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Autore: Kodamy    02/07/2008    5 recensioni
« Il vento soffia da Nord, una leggera brezza.
… Si dice che porti via con sé tutti i colori del mondo.
Noi l’abbiamo visto cosa fa, il signor Vento.
E dietro di sé, signor Esorcista, lascia soltanto cuori sbiaditi.
State attenti.
State attenti alla ‘maladie du sommeil’. »
[Allen] [Lenalee] [Lavi] [Kanda][accenni AllenLenalee]
Genere: Malinconico, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Allen/Lenalee
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Lo sguardo di Annette era perso sull’arbusto di biancospino situato davanti alla sua finestra

Lo sguardo di Annette era perso sull’arbusto di biancospino situato davanti alla sua finestra.
I fiori piccoli, bianchi, delicati, che avrebbero un giorno lasciato spazio alle bacche rosso fuoco, rosso di sole che, all’orizzonte, stava già tramontando.
Sporadico, si sentiva anche il canto di quell’uccellino che, su quel biancospino, aveva fatto il nido.
Annette guardava anche lui.
Guardava il sole, e sua nipote giocare con gli altri bambini sulla strada acciottolata.
Guardava quella palla imbottita andare avanti ed indietro, e sentiva le risate dei bambini.
Giocavano a piedi nudi.
Le api ronzavano sui fiori variopinti.

Annette piangeva, e le sue lacrime si perdevano fra le rughe sul suo volto.

Annette voleva morire.

 

[ La ville aux coeurs fanès ]

 

I. Les lutins d’Églantine

 

 

”… senti?” ripete Allen, e la sua voce è solo un sussurro.
”Si,” risponde Lenalee, questa volta. Irrazionalmente, nel suo cuore vi è un po’ di angoscia. Ricorda quei romanzi gotici, e le risate dei bambini nei cimiteri, perché a dire il vero questa città non è tanto diversa da un cimitero, e dei bambini non dovrebbero viverci e basta.
Perché questa città è orribile, e…

Ma Allen non sembra condividere i suoi pensieri, e non sembra tanto preoccupato, quanto incuriosito. Si guarda attorno, cerca di capire da dove provengano, quelle risa.
Lenalee starnutisce.
E poi, la porta di una di quelle case-tomba si apre, facendole battere forte il cuore. Sulla porta, un’insegna sbiadita dal vento e dalle intemperie, la informa che quella non è una casa, bensì una locanda.
Dalla porta aperta sgorga un fiume di bambini: fra le braccia hanno pane, bottiglie di vetro, secchi pieni d’acqua e piccole palette, frutta e latte. Quella che sembra la più piccola esce per ultima, con una ghirlanda di fiori tra le mani. Ed è la prima a notare i due esorcisti, plasmando le labbra di bocciolo nella forma di una piccola ‘o’.

“I grandi!” grida con il suo francese infantile, e c’è un attimo di silenzio. Ma, non appena Allen schiude la bocca per parlare – e Lenalee pensa che quei bambini sono troppo, troppo magri per essere in buona salute – è il panico. La folla di bambini si infrange in varie direzioni, ed alcuni gridano, e corrono, e dei tozzi di pane cadono per terra, ma nessuno si ferma per raccoglierli.
Ed Allen rimane lì, in mezzo alla strada. Una mano guantata in un cenno - inutile – che avrebbe voluto fermarli.
C’è soltanto una bambina, lì, quella che era rimasta sulla soglia della locanda. Batte ciglio, guardando il ragazzo che inarca un sopracciglio.
”Ma cosa…?” mormora Allen, spostando l’attenzione su di lei. Lenalee starnutisce, e sopprime un brivido – pensa, forse, che non si tratta di un’allergia, ma piuttosto di raffreddore. Anche se, con quel caldo, sembra molto improbabile.

“Siete adulti, no?” commenta la bambina, chinando il capo d’un lato.

‘Non esattamente’, vuole rispondere Allen. Ma Lenalee lo batte, costringendosi ad annuire dolcemente, anche se con un po’ di stanchezza. “Sì. Siamo venuti per aiutare i vostri genitori.”
”Oh.” Mormora la bimba, battendo ciglio. “Come gli uomini bianchi?”

I finders. La bambina deve averli visti, probabilmente. Questo volta è Allen che annuisce, accovacciandosi per essere all’altezza del campo visivo della ragazzina. “Sì, proprio come loro. Li hai visti? Ci servirebbe il loro aiuto.”
La bambina stringe le labbra in un piccolo broncio, strascicando appena il piedino per terra, e dando un’occhiata alla porta socchiusa della locanda. “… stanno dormendo…” mugugna, infine, quasi incerta della correttezza nel rivelare quell’informazione.
Allen è un po’ più sollevato, e questo traspare fin troppo dal suo sorriso.
Quel sorriso, pensa Lenalee, maledicendolo. Poi, si sorprende nel pensarlo e nel volerlo un po’ più dedicato a sé. Starnutisce ancora, tirando su col naso e scotendo il capo. Il caldo, la stanchezza: non dispiacerebbe riposare un po’ nemmeno a lei, pensa, e si rivolge alla bambina riavviando qualche ciocca corta dietro l’orecchio.
”Ah… possiamo aspettare che si sveglino, dentro, allora?” domanda Allen, riportando su la sua voce da gentiluomo ed il suo francese dall’accento piuttosto discutibile. E’ affascinante, quel suo modo di fare, pensa la cinese. Probabilmente lo pensa anche la bambina, che arrossisce.
”Oh, no” risponde lei, con un vocino mortificato “E’ come con la mamma. Non si alzeranno dal letto. Piangono tutta la giornata. Li ho sentiti anche parlare, però, ma non ho capito cosa dicevano, non conosco la loro lingua… Ho provato a portare un po’ di pane, ma non lo mangiano mai… Non so cucinare bene, non sono brava per niente. Però sono brava a fare le ghirlande. Ne sto facendo tante, così la mamma non sarà più triste: sarà felicissima e tornerà ad occuparsi della locanda.”
”Anche tua mamma sta dormendo?”
”Uh, tutti gli adulti non escono più di casa. E i bambini prendono il cibo di qui, perché di solito ne abbiamo tanto, però dicono che dovremo prenderlo dagli orti tra un po’. Perché siamo tanti e François non pensa che basteranno molto, ma François dice sempre tante cose…”
Lenalee ed Allen si scambiano uno sguardo di stallo, indecisi sul cosa esattamente dire: Lenalee non è per niente brava con i bambini, checché ne possano dire tutti. Non ha mai dovuto vedersela con i bambini, lei. Allen, invece,  è un po’ più bravo di lei a gestirli, ma ha la tendenza ad empatizzare un po’ troppo con loro, e non riesce proprio a pensare a nulla da dire che possa tirar su di morale la bambina.
La bimba sembra abbastanza preoccupata, quando torna a guardare il ragazzo, rossore sulle guance. “Dovete andar via, no?”
”Perché?” risponde lui, chinando il capo d’un lato.
”Da un po’ i grandi finiscono sempre così, qui. Finirete così anche voi. Voi siete grandi, no?” domanda la bambina, perplessa.
”Non esattamente,” dice Allen, questa volta, ad alta voce. “Non così tanto… non ancora, almeno. Siamo qui per aiutarvi, te l’abbiam detto, no?”
La bimba arrossisce ancora più vistosamente, e per un attimo sembra tentata di nascondere il viso da qualche parte. Ma non c’è la gonna della mamma, lì, a proteggerla. La mamma sta di sopra, nel suo letto, e piange.
”Piange sempre,” dice allora, stringendo infantilmente le labbra “la mamma. Voi aiuterete la mamma, sì? Le piacciono tanto i fiori, e li cura tantissimo, però si stanno rovinando e io non so farci nulla. Sarebbe tristissima, se appassissero. L’aiuterete?”
”Sì,” dice Allen, annuendo solennemente. “Siamo qui per questo.”
”Promesso?” mugugna la bimba, tirando su il mignolo e piantandolo davanti al naso di Allen. Allen batte ciglio, piuttosto vistosamente.
”Uh… sì?”
La bimba scuote il capo, freneticamente. “Nononono, devi prima intrecciare il mignolo, e poi promettere. La mamma dice sempre che le promesse van fatte con il mignolo.”
”Oh…” lo sguardo del ragazzo incrocia imbarazzato quello di Lenalee (lei non sorride, starnutisce, ma lui sembra ormai essersi abituato a quei piccoli sfoghi), prima che egli dia il mignolo alla bambina. “Promesso.”
Lei lo scuote, grande sorriso sulle labbra. Le mancano un canino ed un incisivo, ma è un bel sorriso lo stesso.
Il vento continua, imperterrito, a soffiare da Nord. All’orizzonte, il sole sta tramontando.

 

 

La bambina, che si chiama Blanche, non ha altro da offrire se non un po’ di pane e dell’acqua fresca. Lo stomaco di Allen protesta, e anche piuttosto rumorosamente, ma il ragazzo si trova a dover scendere a patti con la sua fame. Perché è rimasto veramente poco a quei bambini, e sa che dovrebbero andare - nei giorni a seguire - a prendere delle scorte in città, perché ce n’è davvero bisogno.
Pertanto, finita la sua baguette – un po’ troppo dura, vecchia di qualche giorno – e bevuto il suo bicchiere d’acqua, Allen si pulisce le labbra e ringrazia caldamente con un sorriso.
”Stavo veramente morendo di fame…” commenta, battendosi la mano sullo stomaco. Lenalee si ritrova a pensare che sia una cosa ridicola e che non c’è modo che la bambina ci caschi, ma Blanche sorride contenta, manine giunte dietro la schiena.
Allen le dà una piccola pacca sulla testa di riccioli castani, ringraziando ancora, e la bambina annuisce prima di sgattaiolare via al piano di sopra, ghirlanda stretta fra le manine.
Per qualche attimo i due rimangono in silenzio, seguendola con lo sguardo. Poi, è Allen ad infrangerlo, con un brontolio dello stomaco. Si volta verso Lenalee, ed un po’ di preoccupazione è evidente nel suo sguardo, così come la stanchezza del viaggio e del mancato – adeguato e dovuto – ristoro. 
Tutti gli adulti? Così?” commenta, incredulo, incrociando le braccia al petto. Cerca conferma, o rassicurazioni. Forse, ragiona Lenalee, si è accorto anche lui di quanto sia sbagliata, quella cittadella. Annuisce, scostando lo sguardo sulle scale che portano al piano di sopra. La voce argentina di Blanche si sente da lì, ma non sembra ricevere risposte dalla madre. E’ un monologo, quello che si intuisce, non un dialogo.

Deve far male. Deve far veramente male, vedere un genitore ridotto così.
Quell’osservazione le sfugge dalle labbra ed Allen, distrattamente annuisce. E’ lì, accanto a lei: nel silenzio, i suoi occhi d’argento la spiano più volte, prima di decidersi ad infrangerlo ancora.
”Lenalee?”
”Uhm?” mormora lei, sollevando lo sguardo ed incrociando il suo. Tira su col naso, e gli occhi rossi per l’allergia fanno sì che sembri che stia piangendo.
”Stai bene, sì?” domanda lui, e c’è affetto nella sua voce, genuina preoccupazione. Lenalee, in qualche modo, ne è veramente grata.
”Sì, sì,” lo rassicura, accennando un piccolo sorriso. “E’ l’allergia. Tutti questi starnuti mi devono aver intontita, mi fa un po’ male la testa.”
Allen annuisce, sorride. Non molto genuinamente, questa volta. Poi sospira, incrociando le mani dietro la nuca e borbottando qualcosa riguardo all’accanimento della sfortuna nei loro confronti, quando loro non hanno fatto nulla.
Lenalee non se la sente di ridere. Tuttavia, lo fa comunque, nascondendo la fila di denti bianchi dietro il palmo della mano. Fa caldo, fa veramente caldo.

 

La camera di Lenalee è accanto a quella di Allen, che è accanto a quella dei due finders. Eppure, nonostante ci sia una camera di distanza fra di loro, Lenalee può sentire i due uomini piangere nel sonno – uno di loro si sveglia con un grido e l’altro, svegliato dal grido, cantilena una preghiera.

In the name of the Father…

Mormora, e Lenalee, per quanto avesse odiato Dio durante la sua vita, si ritrova istintivamente a modellare il seguito della preghiera con le labbra.
Inizia a far freddo, nella stanzetta, e sa che in quel villaggio è tutto sbagliato. Dai fiori, ai bambini, agli adulti che dormono, al vento, alla sua allergia.
Sente Allen russare sommessamente al di là del muro ma, sebbene questa cosa l’avrebbe solitamente fatta ridere (come una bambina, a dire il vero), quella sera la infastidisce, perché non riesce a prender sonno.
singhiozzo preghiera russare grido perdono perdono singhiozzo Signore mi dispiace

Lenalee starnutisce, affondando il viso nel cuscino della piccola stanza, angusta e stantia. Il suo sesto senso le dice che qualcosa non va’. Di solito, a Lenalee piace seguire il suo sesto senso, perché, di solito, il suo sesto senso ha ragione. Non l’ha mai delusa, il suo istinto.

Vorrebbe alzarsi dal letto e parlarne con Allen.
Parlare di quella città-cimitero, con i suoi abitanti addormentati ed i suoi bimbi scalzi e vagabondi come spiritelli. Con i suoi fiori in tributo ad ogni casa-tomba e con i pianti dei ‘grandi’, spettrali come gemiti di fantasmi. E’ il suo dovere, essere lì in missione.
Perché, sebbene in guerra, lo scopo dell’Ordine non è affatto cambiato, e quella potrebbe essere Innocence.
Ma potrebbe essere davvero Innocence? Potrebbe l’Innocence fare davvero cose così sbagliate?
E’ qualcosa di orribile, quello che sta accadendo a questa città.
Ma ha visto fare talmente tante cose, all’Innocence. Molte delle quali per niente innocenti.
Vorrebbe alzarsi e parlarne con Allen. Ma, paradossalmente, l’idea di uscire da sola in quel corridoio buio le mette paura. La paura le mette ansia. L’ansia le fa accelerare il respiro.
Una serie di starnuti, mentre si stringe un po’ più su sé stessa nel letto. Ha affrontato tante cose.
Questa paura è sbagliata, non le appartiene. Una parte di lei riesce a razionalizzare questo pensiero.
Quella parte di lei insiste, parlane con Allen. E’ importante. Devi parlargli.
Ma, seriamente, non riesce davvero a trovare la forza di alzarsi dal letto. Finalmente il sonno – tanto ambito – la coglie, prendendola fra le sue braccia e trascinandola nel suo abisso di quiete.

 

Quella notte sognerà un’immensa luna spettrale riflessa sull’acqua. Sognerà Allen, dall’alta parte dello specchio, senza poter riuscire a raggiungerlo. Sognerà di essere muta, sognerà di non poter far nulla, sognerà di essere sola ed isolata dal mondo e sognerà quei sogni che tanto l’avevano spaventata da bambina.
Sognerà quel ragazzino, soggetto degli esperimenti sulla sincronizzazione dell’innocence, ed il suo sguardo rassegnato, dedicato solo a lei, e che lei aveva sempre visto come un’accusa.
Sognerà Leverrier, ed il puro terrore che quella figura autoritaria ancora risvegliava dentro di lei.
Sognerà una grande distesa di neve, ed il puzzle del suo mondo caduto in pezzi, e tutti i pezzi sparsi nella neve e sporchi di sangue e la neve rossa, scarlatta, come la Luna spettrale.

 

La mattina dopo si sveglierà, silenziosamente, tra i singhiozzi.

 

 

 

 

Note sul francese:
- les lutins d’Églantine
= gli spiritelli di Églantine

 

A/N: okay, si entra nella fic. Sono più soddisfatta di questo capitolo, rispetto al primo, sinceramente. Fila molto meglio. E si sta per entrare nel fulcro della questione. Ringrazio ancora una volta Liy per le rassicurazioni su Allen. Dio, quant’è difficile, quel ragazzo. Kanda e Lavi e Lenalee li trovo molto più facili da scrivere. Sigh.
Stavo per inserire un “Charles” al posto di “François”, ma poi mi son detta che faccio troppi riferimenti alla Rossana italiana. Quindi, vada per François. Tanto è del tutto irrilevante.
Per yuko_chan, sì: il titolo ci son voluti tre quarti d’ora per metterlo su. Sarà che, in realtà, detesto il francese. Contenta che ti piaccia *_*” Anche se non avrò molti commenti, questa fic la finirò comunque. Ci tengo particolarmente, essendo la prima longfic su D.Gray. E non scrivo Longfic da una vita. Quindi non temere X°D

 

 

 

 

 

 

  
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