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Autore: melianar    21/03/2014    9 recensioni
Dopo il disastroso tentativo della scorsa settimana, torno a pubblicare il primo capitolo di questa raccolta. Mi scuso immensamente con chi avesse provato a leggerla, purtroppo ho avuto qualche problema con l'HTL. E' solo la seconda storia che pubblico e sono piuttosto imbranata. Scusatemi!
Quella che vi propongo è una raccolta di one-shots dedicate alle figure femminili dell'universo tolkieniano, in particolare quelle donne di cui poco ci viene detto ma che, a mio avviso, hanno molto da raccontare. Ogni capitolo sarà incentrato su una donna diversa, quindi su vicende e epoche differenti. Prenderò in esame personaggi poco noti delle opere di Tolkien, spero possano risultare affascinanti per voi quanto lo sono per me. Buona lettura!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tutto è silenzio.
Non si ode nulla, eccezion fatta per il solitario, malinconico canto di un usignolo nascosto tra gli alberi.
L’aria è pregna della lieve tensione che precede il sorgere di Anar.
Presto, la terra sarà nuovamente arsa dal suo calore.
Nuove luci, a illuminare il mondo.
Nuovi colori, più intensi.
E nuove stagioni, più brevi, più rapide.
Ci si abitua. A tutto ci si abitua.
A Anar e Isil che splendono maestosi in cielo e mai potranno sostituire la perduta luce di Telperion e Laurelin.
Ci si abitua al silenzio, al vuoto, all’assenza.
Mi reco spesso qui, da quando siete partiti.
In questo giardino carico di ricordi e di sogni perduti.
Ci vengo quando il peso sul cuore si fa opprimente.
Quando gli sguardi degli altri, per quanto carichi di sincera gentilezza, diventano troppo pesanti da sopportare.
Seduta sull’erba appena umida di rugiada, vi osservo. Incontro i vostri occhi luminosi, occhi di gemme.
No, non lo faccio per bearmi dell’opera delle mie mani.
E’il ricordo che cerco, solo questo.
Mi sorridi, Feanaro, dall’alto del tuo piedistallo di statua.
Il tuo sorriso ha una lieve sfumatura ironica, quasi volessi prenderti gioco di questa mia stupida fuga dalla realtà.
Quasi volessi ricordarmi, come quell’ultimo giorno in Tirion, che una buona moglie deve seguire il marito, sempre e comunque.
Non l’ho fatto. Non ho rincorso le tue vendette, i tuoi disperati sogni di conquista.
Non sono stata una buona moglie, non lo ero più da tempo.
Sei partito senza di me.
E sei morto.
Lo so.
L’ho sentito, durante uno dei miei sonni agitati.
E’ stato come uno strappo, una lacerazione.
Ne ho avuto la certezza, l’ineluttabile certezza.
In camicia da notte sono uscita di casa, avevo bisogno d’aria.
Di respirare.
Fuori ho visto Anaire, nemmeno lei dormiva.
“Feanaro è morto”, ho sussurrato.
Non c’era altro da dire, non volevo dire altro. Lei mi ha stretta tra le braccia, senza parlare.
Chissà dove sarà il suo sposo, adesso.
E i miei figli, eternamente legati a quel folle giuramento che li condurrà tutti alla rovina, uno a uno.
Vi guardo, bambini miei. Il marmo non renderà mai giustizia ai vostri volti.
La miglior scultrice di Valinor, mi chiamano.
Eppure non so far sgorgare risate da queste labbra di pietra.
Il corno nelle mani di Tyelcormo non emette suoni, anche l’arpa di Macalaure resta muta.
Le tue statue, Nerdanel, sono pari a figure viventi.
Questo dicono tutti.
Posso affermarlo, ora più che mai: la scultura non è che illusione, pallida ombra di ciò che è stato e che non tornerà.
Come tutti voi. Come il mio Umbarto. Mai nome fu più veritiero. E più infausto.
Se solo mi avessi dato ascolto. Se solo mi avessi lasciato i gemelli, almeno loro.
Che cos’hai fatto, Feanaro? Cos’è accaduto a mio figlio?
Li hai immolati, i miei bambini.
Offerti in sacrificio in nome della tua vendetta.
Dei tuoi Silmarilli.
Quali pene dovranno sopportare, prima di finire, stremati, tra le braccia di Namo?
Ma dimmi, Feanaro, ora: quali figli sono più importanti?
Quelli delle tue mani o quelli dei tuoi lombi?
Entrambi, mi diresti. E so che lo credi sul serio.
Perché tu li amavi, i tuoi figli. E loro amavano te.
Tanto da sguainare rapidi le spade senza che nemmeno lo chiedessi.
Tanto da ripetere parole terribili, folli e blasfeme senza che ci fosse bisogno di un’esortazione, un cenno, da parte tua. Li sogno ogni notte, i nostri sette figli. I loro occhi splendenti d’ira alla luce delle torce. Le loro voci deformate dalla collera e dall’odio, mentre gridano parole che mi si sono incise nella carne e nel cuore quasi le avessi pronunciate anch’io.
Come se anch’io fossi stata maledetta.
Maledetti. Ecco, ecco cosa siete. Sono riuscita a dirlo, alla fine.
Siete maledetti, tutti quanti. Sento un nodo stringermi la gola.
Se solo riuscissi a piangere.
Vorrei odiarti, Feanaro. Vorrei dire che la colpa di tutto questo è tua, soltanto tua.
Vorrei scagliarmi su ogni tua effigie e farla a pezzi a colpi di martello.
Vorrei gridare che i nostri figli non c’entrano, che tu li hai resi degli assassini, dei traditori, dei mostri.
I miei bambini.
Dei mostri.
Vorrei strapparmi i capelli a ciocche, la mia chioma di fiamma che un tempo amavi intrecciare. Vorrei urlare fino a perdere la voce.
Vorrei, ma non posso.
Perché io ti amo, Curufinwe Feanaro. Ti amo ancora.
Una parte di me riuscirà sempre a comprenderti, a perdonarti, anche.
Nerdanel piangerà per sempre la tua perdita. 
Per questo vengo a rifugiarmi qui, a guardare quelli che, in fondo, non sono altro che inerti blocchi di marmo, senza vita né anima.
Ogni volta mi illudo di tornare indietro, anche solo per qualche istante.
Di udire la tua risata, forte e impetuosa com’era prima che l’odio e la brama di possesso offuscassero i tuoi occhi.
Di accogliere ancora nel mio grembo il fuoco inestinguibile del tuo desiderio.
Mi illudo di scorgere ancora i nostri figli fanciulli, senza ombre o timori a oscurarne lo sguardo.
Ma le illusioni sono di cristallo, non di robusta Silima.
Per spezzarle bastano le ali di un falco, che vola in ampi cerchi sul mio capo emettendo il suo acuto grido di uccello da preda.
Un battito di ciglia e sono di nuovo qui, seduta sull’erba che ormai va asciugandosi, con i primi raggi di Anar che danzano pigramente tra i miei capelli sciolti.
Riflessi. Giochi di luce.
Ti sarebbero piaciuti, Feanaro.
Penso, rialzandomi lentamente e avviandomi verso casa.
Verso un nuovo giorno.
Nuove sculture.
Nuovi sogni, per altri occhi.
 
 

Note
No, non sono scomparsa. Il blocco dello scrittore mi ha colpita (mi capita piuttosto spesso, a dire il vero) e mi sono presa qualche settimana di pausa. Spero di tornare ad aggiornare con maggior costanza, anche se ho numerosi esami da preparare che, temo, ostacoleranno i miei buoni propositi.
Innanzitutto mi scuso con Aelfgifu e Mamie per non aver ancora esaudito nessuna delle loro richieste, per altro tutte molto interessanti: purtroppo sono vittima dell’ispirazione, che è capricciosa e mi porta dove vuole. In ogni caso non vi ho dimenticate, vedremo cosa ci riserveranno i prossimi ritratti!
In questo capitolo ho immaginato i pensieri che Nerdanel, sposa di Feanor, potrebbe aver formulato in seguito alla partenza del marito e dei figli per la Terra di Mezzo.
Dalla “History of Middle-Earth” apprendiamo che Nerdanel era un’abile scultrice, tanto abile che, a un primo sguardo, le sue statue sembravano vive.
Anar e Isil sono i nomi in Quenya del sole e della luna che, secondo il mito creato da Tolkien, furono fatti sorgere dai Valar in seguito alla distruzione da parte di Melkor dei due alberi di Valinor.
Feanaro è il nome Quenya di Feanor, Curufinwe è il suo nome paterno.
Tyelcormo è il nome Quenya di Celegorm, suo terzo figlio, mentre Macalaure è il nome in Quenya di Maglor, suo secondogenito.
Umbarto è il nome materno in Quenya di Amrod, (o di Amras, qui la confusione regna sovrana) uno dei figli gemelli di Feanor e Nerdanel. Il nome significa “il predestinato” infatti, nonostante il Silmarillion pubblicato ci mostri entrambi i gemelli vivi e vegeti fino al massacro delle Bocche del Sirion, una versione più tarda contenuta nella “History of Middle-Earth” narra che Umbarto (o Ambarto, come preferiva chiamarlo Feanor) morì nell’incendio delle navi a Losgar, vittima del suo stesso padre.   
Anaire è la moglie di Fingolfin, fratellastro di Feanor.
La “Silima” è la sostanza con cui, pare, fossero stati forgiati i Silmarilli (plurale in Quenya di Silmaril). Personalmente ho sempre pensato che Feanor avesse semplicemente inventato questo nome per evitare domande indiscrete sulla composizione dei suoi amati gioielli, ma questa è una mia opinione che vale ben poco.   
Suppongo di aver detto tutto, anche se potrei andare avanti a sproloquiare per altre venti pagine.
Al solito ringrazio infinitamente tutti coloro che leggono la raccolta, ma soprattutto chi trova il tempo di lasciarmi un commento. Siete meravigliosi, tutti quanti.
Un abbraccio, a presto!
 
Melianar                 
  
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