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Autore: fuoritema    21/03/2014    4 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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Banner stupenderrimo fatto da ThanatoseHypnos, che ringrazio molto <3

 
   (IV)
Il destino mescola le carte e noi giochiamo.
 
 
Lo aveva seguito per un bel pezzo sperando che si addormentasse, e così era stato.
Non c’era voluto molto perché cadesse sfinito sul ramo dove si era fermato da quella mattina.
Raika, dal canto suo, si era rannicchiato vicino al tronco aspettando il momento in cui avrebbe potuto prendere quella dannata balestra alla quale mirava dal bagno di sangue iniziale. Certo si era mosso un paio di volte per esplorare le vicinanze, ma l’aveva fatto in modo tale da non farsi scoprire, silenzioso come sempre.
Doveva capire i trucchi degli Strateghi di quell’anno, ma per il momento aveva chiara soltanto l’intricata rete di cunicoli che partivano dalle grotte ghiacciate poste a distanza di circa tre, quattro chilometri l’una dall’altra: dove portassero gli era ancora sconosciuto. Non che gli importasse: sapeva che i Favoriti avrebbero cominciato a cercare anche lì, setacciando i cunicoli alla ricerca di nuove prede. Già era un miracolo che non avessero trovato il ragazzo del tre, appena sopra la sua testa, che aveva lasciato numerose orme, non pensando che chiunque le avrebbe potute seguire e ucciderlo. E poi si diceva spesso che i Tributi del distretto della tecnologia erano sempre i più furbi…
Raika sbuffò confrontandolo con quelli degli anni passati. Non ricordava a che età avesse iniziato a guardare gli Hunger Games, ricordava solo di aver pianto, quella volta, per tutto il sangue che aveva visto sullo schermo. Era un bene aver capito come funzionava il tutto prima di essere estratto. Sapeva che non era la fortuna a farti vincere ma gli Strateghi, e che lui non era uno dei possibili candidati perché ritenuto già morto come il cretino che stava seguendo. Inizialmente aveva persino preso in considerazione di allearsi con lui ma era impossibile fidarsi di qualcuno in quei giochi. Così era rimasto lì: rannicchiato nella neve e bagnato come un pulcino fradicio mentre vedeva le frecce conficcarsi nel terreno a due passi da lui.
Quel ragazzo non le sapeva tirare bene, anzi a dirla tutta era veramente mediocre dato che aveva centrato soltanto uno scoiattolo da quella mattinata. Era uno di quegli animaletti innocui che si trovavano spesso nell’Arena che aveva il pelo candido come la neve e gli occhi azzurro ghiaccio, sulla schiena una striscia leggermente più scura in verticale. Raika si soffiò sulle mani quasi congelate sfregandole una contro l’altra mentre guardava il cielo dove sarebbero stati proiettati tutti i volti dei caduti di quella seconda giornata. Fece appena in tempo a sentire l’inno, prima che gli occhi gli si chiudessero involontariamente.
Si svegliò tempo dopo e vide vicinissimi a lui luccichii simili a quelli del vetro che si riflettevano sul ghiaccio della terra. Dapprima pensava fosse un’allucinazione dovuta ai frutti che aveva mangiato quella mattina, ma si ricredette quasi subito. Li vide avvicinarsi a lui, circondandolo del tutto, mentre emettevano dei versi minacciosi. Provò l’istinto di fuggire ma non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose, così si immobilizzò nella neve, sperando di essere scambiato per parte integrante del tronco. Non capì mai perché non l’avessero aggredito ma gli fossero passati sopra con le loro zampette artigliate, veloci come i ratti che circolavano nel suo distretto vicino al quartiere dove risiedevano i più poveri, ma fatto sta che non lo toccarono nemmeno e si accanirono sul ragazzo del tre. Lo rosero fino all’osso mentre il poveretto urlava da far pietà e cercava di alzarsi con il risultato di aizzarli ancor di più contro se stesso. Gli scoiattoli finirono solo all’alba e il cannone sparò il suo solito canto di morte.
Raika si alzò scuotendosi la neve di dosso, come un automa, ancora terrorizzato per quello spettacolo che non aveva visto, ma soltanto sentito - e gli bastava. Si arrampicò sul tronco con i legamenti intorpiditi per il freddo e prese la balestra, quasi annegata in tutto quel sangue e la poltiglia che un tempo doveva essere stata il corpo del maschio del tre. Sentì un conato di vomito salirgli su per la gola fino a fermarsi nella sua bocca, ma lo ricacciò dentro sigillandolo nello stomaco come in una morsa. Il ragazzo del nove scappò in fretta via da quel luogo per andare a nascondersi da qualche parte che neppure lui conosceva, con il cuore che batteva a mille e il corpo che tremava.
 
 
Aveva sempre odiato dover tornare a casa prima del coprifuoco.
A dire il vero era proprio essere comandato dalla Capitale che non gli andava giù.
Nessuno lo poteva costringere a fare qualcosa, ma la paura, che mai avrebbe ammesso di avere, gli impediva di fare una qualsiasi infrazione alle regole.
Si caricò il vecchio zaino sulle spalle e si avviò verso casa, prendendo a calci i ciottoli del selciato.
Da lontano poteva vedere i ragazzini della sua età, intenti a rincorrersi nei campi di grano, e le madri che li richiamavano. Raika non aveva provato neppure una volta a correre nei campi, non sapeva neppure come fosse essere amati, ma non gli importava – o meglio – non credeva gli importasse. Fin da piccolo aveva sempre cercato di cavarsela da solo e quel regime di solitudine che si era imposto non aveva migliorato le cose. Ricordava soltanto una mano che gli accarezzava dolcemente i capelli scuri per calmarlo, ma quel ricordo era seppellito nella sua memoria, sbiadito dal tempo passato.
Cercò di mettere un piede davanti all’altro e continuare a camminare con il cappuccio della felpa fin sopra gli occhi. Odiava dover tornare in quel posto che chiamava “casa” ma che non lo era per niente.
Si fermò dopo una decina di minuti davanti a una porta in legno marcio, mentre il sole tramontava lento.
“E’ questa l’ora di tornare?” disse una voce proveniente dall’interno.
Raika rimase impassibile nel sussurrare “fatti i fatti tuoi” con la vibrazione del sibilo di un serpente.
Venne spinto in malo modo dentro al vecchi granaio in disuso del distretto, dimora di quelli come lui: senza un posto né uno scopo nella vita. “Si può sapere dove sei stato?” chiese un uomo alto e vestito di un cappotto lungo e caldo, pieno di toppe.
Il moro si limitò a scrollare le spalle, disinteressato da quella conversazione. “Secondo te dove è andato! E’ rimasto a giocare con quell’accendino che ha trovato per terra la settimana scorsa” lo rimbeccò una giovane dai capelli biondi legati in una coda alta. Raika andò verso la camerata dove dormivano un po’ tutti i ragazzi, ma fu fermato dalla mano dell’uomo. “Sai, deficiente, se succede un'altra volta non esiterò a buttarti fuori” gli urlò in faccia. Il ragazzo lo guardò negli occhi sapendo che non sarebbe mai successo: gli servivano i guadagni suoi e di tutti gli altri “lavoratori” che segnava meticolosamente su un taccuino.
“Non me ne frega un cazzo” disse con calma scandendo bene le parole, poi si girò per andarsene. Si aspettava un ceffone da un momento all’altro, ma lo aveva lasciato senza parole, per l’ennesima volta. 
 
 
 
India era stranamente calma in quel secondo giorno nell’Arena. Aveva trovato un posto dove fermarsi e nascondersi. Era a cavallo, insomma. Mai avrebbe pensato di riuscire persino a dormire in un posto del genere. Non si sarebbe neppure alzata dal ghiaccio, se non si fosse accorta di essere quasi fradicia. Era entrata in una delle caverne, perfettamente conscia del fatto che i Favoriti avrebbero cercato lì, ma si era nascosta talmente bene che nessuno avrebbe potuto trovarla, in un cunicolo secondario. Aveva trovato l’entrata per caso e si era messa lì riuscendo a vedere tutto quello che le succedeva attorno, ma non ad essere notata. Sentì uno sparo in lontananza, ovattato per tutto il ghiaccio che la proteggeva dagli attacchi degli altri Tributi, poi vide delle figure avanzare parlottando tra loro.
“Amethyst, secondo me non è sicuro continuare a camminare qui” disse quella più alta con una vocina quasi impercettibile, il pigolio di un uccellino. Sembrava essere Colin – anzi era Colin –, il suo giovane compagno di distretto. Era accompagnato da una bambina più bassa di lui, dalla pelle chiara come la porcellana. India ricordava fosse la femmina del dodici, quella dagli occhi azzurri tendenti al viola. Erano entrambi troppo giovani per i Giochi ma lei non avrebbe potuto fare nulla per aiutarli: doveva tornare viva e non poteva riuscirci mettendosi ad aiutare i Tributi più piccoli, tantomeno se erano così stupidi da entrare nella caverna e non nascondersi all’istante.
“Hai ragione, Colin! Non è stata una buona idea…” sussurrò la ragazzina tremando con forza per il freddo e mettendosi le piccola mani in tasca. “Usciamo da qui” aggiunse avviandosi verso l’uscita, “ci sono troppe vie da seguire: potrebbe essere la tana di un qualche ibrido.”
Colin le mise un braccio sulle spalle e la seguì, traballando per il ghiaccio ma anche il peso dello zaino. India li guardò allontanarsi ringraziando il cielo per il proverbiale intuito della femmina del dodici; dopotutto non erano così scemi come sembravano. Si ritrovò a pensare a sua sorella Willow, sforzandosi per non piangere e maledicendo il giorno in cui aveva deciso di prendere le tessere. Era già morta dal principio di quegli stupidi Giochi, avrebbe voluto non essere scelta, ma ormai era fatta e non poteva più tornare indietro.
“Dall'unione di Pasifae e il toro nacque il Minotauro, una creatura dal corpo di uomo e la testa di toro che si nutriva solo di carne umana.”
Era scritto sul ghiaccio in caratteri incerti, aguzzi e ghiacciati. Non aveva ancora capito cosa significasse – o meglio – non aveva voluto comprendere il senso di quelle parole. Si limitava a fissare quella frase, soffiandosi sulle mani congelate. Ma la sua calma fu spezzata da un lungo verso animalesco che squarciò la quiete della grotta. Non poté negare l’evidenza mentre fissava quella figura avvicinarsi al ghiaccio con il naso fremente e le corna protese in avanti.
Poco tempo dopo il cannone suonò l’ennesimo morto.

 

 
Angolino dell’Autrice:
 
Allora… Finalmente l’Arena inizia ad essere un minimo conosciuta dai Tributi: è formata da una parte esterna ed una interna (i cunicoli dai quali si può accedere dalle grotte). Naturalmente l’Arena non può essere così semplice, c’è qualcosa che i Tributi dovranno scoprire, ma non vi dico cosa.
In ogni caso India ha trovato un cunicolo secondario coperto da uno strato molto spesso di ghiaccio e dal quale non può essere vista, il problema è che ha trovato anche il Minotauro… Lascio a voi l’immaginazione della scena :’( Peccato perché mi stava simpatica… E così sono iniziati i veri Giochi con gli ibridi e il resto.
Passiamo alla questione Raika…
Mi sono immaginata che i ragazzini del distretto nove che non sono stati presi dall’orfanotrofio sovraffollato, abitino un vecchio granaio inutilizzato e sottostiano al controllo di un signore (ma la backstory non si limita a questo). Loro gli portano l’ottanta per cento del salario e lui si occupa di portare da mangiare rompendogli il cazzo e mantenendo la disciplina(?) in modo violento… Raika è un OC coraggioso, che non parla per niente e odia i contatti con le persone: per lui esistono solo se stesso e il fuoco, suo migliore amico. E’ strano ma a me sta molto simpatico, come tutti i Tributi, ormai.
Vi anticipo che nel prossimo capitolo torneranno i Favoriti e… non ve lo dico XD.
Detto ciò vi saluto e vado a fare scienze che domani ho il compito *saluta con la manina*
 
Talking Cricket

 
  
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