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Autore: Chimeres    18/03/2014    2 recensioni
Freud definì il sogno come la rappresentazione mascherata di un desiderio represso e questo storia parte proprio da qui, dalla voglia di un abbraccio che si materializza una notte e che lascia l’amaro in bocca il giorno dopo perché di notte è tutto più bello quando si ha qualcuno da sognare... ma è meno bello il risveglio quando il posto accanto al tuo è freddo e a riscaldarti non trovi due braccia calde ma solo il tuo piumone... e non è esattamente la stessa cosa.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2. Lettere “Non preoccuparti ragazza, questo terreno che ti frana sotto i piedi passerà e sarai felice anche tu”. E vide il treno andare via e con il treno se ne andò via anche lui lasciandola li, ferma sul marciapiedi, a occhi chiusi sperando che da un minuto all’altro potesse spuntarle alle spalle e abbracciarla forte riparandola dal venticello della stazione che a quell’ora del pomeriggio soffiava sui binari facendo volare qua e la un sacchettino di plastica. Ma Anita era troppo occupata a guardare il treno per rendersi conto del resto, non lo perse di vista fino a quando, con il cuore in gola, non lo vide sparire all’orizzonte e per un attimo immaginò la scena di un film. Si vide correre, come non aveva mai fatto, dietro quel treno fino a farlo fermare, si immaginò a sbattere i pugni contro la porta perché qualcuno la aprisse e la facesse entrare e poi si immaginò lo sguardo sorpreso di Tancredi e gli applausi del treno quando lui l’avrebbe abbracciata forte per non lasciarla andare più. Ma questi erano solo film, certamente degni del premio oscar, ma sempre e solo stupidi film da ragazzetta e mentre il treno era già lontano e lei se ne stava li, ferma immobile con in mano i suoi libri che strinse al petto, quasi per lasciarsi proteggere da quel senso di vuoto che provava ogni volta che lo vedeva andare via; perché quando lasci andare qualcosa che sai essere tuo hai almeno la certezza che quel qualcosa da te tornerà...ma quando lasci andare qualcosa che non ti appartiene, e forse mai ti apparterrà, come si fa? Non aveva alcuna certezza Anita, quel giorno meno che mai e anche lei, orgogliosa come poche, aveva decisamente dato il peggio di se e adesso, che si stava sedendo su un freddo sedile di quel treno, se ne stava persa tra i suoi pensieri provando a convincersi che quella sensazione di profonda incertezza sarebbe passata presto. “non ci vuole molto... devi solo capire che non vuole te... non è la prima volta... ci sei abituata” si ripeteva deglutendo e il peso dei fallimenti passati tornò prepotente nella sua mente. Aveva amato tanto qualche anno prima, era stato il suo primo amore, ma il più romantico degli idilli si interruppe con un messaggio e con la scoperta che, quello che credeva essere il suo principe azzurro, fosse solo uno stupido ranocchio come molti che in realtà aveva già puntato la sua amica... decisamente più bella, più furba, più avvenente rispetto a lei che all’epoca era solo una ragazzetta ingenua che affrontava il mondo per la prima volta. “non mi innamoro più” aveva detto tra le lacrime alla sua migliore amica che quella volta la stringeva in un abbraccio e sa già che anche questa volta ci sarà lei a consolarla per questa ennesima delusione. Il pensiero del suo ex ragazzo fu di nuovo abbandonato per tornare prepotente a Tancredi e mentre il treno iniziò la sua corsa per riportarla a casa appoggiò la testa al finestrino lasciando sfuggire una timida lacrima sulla sua guancia. Quella mattina l’aveva visto alla stazione con la sua fidanzata, si tenevano per mano e lei camminava come se avesse un trofeo, e forse era proprio cosi, era lei ad avere vinto e ad Anita non rimaneva che imparare da quella sconfitta. Incrociò lo sguardo del ragazzo per pochi attimi e ancora una volta nella sua vita era stata lei ad abbassare lo sguardo come una colpevole e forse l’errore che aveva commesso era quello di provare delle fastidiosissime farfalle nello stomaco, la sua unica colpa era quella di essersi lasciata guidare dal cuore e non dalla testa che già dal primo secondo la invitava ad allontanarsi da quegli occhi magnetici che la chiamavano come il canto delle sirene chiamava Ulisse, ma questa volta non era una donna che ammaliava un uomo, le parti si erano invertite ed era lei ad essere rimasta vittima di quello strano scherzo del destino; nella loro università avrebbe potuto incontrare mille occhi e intanto tra mille erano stati due semplici occhi castani a toglierle il respiro e adesso stava con la testa appoggiata al finestrino, ancora una volta delusa ancora una volta sconfitta e si chiese per un attimo se mai avesse avuto la gioia di provare davvero cosa significasse sentirsi amata, protetta, se mai avesse avuto la fortuna di essere al primo posto per qualcuno e la risposta la spaventava perché sapeva che in fondo lei era affetta da una malattia che non conosce cura,lei era invisibile. Era sempre stata invisibile, lo era ai tornei a scuola, lo era ai compleanni, alle feste e anche quando alle elementari le amichette si organizzavano per giocare con le barbie a lei non la invitavano mai. Era invisibile e mai nessuno si sarebbe accorto di lei. Solo i suoi occhi magnetici le avevano fatto credere di avere l’abilità di capire che dietro quella corazza da acida c’era un cuore buono, lei non avrebbe mai chiesto un abbraccio o una parola dolce, l’avrebbe mandato a quel paese sempre ma un istante dopo l’avrebbe seguito, e ci aveva creduto... si era illusa che quegli occhi potessero capirla, che lui potesse davvero innamorarsi di lei. Ma ormai da qualche giorno non lo capiva più. Non riusciva a capirne il comportamento, fino a qualche giorno prima sembrava piacergli e invece adesso sembrava invisibile anche per lui, non l’aveva salutata quella mattina quando l’aveva raggiunta a lezione e lei orgogliosa aveva fatto in modo di evitarlo e di scappare e scappare forse è una delle poche cose che le riescono bene. “Basta Anita, basta” si ripetè aprendo il libro di diritto penale decisa a concentrarsi sullo studio per superare brillantemente il prossimo esame, ma non si rese nemmeno conto che il libro se ne stava aperto sulle sue gambe al contrario e la signora seduta di fronte a lei la guardò con passione regalandole un timido sorriso che la diceva lunga, sembrava dirle “Non preoccuparti ragazza, questo terreno che ti frana sotto i piedi passerà e sarai felice anche tu”. Quando quella sera si stese sul letto Anita prese il suo diario, non lo apriva da mesi ormai e quella era la serata giusta per riprendere a scrivere e non avrebbe iniziato con un Caro diario ... e no . . . questa volta no. “Caro Amoremio Tancredi, stasera il mio diario ha il tuo nome, così forse questa è la volta buona per raccontarti tutto e per dirti che, anche se mi mostro calma, mi da un fastidio tremendo vedere quella che ti prende la mano, che ti bacia come se tu fossi suo e lo so che è cosi e probabilmente questo mi da più fastidio ancora. Non sono mai stata abituata a vincere e so che anche questa volta perderò ... ma mi sarebbe piaciuto perdere insieme a te e non perdere te. Perché mi sto innamorando di te?” Dopo aver cancellato quasi tutto strappò il foglio dal quaderno velocemente infilandolo sotto il cuscino e spegnendo la luce, tirò un sospiro profondo e chiuse gli occhi sperando di sognarlo anche quella notte, perché almeno nei sogni lui sarebbe stato suo.
  
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