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Autore: Fenio394Sparrow    21/03/2014    1 recensioni
{OCs||Felix Felicis and Jack Finnigan||District 3||69th Hunger Games}
Trovate la versione migliorata e rimodernata nella serie VITTIMA DELLA MIA VITTORIA, di Superkattiveh, su EFP.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beetee, Favoriti, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate, Wiress
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Non si fermò nemmeno a pensare, semplicemente, corse, anzi, sfrecciò via come vento dalle fauci della bestia che lo evitarono per un pelo.
Svoltò a sinistra ed imboccò un corridoio scuro e ampio, le fiaccole delle torce sempre più distanti l’una dall’altra, la luce sempre più lieve, luce soffusa ampliata dai cumuli d’oro che intralciavano il cammino. Era inevitabile che li toccasse, che ne spostasse diversi pezzi e che questi creassero eco. Tintinnavano, un suono cristallino, bello, così argentino e allegro che prima di essere sorteggiato Ithuriel avrebbe dato il braccio sinistro per poterlo udire e poter spendere e spandere la fonte di quel melodioso suono. Poi era entrato nell’Arena, e il suo sogno più grande si era trasformato in un incubo terrorizzante, dal quale c’erano poche possibilità di svegliarsi. Quasi nulle. E ora che correva, ora che la sua vita era appesa ad un sottile filo se ne accorgeva, capiva che c’erano altre cose per cui la vita valeva di essere vissuta, e si ripromise che semmai ne fosse riuscito fuori vivo avrebbe cambiato tutto, a cominciare il suo rapporto con il padre. La bestia era ancora dietro di lui, percepiva il suo corpo flessuoso seguirlo e fendere l’aria, annusando e ringhiando e sfrecciando per raggiungerlo. L’ultimo pensiero coerente di Ithuriel fu che doveva essere davvero pesante se non riusciva a raggiungerlo. Poi i suoi piedi incontrarono il vuoto e lui cadde, precipitando nell’oscurità più totale senza via di scampo. Urlando.

 



 
Felix si rigirava nervosamente il coltello fra le mani, mentre esaminava il salone adiacente a quello dove si erano accampati lei e Jack. Era identico. Gli stessi cumuli d’oro, le stesse fiaccole, stessa area, stessi corridoi spettrali comunicanti fra loro. Era frustrante. A casa, quando giocava a scacchi, non aveva mai avuto la necessità di esplorare il terreno di gioco, visto che aveva la visuale dall’alto e teneva tutto sotto controllo. E poi, era matematico: una scacchiera a quadrati bianchi e neri adiacenti l’una alla casella del colore opposto, otto quadrati per otto. Semplice, pulito e lineare. Si sedette a terra, piuttosto frustrata e stanca. Si ritrovò a pensare a suo padre, lì nel Distretto 3.
Come si deve sentire solo …
vedQuanto le mancava. Non si era resa conto di quanto avesse bisogno di lui fino alla Mietitura, perché quando il mondo le era crollato addosso lui c’era. Non si era sciolto in singhiozzi, solo delle lacrime silenziose gli avevano bagnato il viso, mentre la fissava senza realmente vederla. Lì per lì l’aveva interpretato come un apatico addio, come l’ennesimo batosta che avrebbe sopportato in silenzio, costruendo una barriera fra sé e il mondo, come quando era morta la mamma. Felix ne aveva sofferto, perché il padre non aveva mai avuto bisogno di lei e – o almeno credeva – lei di lui. Ma si sbagliava. Quando aveva aperto le braccia, quelle braccia lunghe e accoglienti che tanto aveva amato, la ragazza non aveva esitato a buttarcisi dentro. Lei non aveva pianto, aveva mantenuto il controllo, mentre il padre le accarezzava i capelli come faceva con la mamma. “Le mie donne, le mie intelligentissime donne.” Erano remoti i tempi in cui suo padre le chiamava così, Felix e la mamma. Che strano, lei non se la ricordava: ricordava tutto, tutto, tranne il volto di sua madre. Una volta aveva chiesto al padre se era un persona cattiva per questo, perché i figli non dovrebbero dimenticare i genitori. Lui le sorrise, quel sorriso triste e senza alcuna allegria che increspava ormai da anni le labbra de padre, e le rispose: «No, genietto, tu non sei cattiva. Tu sai tante, troppe cose, è logico che te ne dimentichi qualcuna. La ricorderò io per tutti e due. Vieni qui.» e le aveva teso le braccia, e lei ci si era fiondata come un razzo senza alcuna esitazione. Detestava il contatto fisico, ma non sentiva alcun bisogno di ritrarsi dal padre, l‘unica costante della sua vita.

«Felix Felicis!»
Figgy Pudding aveva sorriso radiosa, nel pronunciare il suo nome. Felix non ricordava di aver mai provato un tale gelo in vita sua. L’unica cosa che aveva percepito era un tocco energico sulla schiena e vari sospiri di sollievo. Il tocco sulla schiena la incitava ad andare, e prima di muoversi la ragazza aveva pensato scioccamente a lisciare la gonna perché era sciatta e a sistemarsi i capelli perché doveva dare una buona impressione di sé agli sponsor. Quindi prese un bel sospiro e si diresse a passi lunghi e ben distesi verso il palco, dove l’accompagnatrice la guardava radiosa nei suoi orrendi abiti verdi e grigi. Le diede un colpetto sulle spalle, magari per farla stare meglio, e passò all’urna maschile. La ragazzina neanche ci fece caso, presa com’era nel calcolare le probabilità di accaparrarsi sponsor e a che velocità avrebbe dovuto correre per raggiungere la Cornucopia con almeno due secondi di anticipo rispetto agli altri- e si stava per disperare perché non ce l’avrebbe mai fatta- quando una parola, un flebile eco proveniente come da un remoto passato, penetrò nella sua mente e un singulto le uscì dalle labbra quando il cervello rielaborò ciò che doveva significare. Jack Finnigan. Una fitta all’altezza del petto che non aveva mai provato prima le tolse il respiro, mentre la figura di un bel ragazzino dagli incredibili occhi nocciola si avvicinava a lei e le tendeva la mano. Lei la strinse, il cieco terrore dipinto in volto, sebbene lui le sorridesse.

Rischiava di mettersi a piangere, con quei ricordi che l’avevano trafitta come lame. Si alzò di scatto, gli occhi leggermente lucidi. Non avrebbe pianto, avrebbe mantenuto il controllo. Lei manteneva sempre, sempre il controllo. Non si faceva scaccomatto piangendo. Restando lucidi sì. Era tutta una questione di strategie. Innanzitutto avrebbero fatto bene a muoversi, perché restare fermi troppo a lungo non era un buon modo per restare vivi. Quindi si rimise sui suoi passi e tornò a testa alta verso il suo compagno, chiedendosi perché le girasse così tanto la testa e perché provasse un tale senso di vertigine.
 


«Ma no, Beetee! Non ho intenzione di sponsorizzarli! Non voglio perdere così tanti soldi per due sprovveduti che moriranno a breve! Tzè.» e il capitolino riprese a bere la sua bevanda amaranto. Beetee sospirò, mentre si alzava e si avvicinava a Wiress, la quale discorreva con Figgy Pudding, piuttosto laconicamente a dire il vero. Si avvicinò al loro tavolo e ordinò ad una Senza-Voce un bicchiere di succo d’arancia. Si lasciò cadere mollemente sul divano, e chiese senza molte speranze: «Trovato qualche sponsor?» Wiress scosse il capo, mentre Figgy picchiò il pugno sul tavolo, piuttosto rabbiosa. La risposta era sottintesa. Lanciò un’occhiata in giro: Haymitch era piuttosto ubriaco e fissava il soffitto senza una precisa ragione, Finnick Odair si intratteneva con un gruppo di ricche signore, mentre Cashmere, Gloss, Enobaria e Brutus chiacchieravano allegramente con degli Sponsor. Ruth Anne – altra vincitrice del 4- si era da poco unita a loro, ridendo forzatamente alle battute fiacche degli stupidi Capitolini che li circondavano. Ringraziò e congedò la Senza-Voce che gli aveva portato il succo, in un graziosissimo bicchiere di vetro azzurro. «Cosa possiamo fare? Se non otterranno quella medicina moriranno!» Figgy aveva iniziato a strepitare con l’accento affettato della Capitale, esponendo ad alta la più grave preoccupazione di Beetee in quel momento. La vita dei ragazzi era appesa ad un filo. Tutto per colpa degli Strateghi che avevano giocato loro un brutto tiro. Sarebbe stato il massimo per la capitale. Un veleno sonnifero, così lo avevano ribattezzato loro. Agiva in modo silenzioso, avvelenando l’organismo senza presentare alcuna complicazione – niente febbre, niente vertigini, niente di niente- ma quando i sintomi cominciavano a presentarsi era troppo tardi. E chi ne era infetto … Brr.  Beetee rabbrividì nel pensare a cosa sarebbe successo ai suoi tributi se non avesse mandato loro le medicine in tempo. Ma costavano tanto, troppo per potersene procurare due. Sapeva che le probabilità di trovare abbastanza fondi per entrambi i tributi erano davvero molto remote, dato che non riusciva a trovarne uno Sponsor, uno che fosse uno, disposto a comprare un altro litro di liquidi per loro. Erano al terzo giorno di Hunger Games e ancora non riuscivano ad aiutarli. Al settimo giorno cosa avrebbero fatto? Di una cosa sola era certo: se non avessero trovato abbastanza denaro per tutti e due, sarebbe stata Felix a salvarsi. Si era sentito peggio del solito, quell’anno, quando riconobbe l’esile figura della bambina che a sette anni era stata in grado di batterla a scacchi. Aveva sentito una stretta al cuore quando comparve l’espressione da guerriera sul viso dai tratti fanciulleschi, la stessa che ebbe quel giorno in cui lui entrò nel negozio del padre per farsi aggiustare un orologio, perché lui non ne aveva voglia. Si era sentito morire, quando aveva visto il modo in cui lei lo guardava, a come il panico affiorasse ogni volta che la conversazione verteva su di lui, a come sorrideva, impercettibilmente, quando lui la guardava negli occhi. Beetee si era sentito in colpa, nel capire che lei avrebbe potuto vincere, e che avrebbe potuto sopravvivere senza di Jack, che Felix era una ragazza davvero sfortunata, perché l’amore che non ricambiava era venuto agli Hunger Games con lei, perché si sarebbero dovuti uccidere a vicenda, perché, lui, Beetee, era stato fortunato e lei no. Lui allungò la mano e Wiress la strinse, e mentre l’amore che provava per lei zampillò nel suo petto come una fontana, riuscì solo a pensare che sebbene anche lui fosse rimasto distrutto dagli Hunger Games, non aveva perso il suo amore a causa di essi.
 

 

Ahahahaah! *risata malvagia* Eccomi qui! Vi sono mancata? Lo sapete che non mantengo fede alle promesse fatte- anche se ce la metto tutta- quindi non uccidetemi, vi prego. Dopotutto, abbiamo già un’edizione in corso, eh! *Ba da bum, tss* Allora, che ne dite? * rumore di grilli in sottofondo* E’ molto introspettivo come capitolo, sì v.v perché me può U_U sono la mamma – assieme a Hope <3 ( che è la sorellina maggiore) – ma ciancio alle bande, passiamo alle cose serie. Ossì, rischiano di morire, entrambi. E sarà una morte brutta, davvero brutta se nessuna anima pia si prenderà la briga di aiutarli. Potrei mentirvi e dirvi che so già come andrà a finire – bè, in effetti è vero, lo so- ma la verità è che non so come farò a far combaciare i puntini e ottenere il quadro della situazione. Basti pensare che prima Felix è nata come tributo del distretto 9 e che l’Arena doveva essere una torta al cioccolato – no, non è vero, sto bluffando- e quindi, niente. Vorrei farvi notare che questo capitolo contiene molti riferimenti allo Spin-Off su Felix che ha scritto Hope 13 – che ringrazio- e mlti altri su uno che ha scritto ma non pubblicherà mai! Muahahah!! * risata malvagissima* perché non le piace e perché le ho detto di aspettare per farlo anche perché me ne è venuto in mente uno a me che potrebbe fare, quindi …
Adios, e fatevi sentire <3
   
 
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