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Autore: y3llowsoul    21/03/2014    2 recensioni
Le quattro mura grigie, il vuoto della stanza, l'umidità, il freddo – tutto gli faceva, in modo inquietante, pensare a un carcere. Il fatto che non sapesse che cosa intendevano di fare di lui non migliorava il suo stato e non sapeva neanche che cosa dovesse pensare del fatto che per quanto sembrasse non lo sapevano neanche loro. Sembrava che l'avessero semplicemente spostato lì finché il problema non si fosse risolto da solo. Per esempio tramite Charlie se si fosse deciso a lavorare di nuovo per loro. Oppure se avessero concluso i loro affari. Oppure se Charlie si fosse suicidato.
Charlie collabora a una missione segreta. Don cerca di venire a sapere qualcosa della faccenda, ma quando finalmente ci riesce, non è una ragione per rallegrarsene, e per la famiglia Eppes cominciano periodi brutti.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre, mille grazie sia a BlackCobra per recensire sia ad Alchimista per correggere :)
 




36. Errare humanum est


Now ain’t it good to know that you’ve got a friend
When people can be so cold?
They’ll hurt you, yes, and desert you
And take your soul if you let them.
But don’t you let them.
(Carole King, You’ve Got a Friend)


Megan sembrava essere molto nervosa dalla serata trascorsa esattamente fino al momento in cui suonò il suo cellulare, giovedì mattina. Larry. Don si allontanò (senza dire nulla) discretamente, sarebbe sembrato insensibile se le avesse ricordato che originalmente stavano cercando Charlie prima che lei non avesse almeno parlato con Larry e anche se Don si sentiva davvero sotto pressione per il caso, non poteva ignorare che l'incidente di Larry aveva con tutta probabilità qualcosa a che fare con la sparizione di Charlie, questo era più che inquietante.

Insomma, che cosa stava succedendo?

Don sprofondò nella poltrona vecchia e dall’odore di muffa – uno dei pochi mobili nella camera – e si immerse nei suoi pensieri. Questo caso gli sembrava talmente complicato... ma forse era semplicemente lui che stava impazzendo .

Ricordò le varie vicende e fatti ancora una volta. Anna Silverstein, una delle infermiera di Charlie, aveva ricevuto dei soldi per i controlli che aveva fatto, probabilmente da John Doe. Avevano tentato di rintracciare il trasferimento, ma la pista aveva condotto solo a un vecchio uomo che in un secondo momento avevano scoperto essere già morto, ma il suo conto era ancora attivo. L'uomo morto non aveva parenti e così non c'era un'indicazione circa chi poteva essere entrato in possesso del suo conto, soprattutto perché ora, non avvenivano più transazioni.

Dunque, Anna Silverstein aveva ricevuto dei soldi. Ma perché era stata uccisa? Sembrava essere coinvolta nella faccenda solo nel ruolo di informatrice, non di più, perciò Don credeva che molto probabilmente erano state proprio quelle informazioni ad esserle state fatali, era stata uccisa lunedì, una settimana prima, lo stesso giorno della scomparsa di Charlie. Perché? Da quello che sapevano non aveva ricattato i suoi committenti, perché altrimenti non avrebbe buttato via il suo cellulare. Don era quasi sicuro che i sequestratori di Charlie avevano voluto liquidarla perché era una complice. Probabilmente avevano temuto che Anna Silverstein – se avesse saputo che avevano sequestrato Charlie (l'avrebbe saputo durante l'investigazione di Don se non fosse stata già uccisa) – avrebbe detto la verità. L'avevano fatta fuori perché era un potenziale pericolo e un potenziale aiuto alle indagini.

Dunque i due casi dovevano essere in relazione, ma c'era anche un terzo caso: il sabotaggio della macchina di Larry. Non avevano ancora il rapporto dell’incidente, ma Don non aveva più alcun dubbio che anche per quel caso avrebbero indagato sugli stessi colpevoli e questo gruppo doveva essere potente o almeno avere grandi possibilità di spostamento – considerando che poteva agire sia in California, sia in Mississippi.

Come un fulmine, un ricordo attraversò la mente di Don: la conversazione del giorno della scomparsa di Charlie con il suo superiore. “Posso solo presumere che lei abbia avuto a che fare con un avversario influente”, aveva detto Stevens. Don si sentiva sempre di più costretto a crederci.

I loro indiziati però non sembravano solo essere influenti, ma anche senza scrupoli, avevano ucciso una donna nel suo appartamento in pieno giorno perché poteva diventare un rischio se fosse stata interrogata e avevano fatto un attentato ad un professore universitario, ad un – almeno ai loro occhi – consulente innocuo.

Era in mano a queste persone che si trovava Charlie.

Il problema era che Don semplicemente non riusciva a vedere il movente dietro le azioni del gruppo, era necessario vederlo, doveva trovarlo, perché lentamente tutto questo avrebbe raggiunto una portata che avrebbe superato tutti loro. Larry era stato vittima di un attentato, per tutta probabilità a causa del suo aiuto nell’indagine sul rapimento di Charlie. Fino a che punto i sequestratori di Charlie sarebbero arrivati per eliminare i loro obiettivi? Chi era prossimo? Don poteva continuare ad assumersi la responsabilità dell'intera squadra? Larry sarebbe potuto morire per quel sabotaggio alla sua macchina. Don aveva il diritto a continuare a coinvolgere civili nell’indagine?

Ma si trattava di Charlie...

Don si passò le mani sul viso. Il suo punto di vista era ancora oggettivo? Non doveva perdere la testa.

Tentò di avvicinarsi al dilemma da un altro lato: si trattava di Charlie, questo era vero – dunque Amita e Larry avrebbero acconsentito a lasciar perdere il caso, innanzitutto? No... no, probabilmente no. E loro non erano stupidi, potevano pensare quale rischio stavano correndo... Sì, probabilmente non spettava a Don prendere una decisione... Ma doveva essere sicuro.

«Megan?»

Megan girò la testa, un sorriso leggero sulle labbra che gradualmente diventava sovrapposto da un'espressione colpevole. «Aspetta un attimo» disse al cellulare e poi, verso Don: «Sì?»

«Se Larry e Amita sono pronti a continuare a lavorare alle videoregistrazioni, dovranno farlo alla centrale. Fino a che non avremo chiarito se possono essere messi sotto protezione».

Megan annuì lentamente. Deglutì. «Okay», disse e trasmise l'informazione all'altra estremità della linea.

Don sospirò ad un tratto, si sentì infinitamente stanco, però ovviamente non c'era modo per lui di riposarsi prima di sapere Charlie di nuovo al sicuro, con loro.

- - -

Questa volta, Rosenthal voleva di nuovo interrogarlo di persona e non l'avrebbe trattato con i guanti. Questa volta avrebbe funzionato. Vabbè, forse non sarebbe successo subito quella sera – dopo una settimana e mezza!, constatò amaramente –, ma magari solo nel corso del giorno seguente. Ma una cosa era certa: lo avrebbero sconfitto. Erano invincibili.

«Allora, Dottor Eppes, è finalmente pronto a collaborare con noi?»

«No, non sono pronto a fare niente. Lasciatemi andare. E' privazione della liberà personale ciò che state facendo».

Rosenthal osservò il suo prigioniero. Sembrava esausto ed era ovviamente stufo di avere sempre le stesse domande e risposte, ma poteva anche vedere la determinazione nei suoi occhi. Eppes era risoluto a non collaborare.

Vedremo per quanto durerà.

«Si sbaglia. Sarebbe privazione della libertà se non fosse qui volontariamente».

Aveva vinto. Era talmente presso alla destinazione... Il dottore alzò lo sguardo, lo fissò, e Rosenthal riusciva appena a tenersi per gioia dell'attesa. Negli occhi interrogativi c'era talmente tanta paura che Rosenthal non avrebbe potuto godere di più per come stava riuscendo a tenere a bada il suo prigioniero.

«E' ancora convinto che i suoi amici la stanno cercando?» chiese infine in un tono deliberatamente casuale.

Il professore esitò. «Non lo so» rispose finalmente.

Ecco. Rosenthal aveva vinto. Eppes aveva paura per i suoi amici, lo sentiva. Se ora fosse stato capace di fargli capire quanto giustificata fosse quella paura, Rosenthal avrebbe potuto fargli cambiare idea, ne era sicuro. Il loro complice a Los Angeles magari si era spinto un po’ troppo oltre, ma il risultato era migliore di quanto Rosenthal avrebbe potuto immaginare.

«Ma noi lo sappiamo» disse, tirando fuori dalla tasca della sua giacca la stampa di un ritaglio di giornale che Juarez gli aveva mandato pochi minuti prima. «Noi sappiamo benissimo chi lì fuori sta cercando di trovarla. Sappiamo tutto. E lei dovrebbe sapere che facciamo giustizia sommaria con le persone che si immischiano nei nostri affari».

Aprì il foglio e lo tese verso il suo prigioniero. Avevano ritagliato l'articolo – menzionava anche Fleinhardt era sopravvissuto – e aveva tenuto solo l'immagine. Mostrava l'auto d'epoca del professore che era contro un albero, il lato del conducente talmente distrutto che nessuno avrebbe mai potuto immaginare che qualcuno fosse sopravvissuto. Un'immagine bellissima.

Rosenthal si concentrò sulla reazione di Eppes. Vide il sollevamento del suo torace aumentare in frequenza e veemenza mentre guardava la fotografia. Un segnale di principio di panico. Bene.

«Cerca di fregarmi».

Sì! Rosenthal serrò il pugno nella sua tasca, questa volta non per la furia, ma per un sentimento di trionfo: la voce del professore era bassa, appena udibile e rauca. Abbiamo vinto, abbiamo vinto, abbiamo vinto...

«Non conosco la macchina».

Vabbeh', quello era davvero miserevole. «Avanti, Eppes, chi vuole illudere? Dalle uno sguardo più accurato, penso che dovrebbe addirittura poter vedere la targa. Ma non sarà necessario, lei sa quanto me a chi appartiene questa macchina. E sa anche perché abbiamo dovuto farlo. Il suo amico l'ha cercata. Ha pensato che lei non volesse stare con noi. E questo è il risultato di tale valutazione errata».

Il dottore continuava a respirare in quel modo così grave. Che cosa toccante.

«Come sta?»

Oh-oh. Rosenthal retrocesse un po' con il suo busto. Non aveva anticipato questa reazione. Aveva stimato Eppes in modo erroneo. Non aveva creduto che gli occhi del dottore fossero ancora in grado di attaccarlo con questo sguardo schizzante di furore. No, questo era inatteso.

Ma erano ancora loro ad avere tutti i vantaggi.

«Beh', non so come sta il suo amico. Ma non mi sembra che le cose gli vadano bene. Mah, mah, mah... la macchina è davvero un relitto adesso. Chi sedeva al posto di guida potrebbe esser sopravvissuto? Personalmente, ne dubito. Ma probabilmente bisognerebbe esser un matematico per saperlo».

Con divertimento Rosenthal vide la sua vittima serrare i pugni. E sicuramente non l’aveva fatto per un sentimento di trionfo.

«E' davvero peccato per il suo amico» continuò Rosenthal con quel cinismo che – almeno secondo lui – gli stava così bene. «Mi chiedo come i suoi conoscenti reagiranno alla notizia. Dicono che ha una collega bellissima, una certa Amita Ramanujan». Rosenthal non era sicuro, ma gli parve che i pugni si serrassero ancora di più quando menzionò quel nome. Eppes però continuò a scansare il contatto visivo, tenendo la sua testa bassa, testardo. «Come reagirà lei? Chissà, forse è talmente disperata a causa della morte del suo collega che magari si butterà dal tetto dell'edificio universitario? O forse prenderà inavvertitamente una dose eccessiva di sonniferi? Sono cose che succedono quando si è disperati... Chissà, forse domani ci sarà un articolo su di lei nel giornale. Però io penso che vivrebbe con molti meno pericoli se lei, Dottor Eppes, acconsentisse finalmente a lavorare con noi».

Rosenthal era sicuro di essersi espresso chiarissimo. E non dubitava per un momento che adesso Eppes avrebbe collaborato. Avevano – come sembrava – ucciso il suo miglior amico e adesso minacciavano di togliere dalla circolazione anche la sua ragazza. In realtà Eppes non aveva scelta.

Gli mise un contratto sotto il naso con cui il dottore, una volta firmato, sarebbe diventato in parole povere loro schiavo e avrebbe dichiarato il trattamento finora e futuro della sua persona completamente legale, e gli diede una penna. «Allora, dottore?»

«Io...» La sua voce ormai non era più di un gracchio. Avevano vinto, maledizione, ce l'avevano finalmente fatta!

«Sì?»

Infine, Eppes levò la testa. I pugni erano ancora serrati e negli occhi c'era ancora quell’ira, ma non c’era solo questo. A causa della sua sicurezza di vincere, Rosenthal era incapace di nominarlo, ma aveva un po' l'impressione di essere radiografato da quello sguardo.

Lo sguardo e il silenzio di Eppes prolungarono prima che, infine, rispose.

«No».

Si poteva quasi udire il dottore deglutire, così silenzioso era ad un tratto. «Non vi aiuterò».

- - -

La sua squadra era eccezionale, non c'era un dubbio. Lavorando sia dal Mississippi sia dal Nebraska, avevano controllato una montagna di documenti più o meno segreti, ma in grande parte virtuali, e non si erano dati per vinto finché non avevano trovato finalmente ciò che cercavano: il gruppo dei sequestratori.

Partendo dal numero di John Doe avevano prima identificato il suo offerente, e dopo alcuni telefonate e negoziazioni avevano infine ricevuto un accesso limitato ai dati dell'utente. Non conoscevano il suo nome, ma avevano alcuni dei numeri che aveva chiamato, nonostante dal giorno prima dell'omicidio di Anna Silverstein e della scomparsa di Charlie non era stata effettuata alcuna telefonata dal cellulare. I criminali avevano perso il coraggio per fare qualunque cosa stavano progettando? In ogni caso non erano stati certamente felici quando sulla scena dell'omicidio non avevano trovato il cellulare della loro vittima, l'unico legame con loro.

Non avevano potuto verificare la maggior parte dei proprietari dei numeri di cellulari trovati perché – proprio come il cellulare di John Doe – non si trattava di modelli con contratto e dunque non era stato necessario fornire dati privati. Tuttavia riuscirono a risalire a tre numeri fissi. Quando li controllarono scoprirono che tutti e tre lavoravano per agenzie investigative, due nell'amministrazione della CIA ed uno all'FBI. E quando fecero un controllo un po' più accurato, la bomba scoppiò: il loro terzo utente di telefonia fissa, un certo Clifford Wellman, lavorava nel FBI da più di dieci anni. E da meno di due settimane era scomparso.

C’era voluto più incoraggiamento che tempo per persuadere il capo della sede in questione, James Burbank, a dare loro le informazioni principali dell’indagine. Wellman era ancora introvabile, ma la squadra responsabile seguiva una pista promettente nel Parco nazionale di Yellowstone.

Don era diventato particolarmente impaziente quando lo aveva sentito, e aveva sentito come un campanello nelle orecchie. Erano così vicini, su una pista così promettente... Un parco nazionale, sarebbe perfetto, un nascondino perfetto per una vittima di sequestro. E Wellman era scomparso ed era legato a John Doe che aveva pagato Anna Silverstein per osservare Charlie... Tutto aveva senso, erano talmente vicini... Ad un tratto, tutto andava così veloce che Don doveva far attenzione a non perdere la visione d'insieme. Adesso non dovevano più fare errori, dovevano andare dritti al loro scopo...

In mattinata, un elicottero sarebbe stato pronto per portare lui e Megan in Idaho, al confine del parco, dove avrebbero incontrato la squadra investigativa. E speravano di incontrare anche David e Colby.

Intanto era la sera del giovedì e Don non aveva alcuna intenzione di andare a letto, benché Megan dormisse già. Non sapeva come ci riuscisse. Perché anche se la giornata era stata più che faticosa, lui sembrava ancora avere un sacco di energia, per quanto fosse energia nervosa, adrenalina pura, attinta dalla rediviva speranza di avvicinarsi a suo fratello sempre più ad ogni minuto che passava.

Don era più che contento dei risultati del giorno. Non solo avevano fatto grandi progressi con il caso, ma avevano anche potuto organizzare un servizio di protezione per Amita e Larry dopo che Don, senza dimenticare suo padre, li aveva sistemati a casa di Charlie. Inoltre facevano finalmente progressi nella ricerca di Charlie, era ora. Solo il giorno prima avevano trovato la pista di John Doe e oggi erano già alla caccia di un’intera banda di criminali. Era, però, un seguire le tracce piuttosto che una vera e propria caccia, perché a Don non sfuggiva che fossero ancora molto lontani dalla loro meta e non solo in termini di spazio. Giusto, avevano un'indicazione, il Parco nazionale dello Yellowstone, ma Don non poteva ignorare il fatto che l'altra squadra dell' FBI, quella che cercava Wellman e i suoi presunti complici, si muoveva già da due settimane senza successo. Come poteva sperare che loro invece avrebbero avuto più successo? Era completamente irrazionale, ma la speranza continuava a bruciare.

Con la meta davanti agli occhi e lo sguardo fisso sulla parete della camera scura del motel, era arrivato il momento in cui Don non poteva più eliminare quegli scenari orribili dalla sua testa. Doveva confrontarsi necessariamente con la domanda riguardo cosa i sequestratori avrebbero potuto fare a Charlie; la risposta era probabilmente necessaria per trovarlo.

Un gelido brivido attraversò la sua schiena quando per un attimo gli venne il pensiero che sarebbe potuto essere già troppo tardi. Forse era tutto inutile. Forse i sequestratori si erano già sbarazzati di suo fratello. Forse non avevano più saputo che farne di lui oppure lui era diventato un rischio o magari si erano semplicemente tirati indietro dalla loro impresa e l'avevano fatto fuori–

Il corpo morto di Charlie apparve davanti ai suoi occhi, pallido, le membra storte, sul terreno nudo in una stanza vuota, illuminata solo da un lampadina, gli occhi scuri verso lui, senza espressione, lo fissavano, senza che le palpebre li coprissero, fissando il vuoto di un altro mondo, morto...

Don riuscì appena a sopprimere un conato di vomito, e non tentò nemmeno di trattenere le lacrime che premevano nei suoi occhi. Charlie... Che cosa sarebbe successo se l’avesse davvero perso? Sarebbe stato davvero come alcuni mesi prima, quando l’avevano creduto morto...

Don deglutì e ad un tratto si sentì debole. Non l'avrebbe sopportato. Non avrebbe potuto sopportare quella cosa una seconda volta. Charlie doveva essere vivo; era l'unica possibilità. Perché la fine di suo fratello avrebbe significato la sua stessa fine.

 

  
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