10.
BUON
COMPLEANNO
Era
la mattina del quattordici
febbraio, appena le dieci e mezza. E il campanello non la smetteva di
suonare.
Georg
si alzò con un grugnito,
infilandosi al volo un paio di pantaloncini della tuta che aveva
lasciato
qualche giorno prima sulla sedia. Scese le scale a passo sostenuto, con
gli
occhi piccoli per via della luce, mentre si rifaceva la coda che teneva
fermi i
capelli. Il campanello continuò a trillare finché
non aprì il grande portone.
Subito, una donna bellissima e bionda gli comparve davanti, con in mano
una
scatola di cartone e diversi bicchieroni di carta con del
caffè fumante dentro.
Lui la guardò strizzando un occhio e storcendo la bocca,
mentre lei sorrideva
raggiante.
-Oh,
caspita! Capisco perché
mia figlia non torna a casa!- esclamò, studiando tutto il
suo corpo. Poi fece
un cenno con il capo, indicando l’interno.
-Posso
entrare?-
-Oh,
sì, scusi…- farfugliò
Georg e si spostò dall’entrata, lasciando passare
quell’esile donna.
Appena
entrata, la donna si
diresse subito in cucina, poggiando i bicchieri sul piano in marmo e
iniziando
a spogliarsi del giaccone pesante, della sciarpa crema lavorata ai
ferri e dei
guanti abbinati. Georg la seguì, stropicciandosi la faccia.
-Allora,
bel fusto- disse,
mettendosi le mani sui fianchi e sospirando.
–dov’è mia figlia?-
Solo
in quel momento lui vide
la somiglianza tra Jennifer e quella donna, la stessa curva del naso e
le
stesse labbra carnose. Si girò ad indicare le scalee
sollevò le spalle.
-Terza
porta a sinistra- La
donna gli sorrise e si avviò a passo sicuro ed elegante
verso il piano di
sopra, per poi girarsi a metà strada.
-Comunque
sono Sandra.- lo
informò, prima di sparire nel corridoio. Georg
annuì, poi si diresse in cucina,
prese un bicchierone di caffè e una brioche e
tornò in camera sua, addentando
il dolce mentre saliva le scale.
Jennifer
fu svegliata dalle
tende che si tirarono con forza e le finestre che si aprirono,
lasciando
entrare l’aria fresca di febbraio nella stanza.
Mugugnò, mettendo la testa
sotto il cuscino e rannicchiandosi sotto le coperte. Sandra
sbuffò e tirò le
lenzuola, buttandole per terra e scoprendo Jennifer.
-Mamma!- urlò lei, in italiano,
stropicciandosi gli occhi.
-Per l’amor del Cielo, tesoro, svegliati!
È il tuo compleanno, da oggi
hai ufficialmente ventun’ anni, senza che menti in giro.-
disse Sandra,
iniziando a ripulire e rassettare la camera della figlia. Quando
Jennifer si
alzò, lei la osservò, smettendo di fare quello
che stava facendo e strabuzzando
gli occhi. La squadrò dalla testa ai piedi e di nuovo fono
alla testa.
-Ma ti sembra questo il modo di andare in giro per
una casa piena zeppa
di uomini?- la sgridò, corrugando le sopracciglia
e indicandola con una
mano. Jennifer si guardò la maglietta che le copriva a
malapena il sedere e i
capezzoli turgidi a causa del brusco risveglio e dell’aria
fredda che entrava
dalle finestre, poi alzò le spalle.
-Qual è il problema?- chiese,
con aria innocente, avviandosi verso
la porta.
-Sei nuda!- rispose Sandra, seguendola nel
corridoio.
-Ah, mamma, smettila, ti prego!-
urlò Jen, proprio davanti la porta
di Tom.
-No, non la smetto Jennifer Eleanor Schinker!- gridò
Sandra,
puntando le mani sui fianchi. In quel momento, Tom aprì la
porta, con i soli
boxer indosso, stropicciandosi gli occhi.
-Eleanor?-
chiese, poi guardò
la donna bionda di fronte a lui, che teneva una mano davanti la bocca
dallo
stupore.
-Oh,
Dio…Visto?- disse
Jennifer, indicando Tom con la mano, che ancora non
capiva il motivo dello stupore di quella donna. –Lo hai svegliato!-
-Jennifer?-
la chiamò, mentre
quella donna roteava gli occhi e faceva di tutto per non guardarlo.
Solo in
quel momento lui realizzò di essere quasi nudo, quindi
richiuse in un attimo la
porta, per poi riaprirla con in dosso dei pantaloni di una tuta grigia
enorme.
Nello stesso momento in cui Tom aprì bocca per parlare, Bill
uscì dalla sua
camera, grattandosi la testa e sbadigliando. Jen ringraziò
il Cielo quando lo
vide vestito.
-Ma
che cazzo di lingua
parlate qui dentro? Siamo ancora tedeschi, no?- biascicò,
rubando le parole
dalla bocca del fratello. Tom sospirò e lo indicò
con la mano, annuendo per far
capire che era d’accordo con lui.
-Oh,
Bill, meno male che sei
sveglio!- disse Jennifer e corse ad abbracciarlo, prendendolo alla
sprovvista.
–Ti prego, dille che nessuno di voi vuole portarmi a letto!-
A
quel punto, Bill guardò suo
fratello e gonfiò le guance. Tom, allo sguardo insicuro del
gemello, fece un
passo indietro, mise il viso in camera, per poi riuscirne subito dopo e
rispose
al posto di Bill.
-Signora
mamma di Jennifer,
stia tranquilla, nessuno vuole portarsi a letto sua figlia.- disse,
spianando
dell’aria con una mano, all’altezza del bacino.
Sandra
strabuzzò gli occhi e
tirò la testa indietro.
-Prima
di tutto io mi chiamo
Sandra.- iniziò con voce pacata, mettendosi una mano sul
petto.
–Secondo poi, ho
notato il modo in cui ti ha
guardato tuo fratello e ho anche io dei figli.-
A
quelle parole, Jennifer
roteò gli occhi e si avviò verso il bagno,
sbuffando.
-A volte sei proprio impossibile, mamma!- urlò,
mettendosi le mani
tra i capelli.
-Jennifer, torna qui, non ho finito!- Sandra
non aveva alzato più la
voce, dopo aver svegliato i ragazzi.
-Ecco
che tornano a parlare in
aramaico.- sbuffò Tom, stropicciandosi la faccia con una
mano.
-È
italiano, idiota.- lo
rimbeccò Gustav, che aveva appena finito di salire le scale
con un bicchierone
di caffè fumante in mano.
-Dove
lo hai preso, quello?-
gli chiese Bill, mettendo il peso del corpo su una gamba e indicando la
bevanda
con l’indice affusolato.
-Di
sotto ce ne sono per
tutti.- rispose Gustav, indicando le scale. –Buongiorno,
Signora.- salutò
Sandra, che gli sorrise cortese.
-Mamma, sparisci!- le urlò
Jennifer, chiudendosi in bagno. I ragazzi
e Sandra si guardarono e lei la raggiunse, bussando alla porta, mentre
gli
altri tornavano nelle loro camere.
-Jennifer.- sussurrò Sandra e
diede due bussate alla porta. -Tesoro, aprimi.-
-Mamma, vattene, per favore.- chiese Jen,
aprendo l’acqua della
vasca da bagno.
-Buon
compleanno, tesoro.-
sussurrò a quel punto Sandra, in tedesco, prima di salutare
i ragazzi e
andarsene. Jennifer sorrise amaramente, sentendosi in colpa per aver
trattato
la madre a quella maniera, per l’ennesima volta. Si
spogliò ed entrò nella
schiuma candida che riempiva la vasca, pensando che non avrebbe mai
voluto
maltrattarla, ma ogni volta che la vedeva, il volto di Sam le tornava
davanti
agli occhi, insieme alla scelta che lei l’aveva costretta a
fare.
Jennifer
cantava canzoni
malinconiche da un’ora dentro alla vasca, stupendo i ragazzi
con la sua voce
cristallina, al punto da farli rimanere in silenzio ad ascoltarla per
tutto il
tempo.
Tom
camminava da dieci minuti
avanti e indietro davanti a Bill, lentamente, mentre lui spostava la
testa a
destra e sinistra per guardare la televisione. Sbuffò per
l’ennesima volta
quando il fratello riprese a gesticolare, probabilmente per un qualche
discorso
mentale intavolato per riprendere i contatti con Jen.
-Tom,
vai a parlarle.- gli
consigliò infine, più per guardare la televisione
in santa pace che per incoraggiarlo
davvero.
-Ma
dove vado, che le dico?-
rispose Tom in tono aspro e Bill capì che se non voleva far
scoppiare la Terza
Guerra Mondiale, allora doveva mantenere la calma e mandare suo
fratello via,
al più presto.
-Perché
non le porti quel
cupcake che Sandra le ha portato?- gli suggerì sarcastico,
alzando le
sopracciglia. Tom mosse il dito più volte in direzione del
fratello, poi andò
in cucina a passo svelto, uscendone con il bicchierone di
caffè tiepido e il
cupcake glassato alla vaniglia. Bill lo guardò esasperato
mentre saliva incerto
le scale.
-È
irrecuperabile.- sentenziò,
guardando Gustav e Georg.
-A
chi lo dici, non posso
proprio vederlo così.- sbuffò il rosso, scuotendo
la testa. Gustav rise
lievemente e gli altri due si girarono a guardarlo, con sguardo
interrogativo.
-E
pensare che credevamo che
la tua situazione era irrecuperabile!- disse, indicando Georg. Bill si
mise a
ridere, imitato dal batterista, mentre il rosso li guardava ancora con
aria
interrogativa.
-Che
situazione?- chiese. Bill
scosse una mano e fece di tutto per diventare serio.
-Niente,
tranquillo.-
Jennifer
cantava dietro la
porta del bagno e Tom non sapeva se bussare o no. Decise di aprire e
basta e
quando entrò vide il busto di Jen immerso in un mare di
schiuma candida. Aveva i
capelli tirati su in una crocchia scomposta dietro la nuca, le cuffie
alle
orecchie e gli occhi chiusi. Non faceva minimamente caso a lui, non si
era nemmeno
accorta che fosse entrato. Posò il bicchiere e il dolcetto
sul lavandino e si
avvicinò lentamente, fino a sedersi sul water. Si sporse di
poco e allungò un
braccio, togliendole una cuffietta dall’orecchio. Lei fece un
balzo, coprendosi
il seno con un braccio e spalancò gli occhi. Subito Tom si
ritrasse indietro.
-Tom,
porca miseria, mi hai
spaventata!- lo rimproverò, rilassandosi nuovamente.
-Non
era mia intenzione.- si
scusò lui. Osservò la schiuma tornare velocemente
al suo posto, coprendole il
seno sodo e voluttuoso. Se la serata che avevano passato insieme fosse
stata
differente, ora lui sarebbe a mollo con lei, a massaggiarla e toccarla
ovunque
desiderasse.
-Che
ti serve?- gli chiese,
senza aprire gli occhi. Non era truccata e aveva la pelle umida a causa
del vapore
e Tom pensò come sempre che fosse perfetta.
-Ti
ho portato questo.- disse,
alzandosi e recuperando caffè e cupcake. Glieli porse e le
fece un piccolo
sorriso quando lei aprì gli occhi. –Buon
compleanno.-
Jennifer
si tirò un po’ più su
e controllò che il seno non fuoriuscisse dalla schiuma, poi
fece riemergere le
braccia e le tese verso il ragazzo, colme di schiuma. Prese un morso
dal dolce
e lo mandò giù con un sorso di caffè.
-Grazie.-
disse, poggiandoli
poi sul muretto vicino la vasca. Guardò Tom rimettersi a
sedere sul water,
mentre la fissava.
-Se
vuoi puoi entrare.- lo
prese in giro, con un piccolo sorriso a fior di labbra.
Lui la guardò sghembo e storse la bocca in un
ghigno.
-Poi
la mamma si arrabbia perché
sei andata a letto con un ragazzo che vive dentro questa casa!- la
canzonò. Lei
aprì un occhio e lo guardò, poi rise flebilmente,
contagiando anche lui. Gli mise
una mano sul ginocchio e lui la prese, iniziando ad accarezzarla.
-Siamo
stati due cretini.-
ammise, guardando un punto indefinito di fronte a lui. Lei
aprì gli occhi e
osservò il suo profilo perfetto per qualche secondo,
pensando che era il
ragazzo più bello che avesse mai avuto tra le coperte.
-No,-
lo corresse, al che lui
si girò. –siamo stati solo troppo frettolosi.
Sappiamo che tra noi c’è
qualcosa, lo sanno tutti, ma non dovevamo fare tutto così di
fretta.-
Tom
annuì.
–Lasciamo che sia
il tempo a decidere se siamo
stati stupidi o meno, ti va?- chiese lei.
Annuì di nuovo,
poi girò la sua mano e
sorrise.
-Tra
poco ti escono le
branchie!- scherzò, notando le grinze sui suoi polpastrelli.
Rise anche lei e
ritirò la mano.
Tom
si alzò e frugò qualche
secondo tra i cassetti del mobile vicino al lavandino, poi ne estrasse
un
asciugamano bianco. Lo spiegò e si girò per
porgerglielo.
Le
sue gambe si bloccarono. Il
suo respiro si fermò. Il suo cuore smise di battere per un
momento e poi riprese,
velocissimo.
Jennifer
era in piedi, di
spalle, il suo corpo ricoperto a tratti da qualche nuvoletta di schiuma
e i
suoi polpacci sparivano in quella rimasta nella vasca. Il sedere era
sodo, alto
e senza difese per i suoi occhi. Girò impercettibilmente la
testa, al ché lui
si rianimò e la raggiunse, avvolgendola nel morbido
asciugamano. La tenne fra
le sue braccia qualche secondo, cullandola leggermente. Lei sorrise e
chiuse
gli occhi, lasciandosi cullare da quel corpo enorme in confronto al
suo. Si ridestò
solo quando la sua guancia venne inumidita da un dolce e silenzioso
bacio,
quindi si girò e sorrise a Tom, mentre camminava
all’indietro e le sorrideva a
sua volta.
Girò
la maniglia ed uscì,
sbuffando tutto il fiato che aveva trattenuto e pensando di dover
cambiare
maglietta, perché la sua era stata bagnata dalle piccole
spalle di Jennifer.
Lei,
ancora con i piedi nella
vasca, osservava il cupcake che le aveva portato e sorrise,
stringendosi nelle
spalle che fino a qualche attimo prima erano poggiate al suo torace
grande.
***
Jennifer
si lisciò la stoffa
blu sull’addome e si guardò allo specchio: aveva i
capelli boccolosi, raccolti
di lato con una mollettina ricoperta di diamantini. Il suo vestito blu
notte
era corto, a metà coscia e le sue scarpe erano altissime e
abbinate alla
pochette e alla molletta. Inoltre, aveva indossato gli orecchini che le
aveva
regalato Tom.
Scese
le scale lentamente, poi
raggiunse i ragazzi nella sala da pranzo, dove trovò un Tom
furibondo.
-Ce
l’hai fatta!- le strillò
contro, prendendola per un braccio e portandola verso la porta. Le
prese la
borsetta dalle mani e la poggiò sul mobile del corridoio,
poi prese il suo
cappotto dall’appendiabiti e glielo infilò.
–Sto morendo di fame!- continuò,
abbottonandole i bottoni centrali. Le ridiede la borsetta e le
aprì la porta
per farla uscire. In tutto quel tempo, lei non aveva aperto bocca,
sorpresa da
quel cambio repentino di personalità. Solo poche ore fa la
stava cullando tra
le sue braccia, ora le urlava contro.
-Sei
una stronza
menefreghista, ecco che sei!- finì, aprendole la portiera
della Cadillac.
-Mi
hanno detto di peggio.-
disse lei tranquilla, tirando su le spalle. Non accennava a voler
entrare,
quindi Tom sbatté la portiera e fece il giro
dell’auto.
-Vorrei
proprio sapere qual è
questo peggio che ti hanno detto, almeno posso superarlo!-
continuò ad urlare,
chiudendosi nell’abitacolo.
-Tom!-
lo rimproverò Bill,
guardandolo con occhi sgranati. Poi guardò Jennifer e si
addolcì, le carezzò il
mento con due dita e le sorrise.
-Lascialo
perdere, quello.- la
consolò e lei gli sorrise a sua volta, poggiandosi sulla sua
mano. –Sei bellissima.-
si complimentò.
Jennifer
non ringraziò, ma si
girò con un sorriso smagliante verso Georg che le teneva
aperta la portiera
posteriore e Gustav che le porgeva una mano per aiutarla a salire.
Accettò il
loro aiuto volentieri e si sistemò al posto centrale, come
al solito quando
uscivano tutti e cinque.
-Che
ore sono?- chiese Gustav,
una volta che tutti furono saliti. Jen tirò su il polso
destro e poi sbuffò,
rimettendolo giù.
-Non
lo so, ho perso l’orologio.-
rispose amareggiata. Tom accese la macchina e poi indicò il
quadro con una
mano, sbattendola poi su una coscia.
-Sono
quasi le nove, ecco che
ore sono!- ricominciò ad urlare e Jennifer roteò
gli occhi. –Arriveremo per
ultimi, staranno aspettando tutti noi!- Jennifer si sporse in avanti,
infilando
la testa tra il sedile di Bill e quello di Tom.
-E allora perché
non ti muovi e fai partire questo
schifo di macchina?- urlò e Bill dovette tapparsi un
orecchio per non rimanere
sordo.
-Punto
primo:- urlò Tom,
alzando il pollice. –non urlarmi nelle orecchie! Punto
secondo:- e alzò l’indice.
–questa non è “uno schifo di
macchina”, questa è una “signora
macchina”! Punto
terzo:- alzò il medio. –io non sono il tuo
schiavo! Io sono Tom Kaulitz!-
-Non
me ne frega niente dei
tuoi punti né di chi sei, metti in moto questa cazzo di
macchina!-
Tom
stava per ribattere,
quando Bill cacciò un urlo e tutti e due lo guardarono
corrucciati.
-Mi
avete stufato! Tom, se hai
fame metti in moto questa macchina e vai al ristorante,- disse,
indicando il volante
e Tom obbedì, poi si girò verso Jennifer.
–e tu, Jennifer, tesoro, ti prego,
fai la matura della situazione!- a quella frase, Tom sbuffò
una risatina acida
e Jen lo indicò con una mano strabuzzando gli occhi, come
per far notare a Bill
l’atteggiamento del fratello. Lui mosse una mano vesto di lui
e scosse la
testa, per dirle di lasciarlo in pace e lei si rilassò sul
sedile, sbirciando i
messaggi che Georg mandava a Linda.
-Potevi
invitarla.- gli disse,
al ché lui mise in tasca il telefono.
-Non
fa niente.- disse,
alzando le spalle. –E in ogni caso non è qui,
è in Italia per studiare.-
Jennifer
annuì e continuò a
guardare la strada.
Per
tutta la cena, Jen e Tom
non si erano rivolti la parola e gli unici sguardi che si erano
scambiati erano
carichi di astio. Per tutto il resto, era andata a gonfie vele, tutti
si erano
divertiti e Sandra aveva altro da fare con il suo fidanzato
nonché padre di
David per assillarla con le sue raccomandazioni e i suoi rimproveri.
Appena
tornata a casa,
Jennifer si tolse le scarpe e il vestito, si tirò su i
capelli e si mise dei
pantaloni di una tuta e una canottiera, con sopra un giacchetto nero
con la zip
e il cappuccio.
-Mi
faccio un thè, ne volete?-
chiese ai ragazzi, intenti a giocare ai videogiochi. Bill, Georg e
Gustav
risposero di no, mentre la voce di Tom non si sentì nemmeno.
-Tom
ne vuole?- gridò allora,
poggiando due tazze sul piano della cucina e rimettendo a posto la
sedia su cui
era salita per riuscire a prenderle.
-Probabilmente
si.- rispose
Bill al suo posto e Jen aggrottò le sopracciglia a quella
risposta. -È vicino
alla piscina, portaglielo lì.- Sbuffò e mise su
l’acqua, per poi versare due cucchiaini
di zucchero in tutte e due le tazze.
Tom
guardò le sue gambe che si
muovevano lentamente nell’acqua, illuminate dalle luci
interne della piscina,
pensando che d’inverno non servisse a nulla se non a buttare
i soldi. Il cielo
era sereno, la luna piena e brillante e le stelle si vedevano
benissimo, senza
foschia. Aveva i jeans tirati su fin sopra il ginocchio e le sue enormi
scarpe
a fianco, con i calzini dentro. Una coperta sulle spalle per coprirsi
dal
freddo.
Si
girò a controllare chi
avesse aperto e richiuso la porta a vetri e vide Jen con i pantaloni
della tuta
già arrotolati fino alle cosce, che si dirigeva verso di lui
con due tazze in
mano e due sigarette tra le dita. Si mise seduta vicino a lui, mettendo
le gambe
a mollo nell’acqua calda e gli porse una tazza e una
sigaretta. Lui se l’accese,
poi bevve un sorso di thè. Lei fece lo stesso.
Rimasero
a guardare l’acqua
per qualche minuto, senza parlare. Poi Jennifer prese fiato.
-Ti
amo.- disse e Tom quasi
non si strozzò con il fumo. Lei si mise a ridere e gli diede
qualche pacca
sulla schiena per farlo riprendere. La guardò con gli occhi
lucidi e le
sopracciglia aggrottate.
-È
la cosa peggiore che mi
hanno detto.- spiegò lei, prendendo un sorso dalla tazza.
-E
perché sarebbe la cosa
peggiore?- chiese lui, non capendo. Jen guardava sempre
l’acqua, forse per la
troppa vergogna di guardarlo negli occhi, mentre lui la fissava senza
accennare
a smettere.
-Perché
io non ricambiavo.-
confessò, abbassando lo sguardo sul suo grembo. Lo
rialzò e lo puntò negli
occhi nocciola di Tom, che brillavano grazie alla lampada dietro di
loro.
-Tom,
io non ho mai amato. Non
so proprio come si fa.- Si guardarono negli occhi per secondi
interminabili,
poi lui distolse lo sguardo e alzò un braccio tenendo la
coperta. Lei si
accoccolò al suo petto e lui la strinse per riscaldarla.
-Se
ti consola, nemmeno io so
come si faccia ad amare.- disse, sospirando.
Rimasero
lì per molto tempo,
senza dire una parola. Forse non ce n’era bisogno, forse
l’amore non doveva
essere appreso, doveva solo essere vissuto e loro due erano stati
troppo
sfortunati per avere l’onore di provarlo. Erano giovani, ma
quasi nessuno alla
loro età non aveva mai amato una persona, al punto di
sacrificarsi per essa, al
punto da mettere la sua vita prima della propria. Era questo che li
rendeva
uguali, il fatto che non sapevano amare, che non avevano mai amato
qualcuno e
che non sapevano
riconoscere l’amore
quando li colpiva. Era quello il loro problema.
Spazio SvaleG_3:
salve a tutti! Sono tornata con un
nuovo capitolo (che mi piace
tantissimo)! Tom e Jen non sanno amare: che novità, eh? In
ogni caso non sanno
proprio capire quando e come legarsi a qualcuno ed è questo
che impareranno da
ora in poi! Va beh, spero che vi piaccia! Lasciate qualche recensione
se vi va,
almeno so quello che vi piace di più, quello che vi piace di
meno e quello che
devo modificare! Un bacio! J