Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: sorridimilouis    21/03/2014    2 recensioni
Prologo.
La vita è una svolta costante.
A volte va bene, a volte male.
Chissà come sarebbe andata, se quel giorno non fossi partita. Se veramente fossi scappata da quell'aeroporto, come da molto avevo progettato.
Avrei mai incontrato quel ragazzo alto e riccio?
Sarebbe mai successo quello che è successo, ma in un’altra circostanza?
No, non lo so.
Ho fatto una scelta il giorno della mia partenza.
E ad ogni scelta, si susseguono le rispettive conseguenze.
Probabilmente il mio sguardo non avrebbe mai incontrato quello color verde smeraldo di Harry, probabilmente non avrei mai visto ed adorato le fossette che gli contornavano ogni sorriso sincero, probabilmente non avrei neanche mai toccato, o giocato, con quei riccioli castani tanto soffici e morbidi.
Certamente, se fossi rimasta nella mia città, la mia adorata Modesto, tutto questo non l’avrei mai vissuto.
E forse sarebbe stato meglio così.
Ma, dopotutto, è il destino che decide. E dal destino non si scappa.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una voce metallica che annuncia l’imbarco al volo 147 si fa spazio tra i rumori soffusi nel resto dell’aeroporto di Modesto.
Sto partendo, di nuovo.
È già la terza volta che chiamano il mio volo, forse ora è meglio se mi dirigo all’imbarco a meno che non voglia passare un’intera giornata chiusa nell’aeroporto.
E no. Non mi sembra una bella idea.
Afferro la mia borsa e raggiungo l’ingresso dell’aereo, do il mio biglietto alla hostess, ed entro.
Uhm.. il mio posto è il 26B, seconda fila sulla sinistra. Fantastico, sono vicina al finestrino. Almeno una cosa positiva in questo viaggio c’è.
Con un po’ di fatica, raggiungo il sedile e, dopo aver fatto gentilmente spostare una signora, riesco a sedermi e appoggiare la testa sullo schienale.
Ora mi resta solo da incrociare le dita e sperare che il viaggio vada alla perfezione e che i miei preziosi bagagli non vengano persi. Sarebbe un vero guaio se tutte le mie sei valige finissero in sei posti diversi del Colorado.
Cerco di rilassarmi, andrà tutto bene. Prendo il mio telefono, lo metto in modalità offline, infilo le cuffie nelle orecchie e premo play.
Parte ‘No love’, di Lil Wayne ed Eminem. Bene, niente male.
Mi sistemo meglio sul sedile cercando di prendere sonno, ma purtroppo non ci riesco.
Inizio a pensare. Penso a quanto sia improbabile tutto ciò.
Sono su un altro aereo, per l’ennesima volta. Sto tornando a Blue River, ed è da quando i miei si sono separati che non ci vado.
Delle ciocche castane mi cadono sul viso mentre appoggio la testa sul finestrino e mi abbandono a tutto il miscuglio di pensieri che si forma nella mia mente.
Socchiudo gli occhi, pregando che il viaggio duri poco rispetto al previsto, ma sono più che sicura che queste quattro ore passeranno molto lentamente.
 
---

Riapro gli occhi, ormai la musica non sta più andando. Sullo schermo del mio telefono si è aperta una finestra che annuncia la chiusura del lettore musicale a causa della scarsa batteria. Fantastico. Ora ho anche il telefono scarico.
Decido di riporlo nella borsa per non far diminuire ancora la percentuale di carica e di guardare fuori dal finestrino, decisamente più interessante.
La voce del comandante dice che stiamo sorvolando Denver, alla fine manca veramente poco.
 
---

È passata mezz’ora dall’ultima volta in cui il pilota aveva accennato il passaggio dell’aereo sopra Denver, i motori sono spenti ora e le persone si stanno affrettando a prendere le loro cose.
Dopo l’applauso generale che si fa alla fine di ogni volo, posso finalmente uscire e ricominciare a camminare sulla terra ferma.
 
Appena il mio piede tocca il pavimento, tiro un sospiro di sollievo e mi siedo sulla panchina aspettando il pullmino che mi riporti all’interno dell’aeroporto.
Non so se sono pronta a rivederlo e riaffrontarlo. Sono otto anni che non lo vedo, sarebbe come riaffrontare il mio passato e non ne ho proprio voglia.
Avrei potuto vederlo al funerale di mia nonna, ma ovviamente non è venuto.
Mi dirigo fuori dall’aeroporto insieme a tutte le mie valige, fortunatamente non me ne hanno persa nessuna.
Mentre aspetto in piedi l’arrivo di mio padre nella sua macchina, prendo il telefono, tolgo la modalità offline, e noto che mi è arrivato un messaggio, così sblocco e lo apro.
 
“Da: James .
 
Ciao Andy, ho avuto un contrattempo qui al ranch, con un cavallo, sta partorendo sai? Comunque, non riesco a venirti a prendere, ma non preoccuparti, verrà il figlio di Ronald, Niall. Te lo ricordi? Giocavate sempre insieme da piccoli. Va bè, a dopo stella.
James .xx”
 
Rileggo il messaggio un paio di volte prima di afferrare il concetto.
Non verrà a prendermi.
Non verrà a prendermi, manderà un certo Niall che solo lui sa chi è.
Non verrà a prendermi. La sua unica figlia che non vede da otto anni, che non ha visto crescere, con la quale, se non per messaggio, non si è mai fatto sentire più di tanto.
Non pretendo chissà che cosa, ma dico, almeno venirmi a prendere all’aeroporto cavolo.
Ma va bene così, è sempre andato bene così e lui ha sempre fatto così.
Stupida Andy, cosa credi? Non gli è mai importato niente di te, non inizierà ad importargli e non inizierà a fare il padre modello di certo ora.
 
Un clacson attira la mia attenzione, una Range Rover si parcheggia davanti a me ed un ragazzo alto e biondo scende da essa.
 
-Andy Johnson?- chiede cortese.
-Proprio io, chi mi cerca?- chiedo altrettanto cortese.
-Niall, Niall Horan.-
 
Faccio mente locale, poi mi ricordo del messaggio.
Niall dovrebbe essere il ragazzo con il quale giocavo sempre da piccola, o almeno così sostiene mio padre.
Ma di cognome si chiama Horan? Ne siamo certi?
No, perché con tutte le cose che si sentono in giro…
 
Si schiarisce la voce, forse per rompere il silenzio calato in seguito alla mia evidente riflessione sul suo nome.
 
-James, mi ha mandato a prenderti.. non ha potuto a caus..- lo interrompo.
-A causa del parto di un cavallo, lo so.- sbuffo irritata al ricordo di mio padre che preferisce assistere ad un parto di una cavalla, piuttosto che andare a prendere sua figlia.
-..E anche perché così magari ci conosciamo meglio, non ci vediamo da molto tempo. Sai, giocavamo sempre insieme quando eravamo piccoli.- dice distogliendo lo sguardo poco dopo.
-Te l’ha detto James, vero?- chiedo inarcando un sopracciglio.
-Si, tuo…padre, no?-
-Si, mio padre.- sputo incrociando le braccia.
 
Il biondo afferra al volo la mia affermazione e cambia discorso.
 
-Quelle valige sono tutte tue?- mi chiede, poi.
-Si.. ti do una mano a metterle nel bagagliaio..-
 
Carichiamo le valige e poi saliamo in macchina.
 
-Scusa se prima ti ho risposto male..- abbasso lo sguardo.
-Tranquilla è tutto a posto.- distoglie gli occhi dalla strada e li punta su di me, sorridendomi. Poi riporta lo sguardo sull’asfalto.
 
Caspita, non li avevo ancora notati i suoi occhi.
Sono azzurri, come il cielo.
 
-Ho qualcosa in faccia?- mi chiede notando il mio sguardo fisso su di lui.
-Eh? Si, cioè…no, no.- dico rivolgendo tutta la mia attenzione sul paesaggio che sfreccia fuori dal finestrino.
 
La sua risata rieccheggia nell’abitacolo dell’automobile, e devo dire che è veramente fantastica. Mi trascina, portando anche me alle risate.
Il sole brucia alto nel cielo, e sembra infuocare la terra rossiccia sottostante del comune di Blue River. La strada è deserta, non c’è nessuna macchina nei dintorni, e questo mi fa pensare in che posto dimenticato da Dio io sia realmente finita.
Automaticamente controllo ancora il cellulare, nel caso qualche ‘amica’ si fosse fatta sentire.
Sblocco e la prima cosa che vedo è il messaggio della rete assente.
Fantastico, non c’è neanche campo.
Impreco sottovoce mentre ripongo il telefono nella borsa e maledico chiunque sia il fondatore di questa cittadina.
 
-Che succede?- mi chiede ad un certo punto Niall, notato forse il mio commento poco carino sulla città in cui sono finita.
-Non c’è campo.- dico acida, forse un po’ troppo.
-Il mio telefono va, che operatore hai?- chiede controllando il suo.
-Kewei.-
-Ah, ma è chiaro. Qui Kewei non va.- dice ridacchiando e appoggiando il telefono sul bracciolo del sedile.
Fingo una risata mentre lo guardo, poi parlo.
-Già,- risatina ironica -davvero divertente.- e ritorno seria.

Dopo quel mio intervento, nessuno dei due proferisce parola.
Chiudo gli occhi, ormai troppo stanca per riuscire a tenerli aperti ancora per molto.  
Un ombra si fa spazio tra i miei pensieri. Il nero che vedo adesso si fa ancora più scuro. Apro gli occhi, curiosa di saperne la causa e mi accorgo che stiamo passando sotto il cartello che annuncia l’ingresso nella proprietà dei Johnson.
Arrivammo al ranch almeno cinque minuti dopo.
Dio, mi ero dimenticata ogni minimo particolare di questo immenso posto.
Scendo dalla macchina, psicologicamente ed emotivamente pronta ad affrontare James, quella casa e tutti i ricordi. Mi guardo intorno, proprio come me lo ricordavo.
È una casa bianca che si estende su due piani, con una veranda spaziosa e il tetto rosso. Accanto ad essa si trova il recinto dei cavalli, ed adiacente ad esso la scuderia. Poco più in là della scuderia c’è la stalla e la fattoria.
Ma il mio sguardo si ferma sul panorama.
Una grande catena montuosa illuminata dal sole fa da secondo piano di tutto quello che sarà casa mia per molto tempo.
 
-La mia bambina.- una voce maschile e abbastanza familiare si fa strada tra i mei pensieri.
 
Mi giro, ritrovandomi davanti un signore con le braccia aperte, una camicia a quadri neri e rossi, un cappello da cowboy, jeans blu e stivali.
Dovrebbe dirmi qualcosa?
Lo scruto attentamente da cima a fondo, mentre il suo unico desiderio è quello di abbracciarmi.
 
-Che c’è? Non riconosci più tuo padre?- scherza, facendo traspirare un pizzico di verità e amarezza nella voce.
-James?- chiedo incredula. Gli è sparita la barba, è dimagrito molto e i capelli ora sono brizzolati.
-Si…piccola.- sospira facendo un passo in avanti.
 
Vorrei abbracciarlo, ma non ci riesco.
C’è qualcosa che mi blocca, che va oltre la mia forza di volontà positiva nel ricambiare il gesto.
Così rimango ferma, mentre l’umo mi stringe fra le sue braccia.
Sembra un sogno, irreale direi. Era da tanto tempo che aspettavo questo momento, eppure non faccio niente, non muovo un muscolo e non mi sposto di un centimetro.
Sono passati tanti anni, non mi ricordavo più com’erano i suoi abbracci, invece il suo profumo l’ho sempre ricordato.
Sono avvolta tra le braccia di mio padre, finalmente.
Ma la forza di definirlo ancora tale, è davvero poca.
Mi stacco anche se di malavoglia, e lo guardo negli occhi. Le lacrime minacciano di scendere ma devo essere forte. Vorrei abbracciarlo e dirgli che mi è mancato un sacco, ma non ci riesco. Lo sento ancora lontano, troppo distante da me e dalla realtà che ho vissuto fino a ieri.
 
-Come stai bambina mia?- chiede poco dopo, forse per spezzare il silenzio.
-Stanca per il volo, tu?-
-Bene, mi sei mancata.-
-Potevi venire a trovarmi qualche volta.- sputo acida.
-Gli impegni qui al ranch erano davvero tanti e..-
-Così tanti da tenerti impegnato otto anni?- sospiro.
 
Abbassa lo sguardo e io prendo le mie valige, mettendole in modo da portarle tutte dentro in una volta sola.
 
-La tua camera è al secondo piano, prima porta a destra. C’è scritto il tuo nome sopra.. è facile da riconoscere.-
 
Lo ringrazio mentalmente e mi dirigo all’interno dell’abitazione.
Salgo le scale facendo un po’ di fatica per via delle valige, ma alla fine riesco a raggiungere la porta della mia stanza.
Apro la porta in legno rosa ed entro, lasciando le valige vicino all’armadio bianco vicino alla scrivania. Butto la giacca sul letto e tiro su le serrande. Il panorama è mozzafiato, me lo ricordavo bene.
Mi allontano, apro le valige e sistemo la roba in tutti gli scaffali e le mensole, rendendo la mia stanza più mia.
 
Dopo un po’ di tempo, la stanza è sistemata e qualcuno bussa alla porta. Finisco di mettermi il pigiama, e ripongo l’accappatoio bagnato dall’acqua della doccia sullo stendino poi mugugno un ‘avanti’ e mi ritrovo James a pochi passi da me.
 
-Andy, sono passate due ore da quando sei qui…hai fame? Ho preparato qualcosa.- dice.
-No grazie, penso che andrò a dormire.. buona notte James.- dico sbrigativa.
 
-Buona notte Andy.- accenna un sorriso e poi si dilegua fuori dalla camera.
 
mi infilo sotto le coperte e spengo il telefono, che ormai in quel posto è veramente inutile.
 
‘Magari domani andrà meglio’ continuo a ripetermi poco convincente.
 
  Spazio autrice: Hi people(?), questa è la mia prima storia, come si può intuire. E' su Harry, ma piano piano verranno fuori anche gli altri.. non so che dire, spero vi piaccia. Comunque continuo a due recensioni, fatemi sapere. xx
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: sorridimilouis