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Autore: Sen    21/03/2014    4 recensioni
Il fumo denso della sigaretta saliva al cielo lentamente.
La notte scura, di quell’indaco marcato, rendeva le stelle iridescenti e fredde.
La luna era scomparsa, nera come un disco vuoto, una mancanza necessaria.
Lei socchiuse gli occhi bistrati, lunghi e scuri, come quelli di un gatto.
Le labbra rosse e lucide avevano lasciato un segno sul filtro bianco e sottile.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Notte Senza Luna

Il fumo denso della sigaretta saliva al cielo lentamente.

La notte scura, di quell’indaco marcato, rendeva le stelle iridescenti e fredde.

La luna era scomparsa, nera come un disco vuoto, una mancanza necessaria.

Lei socchiuse gli occhi bistrati, lunghi e scuri, come quelli di un gatto.

Le labbra rosse e lucide avevano lasciato un segno sul filtro bianco e sottile.

 

“Allora, io vado.”

lei non si voltò nemmeno verso quella voce senza corpo, così maledettamente identica a tutte le altre.

“Lascia i soldi e sparisci, pivello.”

concluse sbuffano sonoramente, senza distogliere lo sguardo dalle onde calme e dal cielo scuro.

Il rumore della porta che si chiudeva le concesse un sorriso stanco e la consapevole, rincuorante certezza che per la serata aveva terminato.

Leonidas, si chiamava, era un soldato semplice del Santuario, appena vent’anni: lei era probabilmente stata un mezzo per liberarsi di ciò che significava essere ancora un ragazzo, in un mondo di uomini fatti.

Nonostante il cuore indurito e gli occhi severi, Eranthe ricordava il nome di ognuno, di tutti loro.

Il nome e i loro occhi.

 

Le luci di Rodorio sembravano ancora più luminose, dopo quella giornata di vento, brillavano facendo invidia alle stelle stesse, ai suoi occhi, illuminando il cielo di quell’alone rossastro che sfumava nel nero assoluto.

Al di là del promontorio, dove c’erano i templi di quella strana società parallela fatta di dei ed eroi, invece, la luce si spegneva di colpo, inghiottita dalle tenebre fittizie create dal cosmo di Athena stessa.

Lei era una dei testimoni di questo mondo oltre il mondo, ma non vi partecipava nemmeno per sbaglio.

 

Sorrise stanca, accendendo il bollitore.

Lei non era come Agasha, del negozio di fiori all’angolo, che dal tempio andava e veniva leggera come la pioggia d’estate, recando tutte le volte una rosa come dono di uno dei cavalieri della casta più potente.

Gli occhi pieni di quella speranza già delusa che condivideva con tutte coloro che amavano un Santo d’Oro.

Non era come le donne della casa di piacere di Melina, al centro esatto del quartiere più in voga di Rodorio, belle come divinità e spregiudicate come ninfe dei boschi, visitate ogni sera da alti funzionari del Santuario o da quegli stessi guerrieri che recavano con loro la forza delle stelle, lasciando peraltro laute mance.

 

Non che la zia Melina non le avesse mai proposto di arruolarsi nelle fila del suo personale esercito:

“Noi siamo importanti, sai mia cara?” sbuffava sonora investendola con una nuvola di fumo azzurro e denso, mentre le versava una tazza di caffè che le ricordava vagamente il pentolone che la nonna usava per preparare le zuppe.

“Se non ci fossimo noi, mi dici tutti quei ragazzoni come farebbero a sfogare i loro desideri?” continuava con la precisione di un primario “Sono uomini, per Athena! Pieni zeppi di testosterone, alimentato dall’adrenalina delle battaglie.”

 

La guardava con la coda degli occhi, azzurrissimi, sfidandola apertamente a ribattere alcunché

“Dovevi vedere ieri sera la povera Francine, la ragazza nuova che viene da Parigi, era stravolta!” diede in un plateale sospiro con tanto di mano mollemente appoggiata alla fronte e occhi rivolti al cielo “Tuuutta la notte è stato da lei El Cid, quel mascalzone spagnolo.”

Lei sorseggiò cauta il caffè sorridendo, chiedendosi come mai la zia si stupisse ancora: quei due erano innamorati peggio di due ragazzini. Era pronta a scommettere qualsiasi cifra che, prima della fine dell’anno la piccola francese uscisse dalla casa dei piaceri per prendere posto definitivo tra le fila delle donne del Santuario.

 

“E tua madre” Eranthe poteva scorgere le lacrime luccicare negli occhi della donna, affondò gli occhi scuri nel caffè imponendosi di non scoppiare in una sonora risata.

Ecco ora Melina, lo sapeva, si sarebbe lanciata in una lunga, estenuante filippica sulla compianta madre.

“Tua madre sarebbe fiera di te, piccolo fiore. Sai che è stata lei a convincermi ad aprire questo luogo” fece un ampio gesto con il braccio

“Prima ero solo una battona da incrocio, invece ora, guardami” la sigaretta oscillò pericolosamente vicina al suo naso “ora noi siamo di-vi-ni-tà” scandì come una maestra.

 

“Poi è arrivato lui, dal nulla. Tuo padre” sputò come se si trattasse di una bestemmia “che le ha riempito il ventre e la testa di stronzate.” Fece una lunga tirata macchiando il filtro di altro rossetto.

“Come si fa, a lasciare indietro la propria figlia per seguire un uomo!” concluse schiacciando la sigaretta in un posacenere e stringendole il mento tra le mani. Eranthe tremò sotto i suoi occhi indagatori

“Sei tutta uguale a tuo padre” sospirò e lei credette per un attimo che si trattasse di un insulto bello e buono.

“Altro buono a nulla che ha lasciato indietro la sua armatura! Si è mai sentito?”

 

Melina si alzò di colpo scomparendo dietro la tenda di perline rosse che delimitava la piccola cucina delle sue stanze private

“Surplice, zia si chiama Surplice” bofonchiò lei da dentro la tazza di caffè.

“Come vuoi, come vuoi” asserì l’altra dalla cucina comparendo poco dopo con un piatto di baklavà.

“Ma pensaci, per favore.” le prese la mano in una morsa fredda e terribile “Stai in quella casupola al limitare del paese, da sola.” sospirò “con quella sor..sur...COSA dentro alla cantina.” scosse il capo facendo tintinnare la chincaglieria che aveva addosso “Che situazione disdicevole!”

La lasciò andare ce l’ora di cena era passata da un pezzo, salutandola con la stessa intensità di una moglie che commiata un soldato in partenza per il fronte.

“Salutami la cara nonnina, Eranthe, mi raccomando! E pensa a quello che ti ho detto. Qui avrai sempre un posto e non dovrai più sopportare qui soldati brufolosi.”

 

Ma lei non aveva mai accettato.

Lei non apparteneva a quel mondo dorato, lei non apparteneva a nessun mondo, solo a se stessa.

E poi non avrebbe fatto la puttana per tutta la vita.

Stava risparmiando del denaro per aprire un piccolo bar, così che, un domani, sua figlia potesse avere una qualche forma di impiego.

Non voleva assolutamente che la piccola Dimitra seguisse le sue orme, come avevano fatto lei e sua madre prima di lei.

Sorrise stanca mentre il caffè raffreddava e la sigaretta formava un arco perfetto lanciata oltre la balconata.

 

La bambina dagli occhi verdi e i riccioli biondi che dormiva con la bisnonna al piano superiore era il suo più grande segreto.

Uno di quelli che nemmeno la zia conosceva.

Uno di quelli che il Santuario non era riuscito a svelare.

La gravidanza celata da vesti larghe, colpa del caldo estivo.

Il parto a casa di una lontana parente che viveva vicina ad Atene.

La piccola rientrata con loro spacciata come figlia di una cugina che non se ne poteva più occupare.

Dopo qualche tempo, nessuno aveva chiesto nulla, la piccola novità era stata riposta nel dimenticatoio come spesso accade nei piccoli paesi e nessuno chiedeva più nulla a nonna Areia giù al mercato.

 

Eranthe chiuse le persiane spegnendo le candele e rassettando il letto.

Lui arrivò, che sapeva di fumo e di sangue.

Senza bussare, senza dire una sola parola le baciò le labbra fredde, sbattendola sul letto con alcuna cura o attenzione.

La prese come se fosse una sua proprietà facendola gemere al confine tra dolore e piacere.

La possedette come solo lui sapeva, poteva, fare; con il completo controllo, il buio della stanza rischiarato solo dalla luce delle stelle.

Impietoso, la portò con lui al limite del piacere per poi gettarla in quel vortice di estasi bianca che lui stesso aveva creato.

La sua voce graffiante, profonda, roca e bassa

“Alla prossima luna” la salutò riallacciandosi i pantaloni.

Lei gli sorrise annuendo

“Sta bene” sussurrò al ghigno sghembo di lui, che si addolcì solo per un secondo.

Sparì nella notte senza luna, così come era venuto, nulla più d una fantasma o di una visione.

Il più grande segreto del Santuario.

Il più grande segreto della sua vita.

Il padre di sua figlia.

  
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