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Autore: Yoan Seiyryu    21/03/2014    1 recensioni
[ Mad Wolf (Ruby Jefferson) + accenni Outlaw Queen ]
Nella Foresta Incantata Regina desidera distruggere Snow White annullando quelle amicizie che rendono la figliastra forte ed audace. Decide di servirsi di Jefferson per compiere un gesto estremo nei confronti di una giovane ragazza dal Cappuccio Rosso che vive al villaggio di Nottingham. Jefferson, per offrire un futuro migliore a sua figlia Grace, accetta il patto con Regina ed è intenzionato ad eseguire gli ordini.
A Storybrooke Jefferson ricorda perfettamente il suo passato e tenta con ogni mezzo di far riemergere la memoria perduta di Ruby con cui è stato legato prima del sortilegio, ma affronteranno entrambi diverse problematiche prima di conoscersi davvero secondo la propria natura.
**
"E' ironico che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è [...] quando sei tu il vero mostro fra noi due"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jefferson/Cappellaio Matto, Paige/Grace, Ruby/Cappuccetto Rosso, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IX

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Storybrooke, durante il sortilegio
 
Il servizio da tè in porcella era stato rovesciato a terra ed ora riversava sul pavimento, lasciando le impronte di chi vi era passato sopra, per cancellarne ogni traccia.
Aveva compiuto un errore irrecuperabile la sera di San Valentino, non tanto per esser stato pestato brutalmente – di quello non gli interessava proprio nulla – quanto per aver rivelato a Ruby qualcosa che avrebbe dovuto tacere.
Lei non poteva ricordare, non aveva idea di che persona avesse davvero davanti e lui aveva cercato di forzarla, mettendola con le spalle al muro. Credeva davvero che la sua vicinanza le avrebbe illuminato ricordi ormai perduti? Si sedette sulla poltrona, tenendo lo sguardo fisso sulla porcellana fatta in pezzi ed iniziò a riflettere. Era tutta colpa di Regina e del suo sortilegio, aveva perso tutto e lei gli aveva tolto la sua unica ragione di vita. La famiglia che aveva un tempo non esisteva più e si ritrovava da solo con se stesso in una casa così grande che gli ricordava ancora di più quanto non avesse speranza di tornare il Jefferson di un tempo. Erano trascorse due settimane da quando si era scontrato con Gary e da allora non si era fatto più vedere in giro, preferiva almeno lasciar andare via le cicatrici riportate sul volto, soprattutto quella che sorgeva in alto sul sopracciglio destro.
Fu in quel momento che qualcuno bussò alla porta, un evento assai raro, visto che nessuno andava mai a trovarlo e a ragion veduta. Si era concentrato così tanto sui suoi pensieri che non si era nemmeno accorto del rumore della macchina che era arrivata fin lì. Si alzò bruscamente dalla poltrona per poter andare ad aprire la porta e si ritrovò davanti l’unica persona che non si sarebbe mai aspettato di vedere.
“Come ti sei ridotto, Jefferson?” domandò con la sua solita voce suadente.
Aggrottò le sopracciglia ed appoggiò una spalla alla porta, senza accennare a lasciarla entrare.
“Ti sei presa la briga di venire a trovarmi per chiedermi questo?”.
“Tu non rispondi mai ad una domanda con un’altra domanda” sogghignò, prima di portare una mano al fianco e stringere le labbra con forza “se non ti dispiace vorrei entrare in casa, devo parlarti”.
Jefferson roteò gli occhi al cielo e nonostante non fosse intenzionato a conversare amabilmente con lei, fu costretto a darle retta.
“Ogni volta che ti lascio entrare in casa mia accade qualcosa di irrimediabilmente pericoloso, Regina” borbottò prima di lasciarla entrare, scostandosi dall’ingresso.
Avrebbe potuto farla fuori in qualunque momento, approfittando del fatto che nessuno sarebbe mai andato a cercarla proprio lì. In fondo la città non avrebbe sofferto molto e si sarebbe liberata di un grande peso. Così forse Emma Swan sarebbe riuscita a spezzare il sortilegio più facilmente, senza avere i bastoni tra le ruote.
Regina non fece caso alle sue parole e si diresse verso il grande il salone per potersi sedere sul comodo e raffinato divano bianco, affondandovi con eleganza. Si accorse che sul pavimento erano sparsi pezzi di porcellana che erano stati ampiamente calpestati, ma la cosa non le sembrò affatto anormale.
Jefferson la seguì e si sedette sulla poltrona davanti a lei, appoggiando le mani sui braccioli e stendendo le gambe in avanti. Il volto era ancora tumefatto e la cicatrice sopra il sopracciglio assolutamente evidente.
Regina lo osservò a lungo, come a volerlo studiare in profondità.
“Avanti, non mi guardare con quegli occhi. In fondo io non ho idea del motivo per cui tu sia in grado di ricordare ogni cosa. Forse la follia è in grado di spezzare il velo che ci illude tutti quanti” disse in tono saccente, mentre spostava indietro i capelli per scoprire il viso perfetto.
Jefferson strinse con forza i braccioli della poltrona, provava troppa rabbia per lei e rimanere calmo sembrava una vera e propria impresa.
“Io non sono pazzo” sibilò ogni singola parola, insistendo in uno sguardo carico di disprezzo.
Regina sogghignò e inclinò lievemente la testa in avanti. “Eppure se non ricordo male, ti chiamavano Cappellaio Matto nel Paese delle Meraviglie. Non è forse così?”.
Jefferson strinse i pugni delle mani e iniziò a mordersi le labbra per la frustrazione.
“Tutto ciò che è accaduto è colpa tua, Regina. Prima mi hai ingannato, togliendomi la mia famiglia e lasciandomi in quel posto dove tutti sono matti. Poi hai creato il sortilegio e mi hai condotto sin qui, costringendomi a vivere di nuovo lontano dai miei cari” digrignò i denti e poi serrò le labbra.
Regina si strinse nelle spalle, evidentemente non le importava nulla di ciò che gli era accaduto e non avrebbe certo migliorato la sua situazione in alcun modo.
“La colpa di ciò che è accaduto in passato è tua, Jefferson. Non si abbandona mai la famiglia”.
Quella provocazione scaturì in lui un vortice di rabbia che lo costrinse ad alzarsi in piedi, avrebbe potuto minacciarla, ma non sarebbe servito a nulla. Si allontanò in gran fretta da lei per potersi accomodare sul davanzale della finestra, così da averla lontana ma al tempo stesso riuscire a non perderla d’occhio. Ciò che diceva era vero, lui aveva abbandonato la sua famiglia, non era riuscito a mantenere la sua promessa.
Il solo motivo per cui Regina non temeva dei ricordi ancora presente in lui era proprio il fatto che tutti lo considerassero fuori di testa e nessuno avrebbe prestato orecchio ai suoi vaneggiamenti, inoltre sarebbe sempre potuto tornarle utile per qualcosa.
“Che cosa vuoi?” domandò Jefferson per raggiungere lo scopo di quella visita.
Regina si alzò lentamente in piedi per poi compiere diversi passi ed avvicinarsi alla finestra, appoggiandosi appena alla parete per poterlo guardare meglio negli occhi.
“Qualcuno è entrato in casa mia e mi ha sottratto un oggetto molto importante, vorrei riaverlo indietro”.
Jefferson inarcò un sopracciglio.
“Perché credi che io ne sappia qualcosa?”.
“La cleptomania è una malattia, Jefferson, e il tuo amico dovrebbe farsi curare. Ciò che mi chiedo è se sei stato tu a chiedergli di rubarlo”.
Improvvisamente quella ambigua conversazione fu chiara ai suoi occhi.
“Ha rubato il mio cappello?” enfatizzò quelle parole “Tu lo hai portato qui a Storybrooke?” si distaccò dal davanzale della finestra per fare un passo avanti e coprire la loro breve distanza.
Regina annuì, ma non volle dare spiegazioni su quel particolare. Aveva condotto con sé molte cose e quella non era stata l’unica. Solo lei era conosceva i suoi piani e nessuno sarebbe mai riuscito ad entrare nella sua testa.
Una cosa che sapeva fare molto bene era capire quando gli altri mentivano, proprio perché lei era quella che aveva mentito per così tanto tempo e aveva imparato a riconoscere i truffatori dagli uomini onesti.
“Dunque non lo sapevi” sospirò senza accennare ad allontanarsi “ebbene, ho una proposta da farti: aiutami a ritrovare il cappello ed io ti aiuterò a dimenticare ogni cosa”.
Jefferson sgranò gli occhi, abbagliato da quella possibilità e agganciò una mano al collo di lei per poterla scrutare a fondo.
“Se anche questa volta stai cercando di ingannarmi, giuro che…”
Regina lo fermò, appoggiando l’’indice sulle sue labbra, così da ammutolirlo.
“Non temere. Aiutami a riprendere il cappello ed io ti darò ciò che desideri” sussurrò prima di allontanarsi.
Così facendo fece un passo indietro, lasciandolo tornare a fissare il vuoto. Iniziò ad allontanarsi per poter andare via da quella casa, la sua visita era terminata e sperò di riuscire nell’intento.
Ma quando si avvicinò alla porta e cercò di andare via, comparve Jefferson a richiuderla, per impedirle di farlo. I suoi passi erano stati silenziosi e quasi risultò agghiacciante ritrovarselo di nuovo vicino.
“Quanta fretta” sussurrò lui mentre continuava a tenere la mano ferma sul pomolo “c’è una cosa che vorrei chiederti, forse puoi darmi una risposta”.
Regina trasse un sospiro profondo ed annuì perché parlasse.
“Perché Paige sogna il Paese delle Meraviglie?” le domandò quasi certo che lei fosse la causa di quegli incubi.
Lei scosse lentamente la testa prima di sogghignare.
“Mio caro Jefferson, hai vissuto per così tanto lì e ancora non lo conosci? Quelli di Paige non sono sogni, ma ricordi” gli svelò come se fosse stata la cosa più chiara al mondo.
Gli occhi di lui divennero scuri e profondi, la fronte si corrugò e l’espressione del viso mutò in rabbia mista a sofferenza.
“Cosa ne hai fatto di lei?” la afferrò per le spalle, iniziando a scuoterla “L’hai portata al Paese delle Meraviglie? Rispondi! C’è solo un modo per arrivare lì”.
Lui non sapeva nulla di ciò che era accaduto a sua figlia, non aveva mai trovato il modo di ritornare alla Foresta Incantata.
Regina con poca grazia distolse le mani dalle sue spalle per poter uscire da quel giogo.
“Ti sbagli, Jefferson. Il cappello collega i mondi magici, ma il Paese delle Meraviglie è un luogo particolare. Vi sono diverse entrate, quali le tane del Bianconiglio e gli specchi magici. Tua figlia ti ha cercato a lungo nella Foresta di Sherwood ma senza riuscire mai a trovarti, era piuttosto convinta che non l’avessi abbandonata” sorrise di gusto continuando a raccontargli il seguito.
“Quindi è riuscita a raggiungerlo?” altre domande, mille domande gli tempestavano la testa in quel momento.
Doveva sapere di più, doveva capire e indagare.
“Questo non lo so, ma solo chi vi è stato può permettersi di sognarlo. Evidentemente deve esser riuscita a trovare un portale” gli sorrise con una certa impazienza “ma non credo ti interessi saperlo davvero, molto presto ti dimenticherai di lei”.
Così facendo gli spostò la mano dal pomo della porta e poté finalmente uscire con un velo di soddisfazione dipinto sul volto. Jefferson rimase atterrito mentre la guardava andare via, non riusciva a capacitarsi di quello che gli era stato detto.  
Grace l’aveva cercato, non si era mai arresa, proprio come lui. Era diventato matto dopo aver cercato di ricostruire il cappello, mentre lei aveva provato con tutta se stessa a ricongiungersi a lui.
Voleva davvero dimenticare? In fondo non avrebbe mai saputo nulla. Come era riuscita sua figlia ad entrare nel Paese delle Meraviglie? Se così fosse stato, cosa le era accaduto? Perché non si erano incontrati? Era riuscita ad uscirne?
Troppe domande si affollarono nella sua testa e nessuna risposta veniva a galla. Scivolò con la schiena lungo la porta per poi arrivare a terra e coprire gli occhi con le mani.
Dimenticare, avrebbe dovuto dimenticare tutto della sua vita. Così non avrebbe saputo più nulla di Grace, né di Ruby, né di nessun altro L’indomani sarebbe andato da Locksley e si sarebbe fatto restituire il cappello per consegnarlo a Regina, per cancellare definitivamente tutto il suo dolore.
Rimase in quella posizione a lungo, con gli occhi aperti, per convincersi di quella decisione. Aiutare di nuovo Regina equivaleva ad un grande rischio ma al tempo stesso era la sua unica via di fuga.
Forse non proprio l’unica, ma al momento lo desiderava più di ogni altra cosa al mondo.




 
**

 




 
Foresta Incantata


Jefferson era seduto sul giaciglio dove Red dormiva la notte, nonostante i dolori allo stomaco e al viso, non riusciva a far uscire alcun lamento. Grace si era spaventata e gli aveva gridato contro con rabbia, suo padre era tutto ciò di cui aveva bisogno e l’idea che qualcuno potesse fargli del male la straziava.
Una volta tornati a casa, con molta fatica, vista la convalescenza di Red ed il pestaggio subito da lui, Grace decise di lasciarli da soli. Suo padre aveva bisogno di cure e lei a guardarlo in quelle condizioni ne avrebbe solo che sofferto. Si ritirò silenziosamente nella sua piccola stanza, accompagnata da Red che la mise a letto per assicurarsi che non fosse rimasta troppo sconvolta. Le portò il coniglietto che Jefferson aveva cucito per lei, cosicché avrebbe avuto un po’ di compagnia. Le accarezzò il viso con delicatezza e le scostò i capelli, prima di sfiorarle la fronte con un bacio. Né lei né Grace dissero nulla ma si limitarono a sorridere, erano riuscite a trovare un legame profondo che andava ben oltre l’uso delle parole. L’affetto che Red regalava a Grace era puro e sincero, così allo stesso modo veniva ricambiata.
Quando tornò all’ingresso, dove era ancora seduto Jefferson, si avvicinò per potersi sedere su uno sgabello di fronte a lui per poterlo guardare negli occhi che teneva ostinatamente rivolti verso il basso.
“Sapevi perfettamente che non avresti vinto. Perché lo hai fatto?” gli domandò mentre preparava un infuso da passare sulle ferite riportate sul viso.
Jefferson tirò le labbra in un sorriso ironico, senza alzare lo sguardo. Appoggiò le mani sulle ginocchia e poi trasse un sospiro profondo.
“Detesto i prepotenti che non sanno mettere fine alle proprie azioni”.
Si stupì di se stesso per aver detto una cosa simile, lui prima di lasciare il lavoro che faceva prima, era fatto proprio così. Non si poneva alcun limite e i sentimenti delle altre persone erano perfettamente calpestabili. In fondo non era lui a soffrirne, no?
Red strinse le labbra, ripensando ai primi momenti in cui aveva pensato male di lui. Inumidì una pezza con dell’acqua per poter lavare il sangue dal viso, iniziò dalle narici dove si era incrostato maggiormente.
“Mi dispiace se ho dubitato del tuo senso di giustizia” confessò, grata di non ricevere il suo sguardo.
Jefferson inarcò appena un sopracciglio e questa volta alzò il mento per poter cercare i suoi occhi e leggerne il fondo. Non che potesse stupirsene, effettivamente chiunque avrebbe potuto dubitarne.
“In che occasione è accaduto?” domandò per placare la sua curiosità.
“Diverse volte a dire il vero. Quando sei venuto a salvarmi non avevo idea del fatto che fossi avverso a Regina. Anche nel momento in cui l’uomo che cercava Robin Hood è venuto qui a chiedere informazioni su di lei, per un attimo ho pensato che volessi proteggerlo” sorrise divertita “che idea sciocca, a ripensarci non so proprio come mi sia venuta in mente una cosa del genere”.
Jefferson serrò le labbra in una smorfia contratta, un po’ a causa del fastidio che le ferite aperte gli provocavano al contatto con la pezza umida, un po’ per quello che lei stava rivelando. Se solo avesse saputo che tipo di piano aveva in mente per lei… non lo avrebbe mai perdonato.
“Il tuo istinto però non mente mai, non è quello che mi hai detto giorni fa?” controllarsi iniziava a diventare difficile, cercare di uscire dal suo programma lo rendeva vulnerabile ma non voleva in alcun modo che lei perdesse la sua forza.
Red annuì prima di alzarsi per recuperare l’infuso e condurlo lì da lui, così da ripassare le ferite che erano state curate ampiamente.
“Infatti non credo di essermi sbagliata” si strinse nelle spalle “nutrivo dubbi su di te per il fatto che continuassi ad essere così sfuggente, così criptico da non lasciare che i tuoi pensieri si esternassero. Tutto questo forse non è vero? Ma sono certa che il tuo animo sia buono, il solo fatto che Grace lo creda indica una verità piuttosto tangibile”.
Jefferson non rispose, almeno non subito. Non aveva previsto nulla di tutto ciò che aveva davanti agli occhi, come si era cacciato in un guaio simile? Desiderò di non esser sceso a patti con Regina, maledisse la sua miseria e di aver accettato quel lavoro che gli era stato chiesto. Red era diventata molto più che una pedina da utilizzare per i suoi comodi, lo poteva capire dal modo in cui la guardava già da diversi giorni.
Improvvisamente fermò la mano di lei che teneva ancora la pezza e la tirò più davanti a sé per poter afferrare ancora i suoi occhi e non lasciarli andare per nessun motivo al mondo. Le sfiorò delicatamente il polso con le dita della mano, così come le aveva accarezzato la caviglia quella volta che era stato lui a curarla. Com’era strano quello scambio di ruoli. Si sporse appena in avanti mentre la tendeva verso di lui, facendole inclinare leggermente la schiena, finché i loro visi non furono abbastanza vicini da condividere gli stessi respiri. Iniziò ad accarezzarle la guancia con l’altra mano per poi posarsi delicatamente sul collo.
Red provò un fremito lungo tutta la schiena, non riusciva a muovere nemmeno un muscolo e forse era esattamente ciò che voleva fare, rimanere immobile per vedere che cosa sarebbe accaduto.
Come sono grandi i tuoi occhi. E’ per guardarmi meglio?
Come sono belle le tue labbra. E’ per baciarmi meglio?

Non seppe resistere ai suoi desideri e si lasciò andare, con una fame quasi vorace si gettò su di lei per potersi prendere quello che tanto voleva. Afferrò le sue labbra per poterne gustare il sapore dolce e appropriarsi di quel sorriso che era diventato così importante per lui. Le mani salirono entrambe verso la sua nuca per intrecciarle con i lunghi capelli neri ed impedirle di allontanarsi, così da tenerla stretta in una morsa che non si mostrò a Red come una prigione.
Lasciò cadere la pezza umida a terra per sfiorare il petto di lui che teneva la camicia semi-aperta, potendone percorrere quasi la pelle e sentire tutto il calore che era in grado di emanare. Tirarsi indietro sarebbe stato da sciocchi e nonostante nuove paure si instaurarono nella sua testa, non poté fare a meno di lasciarsi andare. Le tirò indietro la testa per sfiorarle il collo con baci che diventavano sempre più famelici, desiderava più di ogni altra cosa esplorare il suo corpo e farlo proprio.
Red non aveva idea di come controllarsi, le mancava l’aria e il respiro iniziava ad essere affannato, ma bramava di lasciarselo togliere da quei baci che richiedeva sempre più espressamente. Jefferson, ormai totalmente avvolto nell’offuscamento della sua testa, la tirò verso di lui per poi farla ricadere sul giaciglio ed immobilizzarla con tutta la forza che aveva. Non fu difficile stendersi  su di lei ed iniziare a sollevare lentamente il lembo della lunga gonna rossa per accarezzare – questa volta con più certezza – le lunghe gambe.
Fermati. Non potrai più tornare indietro. Fermati ora.
“Jefferson… “ sussurrò il suo nome come a volersene appropriare per non lasciarselo sfuggire via.
Fu proprio quello però che lo fece arrestare. Né i suoi pensieri, né i suoi rimorsi o sensi di colpa erano riusciti ad intercedere sulla sua volontà. Le bastò la sua voce per ricordarsi che sarebbe dovuto scendere così in basso. Si rialzò in piedi piuttosto in fretta, privandola del suo calore, tutto ad un tratto il dolore per i pugni che aveva ricevuto allo stomaco si fece più fitto. Era riuscito a sprofondare così lontano dalla sofferenza fisica da essersene quasi dimenticato.
Red non ebbe il coraggio di dire nulla, poiché rimase a guardarlo in modo perplesso, non capiva perché quell’improvviso ripensamento.
“Tutto questo non va bene, mi dispiace”.
Non era vero, nulla di ciò che aveva fatto gli dispiaceva. Doveva ricordarsi di Grace e di quello che stava facendo per lei, mettere da parte sentimenti sciocchi che iniziavano a venire a galla e distanziarsene il più possibile. Red non si mortificò per essersi lasciata andare, soprattutto non provò alcun rancore per quel cambiamento così repentino. Si mise a sedere per far scivolare in basso la gonna e ricoprire le gambe.
Jefferson si morse il labbro inferiore che sapeva ancora un po’ di sangue e poi aggiunse:
“E’ davvero scomodo questo posto per dormire, vieni nella mia camera, il letto è abbastanza grande per entrambi”.

Quell’invito fu rivolto con sincerità, non era un modo per farsi perdonare poiché si era convinto di non poter andare oltre. Le tese una mano cosicché lei potesse afferrarla. Red non seppe esattamente cosa pensare, ancora scombussolata per ciò che era accaduto, ma non poté rifiutarla. Si alzò in piedi e poi lo seguì, così come le aveva chiesto di fare.
Com’era strano quello che sentiva farsi strada nel suo cuore, tutta la pesantezza del mondo le scivolava via dandole un senso di leggerezza prossimo ad una costante serenità.
Una volta distesa su quel letto che avrebbe condiviso con lui, gli diede le spalle come anche Jefferson fece, per eliminare quel lieve imbarazzo di lei nel constatare che qualcosa iniziava a scaturire.
Era difficile, complicato raggiungere una spiegazione ragionevole a tutto quello ma d’altra parte non si poteva tornare indietro.
Jefferson non era un adolescente, non spasimava per lei come se si fosse trovato alle prime armi. Red, al contrario, che di quei sentimenti costruiva corone di fiori, si sentiva al settimo cielo. Se solo la sua ombra non fosse stata macchiata dal ricordo di Peter e dal sangue che vi aveva versato, sarebbe stata più tranquilla. Se solo non avesse avuto una missione da compiere, sarebbe rimasta in quel luogo così accogliente. Se solo, se solo, se solo. Vi erano così tanti se che l’evento di quella sera finì per trasformarsi in un vero e proprio tormento. Aveva ripreso a muoversi più agilmente già da due giorni, anche se non era in gran forma, ritornare a correre non sarebbe stato per lei un problema.
Ma a breve sarebbero arrivati i giorni del lupo e allora cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasta chiusa nel suo mantello rosso, come aveva sempre fatto, continuando a mentire sulla sua condizione?
Raccontare tutto di sé a Jefferson e a Grace però avrebbe potuto comportare un cambiamento eccessivo, ciò che pensavano di lei sarebbe potuto mutare e questo non poteva desiderarlo. L’avrebbero considerata un mostro e cacciata via per paura. Non li avrebbe biasimati, se mai fosse successo.
Com’era difficile trovarsi nel posto in cui si voleva rimanere e al tempo stesso sapere che sarebbe stato meglio andare via. Chiudere occhio per quella notte sarebbe stato difficile e tentare non avrebbe aiutato.
Jefferson altrettanto era immerso nei propri pensieri, teneva i pugni delle mani stretti accanto al viso, adirato con se stesso per aver perso il controllo di sé. Quella ragazza stava riuscendo a fare breccia nel suo cuore e non poteva permettere che il suo amore per Grace fosse diviso con quello di Red. No, lui avrebbe protetto sua figlia ad ogni costo, anche a discapito dei suoi sentimenti.
Avrebbe dovuto forse rivelarle le sue intenzioni, i motivi per cui si ritrovava segregata in una casa che non era la sua, solo perché doveva procurare a Grace un futuro migliore?
Lo avrebbe odiato e anche peggio, ma in realtà non aveva timore del suo giudizio negativo, ciò che più lo angustiava al momento era ciò che Regina avrebbe potuto fare in seguito. Che Red potesse detestarlo non era importante, non si era preoccupato mai di ciò che gli altri pensassero su di lui. Che Red rischiasse davvero di essere imprigionata o peggio ancora messa a morte gli rendeva un turbamento sempre più crescente. Si stava indebolendo, aveva messo da parte davvero se stesso per il bene altrui? Il vecchio Jefferson non avrebbe provato alcun fastidio nel mettere una sconosciuta con le spalle al muro. Nemmeno se fosse stata un’amica, a dire il vero.
Allora perché la sua testa gli ordinava quello che il cuore non voleva fare? Perché non tornava ad essere il Jefferson di un tempo? Detestava ciò che era diventato, si era rammollito con gli anni, pur di proteggere l’unica cosa che gli era rimasta al mondo. Trasse un lungo sospiro prima di sprofondare in un sonno agitato che lo avrebbe accompagnato per tutta la notte.
Dannazione. Dannazione a lui e a quella sera che si era spinto così oltre. Tornare indietro sarebbe stato difficile. 








// NdA: 

Ed ecco qui il Nono Capitolo! Con calma e lentamente ci stiamo avvicinando verso la fine, in tutto i capitoli saranno più o meno diciassette. 
Purtroppo non ho il tempo di scrivere delle note ma il capitolo dovrebbe delucidare qualche questione, soprattutto il motivo per cui Regina ce l'ha così tanto con il nostro amato Robin ;) che vi ricordo chiamarsi Locksley a Storybrooke. 
Alla prossima settimana! 
   
 
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