore dei modi.
Anche quella volta, stavamo tutti bene.
 









Forse non mi crederete, ma scrivere questo capitolo è stato praticamente faticoso tanto quanto un parto trigemellare, e non sto esagerando. Ci ho messo più di un mese per riuscire a farci qualcosa, infatti, il che credo la dica già lunga su tutta la situazione. Poi alla fin fine nemmeno mi piace, quindi alé. Lo trovo lungo, noioso, pesante... mannaggia a me ç.ç Sono stressata, sìsì. Perciò ho deciso che metterò la storia nuovamente in pausa, per un mese o poco più.
Ho bisogno di tempo per dedicarmi a me e magari anche ad altre storie, dal momento che esplorare altri fandom non fai poi tanto male. Anche se, devo proprio dirlo, quello di Teen Wolf è il migliore nel quale sia mai stata in questi quasi due anni di efp ♡
Coooomunque, parlando del capitolo (o perlomeno provandoci), avrete notato che Stiles ed Harriet si avvicinano sempre di più, spero. Per come la vedo io, oramai lei è a Beacon Hills da poco più di un mese e ovviamente di esperienze insieme i due ne hanno fatte, dunque è legittimo (?) vederli legare ogni giorno un po' di più, anche dal momento che vivono sotto lo stesso tetto. Ovviamente poi ci sono le solite missioni suicide (noi siamo ancora all'inizio, ma Harry non lo sa mica :P) del trio McCartinski. L'avevo detto che ci sarebbero stati e mi fa davvero piacere essere stata capace di dare uno spazio anche a loro, perché insieme li adoro davvero molto e spero sia altrettanto per voi.
E poi c'è Harriet che si improvvisa detective (sono tutti ansiosi di scoprire chi è l'Alpha, sì), e Derek che... è semplicemente Derek, non so cosa dire al riguardo XD Direi che forse è meglio se mi limito a scomparire nel nulla, lasciando tutti i pareri possibili ed immaginabili a voi, sempre nella speranza che non siate svenute addormentate alla seconda scena o giù di lì ç.ç Alla prossima, e cioè tra un mese o più,
hell
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Helena Kanbara