ciao ragazzi! questo è uno dei miei sogni irrealizzati, e ormai è troppo tardi. ma mi piaceva l'idea di metterlo per iscritto, almeno da qualche parte sarebbe vissuto per sempre *__*
buona lettura!
Due
Balli
Sembrava
strano dirlo dopo così
tanto tempo, ma continuavo ad amarlo anche dopo otto anni di totale
(almeno
apparente) indifferenza da ambo le parti.
E quella era probabilmente l’ultima
sera in cui sarei riuscita a vederlo per bene. Erano otto anni che
vivevamo in
amichevole distacco, ma io (prego notare l’idiozia)
continuavo a morirgli dietro.
Invece ci eravamo sempre trattati con familiarità, quasi
come fratello e
sorella, e niente, a parte alcuni occasionali sguardi che mi avevano
tolto il
sonno per diverse notti, che passavano davanti agli occhi, come un
film, torturandomi
con quello sguardo intenso di un azzurro ghiaccio stupefacente.
Ed anche ora, che ero
apparentemente persa in conversazione con il gruppo di amiche con le
quali ero
venuta al ballo di fine anno, continuavo ad averlo davanti agli occhi,
mentre
ballava ogni ballo con una ragazza diversa. Anzi no, rettifico: lui
ballava e
la ragazza faceva il palo, in modo che i signori della pista (erano al
centro,
davanti all’attenzione dell’intera sala)
mostrassero a tutti come eseguire una
perfetta lap dance. Al maschile. Ma devo ammettere che ad una ragazza
aveva
concesso ben due balli. In
effetti,
era riuscita a mettere un piede davanti all’altro per addirittura due volte di fila, quindi
aveva potuto ballare con lei
anche più di un ballo senza rischiare che pestasse i piedi a
tutta la sala.
La mia metà più incline al romanticismo
continuava a invocare un qualche Essere Supremo sconosciuto (che avevo
rinnegato anni fa) che mi dimostrasse la sua presenza ispirandogli di
invitarmi
a ballare. Così almeno sarebbe stato un ballo e non una lap
dance: io so ballare, e
particolarmente alcuni
balli.
Ma no, niente: evidentemente
Perciò me ne uscii in un
appropriato “uhm” di assenso
all’affermazione di una mia amica a proposito del
trucco di non-avevo-bene-capito-chi e continuai a sognare ad occhi
aperti i
balli che avrei voluto fare con un bravo ballerino. A caso, ogni accenno a fatti e persone realmente
accaduti è assolutamente casuale.
A metà serata una ragazza venne
verso di me e mi disse che le piaceva come ero vestita. Io ringraziai
con un
sorriso, pur non capendo perché mai
me lo fosse venuta a dire, ma mi fece piacere lo stesso;
ed in effetti quel vestito, stranamente era vero, mi donava,
pur
essendo semplicissimo: di cotone nero, sbracciato, con uno scollo a V e
a vita
alta, ma abbastanza aderente da dimostrare che non avevo niente da
nascondere.
Che ci volete fare, la vanità è una brutta
bestia. Quasi quanto l’orgoglio.
Lungo (sogg. sott.: il vestito) fin sopra le ginocchia. È
sempre stato uno dei
miei vestiti preferiti. Era comodo poi, mi permetteva di muovermi
liberamente.
Ma non aveva la minima
importanza, visto che in quel momento ero seduta. Avevo ballato un
po’
all’inizio della serata, con due o tre cavalieri imbranati
quasi quanto i pali
della suddetta lap dance che si svolgeva in quel momento in mezzo alla
sala. Ma
ballare a quel modo mi aveva depresso talmente che, con una scusa
qualsiasi, mi
ero seduta, rimpiangendo in tutte le lingue di mia conoscenza il non
avere un
cavaliere capace di un’azione rivoluzionaria come il ballare.
Fu quando lo stereo attaccò il
mio ballo preferito (anche se preferisco non ricordare quante camice
avevo sudato
prima di riuscire a impararlo) che sentii che non potevo stare peggio
di così. Perché diavolo
ero costretta a stare
seduta quando mi scorrevano davanti le note di uno dei balli che ero
quasi sicura
di essere l’unica a saper fare?!
La vita a volte è ingiusta. Grandissima
cazzata. La vita è regolarmente ingiusta.
Eppure fu proprio quello il
momento che il mio fantomatico Essere Supremo scelse per manifestarsi.
Una mano
si tese verso di me. «Posso?»
Non ho capito bene, è una
domanda? Pensi anche che una persona come te debba chiedere? Va bene,
se
infierisci infierirò anch’io.
«No!» dissi ridendo e prendendogli la mano. Mi
alzò con un sorriso. Di quelli che nessuno si stupirebbe se
fermassero la
respirazione. Ma fortunatamente la mia era mediamente sotto controllo,
almeno
all’apparenza.
Le note ora cominciavano a farsi
più incalzanti. «Lo sai ballare?» mi
chiese malizioso.
Io mi volsi a guardarlo. Guardami mentre lo
ballo. «La vera
domanda è: mi sai portare?»
Il suo sorriso si allargò.
La pista era praticamente vuota.
Noi ci posizionammo uno di fronte all’altra, e la nota
dell’attacco partì.
Passo. Ora puoi dimostrare che non sei solo una sapientona. Fai vedere
a quei
pali e al loro ballerino di cosa sei capace quando vuoi.
Sempre più vicini. Passo. Gira.
La voce della canzone partì.
L’avevo vista in film così tante volte…
«First, there is desire…»
Vicinissimi, ma nessuno guardava
l’altro negli occhi, lo sguardo restava basso. Ci giravamo
intorno, i nasi
quasi si sfioravano, le mani quasi sfioravano il corpo
dell’altro. Ma quasi.
«Then… passion.»
Il mio braccio finì nella sua
mano e lui mi fece girare. Alla fine del giro eravamo abbracciati, una
sua mano
che mi stringeva alla vita e mi spingeva verso di lui, la mia dietro la
sua testa,
l’altra sua vicinissima alla mia gamba. Fuoco. Una vicinanza
molto, molto piacevole, ed era
strano che si
fosse presentato un ballo così opportuno… ma
meglio non gufare.
Pausa, in cui, almeno nel film, i
due assaporano la presenza dell’altro. Poi il mio sguardo e
la mia mano si tesero
verso un punto imprecisato della sala.
«Then… suspicious!»
La sua mano levò bruscamente la mia da intorno
al suo collo e mi fece allontanare di un passo.
Lo sguardo mio ora era infuocato.
Preoccupato. Finzione, ovviamente, recitare la parte. Stranamente, non
ero
preoccupata.
Cominciammo a ballare sul serio,
girando intorno a noi stessi, spostandoci, lui continuava a lanciarmi e
a
fermarmi, io seguivo i passi e non lo guardavo, poi, una altro passo,
lo
cominciai a tirare verso di me, la testa piegata all’indietro.
Alla frase successiva, giù, con
la gamba destra tesa dietro di me, quasi in spaccata, mentre lui
continuava a
serrarmi il polso. Una posa che faceva sempre scena, guardata da fuori.
Non
sapevo quanto avevo penato per raggiungere
quell’elasticità, io che ero sempre
stata rigida come una spranga di ferro a temperatura 0.
Poi mi fece rialzare, tre passi e
mi lasciò andare voltandosi. Anche io gli diedi le spalle e
mi strinsi il
polso.
Quando la voce dello stereo urlò:
«Mad!» ci
voltammo entrambi l’uno
verso l’altra, lui con le braccia tese verso di me, io come
sul punto di cadere,
protendendo le mani verso di lui, come se volessi raggiungerlo ma non
osassi.
Poi gli corsi vicino, mi voltai di spalle, e quando il tango vero e
proprio
cominciò ero pronta, pronta con uno dei migliori cavalieri
che avessi mai avuto.
Chissà perché, eravamo talmente
in sintonia che ogni passo di uno veniva anticipato ed assecondato
dall’altro.
Completamente uguali.
Girava
su sé stessa con una
naturalezza che non avevo mai visto in nessuno, neanche nelle mie
compagne di
corso. Poi inarcava la schiena come se fosse di gomma, mi seguiva
tranquillamente. La interpretava.
Nel film, lei cambiava
continuamente cavaliere, mentre qui eravamo solo noi due.
Ma io conoscevo tutti i passi, ed
evidentemente anche lei. Anche quando fummo costretti a cambiare alcune
coreografie rispetto alle originali, visto che alcune non erano
possibili,
riuscivamo quasi a leggercele nel pensiero, avevamo gli stessi impulsi.
Le affondai il viso nella spalla,
mentre lei alzava il suo verso l’alto. Giro. Poi la sollevai
e la feci ruotare.
Ero
scioccata. Mi sollevava con
una facilità assurda, come se invece di pesare…
(censura, mai chiedere il peso di
una ragazza), ne pesassi venti di meno.
Quando mi rimise giù, la musica
era in un attimo di pausa. Io portai le mani al suo viso, come nel
film, reprimendo
l’impulso di baciarlo e annegando invece nei suoi occhi, poi
mi allontanai
mentre la sua mano si levava dal mio fianco e lui si voltava a occhi
bassi,
come disperato. Perché era solo una recita?
Poi tornammo lentamente ad
avvicinarci, e la music ripartì veloce, incalzante, come a
spingerci a dare
nuovamente il massimo.
E l’avrei dato, costasse quel che
sarebbe costato.
Passi
classici, all’inizio, poi
lei scese nuovamente con la gamba destra tesa, mentre io facevo
altrettanto.
Adoravo quel passo, era uno dei miei preferiti, e faceva sempre scena.
Mi alzai e la sollevai, poi la
portai indietro e lei, senza lasciare le mie mani, cominciò
a girare. Passo,
passo, passo, poi giravolta completa, mentre le alzavo le mai sopra la
testa.
Si piegò all’indietro mentre io
mi piegavo su di lei. La sua testa arrivava quasi a sfiorare il
pavimento,
mentre io la reggevo per i polsi. Non ansimava nemmeno, nonostante il
ballo
fosse impegnativo. Il suo viso recitava le sensazioni che avrebbe
dovuto
mostrare su un palcoscenico: dolore, disperazione…
Ero scioccato: era veramente brava
a ballare. Be’, non che
finora avesse avuto grandi concorrenze: fino ad allora mi ero imbattuta
solo in
manichini, per quanto molto sexy, che sembravano appena aver ingoiato
una
scopa.
Avevo esitato molto prima di
invitarla, nonostante l’avessi vista ballare un paio di
volte. Molto sciolta, mi
era sembrata, ma anche rassegnata, in qualche modo. Ma come darle
torto? Aveva
avuto dei cavalieri penosi, doveva fare tutto lei. Che buzzurri!
Poi si era seduta assieme alle sue
amiche e io mi ero trovato un manichino capace di eseguire due passi di
fila,
una delle mie ultime conquiste. O meglio, non sono proprio sicuro fosse
una
delle ultime. Non potevo certo
conoscere tutte le ragazze che mi morivano dietro! In quei cinque anni
ero uscito
con tutte le ragazze del mio anno. No, errore, quasi tutte: lei mancava
all’appello. Lei e alcune ragazze del suo gruppo. Finora ci
eravamo trattati
con familiarità, ma niente di più. Solo ogni
tanto, uno sguardo assorto mentre
mi guardava mi faceva pensare che le interessassi. Ma poi riprendeva a
trattarmi normalmente e mi lasciava a lambiccarmi sul significato di
quello
sguardo. Quello sguardo con due occhi che erano gli unici a poter
tenere il
confronto con i miei, dello stesso colore del cielo, profondi e spesso
che
sembravano prendermi in giro, con uno sguardo che, non ero mai riuscito
a
capire perché, mi piaceva alla follia.
E quindi era pericolosa. Per
questo, nel mio inconscio, almeno, non l’avevo invitata a
ballare subito.
Ma alle prime note del Tango de Roxane, si
erano volatilizzati tutti. E io
avevo intercettato un suo
sguardo bramoso rivolto alla pista. No, uno sguardo del genere non
poteva
restare inascoltato.
Perciò mi ero avvicinato e le
avevo chiesto di ballare.
Lei aveva replicato con una delle
sue solite battute maliziose.
Ma quando aveva cominciato a ballare
avevo dimenticato tutto.
Ballava da dio. E non importava
che ballassi da dio anch’io, perché se sai
ballare ma non puoi trovare un partner alla tua altezza, allora
è inutile sapersi
muovere bene.
E invece era bravissima. Non me lo
sarei mai aspettato da lei, ma aveva risposto
a tutte le mie sollecitazioni senza neanche pensarci, come se ci
fossimo messi
d’accordo. E a questo non ero abituato.
E poi c’era la musica che, be’,
era il massimo. Descriveva quello che avrei voluto dirle ma che non
avevo mai
osato fare. Ci stavamo parlando attraverso quella musica.
Gamba
sul fianco, che lui prese
ed usò come leva per farmi girare.
Un ballo compromettente, ma in
fondo parlava di una puttana, non poteva certo essere un minuetto.
Avrei dato
una mano per vedere lo sguardo dei pali mentre mi guardavano ballare a
quel
modo. Sapientona in tutto, compresi i passi di tango. Del nostro tango.
Ma devo dire che questi furono
pensieri successivi. Nel presente esisteva solamente il fatto che
stessimo
insieme, che potessimo stare vicini senza nessun tipo di pettegolezzi a
seguito. Che i suoi occhi mi guardassero, ardenti di quel fuoco di
ghiaccio che
era solo suo.
Gamba tesa dietro per aumentare
la spinta della giravolta. Avevo accettato il fatto che riuscisse a
muovermi senza
nessuno sforzo apparente, e ne approfittavo fino a quando e quanto
potevo.
Quando ci fermammo, rimanemmo
abbracciati, mentre ricominciava la pausa. Il suo viso era nuovamente
nell’incavo del mio collo, ed ad un certo punto lo sentii
schiudere le labbra.
La
baciai sul collo
delicatamente, senza che nessuno se ne accorgesse.
Avevo solo immaginato il brivido
che la scosse? Non avrei saputo dirlo.
Chissà perché stavo facendo tutto
questo. Non avrei saputo dirlo. Forse era il ballo. In fondo, parlava
di una
puttana e di un uomo tanto pazzo da innamorarsi di lei, tanto geloso da
fare
come Otello ed ucciderla. Meno pazzo, forse, perché in quel
caso era
giustificata la sua gelosia.
Cominciai a condurla avanti,
quindi lei ballava all’indietro, una mano che sorreggeva la
sua in alto e
l’altra in vita.
Ci guardavamo negli occhi, ormai
erano legati a doppio filo. Nei miei c’era lo stesso fuoco
che io vedevo nei
suoi?
La girai di spalle, il mento
all’altezza del suo collo, una mano che portava la sua verso
l’esterno. Cominciai
a roteare su me stesso, portandola dietro con me. Poi la presi per una
mano e
cominciai a farla girare velocissima, per poi fermarla di scatto ed
avvicinarla
nuovamente a me. I passi ora erano uguali.
Poi fece tutto lei: scese
nuovamente a gamba tesa all’indietro, si rialzò un
battito di ciglia dopo, si
aggrappò a me, io la sollevai e ricominciai a farla girare
su sé stessa. Lei
mano a mano cambiò posizione, unendo le gambe ed inarcando
la schiena, mentre la
giravolta continuava.
Poi cominciammo a fermarli mentre
c’era un nuovo diminuendo. Ci cominciammo ad allontanare, ma
con sempre una
mano ad unirci e lo sguardo incatenato. Bramoso, rovente, impaziente.
Poco
prima che la musica
riattaccasse, io gli misi una mano sulla spalla e l’altra la
diedi a lui, sostenendo
le braccia.
Il suo sguardo continuava ad
essere abbassato verso di me.
Era così bello pensare che,
nonostante portassi dei tacchi non indifferenti, riuscisse comunque ad
essere
più alto di me…
I passi ora erano regolari, ci
giravamo in tondo, anche se abbastanza lontani. Un momento di pausa per
riprendere fiato.
Poi le vene si riempirono
nuovamente di fuoco, ed allora io ripresi a girare, una gamba piegata,
fino a
quando lui non mi buttò giù in casquet
e mi ritirò su in rapida sequenza, per un paio di volte.
Dio, quant’era bello…
Poi io cominciai a girargli
attorno, una mano che gli scorreva sulle spalle mentre la sua testa
continuava
a seguirmi. Poi mi riprese in vita e mi fece piegare nuovamente
all’indietro.
Io mi ritirai su con una giravolta e cominciai a muovermi
all’indietro
tenendolo per le spalle e portandolo con me. Mi seguiva, ma non si
lasciava
dominare. Non feci in tempo a fare tre passi che mi allargò
bruscamente le
braccia e mi portò verso di sé. Lasciò
la presa sul braccio sinistro e mi fece
fare una nuova giravolta, prendendomi poi per tutte e due le braccia e
facendoci girare in contemporanea. Era uno dei miei movimenti
preferiti, non so
perché…
Ci separammo. Peccato, stavo
cominciando ad abituarmi a quel contatto… Io cominciai a
ballare in assolo
mentre lui mi girava intorno, come un cacciatore che studia il punto
migliore
per attaccare una preda, poi venne nuovamente a prendermi per
sollevarmi sopra
la testa e farmi girare. Io avevo le braccia spalancate, lo sguardo
fisso verso
il soffitto e la testa ancora concentrata. Su cosa poi, era arduo a
dirsi.
Mi fece ruotare per un po’, poi
mi lasciò e mi fece… sbattere, passare, scegliete
la vostra versione,
nuovamente fra le sue braccia, come se dovesse prendermi dopo una
spinta. Io mi
stavo abbandonando.
Alla fine mi fece girare, stringendomi
a sé in una morsa crudele, mi strinse in vita con una mano e
l’altra mi venne
passata sulla gola come se fosse sua intenzione tagliarla.
Io persi d’improvviso forze
(ovviamente era un recita; anzi, a essere precisi, era
l’ultimo passo) e caddi
a terra, in loco mortis. A braccia
aperte, con gli occhi chiusi.
Cadde
come se non avesse atteso
altro per tutta la serata. Sembrava morta sul serio.
Prima che le ultime note si
spegnessero, io mi inginocchiai accanto alla sua mano destra, la presi
e ci
posai la fronte. Mi piaceva fare scena, e, in fondo, altri passi erano
stati
modificati. E poi, anche se non l’avrei mai ammesso, era
quello che avrei fatto
io se mi fossi trovato al posto del suddetto emulo di Otello.
Quando la musica si fermò, penso
che la sala fu a serio rischio crollo dalla marea di applausi che ci
sommersero. Non mi ero neanche accorto che fossimo soli in mezzo alla
pista,
anche se, a pensarci bene, non poteva che essere così, visto
che ci eravamo
mossi per una superficie decisamente maggiore
a quella normalmente consentita.
Io alzai la fronte, lei aprì gli
occhi e sorrise. Si sedette tirando su la schiena, con quel sorriso
gioioso,
trionfante, che capivo perfettamente.
Mi alzai in piedi tenendole la
mano e l’aiutai ad alzarsi.
Sembrava sul punto di ridere.
Quando fummo entrambi in piedi potei notare che tutti i ragazzi
presenti erano
in piedi e battevano le mani.
Poi arrivarono i miei amici,
dandomi sonore pacche sulla schiena.
«Confessa, da quant’è che vi
esercitavate?» mi dissero ridendo.
Io alzai le spalle. Continuavo a
cercare lei con gli occhi. Quando la vidi, era circondata dalle amiche,
che
continuavano a parlarle, ma il suo sguardo era per me.
Sorrideva come non l’avevo mai
vista sorridere, era straordinariamente diversa dalla solita amica
so-tutto-io
di sempre.
Poi la voce del dj si fece
sentire attraverso il microfono: «Bene, ragazzi e ragazze,
direi che abbiamo
assistito ad una mostra di abilità fra le più
brillanti…»
Notai il muso delle mie
precedenti dame. Sembravano sul punto di rompere la prima cosa che gli
capitasse a tiro. Ovvio, sorrisi fra me e me, il ballo più
sensuale che avessi
regalato loro era una baciata in cui io avevo ballato e loro avevano
fatto le
oche. Niente a che vedere con un tango ben eseguito. E lei
non aveva fatto l’oca: aveva interpretato tutti i passi,
esattamente come faceva nelle rare occasioni in cui l’avevo
vista recitare. Le
uniche circostanze in cui cambiava del tutto.
La voce del dj tornò a farsi
strada nelle mie orecchie. «… e quindi sarebbe un
peccato privarci di queste
splendide esibizioni. Leonardo, Diana, al centro della pista. Gli
altri,
fuori, spazio!»
Sempre ridendo, noi due ci
riposizionammo dove ci aveva detto. Era di fronte a me, e per la prima
volta la
mia mente fu totalmente dominata dalla parola: bellissima…
Non
sapevo cosa ci avrebbero
combinato, ora. Tutto il nostro “pubblico”, che si
era avvicinato per farci i
suoi complimenti, si stava allontanando per lasciarci di nuovo soli.
Lui sorrideva del suo sorriso più
mozzafiato.
Io dentro di me ridevo: avevo
visto lo sguardo con cui mi guardava almeno metà delle
ragazze presenti, e,
vanitosa come sono, la cosa mi riempiva di un intimo autocompiacimento,
che,
grazie al cielo, riuscivo a tenere sotto controllo.
Ora che ero ferma, però, ero
preoccupata dal prossimo ballo che ci avrebbero messo. E se non
l’avessi
conosciuto? Cercai di tenere sotto controllo il panico.
Quando partirono le prime note,
quasi risi dal sollievo: un altro ballo che conoscevo benissimo, un
altro dei
miei preferiti: paso doble, e
quello
della “Maschera di Zorro”, ancora meglio.
Notai che anche lui sembrava
sollevato. Perciò gli feci un cenno di assenso, per fargli
capire che lo
conoscevo e, con un passo solo da ambo le parti, annullammo la distanza
che
c’era fra noi.
Poi cominciammo.
Casquet a destra e a sinistra, uno
dietro l’altro. Sguardi uniti,
vietato scioglierli.
C’era molta più vicinanza fra noi
di quanta ce ne fosse stata con le altre. Mai quanto al tango, ma
comunque non
da sottovalutare.
Poi di fronte, lateralmente, una
mano in vita all’altro e l’altra tesa verso
l’esterno. Cambio mani, fronti
quasi a contatto. Sorridevamo tutti e due, maliziosi.
Fu quando la musica si fece più
veloce che ci scatenammo. Non udii nemmeno l’applauso che
partì, ormai mi ero
scordata che c’era qualcuno che ci stava guardando.
Finì di farmi girare e mi
avvicinò a sé, mentre io gli portavo la testa
verso me stessa, inarcando il
collo all’indietro mentre il suo sguardo si abbassava verso
il mio petto.
Poi ci separammo e cominciammo
con i passi più tradizionali.
Quando
cominciammo a tenerci per
entrambe le mani, alzandole e facendola piegare, notai nuovamente che
inarcava
la schiena con una scioltezza veramente ammirevole. Conosceva tutti i
passi alla
perfezione, si alzava e cadeva in ginocchio con la prontezza di una
professionista.
I nostri sguardi, ormai, non si
lasciavano più.
Io aspettavo l’ultimo passo.
A terra e poi i piedi,
abbracciati, una gamba piegata sul mio fianco e i visi a contatto. La
feci piegare
all’indietro, lo sguardo che percorreva tutto il suo corpo,
poi la alzai
nuovamente. Una sua mano aveva raggiunto la mia guancia, e rimase
lì anche
quando fummo nuovamente testa a testa. La mia, invece,
lasciò la sua gamba e le
arrivò sul collo. Avevo l’impulso irresistibile di
baciarla. A giudicare dallo
sguardo, era reciproco. I nostri nasi si sfiorarono.
Il
bacio fu molto, molto più
bello di qualunque cosa avessi mai immaginato. O sperimentato.
All’inizio era
delicato, quasi esitante, da parte di tutti e due. Sembravamo incerti
sulla
reazione dell’altro.
Quando ci fummo rassicurati su
questo punto, si fece molto più intenso, più
passionale.
Penso che se esiste un’emozione
che si possa catalogare come felicità, quella fu decisamente
la prima volta che
la sperimentai appieno.
Quando ci separammo, un sorriso
ci rimase sulle labbra, poi lui sussurrò piano:
«Ti amo.»
Io gli passai una mano dietro la
testa e lo avvicinai a me, baciandolo con decisione.
«L’avevo capito» mormorai in
risposta, sorridendo.
Ridemmo tutti e due.
«Sembra assurdo dirlo ora, ma è
così.»
«Lo so» annuii. «È
così anche per
me.»
Ormai non esisteva nient’altro.