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Autore: ale93    19/03/2014    8 recensioni
Di tutte le volte in cui gli occhi di Sirius erano 'casa'.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Lithium
 
 
 
 
Remus soffia sul vapore dolciastro che risale dalla tazza che ha tra le mani, senza badare alle dita che si arrossano e si scottano contro la ceramica bollente. La schiena contro lo stipite della porta d’ingresso e le spalle strette per il freddo fradicio della campagna londinese, ingurgita tea e finge di essere grato per essere sopravvissuto anche per quel giorno.
Più in là nel giardino, Sirius s’accovaccia ai piedi di un albero e affonda le mani nude nella neve. Si volta distrattamente verso di lui con la fronte aggrottata, sul viso ha una smorfia indecisa.
 
Ha mandato a memoria un miliardo di dettagli di Sirius, smangiucchiati qua e là negli anni.
Sirius che sposta indietro i capelli con due sole dita.
Sirius che si fa infilare un piercing all’orecchio. Una mezza luna.
Sirius che si allaccia le scarpe con una sigaretta che gli pende dalle labbra, la cenere che gli cade sulle dita.
Sirius che impreca, tirando ginocchiate ai muri.
Sirius con la guancia sul palmo, seduto da solo ad un tavolo, che sbuffa, sorridendo.
Sirius, lui soltanto.
Ha sempre pensato che fosse elettrico. E non ha mai smesso di domandarsi perché (ma perché, perché? Per-fare-che?) abbia una voglia pulsante d’avvicinarsi a quell’elettricità per sentire un’altra, anche una sola, scarica. Eppure dev’esserci un modo, si dice, dev’esserci un modo per sentirselo ancora vicino, per averlo di nuovo sotto pelle.
 
Ma la smorfia di lui si fa più profonda, più vera. Remus l’ha guardato per una vita e sa, sa perfettamente, che negli occhi grigi di Sirius è solo una macchia sfocata ormai.
«Dovremmo rientrare», scandisce lentamente Sirius, tirando le labbra in un sorriso sterile. Strofina sui jeans le mani rosse e screpolate, le ripulisce dal nevischio e impedisce sistematicamente al suo sguardo di virare verso il viso Remus.
Al di là della porta, alle loro spalle, c’è un mondo soffocante. In quella casetta con le tegole di legno un po’ marce ai bordi, nella casa di Frank e Alice, le riunioni dell’Ordine si fanno sempre più frequenti, più inquietanti.
Gli sguardi e le voci, lì dentro, a pochi passi da loro, ripetono all’infinito, come un vinile graffiato in più punti, che c’è
la guerra, la guerra, la guerra.
«Sì, dovremmo», concorda Remus. Gli si fa un po’ più vicino, allunga un braccio per sfiorargli la mano, guarda il suo gesto al rallentatore, lo aspetta come tutto dipendesse solo da questo.
Ma ci ripensa e le sue dita tornano a scivolare nelle tasche. Vuote.
 
-
 
Strofinò la guancia sul cuscino e respirò forte l’odore del collo di Remus ch’era ancora lì, da qualche parte sulla stoffa.
«Sirius» si sentì chiamare. Tra le ciglia vide dei capelli chiari e finissimi che s’avvicinavano, fino a sfiorargli la guancia. La voce di Remus, in qualche sconosciuto modo, rideva. «Lo so che sei sveglio. Alzati, faremo tardi.»
Ancora ad occhi chiusi, Sirius allungò una mano e afferrò una manica della divisa di Remus. «Moony», arrotondò la ‘o’ sulla lingua, sentendo la consistenza di quel nome così caldo sul palato.
Remus si chinò su di lui con un sorriso timido, imbarazzato.
Tirò un po’ su il collo per baciarlo. Lui s’irrigidì un attimo, sorprendendosi, e Sirius soffiò una risata nella sua bocca. «Moony, sei un cretino.»
 
Era passato già un mese dalla prima volta in cui Sirius aveva baciato Remus. Era successo dopo la partita di quidditch contro Serpeverde. Durante i festeggiamenti, tra le urla, in mezzo a una folla che s’accalcava e si spintonava, Sirius aveva abbracciato Remus, abbassando la testa tra il suo collo e la sua spalla.
Si sentiva euforico, soddisfatto e vincitore.
Moony gli aveva passato un braccio sulla schiena e «bravissimo, Sirius, sei stato così in gamba», gli aveva scandito in un orecchio. Poco più d’un sussurro.
Ridendo, Sirius aveva sollevato la testa e aveva premuto la bocca sulla sua.

Remus non l’aveva mai saputo, ma Sirius quella volta aveva le ciglia umide e gli occhi liquidi, caldissimi.
 
E ancora Remus non s’abituava.
Dopo tutte quelle volte in cui Sirius aspettava spazientito che James e Peter s’addormentassero –finalmente!-, per poter scostare le cortine del baldacchino di Remus e camminare carponi sul materasso, sistemandosi accanto lui, ancora Moony aggrottava la fronte prima di baciarlo. Come se non fosse sicuro di poterlo fare.
Ma quello era l’anno dei Marauders, quello che avrebbe segnato davvero la loro fama, le ultime gesta, e il più grande atto di Sirius Black era stato guardarsi in faccia, finalmente.
Era l’anno millenovecentosettantasette. L’anno di Moony e Padfoot.
 
«A che pensi, Sirius?»
La divisa di Remus era sgualcita, la camicia aperta sul petto, il cravattino allentato sul collo, mentre le mani di Sirius passavano leggere su ogni cicatrice, su ogni neo. Remus, a bocca aperta, cercava un po’ d’aria.
«Che mi piace la tua bocca», gli soffiò Sirius in un orecchio, mordendogli il punto in cui piegava la linea del suo collo, «mi piaci tu. E mi sembra un ottimo motivo per tardare.»
Remus lo guardò per un tempo indefinito, gli occhi concentrati su di lui, mentre chiudeva freneticamente le tende rosse.
 
-
 
«Sirius, che cavolo ti prende?»
James si passa nervosamente le mani tra i capelli, li tira indietro, cammina avanti e indietro in quella stanzetta. La casa dei Longbottom è piccola, sgangherata, ma è un ottimo punto di ritrovo per l’Ordine, quasi insospettabile.
«Lo stai evitando, Che ti prende? E' Moony, che cazzo!»
«James, per favore…», ringhia Sirius frustrato, lasciandosi cadere su una delle poltrone. Fuori da quella stanza gli altri cominciano ad andar via, forse anche Remus. Lo spera.
Strofina più volte gli occhi e poi si guarda i palmi, con rabbia. «Io me ne vado», sbotta. Non ne più di sopportare la tensione, non ne può più di provare a spiegare il dubbio che lo tormenta da mesi.
Ma quando riapre la porta dello studio, incontra lo sguardo basso di Remus.
Rivede quel ragazzo troppo alto, le sue mani grandi che si muovono su di lui un po’ incerte, ma belle, caldissime, quando lo toccano, lo sfiorano, lo aiutano. Rivede quelle mani un po’ goffe che stringono Harry, che tremano per non far male a una cosa così piccola.
Gli capita, adesso, di non riuscire a riconoscerle. Gli capita di doversi ripetere a lungo
è Moony, è Moony, è sempre Moony.
 
-
 
Sirius aveva fatto esplodere un calderone, nell’aula di pozioni.
Sapeva esattamente quello che sarebbe accaduto, lo aveva fatto di proposito, ne era certo. Anche tra tutte quelle nuvole di vapore  grigio, Remus lo aveva visto, quel suo sorriso un po’ storto sulla sinistra, sporcato da una ciocca nerissima.
Nascosto dal fumo che offuscava la vista, Sirius si era avvicinato piano, bighellonando fino al suo posto con le mani cacciate in fondo alle tasche. S’era infilato tra lui e il banco alle sue spalle, lasciando scivolare le dita sul suo petto. La sua fronte bruciava, abbandonata sulla nuca di Remus.
«Cosa c’è, Sirius?»
«Vieni fuori di qui», aveva bisbigliato, prendendo tra i denti un po’ della sua pelle, «dai».
 
Sirius era affamato. Gli mordeva la bocca prima di baciarlo, e quando Remus s’allontanava un po’, solo un po’, per prendere fiato, le labbra di Sirius si spostavano con le sue.
E Remus aveva dovuto, aveva avvertito il bisogno, prenderlo per le spalle, spingerlo contro il muro del bagno dei sotterranei. Quello che non avrebbe dovuto fare, invece, era premere i fianchi contro i suoi, sentendo un calore bruciante nella pancia e un principio d’erezione tra le gambe. Ma lo aveva fatto. Perché quello era Sirius, quegli occhi grigi e caldi e torbidi, che lo chiamavano, erano i suoi.
 
Lo vide stirare le labbra in un sorriso compiaciuto, malizioso, mentre scendeva a baciargli il petto. Senza pensarci, Remus aprì la bocca e succhiò le sue dita fino a fargli male.
«Finalmente...», ansimò Sirius sulla sua gola, «non mi merito niente di meno di questo, Moony» e rise sguaiatamente.

Remus aveva la certezza che quella cosa che lo legava a Sirius da quand’era solo un bambino, da quando ancora non capiva, fosse incontrollabile. Era intossicato da lui.
Gli prese il viso tra le mani, liberato chissà come da ogni imbarazzo, e lo schiacciò ancora contro il muro.
«Dobbiamo andare», gli sussurrò, con voce arrochita.
«No, non dobbiamo», cantilenò Sirius sulla sua spalla.
Remus rise, ma smise quasi subito, con un singhiozzo, quando quelle dita bianchissime e calde sfiorarono la patta dei suoi pantaloni. «Sirius», soffiò con un gemito.
«Sì, va bene, va bene, andiamo»
 
Si scostò, per raggiungere la porta, ma Sirius lo afferrò per le spalle. Lo strinse, quasi lo graffiò, prima di abbracciarlo.
A Remus venne voglia di sorridere stupidamente. Con una mano coprì le dita di Sirius agganciate alla sua camicia, e si voltò a sbirciare la sua espressione.
E fu in quell’esatto momento, nell’istante in cui Sirius guardò verso le loro mani strette e poi di nuovo verso di lui, con i suoi occhi che sfumavano in un grigio più caldo, che Remus si sentì a casa.

 
-
 
Ancora li guarda, Remus, quegli occhi affilati, come di metallo. Negli anni li ha visti più volte cambiare, sciogliersi, accendersi, brillare di sfida, stringersi con furbizia. Ora sono solo duri, taglienti.
Due lame grigie; bellissime, ma fredde.
Guarda Sirius sgusciare verso la porta d’ingresso a passo svelto e nervoso, mentre si sposta i capelli sudati dalla fronte. Prima di andarsene si volta verso di lui e per un attimo, un solo lunghissimo secondo, a Remus sembra di rivedere quegli occhi di litio in cui è inciampato per la prima volta a undici anni.
«Ciao, Padfoot» borbotta stupidamente.
Fa un cenno con il mento, gli occhi si spengono di nuovo, «A presto, Remus», lo saluta freddamente.
E non comprende esattamente il perché, ma sa con una certezza martellante che qualcosa s’è inceppato. Sente distintamente il rumore di qualcosa che s’infrange al suolo. Non è solo un ciao.
Perché c’è
la guerra, la guerra, la guerra
e niente è come sembra.

 
-
 
La prima volta che aveva visto Sirius s’era sentito in soggezione, inadatto, ingombrante.
La prime parole che Sirius gli aveva rivolto lo avevano fatto sorridere; poteva avere un amico.
La prima cosa che aveva pensato a tredici anni, quando gli altri erano ad Hogsmeade per un appuntamento improvvisato e sofferto, era che lui invece stava bene così, nella Stamberga. A bere burrobirra con Sirius.
La prima volta che Sirius l’aveva baciato, aveva pensato solo ‘grazie’.
Lo guardò dormire, quella notte, la pelle bianchissima della sua schiena tra le lenzuola calde. Si chinò su di lui, lasciandogli un bacio leggero sulla spalla. Sirius si strofinò gli occhi con due dita e «che fai? Non dormi?», gli chiese piano.
«No», rispose in un sorriso imbarazzato.
«Mi ami e vorresti dei figli da me, va bene, Moony. Questo lo sappiamo tutti, ma levati dalla faccia quello sguardo da troll».
 
-
 
Prima di andarsene, Remus lancia uno sguardo un po’ stordito a James e a Lily e a Peter e ad altra gente che adesso non riesce a vedere davvero. Si tocca il petto, stranamente duro, sente uno spillo dolente proprio tra le costole.
«Ciao, ci vediamo» sussurra a tutti.
Crede che nessuno l'abbia sentito davvero.

 
 
 
§§§
 
 
 
 

«Non avevo capito un cazzo, Remus»
Sono passati dodici anni e James, Lily, Peter, Alice, Franck, il vecchio Ordine, non li ha visti più. Non potrà vedere mai più nessuno di loro.
Eppure Remus J. Lupin non ha mai smesso di sperare di non essersi sbagliato, ha sempre creduto che gli occhi di Sirius fossero innocenti. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, anche se ha provato davvero a conoscere e a provare l'odio più puro e sincero, li amati di notte e in silenzio, quegli occhi. Non ha mai smesso d’aspettare, Remus.
Sono passati dodici anni e tutto è una macchia brutta e sbiadita sul fondo della memoria di Sirius, là dove i Dissennatori hanno scoperchiato e succhiato e violato la sua testa.
Tutto ciò che Sirius è riuscito a conservare nel freddo della cella, l'unico ricordo che è riuscito a tenersi stretto, è l’immagine di un Remus diciassettenne che si china su di lui con un sorriso da bambino.
«Puoi guardarmi, Sirius?», gli aveva chiesto allora.  
«Guardami, Sirius. Per favore», gli sta chiedendo ora. E lui, lui finalmente lo guarda di nuovo.

 
 
 
 
 
Il litio, nella sua forma pura, è un metallo soffice color argento, che si ossida rapidamente a contatto con l'aria o l'acqua. È il più leggero degli elementi solidi ed è usato principalmente nelle leghe conduttrici di calore, nelle batterie e come componente in alcuni medicinali (farmaci antipsicotici) per la stabilizzazione dell'umore.
[Fonte: Wikipedia]
   
 
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