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Autore: LadyMorgan    03/07/2008    4 recensioni
Eccomi qui, questa è una storia che ho scritto in vena di romanticismo, un sogno irrealizzato che però mi sembra sempre più reale dopo averlo messo per iscritto
Le parole volano, lo scritto resta!
Basandomi su questa filosofia, ecco la mia storia.
Buona lettura!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ciao ragazzi! questo è uno dei miei sogni irrealizzati, e ormai è troppo tardi. ma mi piaceva l'idea di metterlo per iscritto, almeno da qualche parte sarebbe vissuto per sempre *__*

buona lettura!

Due Balli

Sembrava strano dirlo dopo così tanto tempo, ma continuavo ad amarlo anche dopo otto anni di totale (almeno apparente) indifferenza da ambo le parti.
E quella era probabilmente l’ultima sera in cui sarei riuscita a vederlo per bene. Erano otto anni che vivevamo in amichevole distacco, ma io (prego notare l’idiozia) continuavo a morirgli dietro. Invece ci eravamo sempre trattati con familiarità, quasi come fratello e sorella, e niente, a parte alcuni occasionali sguardi che mi avevano tolto il sonno per diverse notti, che passavano davanti agli occhi, come un film, torturandomi con quello sguardo intenso di un azzurro ghiaccio stupefacente.
Ed anche ora, che ero apparentemente persa in conversazione con il gruppo di amiche con le quali ero venuta al ballo di fine anno, continuavo ad averlo davanti agli occhi, mentre ballava ogni ballo con una ragazza diversa. Anzi no, rettifico: lui ballava e la ragazza faceva il palo, in modo che i signori della pista (erano al centro, davanti all’attenzione dell’intera sala) mostrassero a tutti come eseguire una perfetta lap dance. Al maschile. Ma devo ammettere che ad una ragazza aveva concesso ben due balli. In effetti, era riuscita a mettere un piede davanti all’altro per addirittura due volte di fila, quindi aveva potuto ballare con lei anche più di un ballo senza rischiare che pestasse i piedi a tutta la sala.
La mia metà più incline al romanticismo continuava a invocare un qualche Essere Supremo sconosciuto (che avevo rinnegato anni fa) che mi dimostrasse la sua presenza ispirandogli di invitarmi a ballare. Così almeno sarebbe stato un ballo e non una lap dance: io so ballare, e particolarmente alcuni balli.
Ma no, niente: evidentemente la Provvidenza (che alcuni si ostinano a voler chiamare “divina”) voleva dimostrarmi che atea ero e atea dovevo restare.
Perciò me ne uscii in un appropriato “uhm” di assenso all’affermazione di una mia amica a proposito del trucco di non-avevo-bene-capito-chi e continuai a sognare ad occhi aperti i balli che avrei voluto fare con un bravo ballerino. A caso, ogni accenno a fatti e persone realmente accaduti è assolutamente casuale.
A metà serata una ragazza venne verso di me e mi disse che le piaceva come ero vestita. Io ringraziai con un sorriso, pur non capendo perché mai me lo fosse venuta a dire, ma mi fece piacere lo stesso; ed in effetti quel vestito, stranamente era vero, mi donava, pur essendo semplicissimo: di cotone nero, sbracciato, con uno scollo a V e a vita alta, ma abbastanza aderente da dimostrare che non avevo niente da nascondere. Che ci volete fare, la vanità è una brutta bestia. Quasi quanto l’orgoglio. Lungo (sogg. sott.: il vestito) fin sopra le ginocchia. È sempre stato uno dei miei vestiti preferiti. Era comodo poi, mi permetteva di muovermi liberamente.
Ma non aveva la minima importanza, visto che in quel momento ero seduta. Avevo ballato un po’ all’inizio della serata, con due o tre cavalieri imbranati quasi quanto i pali della suddetta lap dance che si svolgeva in quel momento in mezzo alla sala. Ma ballare a quel modo mi aveva depresso talmente che, con una scusa qualsiasi, mi ero seduta, rimpiangendo in tutte le lingue di mia conoscenza il non avere un cavaliere capace di un’azione rivoluzionaria come il ballare.
Fu quando lo stereo attaccò il mio ballo preferito (anche se preferisco non ricordare quante camice avevo sudato prima di riuscire a impararlo) che sentii che non potevo stare peggio di così. Perché diavolo ero costretta a stare seduta quando mi scorrevano davanti le note di uno dei balli che ero quasi sicura di essere l’unica a saper fare?!
La vita a volte è ingiusta. Grandissima cazzata. La vita è regolarmente ingiusta.
Eppure fu proprio quello il momento che il mio fantomatico Essere Supremo scelse per manifestarsi. Una mano si tese verso di me. «Posso?»
Non ho capito bene, è una domanda? Pensi anche che una persona come te debba chiedere? Va bene, se infierisci infierirò anch’io. «No!» dissi ridendo e prendendogli la mano. Mi alzò con un sorriso. Di quelli che nessuno si stupirebbe se fermassero la respirazione. Ma fortunatamente la mia era mediamente sotto controllo, almeno all’apparenza.
Le note ora cominciavano a farsi più incalzanti. «Lo sai ballare?» mi chiese malizioso.
Io mi volsi a guardarlo. Guardami mentre lo ballo. «La vera domanda è: mi sai portare?»
Il suo sorriso si allargò.
La pista era praticamente vuota. Noi ci posizionammo uno di fronte all’altra, e la nota dell’attacco partì. Passo. Ora puoi dimostrare che non sei solo una sapientona. Fai vedere a quei pali e al loro ballerino di cosa sei capace quando vuoi.
Sempre più vicini. Passo. Gira.
La voce della canzone partì. L’avevo vista in film così tante volte…
«First, there is desire…»
Vicinissimi, ma nessuno guardava l’altro negli occhi, lo sguardo restava basso. Ci giravamo intorno, i nasi quasi si sfioravano, le mani quasi sfioravano il corpo dell’altro. Ma quasi.
«Then… passion.»
Il mio braccio finì nella sua mano e lui mi fece girare. Alla fine del giro eravamo abbracciati, una sua mano che mi stringeva alla vita e mi spingeva verso di lui, la mia dietro la sua testa, l’altra sua vicinissima alla mia gamba. Fuoco. Una vicinanza molto, molto piacevole, ed era strano che si fosse presentato un ballo così opportuno… ma meglio non gufare.
Pausa, in cui, almeno nel film, i due assaporano la presenza dell’altro. Poi il mio sguardo e la mia mano si tesero verso un punto imprecisato della sala.
«Then… suspicious!» La sua mano levò bruscamente la mia da intorno al suo collo e mi fece allontanare di un passo.
Lo sguardo mio ora era infuocato. Preoccupato. Finzione, ovviamente, recitare la parte. Stranamente, non ero preoccupata.
Cominciammo a ballare sul serio, girando intorno a noi stessi, spostandoci, lui continuava a lanciarmi e a fermarmi, io seguivo i passi e non lo guardavo, poi, una altro passo, lo cominciai a tirare verso di me, la testa piegata all’indietro.
Alla frase successiva, giù, con la gamba destra tesa dietro di me, quasi in spaccata, mentre lui continuava a serrarmi il polso. Una posa che faceva sempre scena, guardata da fuori. Non sapevo quanto avevo penato per raggiungere quell’elasticità, io che ero sempre stata rigida come una spranga di ferro a temperatura 0.
Poi mi fece rialzare, tre passi e mi lasciò andare voltandosi. Anche io gli diedi le spalle e mi strinsi il polso.
Quando la voce dello stereo urlò: «Mad!» ci voltammo entrambi l’uno verso l’altra, lui con le braccia tese verso di me, io come sul punto di cadere, protendendo le mani verso di lui, come se volessi raggiungerlo ma non osassi. Poi gli corsi vicino, mi voltai di spalle, e quando il tango vero e proprio cominciò ero pronta, pronta con uno dei migliori cavalieri che avessi mai avuto.
Chissà perché, eravamo talmente in sintonia che ogni passo di uno veniva anticipato ed assecondato dall’altro. Completamente uguali.
 

Girava su sé stessa con una naturalezza che non avevo mai visto in nessuno, neanche nelle mie compagne di corso. Poi inarcava la schiena come se fosse di gomma, mi seguiva tranquillamente. La interpretava.
Nel film, lei cambiava continuamente cavaliere, mentre qui eravamo solo noi due.
Ma io conoscevo tutti i passi, ed evidentemente anche lei. Anche quando fummo costretti a cambiare alcune coreografie rispetto alle originali, visto che alcune non erano possibili, riuscivamo quasi a leggercele nel pensiero, avevamo gli stessi impulsi.
Le affondai il viso nella spalla, mentre lei alzava il suo verso l’alto. Giro. Poi la sollevai e la feci ruotare.

 

Ero scioccata. Mi sollevava con una facilità assurda, come se invece di pesare… (censura, mai chiedere il peso di una ragazza), ne pesassi venti di meno.
Quando mi rimise giù, la musica era in un attimo di pausa. Io portai le mani al suo viso, come nel film, reprimendo l’impulso di baciarlo e annegando invece nei suoi occhi, poi mi allontanai mentre la sua mano si levava dal mio fianco e lui si voltava a occhi bassi, come disperato. Perché era solo una recita?
Poi tornammo lentamente ad avvicinarci, e la music ripartì veloce, incalzante, come a spingerci a dare nuovamente il massimo.
E l’avrei dato, costasse quel che sarebbe costato.

 

Passi classici, all’inizio, poi lei scese nuovamente con la gamba destra tesa, mentre io facevo altrettanto. Adoravo quel passo, era uno dei miei preferiti, e faceva sempre scena.
Mi alzai e la sollevai, poi la portai indietro e lei, senza lasciare le mie mani, cominciò a girare. Passo, passo, passo, poi giravolta completa, mentre le alzavo le mai sopra la testa.
Si piegò all’indietro mentre io mi piegavo su di lei. La sua testa arrivava quasi a sfiorare il pavimento, mentre io la reggevo per i polsi. Non ansimava nemmeno, nonostante il ballo fosse impegnativo. Il suo viso recitava le sensazioni che avrebbe dovuto mostrare su un palcoscenico: dolore, disperazione…
Ero scioccato: era veramente brava a ballare. Be’, non che finora avesse avuto grandi concorrenze: fino ad allora mi ero imbattuta solo in manichini, per quanto molto sexy, che sembravano appena aver ingoiato una scopa.
Avevo esitato molto prima di invitarla, nonostante l’avessi vista ballare un paio di volte. Molto sciolta, mi era sembrata, ma anche rassegnata, in qualche modo. Ma come darle torto? Aveva avuto dei cavalieri penosi, doveva fare tutto lei. Che buzzurri!
Poi si era seduta assieme alle sue amiche e io mi ero trovato un manichino capace di eseguire due passi di fila, una delle mie ultime conquiste. O meglio, non sono proprio sicuro fosse una delle ultime. Non potevo certo conoscere tutte le ragazze che mi morivano dietro! In quei cinque anni ero uscito con tutte le ragazze del mio anno. No, errore, quasi tutte: lei mancava all’appello. Lei e alcune ragazze del suo gruppo. Finora ci eravamo trattati con familiarità, ma niente di più. Solo ogni tanto, uno sguardo assorto mentre mi guardava mi faceva pensare che le interessassi. Ma poi riprendeva a trattarmi normalmente e mi lasciava a lambiccarmi sul significato di quello sguardo. Quello sguardo con due occhi che erano gli unici a poter tenere il confronto con i miei, dello stesso colore del cielo, profondi e spesso che sembravano prendermi in giro, con uno sguardo che, non ero mai riuscito a capire perché, mi piaceva alla follia.
E quindi era pericolosa. Per questo, nel mio inconscio, almeno, non l’avevo invitata a ballare subito.
Ma alle prime note del Tango de Roxane, si erano volatilizzati tutti. E io avevo intercettato un suo sguardo bramoso rivolto alla pista. No, uno sguardo del genere non poteva restare inascoltato.
Perciò mi ero avvicinato e le avevo chiesto di ballare.
Lei aveva replicato con una delle sue solite battute maliziose.
Ma quando aveva cominciato a ballare avevo dimenticato tutto.
Ballava da dio. E non importava che ballassi da dio anch’io, perché se sai ballare ma non puoi trovare un partner alla tua altezza, allora è inutile sapersi muovere bene.
E invece era bravissima. Non me lo sarei mai aspettato da lei, ma aveva risposto a tutte le mie sollecitazioni senza neanche pensarci, come se ci fossimo messi d’accordo. E a questo non ero abituato.
E poi c’era la musica che, be’, era il massimo. Descriveva quello che avrei voluto dirle ma che non avevo mai osato fare. Ci stavamo parlando attraverso quella musica.
 

Gamba sul fianco, che lui prese ed usò come leva per farmi girare.
Un ballo compromettente, ma in fondo parlava di una puttana, non poteva certo essere un minuetto. Avrei dato una mano per vedere lo sguardo dei pali mentre mi guardavano ballare a quel modo. Sapientona in tutto, compresi i passi di tango. Del nostro tango.
Ma devo dire che questi furono pensieri successivi. Nel presente esisteva solamente il fatto che stessimo insieme, che potessimo stare vicini senza nessun tipo di pettegolezzi a seguito. Che i suoi occhi mi guardassero, ardenti di quel fuoco di ghiaccio che era solo suo.
Gamba tesa dietro per aumentare la spinta della giravolta. Avevo accettato il fatto che riuscisse a muovermi senza nessuno sforzo apparente, e ne approfittavo fino a quando e quanto potevo.
Quando ci fermammo, rimanemmo abbracciati, mentre ricominciava la pausa. Il suo viso era nuovamente nell’incavo del mio collo, ed ad un certo punto lo sentii schiudere le labbra.

 

La baciai sul collo delicatamente, senza che nessuno se ne accorgesse.
Avevo solo immaginato il brivido che la scosse? Non avrei saputo dirlo.
Chissà perché stavo facendo tutto questo. Non avrei saputo dirlo. Forse era il ballo. In fondo, parlava di una puttana e di un uomo tanto pazzo da innamorarsi di lei, tanto geloso da fare come Otello ed ucciderla. Meno pazzo, forse, perché in quel caso era giustificata la sua gelosia.
Cominciai a condurla avanti, quindi lei ballava all’indietro, una mano che sorreggeva la sua in alto e l’altra in vita.
Ci guardavamo negli occhi, ormai erano legati a doppio filo. Nei miei c’era lo stesso fuoco che io vedevo nei suoi?
La girai di spalle, il mento all’altezza del suo collo, una mano che portava la sua verso l’esterno. Cominciai a roteare su me stesso, portandola dietro con me. Poi la presi per una mano e cominciai a farla girare velocissima, per poi fermarla di scatto ed avvicinarla nuovamente a me. I passi ora erano uguali.
Poi fece tutto lei: scese nuovamente a gamba tesa all’indietro, si rialzò un battito di ciglia dopo, si aggrappò a me, io la sollevai e ricominciai a farla girare su sé stessa. Lei mano a mano cambiò posizione, unendo le gambe ed inarcando la schiena, mentre la giravolta continuava.
Poi cominciammo a fermarli mentre c’era un nuovo diminuendo. Ci cominciammo ad allontanare, ma con sempre una mano ad unirci e lo sguardo incatenato. Bramoso, rovente, impaziente.

 

Poco prima che la musica riattaccasse, io gli misi una mano sulla spalla e l’altra la diedi a lui, sostenendo le braccia.
Il suo sguardo continuava ad essere abbassato verso di me.
Era così bello pensare che, nonostante portassi dei tacchi non indifferenti, riuscisse comunque ad essere più alto di me…
I passi ora erano regolari, ci giravamo in tondo, anche se abbastanza lontani. Un momento di pausa per riprendere fiato.
Poi le vene si riempirono nuovamente di fuoco, ed allora io ripresi a girare, una gamba piegata, fino a quando lui non mi buttò giù in casquet e mi ritirò su in rapida sequenza, per un paio di volte. Dio, quant’era bello…
Poi io cominciai a girargli attorno, una mano che gli scorreva sulle spalle mentre la sua testa continuava a seguirmi. Poi mi riprese in vita e mi fece piegare nuovamente all’indietro. Io mi ritirai su con una giravolta e cominciai a muovermi all’indietro tenendolo per le spalle e portandolo con me. Mi seguiva, ma non si lasciava dominare. Non feci in tempo a fare tre passi che mi allargò bruscamente le braccia e mi portò verso di sé. Lasciò la presa sul braccio sinistro e mi fece fare una nuova giravolta, prendendomi poi per tutte e due le braccia e facendoci girare in contemporanea. Era uno dei miei movimenti preferiti, non so perché…
Ci separammo. Peccato, stavo cominciando ad abituarmi a quel contatto… Io cominciai a ballare in assolo mentre lui mi girava intorno, come un cacciatore che studia il punto migliore per attaccare una preda, poi venne nuovamente a prendermi per sollevarmi sopra la testa e farmi girare. Io avevo le braccia spalancate, lo sguardo fisso verso il soffitto e la testa ancora concentrata. Su cosa poi, era arduo a dirsi.
Mi fece ruotare per un po’, poi mi lasciò e mi fece… sbattere, passare, scegliete la vostra versione, nuovamente fra le sue braccia, come se dovesse prendermi dopo una spinta. Io mi stavo abbandonando.
Alla fine mi fece girare, stringendomi a sé in una morsa crudele, mi strinse in vita con una mano e l’altra mi venne passata sulla gola come se fosse sua intenzione tagliarla.
Io persi d’improvviso forze (ovviamente era un recita; anzi, a essere precisi, era l’ultimo passo) e caddi a terra, in loco mortis. A braccia aperte, con gli occhi chiusi.

 

Cadde come se non avesse atteso altro per tutta la serata. Sembrava morta sul serio.
Prima che le ultime note si spegnessero, io mi inginocchiai accanto alla sua mano destra, la presi e ci posai la fronte. Mi piaceva fare scena, e, in fondo, altri passi erano stati modificati. E poi, anche se non l’avrei mai ammesso, era quello che avrei fatto io se mi fossi trovato al posto del suddetto emulo di Otello.
Quando la musica si fermò, penso che la sala fu a serio rischio crollo dalla marea di applausi che ci sommersero. Non mi ero neanche accorto che fossimo soli in mezzo alla pista, anche se, a pensarci bene, non poteva che essere così, visto che ci eravamo mossi per una superficie decisamente maggiore a quella normalmente consentita.
Io alzai la fronte, lei aprì gli occhi e sorrise. Si sedette tirando su la schiena, con quel sorriso gioioso, trionfante, che capivo perfettamente.
Mi alzai in piedi tenendole la mano e l’aiutai ad alzarsi.
Sembrava sul punto di ridere. Quando fummo entrambi in piedi potei notare che tutti i ragazzi presenti erano in piedi e battevano le mani.
Poi arrivarono i miei amici, dandomi sonore pacche sulla schiena.
«Confessa, da quant’è che vi esercitavate?» mi dissero ridendo.
Io alzai le spalle. Continuavo a cercare lei con gli occhi. Quando la vidi, era circondata dalle amiche, che continuavano a parlarle, ma il suo sguardo era per me.
Sorrideva come non l’avevo mai vista sorridere, era straordinariamente diversa dalla solita amica so-tutto-io di sempre.
Poi la voce del dj si fece sentire attraverso il microfono: «Bene, ragazzi e ragazze, direi che abbiamo assistito ad una mostra di abilità fra le più brillanti…»
Notai il muso delle mie precedenti dame. Sembravano sul punto di rompere la prima cosa che gli capitasse a tiro. Ovvio, sorrisi fra me e me, il ballo più sensuale che avessi regalato loro era una baciata in cui io avevo ballato e loro avevano fatto le oche. Niente a che vedere con un tango ben eseguito. E lei non aveva fatto l’oca: aveva interpretato tutti i passi, esattamente come faceva nelle rare occasioni in cui l’avevo vista recitare. Le uniche circostanze in cui cambiava del tutto.
La voce del dj tornò a farsi strada nelle mie orecchie. «… e quindi sarebbe un peccato privarci di queste splendide esibizioni. Leonardo, Diana, al centro della pista. Gli altri, fuori, spazio!»
Sempre ridendo, noi due ci riposizionammo dove ci aveva detto. Era di fronte a me, e per la prima volta la mia mente fu totalmente dominata dalla parola: bellissima…
 

Non sapevo cosa ci avrebbero combinato, ora. Tutto il nostro “pubblico”, che si era avvicinato per farci i suoi complimenti, si stava allontanando per lasciarci di nuovo soli.
Lui sorrideva del suo sorriso più mozzafiato.
Io dentro di me ridevo: avevo visto lo sguardo con cui mi guardava almeno metà delle ragazze presenti, e, vanitosa come sono, la cosa mi riempiva di un intimo autocompiacimento, che, grazie al cielo, riuscivo a tenere sotto controllo.
Ora che ero ferma, però, ero preoccupata dal prossimo ballo che ci avrebbero messo. E se non l’avessi conosciuto? Cercai di tenere sotto controllo il panico.
Quando partirono le prime note, quasi risi dal sollievo: un altro ballo che conoscevo benissimo, un altro dei miei preferiti: paso doble, e quello della “Maschera di Zorro”, ancora meglio.
Notai che anche lui sembrava sollevato. Perciò gli feci un cenno di assenso, per fargli capire che lo conoscevo e, con un passo solo da ambo le parti, annullammo la distanza che c’era fra noi.
Poi cominciammo.
Casquet a destra e a sinistra, uno dietro l’altro. Sguardi uniti, vietato scioglierli.
C’era molta più vicinanza fra noi di quanta ce ne fosse stata con le altre. Mai quanto al tango, ma comunque non da sottovalutare.
Poi di fronte, lateralmente, una mano in vita all’altro e l’altra tesa verso l’esterno. Cambio mani, fronti quasi a contatto. Sorridevamo tutti e due, maliziosi.
Fu quando la musica si fece più veloce che ci scatenammo. Non udii nemmeno l’applauso che partì, ormai mi ero scordata che c’era qualcuno che ci stava guardando.
Finì di farmi girare e mi avvicinò a sé, mentre io gli portavo la testa verso me stessa, inarcando il collo all’indietro mentre il suo sguardo si abbassava verso il mio petto.
Poi ci separammo e cominciammo con i passi più tradizionali.
 

Quando cominciammo a tenerci per entrambe le mani, alzandole e facendola piegare, notai nuovamente che inarcava la schiena con una scioltezza veramente ammirevole. Conosceva tutti i passi alla perfezione, si alzava e cadeva in ginocchio con la prontezza di una professionista.
I nostri sguardi, ormai, non si lasciavano più.
Io aspettavo l’ultimo passo.
A terra e poi i piedi, abbracciati, una gamba piegata sul mio fianco e i visi a contatto. La feci piegare all’indietro, lo sguardo che percorreva tutto il suo corpo, poi la alzai nuovamente. Una sua mano aveva raggiunto la mia guancia, e rimase lì anche quando fummo nuovamente testa a testa. La mia, invece, lasciò la sua gamba e le arrivò sul collo. Avevo l’impulso irresistibile di baciarla. A giudicare dallo sguardo, era reciproco. I nostri nasi si sfiorarono.

 

Il bacio fu molto, molto più bello di qualunque cosa avessi mai immaginato. O sperimentato. All’inizio era delicato, quasi esitante, da parte di tutti e due. Sembravamo incerti sulla reazione dell’altro.
Quando ci fummo rassicurati su questo punto, si fece molto più intenso, più passionale.
Penso che se esiste un’emozione che si possa catalogare come felicità, quella fu decisamente la prima volta che la sperimentai appieno.
Quando ci separammo, un sorriso ci rimase sulle labbra, poi lui sussurrò piano: «Ti amo.»
Io gli passai una mano dietro la testa e lo avvicinai a me, baciandolo con decisione.
«L’avevo capito» mormorai in risposta, sorridendo.
Ridemmo tutti e due.
«Sembra assurdo dirlo ora, ma è così.»
«Lo so» annuii. «È così anche per me.»
Ormai non esisteva nient’altro.

Darei la vita per sentirti dire "ti amo". Pensa: la mia vita per una tua bugia...
  
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