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Autore: Keiko    21/03/2014    3 recensioni
"Esistono periodi bui della storia dell’uomo. In un ciclo eterno, il Bene e il Male si scontrano per avere il dominio sul Mondo. Quando la Terra viene minacciata da forze malvagie, uomini dallo spirito puro combattono per la nostra difesa. Vengono chiamati Santi, e sacrificano la propria vita per noi uomini. Per assicurarci un futuro che loro, forse, non vedranno mai.”
“E tu come li hai conosciuti nonno?"
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'La rabbia delle stelle'
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Saori ha contattato la polizia, convinta – illusa, per meglio dire – che possano recuperare il Gold Cloth. L'arrivo inaspettato da parte di Ikki di Phoenix l'ha colta impreparata. Si era aspettata un attacco in grande stile dal Tempio, dopo ciò che le ha detto Mia ora, invece, si ritrova a dover combattere una battaglia che la coinvolge su più fronti.
Non sei fatta per la guerra, si dice, mentre Shun si fissa la punta dei piedi con aria colpevole.
“Non può essere davvero lui, deve esserci...”
“L'hai visto anche tu, o sbaglio?” Hyōga sbotta in tono aspro, interrompendolo.  
“Deve esserci una spiegazione” ribadisce il Saint di Andromeda, questa volta alzando lo sguardo sul compagno. Shiryu e Seiya sono ancora ricoverati in ospedale, e i Bronze Saint rimasti si trovano nello studio di Villa Kido, in attesa di ricevere istruzioni da lei.
Tutti tranne Mia.
“Era a Death Queen Island, la chiamano l'Isola Maledetta. Nessuno ha mai fatto ritorno. Forse nessuno ritorna così com'era partito” puntualizza Jabu senza staccarle gli occhi di dosso, provocando qualcosa che assomiglia a un singhiozzo represso nel povero Shun, su cui Saori riporta lo sguardo.
“Potrebbe esserci qualcos'altro che non sappiamo. Lei dov'è andata?” domanda Hyōga all'improvviso, rivolgendole direttamente quella domanda.
“Chi?”
“Vostra sorella, milady.”
“Non lo so. Non credevo nemmeno che sarebbe venuta all'Arena.”
“È stata colpita, eravamo insieme quando Ikki si è presentato. Forse erano d'accordo.”
Se Ikki fosse un emissario del Tempio?
Saori dà le spalle ai ragazzi, pensierosa. È il caso di parlare loro di ciò che le ha detto Mia?
Non è ancora il momento, Saori.
“Ora la nostra priorità è recuperare il Gold Cloth.”
“Abbiamo bisogno di tutte le forze disponibili, milady” e Jabu lascia intendere che anche Shiryu e Seiya dovranno far parte dei giochi.
“Dovremo dividerci: un gruppo dovrà proteggervi e l'altro recuperare il Cloth. Chiunque sia davvero il nostro nemico, è probabile non si accontenti delle sacre vestigia.”
Le parole di Hyōga cadono nel silenzio, ma è chiaro che tutti i Saint la pensino come lui.
“Seiya e Shiryu saranno pronti per l'alba. Non attenderemo oltre milady. Ora riposatevi, Nachi e Ichi saranno a guardia delle vostre stanze mentre noi sorveglieremo la villa.”
Saori annuisce, e si lascia scortare dai due Saint verso i propri appartamenti privati. Si lancia un'occhiata alle spalle, osservando i suoi ragazzi mentre si apprestano a combattere per lei.
Per proteggerla.
È questo il modo in cui inizia? In modo così tanto stupido?

 

Mia è arrivata al luogo dell'appuntamento con il fiato spezzato e un ecchimosi grossa come una mela sull'addome. Si passa una mano sulle costole, dove avverte una fitta lancinante premerle contro i polmoni. Deve essersene fratturate almeno un paio, a giudicare dalla difficoltà che ha nel muoversi senza avvertire un senso di nausea prenderla per schiantarla a terra. Gli allenamenti con Aiolia non sono mai stati semplici né si è mai risparmiato con lei, eppure si è fatta prendere alla sprovvista come una stupida. Ne ha prese di santa ragione per dieci anni, e ha trovato un briciolo di riscatto quando ha preso ad allenarsi con i suoi pari, alla Casa delle Vergini. La forza con cui è stata colpita l'ha scagliata contro la parete alle sue spalle, e quando ha ripreso i sensi a poca distanza da lei si trovavano distesi a terra come cenci i Bronze Saint. Si è alzata a fatica, e l'unica cosa che ha intravisto prima che scomparisse alla sua vista è stata la luce accecante che si è sprigionata dallo scrigno di Sagitter, lasciato privo del proprio contenuto. Abile ladro o grande Saint, Mia non saprebbe dirlo, perché la velocità dell’azione le ha impedito di comprendere ciò che è accaduto. I Silver Saint sono già tutti sul posto, e Shaina non proferisce parola quando sopraggiunge. Mia si sorprende di vedere Marin al suo fianco, e ciò non l'aiuta a sperare che il Tempio abbia rallentato la sua corsa verso la guerra.
“Con la dovuta calma, signorina” la schernisce Argor staccandosi dal fianco di Moses, Silver Saint della Balena, andandole incontro con fare minaccioso.
Non sei più grande in niente, Argor, riflette Mia con una punta di fastidio.
“Lascia che si spieghi” lo interrompe Misty che, a giudicare dal tono perentorio e dal  mantello da cerimonia sulle spalle, deve essere stato messo a capo della missione, a ingigantire il suo ego già esagerato. Mia si dà una scrollata di spalle. A lei Misty non piace. È tronfio e troppo sicuro di sé, spavaldo e narciso. Piace ai più conservatori del Tempio perché è un cagnolino fedele, uno di quelli disposti a tutto per ottenere in fretta fama e onori. È sempre stata fortunata, lo sa bene, perché ha avuto come maestro Aiolia e non un Saint come Death Mask. Uno di quelli che combatte senza metterci il cuore o, meglio, senza pensare con il cuore. A quelli come lei – come il suo maestro – quelli della risma del Saint di Cancer lanciano occhiate di compassione e pena, ma sa di essere nel giusto.
Che per servire Athena occorre anche saper perdere e, dunque, morire.
“Allora?” la incalza Perseo.
“Chi è il Saint che è stato inviato a recuperare il Gold Cloth di Sagitter?”
Noi dobbiamo recuperare il Gold Cloth ed eliminare i Bronze Saint. Seiya, in particolare, stando alle ultime direttive che ci ha riportato Marin.”
Mia deglutisce e lancia un'occhiata al Saint di Eagle, poi riporta la propria attenzione su Misty.
“Il Gold Cloth è stato trafugato un'ora fa dall'Arena dei Kido. Da un Saint” puntualizza, perché ha avvertito in modo chiaro un cosmo pesante, come un karma gravido di colpe da espiare, sprigionarsi dallo scrigno dov'era custodito il Cloth di Sagitter.
Come quello di Death Mask, riflette, ma evita di esternare le proprie osservazioni.
“Impossibile” osserva Shaina facendosi avanti.
“E tu che ne sai?”
“E tu come fai a saperlo?”
“Ero là” le risponde infine serafica.
E si gioca il tutto e per tutto con un'ammissione di colpa, perché se realmente non è stato un emissario del Tempio a rubare il Cloth, significa che la battaglia non è da combattere su due fronti, ma molti di più.
E la situazione, per lei, potrebbe mettersi davvero male.
“Cosa ci facevi all'arena con quei traditori?”
Shaina, questa volta, le punta il dito contro mettendola alla gogna.
Stai calma, si dice, e inspira in modo impercettibile quando avrebbe bisogno del doppio dell'ossigeno che riesce ad avere nei polmoni.
“Dovevo parlare con Saori Kido come tu mi hai chiesto. L'ho fatto, e a quanto pare ci seguiranno in Grecia.”
È una mezza verità, se si considera che non hanno trovato un accordo. Se Saori si decidesse ad ascoltarla sarebbero già un passo avanti, invece se ne stanno entrambe arroccate sulle proprie posizioni. E qualcosa che si chiama istinto le dice di tenere Athena lontana dal Santuario sino a quando non avranno chiare le intenzioni del Tempio verso la dea finalmente ritrovata.
Cosa aspetti a manifestarti, stupida? Di dare a quel qualcuno il pretesto di ammazzarti per davvero, questa volta?
“Il Sommo Sacerdote vuole la loro testa” e questa volta è Marin a prendere la parola, l'ultimo anello mancante, l'ultima voce in capitolo dopo una serie di direttive mirate a quell’ordine: uccidere.
“E il Gold Cloth?” le domanda Mia. Si aggrappa a quell'unica possibilità di strappare un po' di tempo ancora, di far capire a Saori la gravità della situazione.
“Dobbiamo riportarlo in Grecia.”
“Se è vero ciò che dice Mia sarà difficile dato che non è più in mano agli usurpatori. E per averla ridotta in questo stato significa che il nostro nemico non è un ladruncolo qualunque” afferma Argor squadrandola da capo a piedi.
“Il Gold Cloth ha la priorità. Finché le tracce sono fresche, recuperiamolo. I Bronze Saint non fuggiranno da Tokyo” afferma con decisione.
E prega, Mia, che la sua proposta sia sensata e induca i compagni ad accettare il cambio di rotta. È pur sempre combattere il nemico, chiunque esso sia a questo punto, no?

 

Shaina ha seguito Mia come un'ombra. O lei, o Seiya, in un modo o nell'altro credeva che stare alle costole dell'uno la portasse dall'altro, invece si è sbagliata. Mia si è allenata e si è chiusa nella solitudine di chi è straniero, lontano da casa e non di certo per scelta. Ha fatto ritorno all'orfanotrofio soltanto quella sera, e l'ha lasciata lì quando ormai era troppo tardi perché potesse sopraggiungere Seiya.
Ha evidentemente fatto male i calcoli o forse ha davvero voluto credere che Mia potesse tradirli, sbagliandosi.
E lei detesta sbagliare.
“Se ci muoviamo ora le tracce saranno ancora fresche. I Bronze Saint sono stati feriti durante l'incursione, non saranno un problema” aggiunge Mia decisa.
“Allora dovremmo approfittarne e andarli a stanare, quei conigli” ringhia Moses, che in modo nervoso continua a camminare in un perimetro ben preciso, seguendo uno schema mentale.
“Sai dove può essere il Gold Cloth?” le domanda Misty.
“No, ma se è qualcuno che vuole rivendicare qualcosa, immagino si farà vivo a Villa Kido.”
“Io, Mia e Marin andremo a recuperare il Gold Cloth. Sorvegliare la Villa e seguire i Bronze Saint ci permetterà di arrivare alle vestigia molto prima. Non appena sapremo qualcosa, vi avviseremo.”
“Il Decumano vuole parlarci. Mi sembrava avesse fretta che facessimo ritorno al santuario. Dividerci sarà il modo più semplice per non perdere ulteriore tempo.”
Shaina vuole combattere e ritornare quanto prima in Grecia con la missione conclusa alle spalle.

 

Shun non si dà pace. Si era aspettato che ritrovare un fratello fosse cosa diversa che essere quasi ucciso da lui e trattato come il ragazzino dalla lacrima facile quale era.
Quale è.
Ha percorso il perimetro di Villa Kido almeno una decina di volte già, durante la ronda, e ancora non ha avuto segnali di intrusi, e ne è felice.
Non vuole combattere contro suo fratello. Non ha nemmeno intenzione di colpirlo, dovesse essere costretto a ritorcere contro sé stesso le proprie catene.
All'improvviso queste si muovono, sfrecciando nell'oscurità.
Ne riemergono pochi istanti dopo, con un biglietto conficcato sulla punta.
Vi aspettiamo al Monte Fuji.

 

*

 

Al suo arrivo all'orfanotrofio di Grozny, Camus viene accolto da un gruppo di ragazzini sudici.
Hyōga non è mai stato così, riflette, e si domanda quanto siano stati duri i giorni rinchiuso in quella prigione. I più grandi hanno gli occhi spenti, lo sguardo di adulti che hanno visto orrori così grandi da aver già rinunciato alla vita. Non vi è differenza tra maschi e femmine: tutti con le teste rasate, si aggirano per il cortile in piccoli gruppi, con lentezza, come se stessero camminando dentro – e sotto - l'acqua. Avanza e non si cura di loro, tira dritto per la propria strada, mentre il cemento che calpesta lo costringe a guardarsi intorno e capire che sì, in quell'orfanotrofio l'unico colore è il grigio. All'interno, le pareti spoglie e i pavimenti impolverati gli danno la conferma che gli ospiti della struttura siano abbandonati a sé stessi, senza possibilità di crescita.
“Chi è?”
Una voce dura, femminile, lo accoglie con freddezza. Fa capolino da una stanza una donna tarchiata, i capelli bianchi raccolti sotto un velo nero e la pelle dura come corteccia, solcata da rughe profonde. Come molte donne cecene, sembra più vecchia della sua età.
“Vorrei chiederle notizie di due bambini...”
“Non ne ha visti di suo gradimento, là fuori?”
“Sono stati qui molti anni fa. Hyōga, le ricorda nulla come nome? Non è russo, dovrebbe ricordarle qualcosa.”
La donna finge di riflettere, e Camus attende. Sa che per farla parlare occorrerà pagarla, ma non ha intenzione di ingrassare le tasche di una carceriera.
“Sì, ma è rimasto da noi per poco tempo. Venne adottato da un ricco giapponese, se non ricordo male.”
“E sua sorella?”
“All'epoca ci occupavamo solo di bambini maschi, così dopo alcuni giorni di transizione l'abbiamo mandata a Kurchaloi, dove potevano prendersi cura di lei. Qui alleviamo solo topi di fogna e assassini, non è un posto adatto alle bambine per bene. E dieci anni fa non sapevamo dove metterli, i bambini, proprio come ora.”
“Dove posso trovarla?”
“Se non è a battere sulla strada? Non saprei. Difficilmente chi esce da qui diventa un dottore.”
Camus inizia a spazientirsi, e l'odore nauseante di piscio e polvere non lo aiuta a restare concentrato sul proprio obiettivo.
“Può dirmi il suo nome, almeno?”
La donna si allontana, tornando alcuni minuti dopo con un vecchio quaderno consunto, dalle pagine ingiallite.
“Può trovare tutto qui dentro. Hyōga era un bel bambino. Non era destinato a essere un rifiuto di nostra madre Russia. Lei è il padre? Ha gli stessi occhi tristi.”
“No, sono solo un amico.”
“Sono vivi?”
Ora la donna sembra essere davvero interessata alle vicende dei due bambini, forse per avere una vittoria in una vita da educatrice fallita, in un paese che quelle come lei prima le ha indurite con la guerra, poi le ha lasciate senza figli per prendersi cura di quelli abbandonati dagli altri.
“Della sorella non abbiamo mai avuto notizie. A Grozny abbiamo raccolto dalla strada un sacco di ragazzini per poi risputarli fuori. Nessuno li vuole. Ci vorrebbero dieci orfanotrofi come questo per garantire a tutti un tetto, invece qui ci siamo solo noi. A Kurchaloi si potevano permettere di ospitare ancora qualcuno invece.”
Si zittisce, e mentre Camus sfoglia un registro di nomi e date in cui cercare quello del suo allievo, la donna sembra avere voglia di lavarsi la coscienza, di darsi una giustificazione del perché la vita sia tanto inclemente con quei ragazzini.
“Era bella come Hyōga, lei, e si somigliavano. Se non fosse stato per quegli anni che li dividevano avresti potuto credere fossero gemelli. Il taglio degli occhi e le ciglia lunghe, quelli poi, erano identici.”
Camus smette di ascoltarla per focalizzare la propria attenzione sul quaderno, alla ricerca di un nome e una città dove ritrovarne la proprietaria. Vorrebbe dire alla donna di tacere e che non sarà una confessione a renderla migliore ai suoi occhi.
“Li abbiamo tutti.”
Lei sembra non capire, così Camus fissa una data: diciassette marzo millenovecentoottandue.
“Gli occhi tristi. Nessuno può permettersi di essere felice.”
Fissa i due nomi in ingresso all’orfanotrofio, l’uno di seguito all’altro, la data accanto scritta in una calligrafia orrenda, poi controlla le rispettive date di uscita. Quella della bambina corrisponde a quanto detto dalla donna, destinazione Kurchaloi. Attende alcuni istanti, poi richiude il registro e lo lascia dinnanzi a sé.
“Lei come pensa di sopravvivere, di notte, alle sue mancanze?”
La donna sgrana occhi neri come pece, occhi di rapace tra le rughe del viso indurito dal freddo.
“Ho fatto tutto quello che potevo con questi ragazzini. Se lo stato non ci aiuta, come pensa di poterli salvare tutti? Nessuno si salva da solo, è già tanto se riusciamo a sfamarli.”
“Dategli un motivo per vivere.”
Camus si alza dalla sedia voltandole le spalle. Ha il passo marziale di chi ha sempre combattuto, il portamento regale di un saggio e di un giusto.
“Hyōga diventerà un grande uomo. Può esserne felice.”
Al suo allievo è stato dato un motivo per vivere, e presto potrà offrirgliene un altro. Presto, quando la guerra sarà finita, potrà finalmente dargli un nome su cui lavorare, da cercare, da riabbracciare. Durante il suo addestramento, Camus avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un motivo per vivere che non fosse la guerra o il riscatto di un morto.
Ha dovuto attendere l’arrivo di un ragazzino con la lacrima facile, per dare un senso alla propria vita.

 

*

 

Aldebaran si rende conto che è sempre più difficile lasciare il Brasile, specie ora che suo figlio è abbastanza grande per supplicarlo di non lasciarlo. Margherita non dice nulla, continua a occuparsi della casa senza fargli domande. Quando l'ha trovato in cucina, intento a lucidare le corna del suo elmo, ha compreso che la partenza è imminente. Il Santuario glielo porterà via un’altra volta, e teme il momento in cui non vi sarà ritorno.
“Quanto tempo resterai in Grecia?” gli ha domandato in tono asciutto senza drammi né piagnistei qualche sera prima, attendendo che José fosse a dormire. Margherita sapeva sin dal principio a cosa stesse andando incontro, ma con la stessa certezza ha deciso di lasciarsi andare, cedere alle lusinghe impacciate di un uomo buono e mite, duro come roccia.
“Sentiremo la tua mancanza.”
“Non puoi immaginare la mia. Anzi, mi mancate già.”
Ha contato i giorni che lo separano da Atene e rosica sino all'ultima ora per poter restare più a lungo a casa, per godere ancora un poco della sua vita prima di rimetterla nelle mani del Sommo Sacerdote.
“E se Athena non esistesse?” gli ha domandato Margherita all'improvviso, mentre gli serviva un piatto di pesce fresco e pane fatto in casa.
“Perché non dovrebbe?”
“Perché dovrebbe?”
“Per salvare gli esseri umani.”
“Continuano a morire, Aldebaran. Athena può essere giusta, ma non sarà mai una salvatrice di anime. Non è un suo compito.”
Quel compito spetta ad altri, a padre Honòrio, lo stesso che li ha cresciuti all’ombra della favela, in quella periferia che è diventata terra di nessuno, buona solo a risputare fuori cadaveri e narcotrafficanti. Hanno sempre pregato, perché sono cresciuti con la fede nel sangue e con quella stessa fede si sono sporcati le mani nel fango e nella vita.
“Sono due cose differenti, Margherita.”
“A volte mi domando se sia davvero così, Aldebaran.”
“Lo è. Athena non cambia l’aver fede in Dio.”
“Dunque potrò continuare a pregare per te?”
“Perché non dovresti?”
“Se Athena dovesse dimenticarsi di te, la tua anima sarà protetta comunque.”
Margherita non ha mai creduto nel potere di Athena, ma Aldebaran sa che è difficile – se non impossibile – far comprendere qualcosa come la reincarnazione a un fedele cattolico, dove l’anima può finire all’Inferno o in Paradiso e non ci sono vie di fuga nel mezzo.
Lui ha imparato ad avere fede soltanto, senza fare domande, così come insegnano i vangeli.
Margherita lo stringe a sé, quasi fosse una bambola. La lascia fare, cingendole le spalle nude nella calura di una vecchia casa addossata alla chiesa.
“Non voglio che arrivi l’alba” gli bisbiglia in un soffio, e fatica a udire in modo distinto le parole.
“Ne arriveranno molte di più, e sarà con il sole che cala sulla strada che farò ritorno.”
Le bacia la fronte e lascia che il profumo d’agrumi gli permei le narici e gli si imprima sulle mani, mentre passa le dita grandi tra i capelli corvini della donna.
“È difficile credere che un uomo come te conosca la dolcezza. Eppure sono certa che nessuno potrebbe eguagliarti.”
Gli sorride e non fa domande, proprio come lui.
Per questo si sono amati sin dal primo momento, con gli sguardi, con le parole e infine con pelle e anima.
Sono stati plasmati dal sole del Brasile e dal sudore misto a terra rossa e alle lamiere delle baracche.
Non fanno domande e hanno entrambi fede cieca.
Per questo, qualsiasi cosa accada, continueranno ad attendersi.

 

*

 

“La gamba non è ancora guarita del tutto, vedo.”
Il Sommo Sacerdote gli fa cenno di avvicinarsi, ma non gli risparmia di inginocchiarsi al suo cospetto. Shura stringe i denti e a capo chino attende la domanda fatidica, quello che lo decreterà un buon Saint o un fallito.
Ancora una volta, come se la sua vita fosse un'eterna rincorsa alla conferma di aver ottenuto il Cloth per merito, non per fortuna o lignaggio.
“Non sono riuscito a recuperare ciò che mi avete chiesto. Prima che potessi avvicinarmi all'albero una forza misteriosa mi ha scagliato lontano, in un altro luogo. Mi sono risvegliato in Jamir, ai piedi della dimora del Grande Mu.”
L'uomo, seduto sullo scranno, sembra impassibile, immobile come una statua oltre la maschera che gli copre il volto, e Shura avverte un rivolo freddo percorrergli la schiena.
“Quante ne sono rimaste?” domanda poi.
“Il custode dell'albero dovrebbe essere morto. Quando ho colpito l'ultima testa rimasta sono stato espulso dal Giardino.”
Shura ancora si sveglia nel cuore della notte, quando la coscia pulsa di dolore, avvertendo in modo distinto le zanne dell'animale affondare nella carne e strapparne alcuni lembi. Se non fosse stato per quel teletrasporto...
A quel pensiero, il Gold Saint di Capricorn sembra ricordare – o realizzare – che forse ciò che l'ha salvato non è nulla che si trovi all'interno del Giardino, ma una forza esterna. Mu, d’altra parte, non gli ha fatto domande quando ha visto lo squarcio sulla coscia, profondo sino a mostrare l'osso sotto strati di tessuto strappato in modo brutale. Nulla che potrebbe aver fatto un Saint, ma Mu è sempre stato discreto e buono, uno di quegli uomini a cui affidare la vita senza esitazione. E un segreto.
“Sapevo che Excalibur sarebbe tornata a brillare e mietere vittime.”
A quale prezzo? si chiede Shura. Quella notte, si era ripromesso di non utilizzare mai più l'arma sacra che gli aveva affidato Athena. Dopo aver massacrato Aiolos, Excalibur era come morta.
E lui con lei.
Poi, davanti a quelle cento teste grondanti bava e desiderose di uccidere, l'istinto di sopravvivenza ha preso il sopravvento sul giuramento che aveva fatto a sé stesso, ed Excalibur è tornata a essere di nuovo una lama affilata e inclemente.
“Posso tornare indietro se lo desiderate.”
“No, tu e i gli altri Gold Saint servite al Santuario. Non appena torneranno dalla loro missione i Silver Saint, porteranno a termine ciò che tu non hai concluso. Non sarebbe stato un avversario alla loro portata, in ogni caso.”
“Pensate si spingeranno sino al Tempio?” domanda Shura riferendosi ai Bronze Saint.
“Una volta  che otterremo il Gold Cloth di Sagitter e riusciremo a riportarlo qui, se davvero per loro è così importante arriveranno. E noi saremo pronti per accoglierli.”
A Shura non piace pensare al cospetto del Sommo Sacerdote perché è come se gli permettesse di guardargli dentro, ma il richiamo dei Gold Saint al Tempio per una manciata di traditori – dei ragazzini – e una facoltosa ereditiera, gli sembra esagerato. Certo guardando al disegno finito dell’intera missione, capisce che sono a un passo dalla guerra, e che il vero nemico ancora non si è palesato.
“Hai avvertito il cosmo delle guardiane?”
“I loro Cloth d'Ambra erano involucri vuoti, disposti a piramide all'ingresso del Giardino. Non vi era traccia di loro.”
Il Sommo Sacerdote resta in silenzio, ponderando le sue parole.
“Metterò in guardia i Silver Saint. Dopo la violazione del Giardino da parte tua, dubito che i suoi dormienti protettori restino tali. Anche se per noi sarebbe una fortuna.”
“Sono certo che la missione potrà essere portata a termine.”
“Non ne dubito Shura di Capricorn. Sei congedato, per ora.”
Shura si alza e si allontana dalle stanze del Sacerdote con passo marziale, aritmico. Là, dove il tacco della gamba inferma sfiora la terra, avverte la risonanza del dolore propagarsi lungo tutto il suo corpo.
Ce la faranno davvero?

 

Saga si lascia scivolare contro lo schienale in marmo, gelido al tocco nonostante a dividerli vi siano strati di mantello in porpora e toghe pesanti.
Nessuno vive per sempre.
Nessuno vuole vivere per sempre, ma io si. Noi si.
Mette a tacere la propria voce più scomoda, mentre il suo pensiero corre a Death Mask. Si trova all'Altura delle Stelle per verificare che tutto sia sotto controllo e pronto per quando i Bronze Saint e Athena saranno in Grecia.
Pensi davvero che sia un servo fedele?
Si, lo crede.
Death Mask lo è per scelta, Shura perché crede. Ecco perché ha affidato a entrambi una missione ben precisa. Sa che, in un modo o nell'altro, porteranno a casa la vittoria. Shura, ha una colpa da espiare, un qualcosa su cui fare leva è davvero troppo facile.
“Non credete sia opportuno costringere Saori Kido a venire al Tempio? Dichiarate guerra, e quando arriverà potremmo attuare ciò che avete in mente”.
Death Mask non è di certo uno  sciocco, per questo il Sommo Sacerdote ha inviato al Decumanodi Tokyo l'ordine di richiamo dei Silver Saint al Santuario. Dovranno riportare in Grecia il Gold Cloth e indurre i Bronze Saint a fare altrettanto. Se non dovesse bastare il Cloth di Sagitter, sarà una lettera di guerra e l'editto di morte a costringerli.
E a quel punto, Athena morirà per sempre.
La ruota della fortuna gira dalla nostra parte, ora.
Quando i Silver Saint sono partiti per Tokyo il Sommo Sacerdote ancora non aveva compreso l'importanza strategica di quell'ospite fatto d’ombra. Ancora, non aveva ideato un piano nel quale introdurlo e nemmeno aveva preso in considerazione la possibilità di sfruttare quell'odio covato per secoli a proprio vantaggio.
Sorride soddisfatto, dietro la maschera d'opale, mentre le vesti sacerdotali gli frusciano attorno al corpo.
Avrà la testa di Athena e il mondo, a quel punto, sarà suo.

 

“Sembri un leone in gabbia” lo apostrofa Milo avvicinandosi a lui. Scende la scalinata che porta alla Quinta Casa allungando le braccia verso il cielo e portando poi le mani dietro la nuca, intrecciando le dita tra loro.
“Il leone scalpita perché vuole combattere o c'è qualcos'altro che lo tormenta?”
“Non è da  te tutto questo interessamento, Saint di Scorpio.” 
“Se ho un buon motivo per prenderti in giro, è opportuno ne approfitti finché abbiamo tutte le ossa intere. Non che mi preoccupi la guerra contro quattro mocciosi insolenti, piuttosto...” e lascia morire le parole, su quel sigillo non ancora spezzato ma che, prima o poi, li inghiottirà per sempre.
“È ancora tutto immutato. Tutto dannatamente fermo.”
“Allora prudono le mani al leoncino! Shura non è stato bravo a farti saltare i nervi? O sei diventato bravo tu a domarti, Aiolia?”
Lo guarda sorpreso, e Milo si affretta a concludere la frase.
“Vi ho visti parlare. Insomma, il ritorno dello scomparso e ombroso Shura ha ridestato tutto il Tempio. Non ti sei chiesto dove sia stato?”
“Certo che me lo sono chiesto” sbotta Aiolia sentendosi un idiota, una delle doti che Milo possiede oltre quella di fargli saltare i nervi con estrema facilità.
“E a lui non hai domandato dove sia stato, immagino.”
“Pensi che Shura risponderebbe a una domanda del genere?”
“No, in effetti no. Ma qualcuno saprà.”
“Dunque?”
“Dunque, in tempo di pace, mi piacerebbe sapere perché mandare Shura di Capricorn a farsi ammazzare in qualche sperduto posto del mondo.”
“Non siamo in pace” lo corregge Aiolia.
“Giusto, siamo in trincea. Che fortuna, eh. Senti, io vado a farmi un bicchiere di vino, ti va? Così quella maschera da soldatino, almeno per un paio d'ore, la dimentichi al Tempio.”
“Siamo in missione.”
“Due ore nel cuore di Atene e sei convinto di non avvertire minacce arrivare? Hai intenzione di prendere una grandissima sbronza allora!”

 

Death Mask avanza nel buio più completo, a posare una luce fioca sul pavimento solo qualche torcia dalla fiamma pallida, prossima ormai a spegnersi. Si sofferma a guardare la teca in cui giace il corpo senza vita di Shion, il bel volto ancora intatto.
Sarà la tua santità a non permettere alle carni di decomporsi, come per tutti gli altri?
Si avvicina al feretro, la tunica chiazzata di marrone là dove la daga ha affondato sino a spaccare il cuore. Un fiore purpureo, ormai avvizzito, che ricorda a chi lo osserva che il Sommo Shion non sta riposando.
A vederlo non ha dipinta sul volto quell'ultima espressione di orrore e sgomento.
Forse i Santi, quelli veri, riescono a sembrare puri anche da morti.
Ravviva il fuoco attizzando i carboni nei bracieri e dando nuova vita alle fiamme. Fa freddo all'Altura delle Stelle, e non ricorda che quel luogo abbia mai offerto qualcos'altro rispetto al gelo spettrale di cui è permeata. La chiamano “altura”, in verità è il covo segreto dei sacerdoti, un nido scavato nel ventre della montagna. Dalla sua massima altezza, risalendo la stretta scala in tufo, si arriva all'esterno, su una terrazza naturale che è anche l'osservatorio del Tempio, da dove inizia ogni divinazione.
Il Sommo Sacerdote avrà già inviato i nuovi ordini al Decumano di Tokyo?
Lancia un ultimo sguardo al cadavere del Sommo Shion, lasciandoselo poi alle spalle.
Valeva davvero la pena farlo? Sia tu che Aiolos siete morti come due insetti. In modo stupido, per mano di persone in cui riponevate piena fiducia.
Quasi deve accucciarsi per addentrarsi negli anfratti più bui della grotta. La spessa coltre di ragnatele che ricopre ogni cosa gli si incolla al Cloth, rendendolo pesante.
“Non sei lui, sei l'altro.
Le ragnatele, al suono della voce, si allontanano dal suo corpo, tornando a essere ornamento di un nido costruito in giorni tutti uguali, in cui l'unica luce visibile è quella della luna.
“Mi manda lui” conferma, e la creatura si fa avanti, con cautela. Ne vede prima le dita ossute - adunche, dalle unghie lunghe e affilate come lame, nere e lerce di terra e roccia - che scostano le ragnatele dietro cui è nascosta, poi il volto, privo di lineamenti ben definiti. Occhi ciechi, coperti da uno spesso strato di cataratta, lo cercano invano. A trovarlo, è il suo fiuto mentre annusa l'aria come un segugio.
“Perché non è venuto lui, oggi? Lo stavo aspettando.”
Death Mask si stupisce ancora una volta del suono limpido di quella  voce, che per secoli ha potuto rivolgersi solo a sé stessa.
Il Sommo Shion l'avrà mai vista?
“Quando sarà il mio momento?” domanda in tono asciutto, deciso. Nonostante la vita nell'ombra, la presunzione che le è costata l'umanità non l'ha abbandonata.
“Molto presto. Come pensi di eliminarla?”
Dalle labbra sottili esce una risata stridula, divertita.
“Mi piaci Saint di Cancer. E capisco perché il Sommo Sacerdote ti preferisca a tutti gli altri.”
Gli si avvicina, i lunghissimi capelli neri che sfiorano il terreno, perdendosi poi nel buio alle sue spalle.
“La colpirete al cuore con una freccia maledetta. Sarà tutto pronto per quando tornerà in Grecia.”
“Una freccia?” domanda perplesso, in tono canzonatorio.
“Hai un'idea migliore su come colpire Athena, protetta dai suoi Saint?”
In effetti solo un attacco a sorpresa potrebbe andare a segno. Death Mask la osserva arretrare di nuovo verso il buio del suo nido, al riparo dalla luce e dalla sua presenza.
“Saga desidera che gli consegni la Mietitrice.”
La donna si arresta bruscamente. Con uno scatto repentino – da rettile, ed è ciò che sembra con la pelle bianca e lucida, sottilissima, che brilla sotto i raggi della luna piena -  si volta verso di lui, e a Death Mask sembra di essere visto – trafitto – da quello sguardo carico d'odio.
“A cosa gli serve, se sarò io a sconfiggere Athena? Non si fida forse di me?”
“È una tutela. Non sappiamo cosa possa accadere durante la battaglia.”
Con quell'arma, Saga potrebbe uccidere qualsiasi dio decida di risvegliarsi, e se anche la missione di Shura andasse a buon fine... il mondo sarebbe suo.
Loro, se riuscirà a servirlo con la stessa efficienza degli ultimi… vent’anni? Qualcuno in più o in meno, ha poca differenza. È quasi una vita intera, se ci riflette.
“La Mietitrice resta con la sua custode.”
“La daga qui non servirà a nessuno. Là fuori ci farà vincere tutte le guerre del mondo, da qui all’eternità.”
“Non ti azzardare, Gold Saint di Cancer. Posso ucciderti quando voglio” lo ammonisce avvertendolo avanzare verso di lei, deciso ad andarsene con ciò che gli ha chiesto Saga. E se deve ammazzare il mostro, sarà un incidente di percorso. Potrebbero farcela anche senza di lei, anche se sarebbe tutto molto meno… perfetto.
“I mostri si guardano allo specchio e cosa vedono? Mostri. Sei sicura di potermi annientare? Potrebbe costarti tutto ciò per cui hai vissuto sino a questo momento.”
Socchiude le palpebre e inspira. Forse spera di fiutare una paura che – con delusione – non suscita in lui.
“Perché dovrei cedervi la daga?”
“Perché Athena sarà solo la prima a cadere.”
Death Mask sorride, e lei – nonostante non possa vederlo – lo fa di rimando, come se l'idea l'allettasse.
“Il peccato di presunzione può costare caro.”
“Oppure renderti padrone del mondo, se sei abbastanza abile.”
E tu non la eri.

 

*

 

Combattere al fianco di quella che credevi una nemica ti porta a rivalutarne la forza. Quando ti costruisci una nemesi contro cui riversare ogni frustrazione, tutta la rabbia che hai dentro e il rancore, non riesci a vedere l'uomo ma solo il feticcio ideale che hai realizzato. Per questo motivo Mia, per Shaina, è stata sempre stata quella con cui prendersela poteva essere più semplice e scontato. Non l'ha mai sottovalutata come Saint, ma è sempre stata certa che Mia lavorasse troppo di cuore, di pancia, e non di istinto e dovere. Un po' utopista, un po' sciocca, un po' troppo innamorata e disposta a perdere tutto, anche, se necessario. Ora, trovarsi spalla a spalla con lei, lontano dal Tempio e da Seiya, Shaina comprende che il nemico non è davvero tale ma gli addossi le tue paure, le tue colpe, per cacciarle lontano e odiare qualcuno che non sia tu.
Mia e Marin sono compagne fedeli.
Combattono e non arretrano, avanzano mentre lei copre loro le spalle. Mia scaglia una serie di colpi contro uno dei Black Saint ma non riesce a prevedere l'ombra che compare alle sue spalle pronta a colpirla.
Pochi istanti di esitazione, e il Silver Saint di Aglaia sarebbe stato schiacciato nel dirupo che stavano costeggiando, dirette al cuore del Monte Fuji. Shaina ha colpito il Black Saint di Pegasus, ma cadendo si è ferita alla spalla.
“Abbiamo recuperato una parte del Gold Cloth e tu ora hai bisogno di cure” l'apostrofa Mia aiutandola a rialzarsi.
“Non è niente di grave.”
“Tu non puoi combattere ora, saresti solo un peso.”
L'Ofiuco stringe i pugni, ma non aggiunge altro. Sa che per ora, la sconfitta è la sua.

 

“Quindi esistono Saint Oscuri?” domanda Mia perplessa.
“Credevo fosse solo una leggenda, ma a quanto pare esiste un doppio per ognuno di noi” conferma Marin.
Quando hanno sorpreso i Black Saints sono riuscite a concludere i combattimenti in modo veloce. Hanno recuperato tre pezzi soltanto del Gold Cloth, ma questo ha permesso agli altri Silver Saint di entrare in azione e riprendersi le parti mancanti, dopo aver ricevuto dal Decumano l’informazione di dove si trovassero i disertori del Tempio. Il Saint di Eagle stringe con forza il bendaggio attorno alla spalla di Shaina, dopo un'arringa spietata in cui ha vinto solo per misericordia, probabilmente grazie a un barlume di buon senso concesso all'Ofiuco da Athena stessa.
“È soltanto una lussazione” le conferma Mia dando un'occhiata al suo lavoro. Shaina è scivolata in un crepaccio dopo aver colpito il Black Saint di Pegasus prima che si avventasse su di lei per questo ora, la giovane allieva di Aiolia se ne sta in disparte, contemplando ciò che resta del Gold Cloth di Sagitter, adagiato a una parete della sua stanza.
“Riusciremo a recuperarlo tutto?”
“Certo che si” esordisce Shaina con tono deciso, cercando di alzarsi dal proprio posto prima che Marin abbia concluso con lei.
“Vuoi stare buona un attimo? Sei peggio di Mia quando ti impegni!”
“Dovremo portarla al Decumano, lui avrà sicuramente indicazioni da darci, se sono giunte nuove dal Tempio.”
“Il Decumano?” domanda Mia accigliata.
“Tu eri l'anello di congiunzione con Saori Kido. La base è al tempio shintoista di Meiji Jingu, dal Decumano di Tokyo.”
A Marin sembra che Mia voglia dire qualcosa, ma si limita a osservarle, mentre sedute al tavolo della cucina del suo appartamento sembrano falsare il quadretto di una vita comune, da amiche.
“Grazie per avermi aiutata.”
Shaina sgrana gli occhi, sorpresa, ma finge che la cosa non sortisca effetto su di lei.
“Siamo compagne no?”
“Qualcun altro non l'avrebbe fatto” le ricorda Mia tornando a sedersi accanto a loro. È irrequieta, lo capisce dal modo in cui non riesce a stare ferma troppo a lungo nel medesimo posto.
“Sei preoccupata per l'idiota?” le domanda secca Shaina, all'improvviso. Mia scuote il capo in risposta, con decisione.
“No, Seiya è in buone mani. Ha riportato diverse ferite, ma si trova presso l'ospedale della Fondazione.”
“C'è la ragazza dell'orfanotrofio con lui?”
“È in buone mani” ribadisce Mia, e Shaina non cede.
“Meriti di meglio di quell'idiota.”
“Non si tratta di meritare un trofeo. È questione di scelte. Credo.”
“Puoi scegliere qualcuno che ti faccia essere ciò che sei, il Silver Saint di Aglaia che ho visto oggi e non una stupida ragazzina sentimentale e titubante. Tu non hai paura di combattere. Hai solo paura di accettare ciò che sei.”
Mia non le risponde, lasciando cadere il discorso.
“Ehi, dove vai? Scappi? Sei la solita codarda!”
“Vado a Villa Kido a vedere cosa diavolo stia accadendo e comprendere quali saranno le prossime mosse di Saori. Non sono io l’anello di congiunzione?”
“Dobbiamo portare il Cloth al Decumano.”
“Tornerò presto.”
La osservano allontanarsi e Shaina si scompiglia i capelli in un gesto di stizza, sbuffando.
“Lascia stare, comprenderà chi è quando sarà il momento.”
“Non è più una ragazzina da un pezzo.”
“A volte dobbiamo solo staccarci da ciò che crediamo un porto sicuro, Shaina.”
Tutti ne hanno avuto uno. Ed è quando decidi di salpare l’ancora che la terraferma su cui sei stato sino a quel momento appare sfocato, come il ricordo sbiadito di una vita che non ti apparteneva.
“Ti fidi di lei?” le domanda all’improvviso.
“Non dovrei? Non mi ha dato motivo di dubitare.”
“Nemmeno quando ha detto che Seiya…”
“È infermo. Possiamo attaccarlo quando vogliamo” taglia corto la sacerdotessa.
E Marin sorride, perché quelle due, così lontane, sono a volte così vicine che dimentica di avere davanti l’una, o l’altra.

 

L'unico pezzo dell'armatura in loro possesso è l'elmo. Seiya, ferito, se lo rigira tra le mani e non si da pace. I Silver Saint li hanno battuti sul tempo, e si chiede se tra loro ci fosse anche Mia. Shiryu non è tornato dal Jamir dove è andato per far riparare i loro Cloth, eppure – quando ne ha avuto bisogno – l'armatura di Pegasus si è palesata a lui, proteggendolo durante lo scontro decisivo contro Ikki.
Ikki, dopo il duello, è riuscito a scacciare i propri demoni e tornare in sé stesso, anche se non ha ancora rivolto la parola a Shun che attende un suo cenno per chiedergli perdono. Di cosa, poi, Seiya se lo sta chiedendo, ma cerca di non immischiarsi in questioni che non lo riguardano, preso com’è a cercare una soluzione a quella situazione. Se ne stanno tutti lì, al cospetto di milady, ad attendere che qualcuno parli. Che Saori Kido dica qualcosa e decida il da farsi.
Invece ci sono solo silenzio e imbarazzo e sta di certo ponderando le parole giuste per tenerli con sé ancora un po'.
La porta dello studio si richiude con un tonfo sordo ed eccola, Mia, che si arresta sulla soglia squadrandoli con attenzione.
“Sapevo saresti arrivata. Sei soddisfatta?” le domanda in tono asciutto Saori.
“Abbiamo avuto delle perdite. Due Silver Saint hanno perso la vita” le risponde Mia in tono duro.
“Il Gold Cloth di Sagitter non appartiene più al Tempio da anni, Mia.”
“Il Gold Cloth di Sagitter appartiene ad Athena, proprio come il Santuario di Grecia. E finché ti ostinerai a usarli come burattini le cose non si sistemeranno.”
Mia non arretra, né avanza. Se ne sta sulla porta come se avesse il bisogno urgente di andarsene di lì una volta per tutte. Posa lo sguardo su Ikki, poi passa oltre, passandoli in rassegna uno a uno.
“Cosa pensi di fare ora?”
“Non credo di avere altre scelte. Il Tempio ha dichiarato guerra.”
“Sei la solita arrogante. Non andrà come hai previsto Saori. E potrebbero morire per te” aggiunge.
“Forse vogliamo farlo” l'apostrofa Jabu avanzando di qualche passo deciso a proteggere milady.
“Potresti chiedermi come sto, che dici?”
L'apostrofa così, Seiya, per smorzare la tensione, cercando di farsi notare e non passare per uno dei Bronze Saint, ma lei gli lancia un'occhiata e scuote il capo.
“Tu stai benissimo. Sarà difficile rompere quella testa dura che ti ritrovi, Seiya. Saori perché non dici loro la verità? Pensi ti seguiranno solo perché glielo ordini, senza dare loro una giustificazione?”
Tutti si voltano a guardare Saori Kido.
Tutti attendono qualcosa, ora: risposte.
“Posso farlo io.”
Ikki attira su di sé l'attenzione. Saori trema, Mia sgrana gli occhi sorpresa.
“Siamo tutti fratelli. Cento figli di Mitsumasa Kido allevati per proteggere la sua preziosa nipote.”
Seiya non trova aria. All'improvviso è come se si fosse tuffato dalle scogliere di Atene e si sia dimenticato come si riaffiora in superficie. Vede Mia, oltre il velo di lacrime di rabbia che gli offuscano la vista, arretrare e andare a sbattere contro la porta dello studio.
Il silenzio, ora, è opprimente.
Il silenzio, ora, è un requiem per una vita di bugie e finzione.
Il silenzio, ora, è tutto ciò che lo divide da Mia.
E che li dividerà per sempre.

 

Ha corso sino a farsi esplodere i polmoni. Anzi, fossero esplosi almeno avrebbe avuto un motivo per morire. Invece è viva, e vivere ora è la cosa più disgustosa che esista. È figlia dell'uomo che odia da quando ha memoria ma, soprattutto, è sorella di Seiya. Anche degli altri, ma il problema è Seiya ora. Si dà una scrollata alle spalle e colpisce con forza il muretto che divide il marciapiede dal giardino pubblico, mandandolo in frantumi. La strada è deserta, alle prime luci dell'alba, e a Mia sembrano passati secoli da quando ha lasciato Villa Kido.
E adesso?
Adesso deve scegliere se restare al fianco di Athena o fare ritorno in Grecia dove l'aspetta la vita che conosce, quella che non può riservargli brutte sorprese e che è già stata percorsa da altri.
E se Saori decidesse di non rientrare al Tempio? Il suo posto è accanto ad Athena, dopo tutto.
Ma se Athena non vuole fare il proprio dovere, perché dovrebbe farlo lei?

 

Hyōga non lo crede possibile. Seiya è saltato alla gola di Ikki come un cane rabbioso, e ci sono voluti lui e Shun per allontanarlo.
“Menti! Sono tutte cazzate!”
“Perché non lo chiedi a lei?” gli ha chiesto senza scomporsi.
Saori è rimasta in silenzio alcuni istanti, poi ha annuito.
“È la verità.”
Un'ammissione di colpa e Mia è uscita dalla stanza senza nemmeno voltarsi o aspettare altre spiegazioni. Ora Saori li guarda negli occhi, uno a uno, poi sospira.
“Avrei dovuto dirvelo prima, ma non ne avevo il coraggio. Non era giusto che... distruggessi tutto.”
Fa una pausa, poi lentamente fa un cenno alzando la mano dinnanzi a sé e un cosmo potente, caldo e avvolgente, si sprigiona da lei.
“Sono Athena. Per questo il nonno vi ha messi al mondo. Per proteggermi.”
Allora, all'improvviso, tutto sembra così assurdo da non lasciare spazio alla realtà.

 

*

 

Il tempio shintoista si trova in una zona tranquilla, a est dal centro della capitale. Immerso nel verde, la scalinata che lo separa dal resto del quartiere è un ottimo deterrente per far desistere i peggiori curiosi, turisti compresi. Il Decumano osserva il Gold Cloth di Sagitter quasi completo. Manca l'elmo, l'unico pezzo in mano ai Bronze Saint.
Osserva i Silver Saint al suo cospetto, uno a uno, compiaciuto.
“Il Sommo Sacerdote è soddisfatto del compimento della vostra missione. Vi richiama ad Atene, dove vi è urgente bisogno di tutta la forza militare disponibile.”
“Non abbiamo ancora l'elmo” confessa Misty irritato.
“Farà in modo di ottenerlo. Così è stato deciso. Verrà dichiarata guerra a Saori Kido e ai Bronze Saint. Chiunque di voi veda uno di loro, è tenuto a consegnare la loro testa al tempio. Potete fare ritorno a casa, ora”
Moses fa scrocchiare l'osso del collo e sorride: è caccia aperta, prima di tornare.

 

Mia desidera parlare a Marin, raccontarle di Athena, ma non si fida di Shaina e non vuole destare sospetti. Ha cercato di sedare il cuore e si è detta che può aiutarli dal Tempio, in qualche modo. Dopotutto, può ancora essere un'ottima infiltrata per conoscere le mosse del Sommo Sacerdote. Non sa come potrà comunicare con loro, ma troverà una soluzione. E poi Athena ha i Bronze Saint al proprio fianco, meglio di nulla no?
Troverà, soprattutto, la propria strada, ripercorrendo ogni giorno la scalinata che porta al Tempio, ogni giorno a ricordare che quella meta un tempo significava tutto.
“Se tu incontrassi Athena cosa faresti?”
Lo domanda a Shaina, a bruciapelo, mentre fanno ritorno verso casa sua. Partiranno l'indomani e rientreranno in patria.
“La proteggerei, così come ho giurato.”
“A ogni costo?”
“Anche a costo della vita.”

 

Saori non si aspettava di vederla tornare. La guarda ancora una volta in piedi dinnanzi a sé, mentre cerca le parole migliori con cui congedarsi. Sa che è un addio, il loro, di quelli che – in un certo senso – ti lasciano l’amaro in bocca per quel senso di incompiuto che si portano dietro.
“Il nonno voleva che lo sapessi in un altro modo, Mia.”
“Non mi interessa cosa volesse il vecchio. Non sarebbe cambiata la sostanza. Ritorno ad Atene.”
“Ho bisogno di te qui.”
“Hai bisogno di qualcuno che conosca le mosse del Sommo Sacerdote per evitare di farvi ammazzare. È legge marziale al Tempio, Saori. Appena metterete piede sul suolo di Grecia avrete addosso gli occhi di tutti i Saint. Devi dimostrare di essere Athena prima che qualcuno ti faccia seriamente del male.”
Si sorprende di sentirle dire quelle parole e sorride.
“Adesso ti preoccupi per me?”
“Ho giurato di servire Athena, non Saori Kido” si limita a ricordarle quello che racchiude la più grande verità del mondo: non cederà mai ai desideri del suo involucro umano, ma solo ai comandi del divino.
Quando ti dimostrerò di essere  degna di essere Athena, non è così?
“Puoi fare ritorno ad Atene, Silver Saint di Aglaia.”
Mia non le risponde e fa per uscire dalla stanza, ma Saori ha ancora una cosa da dirle.
“Aspetta. Il nonno mi disse di darti questa, quando avresti compiuto sedici anni. Non è ancora il momento, ma se vuoi sapere tutta la verità credo che qui troverai molte risposte.”
Le mostra, adagiato sul tavolo, un vecchio diario rivestito in pelle chiuso da un'elegante serratura in argento.
“Sono gli appunti del nonno.”
“Non mi interessano.”
“Forse un giorno vorrai sapere.”
“Ogni volta che si tratta di sapere, quando ci siete in mezzo voi Kido, sono solo lacrime. Preferisco smetterla di ferirmi inutilmente.”
“Puoi buttarlo se lo desideri. Ma è tuo.”
“Tu l'hai letto?”
Saori scuote il capo.
“No. A me ha lasciato altri ricordi, non il suo diario. Voleva che quello lo avessi tu.”
Mia esita, poi lo afferra e lo infila nella propria borsa da viaggio.
“Fa' attenzione Saori e non abbassare mai la guardia.”
È così che si congedano prima di rivedersi, di nuovo, ad Atene, all'ombra del Tempio.

   
 
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