Lo sguardo di Annette era perso sull’arbusto di
biancospino situato davanti alla sua finestra.
I fiori piccoli, bianchi, delicati, che avrebbero un giorno lasciato spazio
alle bacche rosso fuoco, rosso di sole che, all’orizzonte, stava già
tramontando.
Sporadico, si sentiva anche il canto di quell’uccellino che, su quel
biancospino, aveva fatto il nido.
Annette guardava anche lui.
Guardava il sole, e sua nipote giocare con gli altri bambini sulla strada
acciottolata.
Guardava quella palla imbottita andare avanti ed indietro, e sentiva le risate
dei bambini.
Giocavano a piedi nudi.
Le api ronzavano sui fiori variopinti.
Annette piangeva, e le sue lacrime si perdevano fra le rughe sul suo volto.
Annette voleva morire.
[ La ville aux coeurs fanès ]
I. Les lutins d’Églantine
”… senti?” ripete Allen, e la sua voce è solo un
sussurro.
”Si,” risponde Lenalee, questa volta. Irrazionalmente, nel suo cuore vi è un
po’ di angoscia. Ricorda quei romanzi gotici, e le risate dei bambini nei
cimiteri, perché a dire il vero questa città non è tanto diversa da un
cimitero, e dei bambini non dovrebbero viverci e basta.
Perché questa città è orribile, e…
Ma Allen non sembra condividere i suoi pensieri, e non
sembra tanto preoccupato, quanto incuriosito. Si guarda attorno, cerca di
capire da dove provengano, quelle risa.
Lenalee starnutisce.
E poi, la porta di una di quelle case-tomba si apre, facendole battere forte il
cuore. Sulla porta, un’insegna sbiadita dal vento e dalle intemperie, la
informa che quella non è una casa, bensì una locanda.
Dalla porta aperta sgorga un fiume di bambini: fra le braccia hanno pane,
bottiglie di vetro, secchi pieni d’acqua e piccole palette, frutta e latte.
Quella che sembra la più piccola esce per ultima, con una ghirlanda di fiori
tra le mani. Ed è la prima a notare i due esorcisti, plasmando le labbra di
bocciolo nella forma di una piccola ‘o’.
“I grandi!” grida con il suo francese infantile, e c’è un
attimo di silenzio. Ma, non appena Allen schiude la bocca per parlare – e
Lenalee pensa che quei bambini sono troppo, troppo magri per essere in buona
salute – è il panico. La folla di bambini si infrange in varie direzioni, ed
alcuni gridano, e corrono, e dei tozzi di pane cadono per terra, ma nessuno si
ferma per raccoglierli.
Ed Allen rimane lì, in mezzo alla strada. Una mano guantata in un cenno - inutile
– che avrebbe voluto fermarli.
C’è soltanto una bambina, lì, quella che era rimasta sulla soglia della
locanda. Batte ciglio, guardando il ragazzo che inarca un sopracciglio.
”Ma cosa…?” mormora Allen, spostando l’attenzione su di lei. Lenalee
starnutisce, e sopprime un brivido – pensa, forse, che non si tratta di
un’allergia, ma piuttosto di raffreddore. Anche se, con quel caldo, sembra
molto improbabile.
“Siete adulti, no?” commenta la bambina, chinando il capo d’un lato.
‘Non esattamente’, vuole rispondere Allen. Ma
Lenalee lo batte, costringendosi ad annuire dolcemente, anche se con un po’ di
stanchezza. “Sì. Siamo venuti per aiutare i vostri genitori.”
”Oh.” Mormora la bimba, battendo ciglio. “Come gli uomini bianchi?”
I finders. La bambina deve averli visti, probabilmente.
Questo volta è Allen che annuisce, accovacciandosi per essere all’altezza del
campo visivo della ragazzina. “Sì, proprio come loro. Li hai visti? Ci
servirebbe il loro aiuto.”
La bambina stringe le labbra in un piccolo broncio, strascicando appena il
piedino per terra, e dando un’occhiata alla porta socchiusa della locanda. “…
stanno dormendo…” mugugna, infine, quasi incerta della correttezza nel rivelare
quell’informazione.
Allen è un po’ più sollevato, e questo traspare fin troppo dal suo sorriso.
Quel sorriso, pensa Lenalee, maledicendolo. Poi, si sorprende nel
pensarlo e nel volerlo un po’ più dedicato a sé. Starnutisce ancora, tirando su
col naso e scotendo il capo. Il caldo, la stanchezza: non dispiacerebbe
riposare un po’ nemmeno a lei, pensa, e si rivolge alla bambina riavviando
qualche ciocca corta dietro l’orecchio.
”Ah… possiamo aspettare che si sveglino, dentro, allora?” domanda Allen,
riportando su la sua voce da gentiluomo ed il suo francese dall’accento
piuttosto discutibile. E’ affascinante, quel suo modo di fare, pensa la cinese.
Probabilmente lo pensa anche la bambina, che arrossisce.
”Oh, no” risponde lei, con un vocino mortificato “E’ come con la mamma. Non si
alzeranno dal letto. Piangono tutta la giornata. Li ho sentiti anche parlare,
però, ma non ho capito cosa dicevano, non conosco la loro lingua… Ho provato a
portare un po’ di pane, ma non lo mangiano mai… Non so cucinare bene, non sono
brava per niente. Però sono brava a fare le ghirlande. Ne sto facendo tante,
così la mamma non sarà più triste: sarà felicissima e tornerà ad occuparsi
della locanda.”
”Anche tua mamma sta dormendo?”
”Uh, tutti gli adulti non escono più di casa. E i bambini prendono il cibo di
qui, perché di solito ne abbiamo tanto, però dicono che dovremo prenderlo dagli
orti tra un po’. Perché siamo tanti e François non pensa che basteranno molto,
ma François dice sempre tante cose…”
Lenalee ed Allen si scambiano uno sguardo di stallo, indecisi sul cosa
esattamente dire: Lenalee non è per niente brava con i bambini, checché ne
possano dire tutti. Non ha mai dovuto vedersela con i bambini, lei. Allen,
invece, è un po’ più bravo di lei a gestirli,
ma ha la tendenza ad empatizzare un po’ troppo con loro, e non riesce proprio a
pensare a nulla da dire che possa tirar su di morale la bambina.
La bimba sembra abbastanza preoccupata, quando torna a guardare il ragazzo,
rossore sulle guance. “Dovete andar via, no?”
”Perché?” risponde lui, chinando il capo d’un lato.
”Da un po’ i grandi finiscono sempre così, qui. Finirete così anche voi. Voi
siete grandi, no?” domanda la bambina, perplessa.
”Non esattamente,” dice Allen, questa volta, ad alta voce. “Non così tanto… non
ancora, almeno. Siamo qui per aiutarvi, te l’abbiam detto, no?”
La bimba arrossisce ancora più vistosamente, e per un attimo sembra tentata di
nascondere il viso da qualche parte. Ma non c’è la gonna della mamma, lì, a
proteggerla. La mamma sta di sopra, nel suo letto, e piange.
”Piange sempre,” dice allora, stringendo infantilmente le labbra “la mamma. Voi
aiuterete la mamma, sì? Le piacciono tanto i fiori, e li cura tantissimo, però
si stanno rovinando e io non so farci nulla. Sarebbe tristissima, se
appassissero. L’aiuterete?”
”Sì,” dice Allen, annuendo solennemente. “Siamo qui per questo.”
”Promesso?” mugugna la bimba, tirando su il mignolo e piantandolo davanti al
naso di Allen. Allen batte ciglio, piuttosto vistosamente.
”Uh… sì?”
La bimba scuote il capo, freneticamente. “Nononono, devi prima
intrecciare il mignolo, e poi promettere. La mamma dice sempre che le promesse
van fatte con il mignolo.”
”Oh…” lo sguardo del ragazzo incrocia imbarazzato quello di Lenalee (lei non
sorride, starnutisce, ma lui sembra ormai essersi abituato a quei piccoli
sfoghi), prima che egli dia il mignolo alla bambina. “Promesso.”
Lei lo scuote, grande sorriso sulle labbra. Le mancano un canino ed un
incisivo, ma è un bel sorriso lo stesso.
Il vento continua, imperterrito, a soffiare da Nord. All’orizzonte, il sole sta
tramontando.
La bambina, che si chiama Blanche, non ha altro da
offrire se non un po’ di pane e dell’acqua fresca. Lo stomaco di Allen
protesta, e anche piuttosto rumorosamente, ma il ragazzo si trova a dover
scendere a patti con la sua fame. Perché è rimasto veramente poco a quei
bambini, e sa che dovrebbero andare - nei giorni a seguire - a prendere delle
scorte in città, perché ce n’è davvero bisogno.
Pertanto, finita la sua baguette – un po’ troppo dura, vecchia di qualche giorno
– e bevuto il suo bicchiere d’acqua, Allen si pulisce le labbra e ringrazia
caldamente con un sorriso.
”Stavo veramente morendo di fame…” commenta, battendosi la mano sullo
stomaco. Lenalee si ritrova a pensare che sia una cosa ridicola e che non c’è
modo che la bambina ci caschi, ma Blanche sorride contenta, manine giunte
dietro la schiena.
Allen le dà una piccola pacca sulla testa di riccioli castani, ringraziando
ancora, e la bambina annuisce prima di sgattaiolare via al piano di sopra,
ghirlanda stretta fra le manine.
Per qualche attimo i due rimangono in silenzio, seguendola con lo sguardo. Poi,
è Allen ad infrangerlo, con un brontolio dello stomaco. Si volta verso Lenalee,
ed un po’ di preoccupazione è evidente nel suo sguardo, così come la stanchezza
del viaggio e del mancato – adeguato e dovuto – ristoro.
”Tutti gli adulti? Così?” commenta, incredulo, incrociando le braccia al
petto. Cerca conferma, o rassicurazioni. Forse, ragiona Lenalee, si è accorto
anche lui di quanto sia sbagliata, quella cittadella. Annuisce, scostando lo
sguardo sulle scale che portano al piano di sopra. La voce argentina di Blanche
si sente da lì, ma non sembra ricevere risposte dalla madre. E’ un monologo,
quello che si intuisce, non un dialogo.
Deve far male. Deve far veramente male, vedere un
genitore ridotto così.
Quell’osservazione le sfugge dalle labbra ed Allen, distrattamente annuisce. E’
lì, accanto a lei: nel silenzio, i suoi occhi d’argento la spiano più volte,
prima di decidersi ad infrangerlo ancora.
”Lenalee?”
”Uhm?” mormora lei, sollevando lo sguardo ed incrociando il suo. Tira su col
naso, e gli occhi rossi per l’allergia fanno sì che sembri che stia piangendo.
”Stai bene, sì?” domanda lui, e c’è affetto nella sua voce, genuina
preoccupazione. Lenalee, in qualche modo, ne è veramente grata.
”Sì, sì,” lo rassicura, accennando un piccolo sorriso. “E’ l’allergia. Tutti
questi starnuti mi devono aver intontita, mi fa un po’ male la testa.”
Allen annuisce, sorride. Non molto genuinamente, questa volta. Poi sospira,
incrociando le mani dietro la nuca e borbottando qualcosa riguardo
all’accanimento della sfortuna nei loro confronti, quando loro non hanno fatto
nulla.
Lenalee non se la sente di ridere. Tuttavia, lo fa comunque, nascondendo la
fila di denti bianchi dietro il palmo della mano. Fa caldo, fa veramente caldo.
La camera di Lenalee è accanto a quella di Allen, che è accanto a quella dei due finders. Eppure, nonostante ci sia una camera di distanza fra di loro, Lenalee può sentire i due uomini piangere nel sonno – uno di loro si sveglia con un grido e l’altro, svegliato dal grido, cantilena una preghiera.
In
the name of the Father…
Mormora, e Lenalee, per quanto avesse odiato Dio durante
la sua vita, si ritrova istintivamente a modellare il seguito della preghiera
con le labbra.
Inizia a far freddo, nella stanzetta, e sa che in quel villaggio è tutto
sbagliato. Dai fiori, ai bambini, agli adulti che dormono, al vento, alla sua
allergia.
Sente Allen russare sommessamente al di là del muro ma, sebbene questa cosa
l’avrebbe solitamente fatta ridere (come una bambina, a dire il vero), quella
sera la infastidisce, perché non riesce a prender sonno.
singhiozzo preghiera russare grido perdono perdono singhiozzo Signore mi
dispiace
Lenalee starnutisce, affondando il viso nel cuscino della piccola stanza, angusta e stantia. Il suo sesto senso le dice che qualcosa non va’. Di solito, a Lenalee piace seguire il suo sesto senso, perché, di solito, il suo sesto senso ha ragione. Non l’ha mai delusa, il suo istinto.
Vorrebbe alzarsi dal letto e parlarne con Allen.
Parlare di quella città-cimitero, con i suoi abitanti addormentati ed i suoi
bimbi scalzi e vagabondi come spiritelli. Con i suoi fiori in tributo ad ogni
casa-tomba e con i pianti dei ‘grandi’, spettrali come gemiti di fantasmi. E’
il suo dovere, essere lì in missione.
Perché, sebbene in guerra, lo scopo dell’Ordine non è affatto cambiato, e
quella potrebbe essere Innocence.
Ma potrebbe essere davvero Innocence? Potrebbe l’Innocence fare davvero cose
così sbagliate?
E’ qualcosa di orribile, quello che sta accadendo a questa città.
Ma ha visto fare talmente tante cose, all’Innocence. Molte delle quali per
niente innocenti.
Vorrebbe alzarsi e parlarne con Allen. Ma, paradossalmente, l’idea di uscire da
sola in quel corridoio buio le mette paura. La paura le mette ansia. L’ansia le
fa accelerare il respiro.
Una serie di starnuti, mentre si stringe un po’ più su sé stessa nel letto. Ha
affrontato tante cose.
Questa paura è sbagliata, non le appartiene. Una parte di lei riesce a
razionalizzare questo pensiero.
Quella parte di lei insiste, parlane con Allen. E’ importante. Devi parlargli.
Ma, seriamente, non riesce davvero a trovare la forza di alzarsi dal letto.
Finalmente il sonno – tanto ambito – la coglie, prendendola fra le sue braccia
e trascinandola nel suo abisso di quiete.
Quella notte sognerà un’immensa luna spettrale riflessa
sull’acqua. Sognerà Allen, dall’alta parte dello specchio, senza poter riuscire
a raggiungerlo. Sognerà di essere muta, sognerà di non poter far nulla, sognerà
di essere sola ed isolata dal mondo e sognerà quei sogni che tanto l’avevano
spaventata da bambina.
Sognerà quel ragazzino, soggetto degli esperimenti sulla sincronizzazione
dell’innocence, ed il suo sguardo rassegnato, dedicato solo a lei, e che lei
aveva sempre visto come un’accusa.
Sognerà Leverrier, ed il puro terrore che quella figura autoritaria ancora
risvegliava dentro di lei.
Sognerà una grande distesa di neve, ed il puzzle del suo mondo caduto in pezzi,
e tutti i pezzi sparsi nella neve e sporchi di sangue e la neve rossa,
scarlatta, come la Luna spettrale.
La mattina dopo si sveglierà, silenziosamente, tra i singhiozzi.
Note sul francese:
- les lutins d’Églantine = gli spiritelli di Églantine
A/N: okay, si entra nella fic. Sono più
soddisfatta di questo capitolo, rispetto al primo, sinceramente. Fila molto
meglio. E si sta per entrare nel fulcro della questione. Ringrazio ancora una
volta Liy per le rassicurazioni su Allen. Dio, quant’è difficile, quel
ragazzo. Kanda e Lavi e Lenalee li trovo molto più facili da scrivere. Sigh.
Stavo per inserire un “Charles” al posto di “François”, ma poi mi son detta che
faccio troppi riferimenti alla Rossana italiana. Quindi, vada per François.
Tanto è del tutto irrilevante.
Per yuko_chan, sì: il titolo ci son voluti tre quarti d’ora per metterlo
su. Sarà che, in realtà, detesto il francese. Contenta che ti piaccia *_*”
Anche se non avrò molti commenti, questa fic la finirò comunque. Ci tengo
particolarmente, essendo la prima longfic su D.Gray. E non scrivo Longfic da
una vita. Quindi non temere X°D