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Autore: Cate305invictus    21/03/2014    1 recensioni
un tema, che proporrò per un concorso sulla seconda guerra mondiale: la memoria storica del secondo conflitto mondialee l'impatto avuto sulla popolazione civile.
io ho scelto di parlare della guerra dal punto di vista ei bambini. ho citato libri e film famosi. ci tengo molto a questo tema e spero di vincere, fatemi sapere se ho qualche possibilità :)
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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I BAMBINI DELLA GUERRA

 

“Considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un si o per un no...” (Primo Levi, Se questo è un uomo)

Il secondo conflitto mondiale, proprio come Primo Levi esprime in questa citazione, è stato il periodo che maggiormente, nella storia, ha ferito la dignità di uomo e di donna. Levi stesso, in quanto deportato ebreo, è un esempio lampante di quanto sia facile perdere la consapevolezza di se stessi, del proprio valore se si viene sottomessi, se le condizioni di vita non sono degne di un essere umano. Consideriamo quanto possa essere stato difficile in quel tempo sentirsi uomini, essere uomini. Ma se un adulto, ricco della propria esperienza personale, razionale nei giudizi e con anni e anni di vita alle spalle, ha potuto guardare con oggettività la guerra, con opinioni politiche radicate e consapevolezza della realtà...cosa videro gli occhi di un bambino? Occhi vispi e attenti, pieni di voglia di vivere e speranze. Giovani che rappresentavano il futuro, luce di una nazione. E quegli stessi videro spegnersi le proprie fiamme, vittime esuli di un feroce progetto molto più grande di loro. Ne soffrirono tutti, ovunque. Tutti patirono il clima di dolore, l'angoscia e la paura. I più piccoli, in particolare, furono colpiti nel fior fiore della loro età, in quello che sarebbe dovuto essere il periodo più gioioso della loro esistenza: l'infanzia. Ed ecco invece che si affacciarono su un mondo straboccante di odio e viste oscene, costretti a crescere troppo in fretta, costretti a capire. Ci giunsero testimonianze da ogni parte del globo e le storie narrate furono molteplici.

Molti di questi racconti hanno una particolarità: i ragazzi si ritrovano a dover affrontare una crescita interiore precoce ed emotiva, in cui le famiglie giocano un ruolo importante per quanto riguarda l'amore che lega i membri, e sciolgono le distanze, oppure rappresentano l'impulso che spinge i bambini a cercare disperatamente i loro genitori o i loro fratelli e sorelle. Altre, invece, rimasero unite fino all'ultimo: ciò accadde specialmente tra coloro che fuggivano alle persecuzioni e si nascondevano per proteggersi. Un esempio si ha grazie alle testimonianze del Diario di Anna Frank, ragazzina olandese di (…) anni, rinchiusa in un piccolo appartamento insieme ai suoi cari e ad altri ebrei ricercati. Sebbene la convivenza possa risultare difficile a volte e innervosire Anna, l'unione rimane in ogni caso l'unico modo per dare la forza, la consapevolezza di non essere soli, sapere che esistono altri che, come te, hanno vicino chi è in grado di dar loro sostegno. E, sebbene fossero rinchiusi nel buio, nel silenzio, il clima per i segregati era decisamente migliore di quello dei deportati nei campi dove le famiglie venivano brutalmente scisse. Madri e figli separati dai padri, figli piccoli separati dalle madri... continui viaggi, numerosi i treni da prendere, uomini donne e bambini ammassati in minuscoli spazi copiosi di persone, e nonostante ciò avvertivano la più totale solitudine... furono quelli i momenti più duri, quelli in cui desiderare una carezza, un bacio, una buona parola da chi si ama era un pensiero ricorrente. Nacque in molti la voglia di ritrovarsi e ancor più il furore e il dolore che si provava nel vedersi impotenti di fronte alla realtà. Avere vicino la propria famiglia, ecco l'essenziale. In tanti provarono e riprovarono a ricongiungersi...i figli stessi, anche se fragili e ingenui, tentarono l'impresa. E giunsero a noi storie come quella del film “la Chiave di Sara”, in cui la bambina riuscì a passare sotto un filo spinato, con l'aiuto di un militare generoso, per correre a casa ad aprire la porta dell'armadio in cui lei stessa aveva chiuso suo fratello per nasconderlo alla polizia. Il soldato si commosse di fronte all'innocenza e alla sicurezza di una così esile creatura, che con sincerità e onore si parò davanti a lui e lo guardò diritto negli occhi. Troppo profondo lo sguardo di un bambino per essere ignorato, impossibile negarne la purezza e ignorarne le suppliche. Il buon proposito la portò fino alla meta, sebbene il risultato non fosse stato quello tanto agoniato: il fratello era morto. Sara urlò. Un urlo atroce, così potente da spezzare il fiato, ma sordo. Un urlo che finirà tra altre migliaia di grida in un vortice silenzioso, diventerà un sussurro che volerà leggero fra le genti e poi svanirà, cancellato e oppresso dalla stretta morsa di un sistema in cui le bocche non sono più fatte per parlare e le orecchie per ascoltare. Lei gridò...come milioni di uomini e donne che rifiutarono il silenzio e tentarono di far conoscere i propri tormenti. Altri fuggirono nel buio e adottarono quel silenzio, così freddo, così obbligatorio... Anna Frank non poteva emettere alcun suono in molte ore della giornata e il tono rimase costantemente basso per tutti gli anni di prigionia, e così fu per tutti coloro che si trovarono nelle medesime condizioni. Sara al contrario fece udire il suo pianto che salì nel cielo azzurro della Francia e volò via col vento. Non fu né la prima né l'ultima a perdere un parente caro. In pochi, tra i perseguitati, tornarono a stringersi. È esistito però anche chi ebbe la fortuna di combattere alleato alla mano di suo fratello: chi ha letto dei fratelli Joffo, Maurice e Joseph, sa che quest'ultimo raccontò delle loro numerose avvenure in giro per lo stato, con l'intento di non dover mai e poi mai rinunciare alla libertà. Fuggirono più volte alla Gestapo, servendosi di una buona dose di furbizia, e riuscirono perfino ad aiutare alcuni fuggitivi ad oltrepassare i confini sorvegliati dalla polizia tedesca, garantendo a questi la sicurezza. Crebbero insieme e insieme, al termine della guerra, tornarono a casa. Altri fratelli, come Lina e Jonas, dal libro “Avevano spento anche la luna”, arrestati insieme alla madre, sopravvissero ai gelidi campi in Siberia.

 

“Morirono più di venti milioni di persone. Ma c'è ancora chi nega questa realtà”

 

è questa la triste verità che la Russia riuscì a tenere il più celata possibile. La seconda guerra mondiale viene spesso bollata unicamente come il periodo in cui i tedeschi perseguitarono gli ebrei... non molti sono consapevoli invece che il danno fu di portata molto più estesa: Stalin permise che milioni e milioni di lituani, lettoni ecc... venissero trasferiti in zone desolate e glaciali nel nord della Russia o, appunto, in Siberia. E lì i prigionieri vennero costretti a costruirsi autonomamente le proprie case, a procacciarsi il cibo e a sopravvivere all'inverno... le malattie dilaniarono e decimarono la popolazione, la fame distrusse la razionalità della mente e i visi lividi guardarono per mesi e mesi l'orizzonte nella speranza di avvistare i primi raggi del sole di primavera... si spensero innumerevoli vite prima di ammirare il primo accenno di calore. Morirono al freddo, abbandonati nel ghiaccio. Questa gente dovette lottare per se stessa, lavorando ore e ore senza sosta, sognando un tozzo di pane duro a fine giornata. La fame si patì in tutti i campi. I bambini piangevano disperati non riuscendo mai a saziarsi e le madri, che allattavano i più piccoli, piangevano per carenza di latte materno. Deve essere un immenso dolore non poter cibare la propria prole. I figli più grandi, anch'essi costretti ai lavori forzati e compensati con una magra cena, dimagrirono lentamente fino a diventare piccole carcasse denutrite, pieni di pidocchi e tenuti in piedi solo dalle speranza di un miglioramento, tipica espressione dell'animo dei fanciulli. Cosa avrebbero fatto i bambini dei campi di concentramento per un panino ! Ebbene... Shmuel, deportato ebreo in Germania, lo ottenne grazie al suo nuovo amico Bruno, figlio di un severissimo generale tedesco. Il film “il bambino col pigiama a righe” , oltre a mostrare in modo crudo la vera esistenza condotta dai prigionieri, commuove per la dolcezza di un'amicizia nata tra due bimbi, separati da un filo spinato. Quanti danni provoca una misera barriera come quella !eppure l'affetto trionfa. È possibile paragonare questo episodio a quello presente nel “gusto proibito dello zenzero”, tra Henry, bambino cinese, e Keiko, ragazzina giapponese. Ancora più oscuro di quello russo è il caso delle deportazioni in America. La nazione trasferì l'intera popolazione giapponese presente in grandi città come Seattle in campi di lavoro, non brutali come quelli tedeschi o russi ma ugualmente associabili: anche i giapponesi mancarono di libertà. A quel punto perfino distinguersi era diventato essenziale. Henry, essendo cinese, godeva degli stessi diritti di un cittadino americano, ma suo padre lo obbligò a girare per strada con un cartellino in bella vista sulla giacca con scritto “io sono cinese”. Il mondo della guerra è vario e complesso, le leggi si invertono e i comportamenti umani mutano da nazione a nazione. E così i cinesi si aggrapparono speranzosi a un cartellino che li distingueva e li identificava, in modo che la polizia non li confondesse con i giapponesi. Ma basta spostarsi in Europa per assistere a un comportamento del tutto in antitesi col precedente: gli ebrei avrebbero rinunciato con estrema gioia alle stelle che venivano loro appuntate sul petto, anch'esse segno distintivo e identificativo, ma imposto dallo stato per poterli riconoscere facilmente qualora fosse stato il momento di arrestarli. I fratelli Joffo, prima di fuggire, ebbero il coraggio di liberarsene. Gli ebrei vennero omologati, distrutti in massa, lasciati nudi come e sporchi come bestie, a marcire nelle docce tedesche... nessuno li guardava negli occhi, nessuno chiedeva loro nulla, erano corpi accompagnati da una stella, simbolo di una razza ritenuta inferiore... e tutti guardavano solo quella. Vennero rasati e vestiti con abiti identici, come accadde appunto a Shmuel. Ognuno di loro chiese a se stesso “ma perchè proprio io? Perchè noi? Che colpa ho?” , ma nessuno seppe trovare una risposta. Solo i ragazzi trovarono la forza di chiederlo apertamente ai genitori, ai compagni di viaggio, perfino alle guardie stesse. Nessuno rispose mai a questo quesito.

 

“Nessuno può decidere quando devo morire” (la Chiave di Sara) Questa fu una delle tante risposte date, che non spiegarono effettivamente la ragione della persecuzione, ma lasciarono il segno.

 

Ma in questo clima di tormenti, paure, dolori fisici e disfacimento morale... si trovò spazio perfino per l'amore. Gli uomini sono sempre uomini, anche se ingabbiati, anche se trattati come animali. Alcuni riuscirono addirittura a perdonarono il duro colpo, senza però mai dimenticare. Le persone continuarono a voler bene, a innamorarsi. Nacquero storie d'amore anche tra i fanciulli, che seppero scambiarsi pochi ma significativi gesti d'affetto anche nei luoghi e nei contesti più atroci. Anna Frank scrisse nel suo diario dei piacevoli momenti passati con Peter sul divano dell'abitazione, di Lina si raccontò il triste addio con Andrius, lituano come lei, di cui si era dolcemente invaghita, ed è impossibile non citare l'affettuoso rapporto tra Henry e Keiko, ricco di gioiosa complicità, musica e solide promesse. Come poterono queste persone essere condannate? Quale crimine fu commesso da giovani innocenti che trovarono perfino la voglia di innamorarsi? Il pregiudizio è la rovina dell'umanità. La gente non ascolta chi, con la propria storia, sa aprire le porte dell'anima e dare una svolta al corso degli eventi. Gli uomini non sanno vivere in armonia, rispettandosi e apprezzandosi tra loro. Gran parte del popolo tedesco, e non solo, non riuscì ad anadare oltre l'apparenza. Ci riuscirono i bambini. Ci riuscì Bruno, che divenne amico fidato di Shmuel...ci riuscì Henry, il cui cuore batteva per Keiko al ritmo delle note del jazz... ci riuscì Sara, che conquistò la stima del soldato perchè lei stessa si ricordò del suo nome, dimostrandogli che un umano, chiunque sia, qualsiasi posto occupi, vale. Quest'ultima compì involontariamente il primo passo verso la tolleranza umana, che oggi tentiamo di realizzare a pieno: ricordare. Il ricordo degli eventi è l'unica arma a nostra disposizione che ci permetterà di non ripetere gli errori passati. Occorre serietà per non banalizzare uno dei periodi più delicati dell'umanità, come a coloro che ne fecero parte e furono coinvolti servì razionalità per superare le oscenità e ricominciare da capo con la piena consapevolezza che la vita è il dono più prezioso che abbiamo. Milioni di persone, purtroppo, non ne ebbero l'occasione: sono innumerevoli i morti prima della fine dei conflitti, coloro che non videro mai risorgere la luce dall'oblio. Tantissimi spirarono all'interno dei campi di concentramento, come Anna Frank o Shmuel. Ma la morte non colpì esclusivamente i perseguitati e ci furono anche tanti casi di uomini, donne e bambini liberi, uccisi senza un vero motivo: un esempio significativo è quello d Bruno, che morì con Shmuel avendolo seguito nelle docce per aiutarlo a trovare suo padre.

 

“Non preoccupatevi, appena si accorgeranno che non siamo ebrei ci lasceranno uscire- ci fece un occhiolino” (il Sacchetto di Biglie) inutile dire che il ragazzino, amico francese di Maurice e Joseph , non vide mai più la luce del sole.

 

La mentalità hitleriana si annulla così di fronte a queste testimonianze sconcertanti. È nelle proprie tragedie che si comprende quanta errata possa essere una convinzione: chi vide i propri figli caduti ingiustamente sotto la cecità dei militari in carica capì finalmente quale sofferenza potessero provare le vere vittime delle atrocità, ma era troppo tardi. Nemmeno bastarono i loro lamenti ! Ricevettero risposte impassibili i liberi che piansero le loro perdite... la guerra è guerra, sentirono dire, ma il dolore fu addirittura più amaro. Chi morì da ebreo o lituano o giapponese, ecc..secondo un disegno preciso e precedentemente strutturato, al contrario dei caduti per un errore di appartenenza a un ceto sociale, ebbe (se è lecito chiamarla in questo modo) più fortuna: ebbero l'occasione di crescere interiormente e formarsi il carattere, capire chi erano realmente e cosa volevano essere; compresero il valore della famiglia e quanto fosse necessario l'amore in un mondo di odio ingiustificato; impararono a dare un valore magico alle piccole cose e a riconoscersi sotto la nomea di “uomini e donne”, bambini compresi. Ed è proprio questo pensiero che accomuna ognuno dei giovani menzionati, da ogni parte del mondo e di ogni nazionalità, colore, costume: Anna dall'Olanda, Lina dalla Lituania, i fratelli Joffo e Sara dalla Francia, Bruno e Shmuel dalla Germania, Henry dalla Cina e Keiko dal Giappone.

Essi, nonostante la loro infanzia sia stata una dura prova di sopravvivenza, non rinunciarono mai alla fantasia e alla strada che porta al bene e alla giustizia. Personaggi reali come i Joffo e Anna lasciarono testimonianza di se attraverso libri e diari, Keiko e Henry si rincontrarono nella vecchiaia, gli altri morirono nei modi più tristi e moralmente ingiusti, sia personaggi reali che tratti da storie vere. Sara, viva eccezione, si suicidò in età adulta. Anche coloro che superarono gli anni della guerra indenni infatti uscirono sconfitti a metà: la salvezza è una grande ricompensa per le proprie fatiche e preghiere ma non ripaga di tutto il male perpetrato dall'umanità. Chi arrivò a un passo dalla morte, chi vide i propri cari a terra sanguinanti, chi patì la fame e la sete e le fatiche corporali, che imparò il numero che aveva inciso sul braccio e dimenticò il suo nome, chi passò sotto la scritta “il lavoro rende liberi” e perfino chi, rimasto solo, riuscì dopo la fine del conflitto a rifarsi una famiglia e a scordare parzialmente le sofferenze passate...non riuscirà a risanare le ferite. Inutile negare la verità: non è facile perdonare. L'impatto sulla popolazione civile fu devastante e lasciò una cicatrice tutt'altro che marginale. E questi bambini, quelli fin'ora menzionati, sono solo pochi dei casi esistenti... ma da loro imparai che la speranza non è vana, che la guerra non è un gioco nemmeno se la si regola in prima persona. Leggendo i loro libri fin da piccola capii che non è giusto rinunciare alla libertà e sopprimere l'immaginazione, perchè bisogna sempre essere capaci di sognare. Ricordo con rispetto e con orrore l'eredità storica che ci portiamo dietro e che non possiamo permetterci di lasciarci alle spalle. Sono romanzi e film che toccano il cuore.

Eppure rimane impensabile che dopo aver vinto la paura della morte ed essere sopravvissuti alcuni di loro si suicidarono. Come Sara, anche Primo Levi, menzionato all'inizio, si tolse la vita. Sara si ritrovò ad essere una bambina della guerra, mentre Levi venne deportato già in età adulta. A volte non esistono differenze, non è più una questione di età o di nazioni, di spazi o di esperienze... forse la vita è semplicemente una sfida per tutti, e non si è mai troppo grandi per crescere. Siamo tutti uomini, abbiamo una dignità. Chiunque abbia toccato con mano la guerra ha una storia diversa e, con essa, la sua conclusione..ma noi non dimenticheremo.

 

“giunsi a Torino, dopo trentacinque giorni di viaggio: la casa era in piedi, tutti i familiari vivi, nessuno mi aspettava” Primo Levi, La Tregua

  
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