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Autore: Alien_tonight    18/03/2014    1 recensioni
Questa è una breve storia one-shot nata di getto questa mattina, è stata ispirata da una pagina facebook che si chiama “humans of New York” di cui è fornito il link nelle note dell’autrice. E’ una storia scritta in modo inusuale, almeno per me e per il mio stile in quanto ho scritto immaginando nella mia testa un video che scorreva, con ogni inquadratura ben scandita, nella lettura spero si capisca cosa intendevo costruire. E’ tutto un progetto e non sono sicura di come sia venuto ma spero non sia uno scarabocchio da buttare.
Questa è la storia di una ragazza che, in una giornata “vuota” decide di uscire e seguire il vento, e vedere dove va a finire. Lo definirei come uno “slice of life”, leggendo capirete, che ha come intento far cambiare ottica o fornirne una nuova per guardare alla vita frenetica e alle volte “spersonalizzata” delle metropoli moderne.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: ok, spero ufficialmente che questa storia sia di possibile comprensione, è una cosa nata di getto col principale intento di passare le cinque ore di scuola di questa mattina senza sbattere la testa sul banco, stavo ripensando ad una pagina facebook che ho scoperto da poco e che consiglio a tutti https://www.facebook.com/humansofnewyork?fref=ts e questa storia mi è nata in mente come un video, che ovviamente non potevo girare sul momento e quindi ho ovviato descrivendo ogni singola scena come appariva nella mia testa. Mi sono ispirata a questa pagina perchè l'ho trovata particolare, diversa dalle altre, ora io non so se questo hobby di girare per strada e fotografare persone sia un movimento, una moda o non so che, so che mi è parso un buon modo per ridare essenza alle persone in un mondo sempre più impersonale e frenetico, e ho voluto scriverci sopra qualcosa, spero apprezzerete e se non lo avete ancora fatto passate per la pagina facebook o tumblr perchè merita! 



City humans' life.


Una tazza di caffè, di quelle alte, cilindriche come i cappelli eleganti di una volta, in ceramica, bianca con qualche fiorellino dipinto e stilizzato che ne puntella la superficie piatta; un caffè nero, denso, fumante che innalza un lieve soffio caldo di vapore che sale con ghirigori e si staglia nell’aria ancora fresca di Marzo. Un’aria che ti fa sentire il sole quando è nel cielo e ti bacia ma non ti permette di sentire il calore insinuarsi sottopelle, non ti permette di fare il calore tuo.
E’ un mese che inganna, Marzo.
 
Un davanzale di legno, semplice, un legname di quelli non molto costosi, color miele scuro con qualche asse scostata dalle altre, irregolare e che non viene mai messo a posto perché che diritto ha uno di dire ad un davanzale come deve essere?
Chi può dirgli che deve essere regolare, piatto, monotono, proprio come tutti gli altri davanzali?
Se un davanzale color miele di castagno vuole essere irregolare, diverso, unico perché ci si dovrebbe sentire liberi di costringerlo ad una noiosa piattezza forzata?
 
Due dita lunghe dalla pelle candida ma non esageratamente curata, con le unghie laccate di uno smalto rosso scuro sbeccato che se ne sta’ lì da due o tre giorni, prendono la maniglia della tazza, con delicatezza, per non farle troppo male visto che è già leggermente crepata sul bordo; ha una piccola ferita, probabilmente dovuta all’età.
Chissà quante deve averne viste nella sua vita, quella tazza.
Dietro al vetro appannato dagli aloni secchi dovuti ad una pioggia sporca, asciutti ormai da una settimana, si vede un formicaio in fermento, si sentono i rumori del traffico, un clacson e anche un uccellino che cinguetta, e che vuole urlare al vento chissà cosa.
 
Due piedi bianchi, scalzi, infreddoliti si alzano dalla superficie quasi liscia del davanzale, si posano a terra e l’intero corpo si alza. Le dita posano la tazza mezza vuota, o mezza piena, questo è troppo personale per diventare una certezza, sul davanzale mentre quegli occhi verdi quasi ambrati ci scorrono sopra veloci per poi esitare solo un attimo sul paesaggio più cittadino dei palazzi di New York, in uno dei quartieri meno famosi, quelli senza enormi negozi o monumenti importanti.
Un porto pieno di gente, perché a New York la gente c’è sempre, ma non è comunque nulla più di questo per nessuno, è gente. Come se ogni persona fosse un mattone di un edificio, un uccellino in uno stormo, qualcosa di troppo estremo per soffermarcisi, per essere davvero compreso… c’è troppo poco davanti a quelle facce, troppa frenesia.
 
Le due mani affusolate si stringono ai bordi di un gilet di lana pesante, grigio, e le due braccia lunghe si incrociano davanti al petto come in un gesto di protezione da un freddo che  non è tutto sommato così pungente. Le labbra si stringono, rosee, pulite e le sopracciglia rossicce si aggrottano.
 
Quello era uno di quei giorni piatti, in cui non si sa cosa fare, si potrebbe di tutto ma non si arriva quasi a niente. Così tanto potenziale in sole ventiquattro ore e nulla che venga portato a termine, sono le pause in cui la vita fa un respiro.
Ma guardando il cielo quella sembrava una giornata troppo limpida per rimanere appollaiati su un davanzale a guardare il mondo andare avanti senza tentare di farne parte, c’erano troppe idee da poter sviluppare…
 
I piedi trovano in fretta un paio di scarpe in cui infilarsi, il bottone dei jeans elasticizzati finalmente si allaccia, i capelli ricci e lunghi venngono raccolti in un nido irregolare sulla testa, le mani afferrano un trench scuro che infilano sulle spalle e lasciarono aperto, a mostrare il gilet e la maglia nera, semplice, con l’unica collana fatta a mano che cade lunga fin sulla pancia. Afferrano svelte una borsa a sacco, tre pennelli, una cassetta piena di colori, dei pastelli, un blocco da disegno e una tela, che non si sa mai. Chiudono a chiave la porta dietro i passi svelti dei piedi che corrono giù dalle scale, saltando gli ultimi due gradini come se avessero ancora cinque anni e si ritrovano fuori dal portone cosicché il viso, le labbra, la pelle, le ciglia potessero sentire su di loro l’aria fresca e leggera che gli occhi avevano poco prima visto dalla finestra, mentre giocava con le foglie sugli alberi, con i capelli delle persone, con gli orli dei vestiti, coi cappelli… E lei si mette a camminare.
 
Stringe la borsa con una mano, con l’altra il blocco e la tela, cerca di guizzare tra la gente rapida senza intaccarla, come un salmone che si insinua tra le correnti del fiume che vuole risalire.
Una spalla la urta, lei si volta un po’ per l’impatto  -‘xcuse me…- le esce in automatico e si è già rivoltata, senza ricordarsi nemmeno il viso di chi ha appena incrociato.
 
Scorre ancora, come una cellula di sangue in un grande ed unico organismo vivente, si infila nei capillari della città, entra nella metropolitana passando la sua tesserina di abbonamento per poi superare le transenne e infilarsi di striscio in un vagone mentre le porte stanno per chiudersi.
Aspetta in piedi, lasciando i pochi posti liberi ai bambini, agli anziani, a quella signora con ciuffi di capelli rosa e un pancione rotondo in attesa di un bambino e che sembra tanto felice anche se ha il viso stanco. Quanti dettagli si possono cogliere soffermandosi solo una manciata di secondi a guardare, oltre che a vedere.
 
Il treno si ferma e la frenesia riprende, tutti salgono, tutti scendono, vite che si sfiorano e non si scontrano mai. Lei scivola fuori ed esce di nuovo alla luce, è cambiato qualcosa in quei pochi minuti di buio? Forse tutto, forse niente, forse è cambiata anche lei, che ora si sente come un germoglio che cresce per uscire da sotto terra ed essere baciata dai raggi del sole.
 
Esce e trova di nuovo aria fresca, brezza leggera, il sapore della luce sulle labbra, sulle palpebre socchiuse.
Si avvia verso uno dei cancelli del grande parco che ama tanto, Central Park. Ci si tuffa dentro come in una pozza di acqua fresca in una giornata torrida, ci entra ed è come arrivare in un oasi in quel deserto di cemento e persone, chiude gli occhi e… respira.
 
 
Sorride e apre gli occhi, si sente subito bene. Stringe le mani attorno agli oggetti a lei tanto cari e si avvia guardandosi intorno, guarda il paesaggio senza curarsi della gente, guarda il cielo, gli alberi, la terra. –Scusa!- sente dire da una voce volante di fianco a lei. Si volta sorpresa, con le sopracciglia alzate e vede un ragazzo giovane con un sorriso leggero in viso, gli occhi profondi, la cuffia in testa –ciao- le sorride, e lei ricambia appena, impacciata, in attesa.
 
-ciao.- risponde. Quel ragazzo alza la mano, le mostra una macchina fotografica dall’aria piuttosto costosa, ma più di questo, dall’aria vissuta. Era come un velo impalpabile che la ricopriva, come se il grande occhio dell’obbiettivo la guardasse con la tenerezza e la sapienza di una retina anziana, che ha visto tanto del mondo ma che era spalancata, aperta, ancora desiderosa e capace di stupirsi e meravigliarsi di ciò che si ritrovava davanti. A scoprire.
 
-posso farti una foto?- le chiede semplicemente con estrema naturalezza. Lei si volta e si guarda alle spalle, confusa. –a me?- chiede indicandosi e puntando con un dito al proprio petto, un sopracciglio inarcato.
Il ragazzo annuisce, sempre sorridendo –sì, a te.- ripete –posso?- e si ritrovò issato da uno sguardo confuso, lei ci pensa un attimo e poi annuisce, corrucciando la fronte. –Sì va bene… devo fare qualcosa di particolare? Mettermi in posa?-
Lui si porta la fotocamera davanti al viso. –Mmh… no. Devi solo… insomma, farmi fare una foto.-
E lei sorride, chissà perché divertita da quella situazione strana, inusuale, vagamente imbarazzante e guarda un punto lontano davanti a sé, leggermente spostato verso destra cercando un senso a quella richiesta.
Lo guarda, inclinando di pochi gradi la testa. –va bene così?- chiede mentre lui le sorride. –va bene sempre.- risponde.
 
Click.
-a che servono la tela e i colori?- li indica appena, studiandola.
Lei alza appena il braccio, come se si fosse appena ricordata di averli ancora con sé. -mah.. non lo so ancora. Sono un potenziale. Volevo un po’ di luce da guardare e cercare un soggetto su cui lavorare… mi piace disegnare e dipingere… interpretare un po’ il mondo.- cerca di spiegare, leggermente in difficoltà e spiazzata a causa di quella domanda così semplice ma così insolita.
-cerchi una buona lente con cui guardare.- sorride lui, come se avesse capito perfettamente cosa intendesse. Lo diceva con una tale semplicità che le sembrava proprio che avesse colto nel segno, come se fosse un po’ la tessa cosa per lui con la sua macchina fotografica al collo. –.- concorda –direi che è un buon modo per spiegarlo.-
 
Si guardano per un attimo. –perché fai così?- chiede poi.
Lei lo studia divertita ma ancora più confusa. –così come?- la sua fronte si corruccia. -…così coi denti… ti mordicchi il labbro inferiore.- e nello spiegarsi si tocca il proprio labbro, mentre imita come gli viene il movimento. Le indica piano il viso, e poi fa un’altra foto.
-Io non…- non lo aveva mai notato prima, ma ora, pensandoci, si è accorta che è una cosa che fa spesso, una strana abitudine. –non lo so… credo… credo sia solo una cosa che faccio così, quando penso, o sono distratta o… o sono in imbarazzo.-  ridacchia piano, appena nervosa. –perché, sei in imbarazzo? A che pensi?-
 
Lei corruccia le labbra. –non so… penso che sia insolito, sai. Non mi è mai successo prima che uno sconosciuto mi chiedesse una foto. Cerco i capire perché lo fai.-
-e ci riesci?- la guarda da dietro le ciglia.
Corruccia la bocca di lato, e le sopracciglia che quasi si congiungono, tanto è concentrata. –ho delle teorie.-
-posso saperle?- le sorride con gentilezza.
Lo guarda. –Beh… se lo fai con tutti, è un progetto. Se lo hai fatto solo con me… non ne ho idea, forse dovrei preoccuparmi.- ride –Ma se è un progetto… mh… vuoi immortalare le persone, forse, per non farle passare e basta. Per farle rimanere, per far vedere che… non so… che anche chi passa e va via, che ti sfiora appena per strada e  non ha niente a che vedere con te ha comunque un mondo, tutto dentro e dietro di sé…?- è palese che stia formulando la teoria nel momento stesso in cui la dice, ma se ne convince, si vedono i pensieri che le passano negli occhi.
 
 
Si passa una mano sulla cuffia, aggiustandola e le sorride con lo sguardo. –è una bella teoria, sì. Ma non lo faccio con tutti.- e gioca piano con la lingua e col piercing che porta al lato del labbro.
-ah no? Solo con me?- e la sua voce tradisce una certa piccola sorpresa, arrossisce.
Lui ha uno sbuffo, a mo’ di risata. –mmh, non proprio.-
-e allora come scegli, a caso?-
-No.- ribatte prontamente. –fotografo solo chi ha gli occhi pieni.- e mostra di nuovo i denti candidi tra le labbra, con naturalezza. –ora dimmi, cosa credi ti abbia portato qui oggi?-
 
Lei sorride per davvero, stavolta. –Tu.- risponde. E lui la guarda con una strana inclinazione del viso, e un sorriso sbilenco. –la gente, il sole, la vita.- fa spallucce.
-Che consiglio daresti ad una persona, in generale?-
Lei ci pensa, ma non troppo. –di scegliere una strada con un arrivo ben preciso, non necessariamente la più facile ma quella che porta nel posto esatto in cui si è sempre voluto andare e che sia anche bella da percorrere, non importa se più lunga e tortuosa, che sia stimolante… e che nel caso ci siano giornate in cui la vita fa una pausa, giornate “vuote”, di lasciarsi trasportare e lasciare che il vento ci porti dove dobbiamo andare. Non si sa mai quali svicoli potremmo trovare, per caso, o davanti a quali obbiettivi di fotocamere possiamo finire.-
Lui ha un’espressone divertita, semplice, genuina, e prende un paio di appunti su un foglio volante. –Grazie.- dice guardandola, e abbozza un paio di passi. –divertiti coi colori, magari io o il vento ti porteremo qui di nuovo, o chissà dove, in un altro giorno vuoto. Magari sarò ancora lì ad aspettarti.- le fa un occhiolino e dopo un cenno di saluto se ne va.
-Magari.- dice lei guardandolo andare via.
 
 
Era un giorno in cui non succede niente, in cui la vita fa un respiro, in cui ci sono tante possibilità da cogliere, tutto è potenza di tutto. O forse no, forse non è così, non per tutti…
  
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