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Autore: GottaBeLou    20/03/2014    14 recensioni
Vi siete mai chiesti qual è il motivo per cui siamo portati a sopportare tanto dolore tutto in una volta? Forse piove davvero sempre sul bagnato. Appena pensi di esserti disfatto di un peso eccone lì un altro, pronto a saltarti sulle spalle, quasi a voler aumentare il fardello che siamo costretti a trasportare ogni giorno.
Ma forse è anche vero che siamo tutti masochisti, vogliamo che chi ci sta intorno non soffra, siamo pronti a rischiare tutto per conquistarci il favore della persona a cui vogliamo bene, preferiamo il bene degli altri al nostro. Ci piace farci del male, con la scusa di non aver niente da perdere, ma non è mai così, c’è sempre qualcosa da perdere, o nel mio caso, qualcuno.
Søren Kierkegaard, un filosofo danese, credeva che l’uomo, dotato di libero arbitrio sulle proprie scelte, fosse destinato a cadere in uno stato di angoscia, dominato da ansia e preoccupazione, che corrisponde sostanzialmente al nulla, una specie di buco nero, dal quale è quasi impossibile salvarsi. Perché è vero, le scelte ci paralizzano, nessuno sa cosa è meglio per se stesso, crede di saperlo, ma cade in errore e capisce troppo tardi di aver sbagliato.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Vi siete mai chiesti qual è il motivo per cui siamo portati a sopportare tanto dolore tutto in una volta? Forse piove davvero sempre sul bagnato. Appena pensi di esserti disfatto di un peso eccone lì un altro, pronto a saltarti sulle spalle, quasi a voler aumentare il fardello che siamo costretti a trasportare ogni giorno.
Ma forse è anche vero che siamo tutti masochisti, vogliamo che chi ci sta intorno non soffra, siamo pronti a rischiare tutto per conquistarci il favore della persona a cui vogliamo bene, preferiamo il bene degli altri al nostro. Ci piace farci del male, con la scusa di non aver niente da perdere, ma non è mai così, c’è sempre qualcosa da perdere, o nel mio caso, qualcuno.
Søren Kierkegaard, un filosofo danese, credeva che l’uomo, dotato di libero arbitrio sulle proprie scelte, fosse destinato a cadere in uno stato di angoscia, dominato da ansia e preoccupazione, che corrisponde sostanzialmente al nulla, una specie di buco nero, dal quale è quasi impossibile salvarsi. Perché è vero, le scelte ci paralizzano, nessuno sa cosa è meglio per se stesso, crede di saperlo, ma cade in errore e capisce troppo tardi di aver sbagliato.
E se avessi scelto A invece che B? Cosa sarebbe successo se non avessi incontrato quella persona? Che significato ha la mia vita? Un mucchio di domande a cui non troveremo mai risposta. Probabilmente è così che deve andare, non dobbiamo chiedere, solo vivere come se nulla fosse, vivere e andare avanti, con il sorriso sulle labbra, nella speranza che tutto si risolva. Insomma, io non ho fatto altro per vent’anni, si sopravvive.
“Come stai?” chiede una voce alle mie spalle. Assorto come sono nei miei pensieri, ci metto un po’ per rispondere.
“Seduto” butto lì. La nuova arrivata non dice niente, ma sono sicuro che stia sorridendo, la conosco fin troppo bene. Aspetta un po’ poi si siede accanto a me, sull’erba soffice, appoggiandosi con la schiena al tronco del ciliegio.
“Credo che Makoto-kun ti stesse cercando” dice lei. Ha la voce roca per colpa di quel concerto a cui è andata ieri.
“Sa già dove trovarmi” deglutisco. Inizio a pensare che me ne dovrei andare, non sono in vena di conversare con nessuno, tantomeno con lei. Ma naturalmente mento a me stesso. Mi mancano tutte quelle conversazioni che facevamo prima, solo io e lei.
Mesi fa non aspettavo altro che finire il mio turno di lavoro e parlare con quella che era diventata la mia confidente personale. Anzi, era il contrario. Non parlava spesso di sé, di quello che le succedeva, preferiva ascoltare me, la mia voce. Mi chiedeva di parlare, il che suona strano, ma così andavano le cose tra di noi. Lunghi pomeriggi occupati solo dal suono della mia voce.
“Mi dispiace per come è finita” insiste. So bene dove vuole andare a parare, ma non posso cedere. Mi sono fatto una promessa, e io mantengo sempre le mie promesse. Quasi.
Non dico una parola ma quando sento la sua mano sfiorare la mia non riesco a non rabbrividire, è più forte di me. Mi odio perché sono così debole quando si parla di lei.
Cerco di tenere la mia mentre concentrata sui fiori di ciliegio che cadono leggeri dai rami, disegnando forme nell’aria, ma invano. Nella mia testa si susseguono immagini su immagini di lei, di me, di noi.
Non potrò resistere molto, la sua vicinanza mi fa stare male e lei lo sa meglio di me.
Decido di alzarmi, lei fa lo stesso, sicuramente ha previsto anche questo. Sono mesi che non fa altro che provocarmi e io non faccio niente per evitarla, è più forte di me. Perché, tutto sommato, io ho ancora bisogno di lei.
Cerco di liquidarla con un saluto e mi avvio verso casa mia, nella zona di Shinjuku. Mi sono trasferito in Giappone con la speranza di cambiare vita, senza chiedere il permesso a nessuno. Era quello che mi serviva, avevo cose da dimenticare, dovevo allontanarmi da quel posto pieno di ricordi di attimi avrei preferito non vivere, esperienze che mi hanno segnato a fondo e che, mio malgrado, mi hanno reso la persona che sono oggi.
Per i primi mesi tutto è andato bene, mi sono fatto nuovi amici e ho trovato un lavoro in biblioteca, poi l’ho incontrata.

“Scusi, avete L’interpretazione dei sogni di Freud in inglese? Non riesco a trovarlo nella sezione dei libri in lingua straniera” chiede, fissandomi dritto negli occhi. Parla un giapponese perfetto. È strano, ma mi sembra di essere Clark Kent quando si trova vicino alla kryptonite. Deglutisco a fatica.
“Controllo in catalogo” smanetto con il computer della biblioteca, che deve avere più o meno l’età del proprietario, forse è addirittura uno dei primi modelli messi in commercio. Quando trovo ciò che cerco, rivolgo gli occhi alla ragazza che intanto si è messo a sfogliare un libretto che ho lasciato sul bancone poco fa. Quello non è della biblioteca, ma mio, e non ho il coraggio di chiederle di rimetterlo a posto.
“Sei inglese, giusto?” mi chiede, questa volta nella mia lingua, senza guardarmi, prima che possa dire qualsiasi cosa.
“Si, anche tu?” lei annuisce, sempre senza staccare gli occhi dal libriccino.
“Ho trovato il libro che cercavi, comunque. Vado a prendertelo”
“Ti ringrazio” accenna un sorriso, sento il mio cuore spaccarsi a metà.

Caccio via dalla mente quei ricordi, fa troppo male anche solo pensarci. Ma d’altronde è colpa mia. Sono io quello che ha scelto per entrambi. Io, non lei. Eppure ora la situazione sembra che si sia ribaltata. Continua a cercarmi e io faccio lo stesso, anche se non riesco ad ammetterlo.
Arrivo a casa e infilo le chiavi nella toppa, ma la porta è già aperta. I miei pensieri corrono, forse sono entrati dei ladri. Prendo un ombrello da usare come arma, nel caso ce ne fosse bisogno. C’è un paio di scarpe abbandonato davanti all’entrata e a questo punto, la mia ipotesi inizia a perdere consistenza, mentre un’altra, forse peggiore della prima, si insinua nella mia testa.

“Mi serve il tuo nome, se vuoi portare a casa il libro” dico al mio interlocutore, che sembra ancora interessato al volumetto che ha trovato poco fa sul bancone.
“È uno strano modo per fare le presentazioni, non credi?” i suoi occhi si tuffano nei miei. Mi limito a fare un sorrisetto mentre alzo le spalle. Lei mi porge la sua carta d’identità. Shirley Rooney.
Sto compilando il modulo per autorizzare il prestito del libro, il computer sembra aver smesso di funzionare, come al solito.
“Ora non dovresti dirmi il tuo, di nome?” chiede lei, con aria beffarda.
“Harry” dico, continuando a scrivere “Harry Styles”

Vedo un’ombra muoversi in salotto, davanti a me. Stringo il manico dell’ombrello e, dopo essermi sfilato le scarpe, avanzo. Come volevasi dimostrare, lei si trova lì, seduta sul mio divano grigio troppo grande per una stanza tanto piccola.
“Cosa ci fai qui? Come sei entrata?” sbotto. Nelle ultime settimane ho cercato di farle capire in tutti i modi che è meglio se mi sta alla larga, ma mentirei a me stesso se dicessi che non mi piace averla vicino. Certo, la sua presenza mi fa sentire male, ma, tornando alla questione del masochismo, è un male che posso sopportare.
“La porta era già aperta e, dato che non arrivavi, ho pensato di entrare” io accendo le luci, anche se i raggi del sole filtrano dalle finestre.
“Siediti con me, ti va?” vorrei rispondergli di no, urlargli di andarsene, ma non lo faccio. Allento la presa sull’ombrello e lo lascio cadere a terra, mentre mi muovo verso di lei.

Sei un gran lettore, vero?” chiede, guardandosi intorno. In effetti la mie libreria è ben fornita. C’è di tutto.
“Mi piace leggere, è una passione che ho in comune con i miei genitori” dico, sorridendo.
“Piace molto anche a me” continua lei “sei anche uno scrittore?” indica la pila di fogli sulla scrivania e la pagina aperta di Word sul PC.
“Non proprio, non credo di potermi definire in quel modo” mi affretto ad abbassare lo schermo del computer, per evitare che legga.
Lei si avvicina a me, in altezza la supero di diversi centimetri.
“Non vuoi farmi leggere le tue storie?” chiede, allontanandosi di nuovo. Si siede sul divano e cerca una posizione comoda. Sta aspettando una risposta che io preferirei non dare.
“Te l’ho detto, non sono uno scrittore”
“Ma scrivi storie”
“No, sono solo pensieri..”
“..che andranno a formare un libro” conclude lei la frase.
“Non esattamente, è più che altro un saggio sulla filosof..” non mi lascia finire.
“Per me non cambia molto” mi fa l’occhiolino e si gira verso gli scaffali pieni di libri “leggi per me?” chiede di botto. Non ero minimamente pronto ad una richiesta del genere. Non sa leggere da sola?

“Non mi hai detto cosa ci fai qui” il mio sguardo è incatenato al suo.
Non risponde alla mia domanda, prende qualcosa dal tavolino e me lo porge. È un volumetto di circa cento pagine, lo afferro e leggo il titolo.

Sto girando per la biblioteca alla ricerca di un libro che sembra introvabile, il direttore mi ha detto che se non lo avessi trovato mi avrebbe licenziato, perché, per quanto dice, appartiene a lui ed è il suo preferito. Mi ha incolpato di averlo messo insieme alla pila dei volumi appena riconsegnati da sistemare sugli scaffali, ma sono assolutamente certo di non averlo fatto, sarà stata Yukiko-chan, è la persona più sbadata del mondo, ma naturalmente il vecchio non darà mai la colpa alla sua nipotina preferita.
Faccio fatica a ricordarmi il titolo, è di un qualche autore giapponese sconosciuto che tempo fa era amico di Hasegawa-
sama ma che l’anno scorso purtroppo è venuto a mancare.
Sono ora in bilico su una scala di legno che probabilmente ha la stessa età dello scrittore del libro e qualcuno mi chiama.
“Harry? Dove sei?” sento un brivido che mi percorre tutta la spina dorsale. Cosa ci fa qui?
“Settore sei!” urlo, cercando di non perdere l’equilibrio. In pochi attimi Shirley mi raggiunge.
“Hai già finito tutti i libri che hai preso?”
“No, sono solo venuta a salutarti” continua con un sorriso, inclinando la testa a destra.
“Ci siamo visti ieri, non mi sembra una scusa plausibile”
“Se ti do fastidio me ne vado” dice lei seccata. Io scendo dalla scala e mi avvicino.
“Sei troppo permaloso” sussurro al suo orecchio, prima di cambiare settore. Del libro neanche l’ombra. Faccio per chiamare al cellulare Yukiko-
chan per chiederle se lei ne sa qualcosa ma sento una mano sfiorarmi l’orecchio, mentre fa scivolare via il telefono dalle mie mani.
“Shh..” sussurra lei, prima che io possa dire anche una sola parola. In un attimo la sua mano è sul mio fianco, cerca di insinuarsi sotto la maglietta, ma io mi ritraggo.
“Ma che fai? Sto lavorando” sono sulla difensiva, ma penso di averne tutte le ragioni. Lei sbuffa.
“Come sei noioso..” fa per allontanarsi.
“La biblioteca è video sorvegliata, non credo che il mio capo sarebbe felice di vedere..” faccio per indicare le telecamere con un cenno della testa. Sono state installate un paio di anni fa, mi è stato detto, perché la gente si divertiva a rubare i libri. Cosa assolutamente priva di senso per quanto mi riguarda.
“Mi leggi qualcosa, allora?” chiede lei, voltandosi di nuovo verso di me. Come può avere sempre quell’aria spavalda?
“Sto lavorando, te l’ho detto. Hasegawa-
sama mi ucciderebbe” dico piano. In effetti potrei anche urlare, dato che le orecchie del mio vecchio capo non funzionano più come una volta.
“Facciamo così, dopo il lavoro, a casa mia. Non accetto scuse, sayonara” se ne va, lasciandomi lì, fermo, senza sapere che dire. Non abbiamo tutta questa confidenza, ci siamo incontrati per la prima volta solo poco tempo fa, eppure lei si comporta come se mi conoscesse da una vita. Tutto ciò che so di lei è che è imprevedibile.

Le notti bianche?” chiedo, con un mezzo sorriso, ricordando ciò che è successo quasi un anno fa. Lei annuisce, sbattendo le ciglia.
“Mi piace il personaggio del Sognatore, credevo di avertelo già detto”
“Certo, me lo ricordo. Ma l’ultima volta hai scelto Anna Karenina, quindi..” lascio le parole a mezz’aria, mentre mi siedo sul divano.
“Volevo solo omaggiare Dostoevskij una seconda volta” sussurra lei.
“Non leggerò per te” sbotto. Non voglio ricominciare tutto daccapo, dopo quello che è successo. Non sono pronto. “Puoi andare” aggiungo allungandole il libro.
Lei sta per dire qualcosa ma poi cambia idea, si alza e recupera la borsa che è stata buttata sul pavimento con noncuranza. Shirley cammina lentamente verso l’entrata e mi rivolge un ultimo sguardo prima di uscire.
“Sayonara, aho*”

“Non pensavo ti piacesse questo genere di libri” dico divertito, leggendo i titoli della sua piccola collezione. Ci sono volumi in inglese, in giapponese e persino in russo. Forse l’ho sottovalutata.
“Sai come si dice, non si giudica un libro dalla copertina” risponde lei, beffarda “aho”
“Come mi hai chiamato, scusa?” la fisso, riducendo gli occhi a due fessure.
“Hai sentito benissimo, aho” mi risponde, ripetendo quel nomignolo.
“Fingerò di non aver sentito” incrocio le braccia e torno a leggere i titoli dei libri.
Qualche secondo più tardi quella che sembra una bandana viene messa davanti ai miei occhi, impedendomi di vedere. La situazione si fa divertente.
Mi volto di scatto togliendo quello che scopro essere un foulard dai miei occhi e vedo la principessa-degli-scherzi-da-bambini che mi fa la linguaccia da dietro il divano. Faccio per rincorrerla ma inciampo in un lembo del tappeto e finisco lungo e tirato per terra, di faccia.
Dolorante, non ho nemmeno il tempo per voltarmi, che lei si butta quasi a peso morto su di me. Lo sguardo di entrambi cerca quello dell’altro.
Noto che è leggermente arrossita, è la prima volta da quando l’ho conosciuta. Quel leggero rossore la rende ancora più carina. Faccio per avvicinarmi a lei, ma le mie labbra incontrano qualcosa che non somiglia nemmeno vagamente alle sue, apro gli occhi e vedo un pupazzo verde a forma di rana. La sento ridere.
“Sei proprio uno stupido” e non posso non darle ragione, almeno questa volta.

Sul suo bel volto è dipinto un sorriso triste che mi fa dimenticare tutti i propositi che mi sono prefissato. Mi maledico e lascio che le parole escano dalla mia bocca.
“Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che forse esistono soltanto quando si è giovani, mio caro lettore. Il cielo era così stellato, così luminoso che, guardandolo, ci si chiedeva istintivamente: è mai possibile che sotto un simile cielo vivano uomini collerici e capricciosi ? Anche questa, caro lettore, è una domanda da giovani, molto da giovani... voglia Iddio farla nascere spesso nell’animo vostro...”
Alzo lo sguardo, lei non se n’è andata. La sua espressione è cambiata, è un misto tra confusione e sorpresa. Le sorrido e lei fa lo stesso. Muove alcuni passi verso di me, finché non ci troviamo a pochi centimetri. Riesco a sentire il suo profumo, è fruttato, dolce. Respiro a pieni polmoni e lascio cadere il libro a terra, probabilmente non mi servirà più. Almeno per il momento.
Lei porta una mano sulla mia nuca e mi attrae a sé, mentre io vado ad abbracciarla per avvicinarla di più. Le nostre labbra si uniscono in un bacio dapprima casto, poi più profondo e passionale.
“Mi sei mancato” sussurra poi al mio orecchio, io sorrido, conscio di essere un debole e, perché no, uno stupido, perché, nonostante tutto, non riesco a resisterle. Credo, anzi sono sicuro, che lei ci provi gusto nel vedermi così vulnerabile e mi odio, mi odio perché non ho saputo mantenere la promessa che mi sono fatto due mesi fa, mi odio perché non ho mai smesso di volerla un secondo nell’ultimo anno.
Mi sfila la maglia e faccio lo stesso con la sua. La faccio stendere su quel divano tanto grande quanto scomodo e i nostri respiri si fanno più affannati.
“Leggerai ancora per me?” chiede, col fiato corto. I suoi occhi color nocciola sono fissi sui miei.
“Se ce ne sarà l’occasione”
La vedo sorridere e non riesco a fare a meno di imitarla.


***

Precisazioni:
*Sayonara significa arrivederci
*Aho
significa stupido

Konnichiwa!
Qualcuno si ricorda di me? Sono sparita per un bel po' dalla circolazione e mi scuso con coloro che seguivano ''I'm free falling'', che per il momento è ancora in sospeso, ho veramente pochissimo tempo da dedicare alle mie storie per colpa della scuola.
Detto questo, ultimamente ho ricominciato ad interessarmi ad anime e manga e ho avuto l'illuminazione. L'idea iniziale era quella di una OS Larry, ma poi ho pensato a qualcosa di diverso, non vogliatemene.
La storia avrà massimo cinque capitoli (ancora sto cercando di decidere) e già dal prossimo ci sarà un po' più di azione, e non solo tra Shirley e l'Amico Fritz.
Un'ultima cosa prima di tornare a filosofia, il titolo fa riderimento all'omonima composizione di Michael Nyman che fa parte del film "Lezioni di piano", vi consiglio di ascoltarla, io me ne sono innamorata.
Spero che questo inizio vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione.
A presto,
Gaia

ps. ringrazio me stessa per il banner, che giaceva lì nella cartella delle immagini da mesi in attesa di essere utilizzato (y)

  
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