18. Illusions
C’era
una
calma davvero surreale lì fuori: il vento che accarezzava
l’erba e smuoveva
leggera le fronde degli alberi, le nuvole che si inseguivano lentamente
nel
cielo ed il sole che brillava intenso.
Rebecca era stretta ad un braccio di Desmond, con il capo appoggiato
sulla sua
spalla. Era da parecchio che erano seduti lì da soli, in
silenzio, a riflettere
sul tempo, sul futuro.
La quiete venne interrotta quando, alle loro spalle, sentirono dei
passi. Era
Demetrio.
“Che bella giornata eh?” domandò
l’italiano fermandosi alle loro spalle.
Sia Rebecca che Desmond volsero il capo e lo guardarono dal basso. La
mora si
ritirò dal corpo dell’americano.
“Ehi, mi dispiace per la discussione con tuo
padre.” disse Demetrio.
“Non preoccuparti, non è colpa tua. Anzi, mi
dispiace che se la sia presa con
te.”
L’italiano si strinse nelle spalle.
Desmond puntellò una mano sull’erba e si
alzò. “Vi lascio, vado a farmi due
passi e poi forse rientro a riposarmi un po’, sono
stanco.”
“D’accordo” disse Rebecca osservandolo
allontanarsi, poi Demetrio qualche
istante dopo prese il suo posto e si sedette accanto alla ragazza.
“Bel modo di iniziare l’anno nuovo eh?”
mormorò lui.
“Puoi dirlo forte, ci stavo pensando proprio poco
fa… se il buongiorno si vede
dal mattino, voglio seppellirmi” rispose lei tornando a
guardare la distesa di
fronte a sé.
Demetrio continuò ad osservarla insistentemente, curioso.
“Perché dici così?
Non per lamentarmi ma sembra che il tuo anno sia iniziato meglio di
quello di
chiunque altro qui.”
Rebecca volse il capo verso di lui, era ovvio che si riferisse a Shaun.
“Certo, infatti sarebbe stato così se…
beh, niente” preferì tacere, abbassò lo
sguardo.
“Se? Che succede? Qualcosa ti turba?”
“Se non fossi stata scaricata dopo solo qualche
ora” concluse la frase lasciata
in sospeso. “Shaun è un idiota. Un ragazzino.
E’ infantile, puntiglioso,
egoista, sempre con le sue smanie di superiorità. Ma che
avevo in testa?”
Il ragazzo poté percepire un fondo di rabbia e delusione nel
suo tono.
“Scherzi? Mi dispiace… hai ragione comunque,
è un idiota. Come gli è venuto in
mente di lasciarsi sfuggire un fiorellino
come te?”
Reby portò nuovamente l’attenzione su di lui, il
suo accento italiano le
dipinse un lieve sorriso sulle labbra.
“Non posso biasimarlo dopotutto, a volte neppure ci rendiamo
conto di ciò che
ci stiamo lasciando scappare. Io ho fatto lo stesso con te, dopotutto.
Non
dovresti difendermi così a spada tratta.”
“Ma la situazione era diversa Rebecca. Non lo hai fatto
perché ti andava o
perché ti eri stufata o perché eri capricciosa.
Lo hai fatto per noi.”
La mora annuì appena. “Sì, forse hai
ragione… ma cosa importa ormai, sono trascorsi
anni, è acqua passata” e – dicendo
ciò – il suo sguardo si perse nuovamente
all’orizzonte.
“Lo credi davvero?” chiese lui continuando a
scrutarla.
Non seppe perché ma Reby in quelle parole carpì
molto più di ciò che il ragazzo
le avesse appena detto. Demetrio era sempre stato un buon amico oltre
che il
suo ragazzo, anni prima. Teneva a lui davvero molto, a prescindere da
tutto
quanto.
Immerse i suoi occhi cristallini in quelli verdi di lui.
“Tu no?” azzardò con un filo di voce.
Ci furono degli attimi di silenzio in cui l’italiano
soppesò le parole da dire.
“In verità…”
cominciò un po’ titubante. “Quando ti ho
vista varcare la soglia
del casale mi sono chiesto: come ho fatto a stare per tutto questo
tempo senza
di lei?”
Sul volto della mora si dipinse una sincera espressione di stupore.
“E’ difficile, ma se devo essere sincero non ho
smesso di pensarti in questi
anni… ho sempre sperato di rivederti, e sembra come se in
questo Natale così
triste e cupo io abbia comunque ricevuto un regalo, il più
bello. Tu, Rebecca.”
Lei rimase senza parole, sentì il cuore batterle
più forte e l’agitazione
assalirla. Quella sì che era una dichiarazione! E se fosse
stato Demetrio il
suo destino? Se fosse stato lui l’uomo giusto per lei?
“Io… non so che dire”
sussurrò, imbarazzata. Lei era sempre esuberante, diretta
e chiara, ma quelle parole le sciolsero il cuore, ma forse non come lo
avrebbero fatto le stesse parole uscite dalla bocca di un certo inglese
idiota.
“Non so, potresti dirmi che anche per te è
così, magari…” disse
l’italiano
sorridendole.
“Non lo so… sono un po’
confusa” ammise, e lo era davvero! Ormai era chiaro che
provasse qualcosa per l’inglese, ma se i sentimenti verso
l’italiano si fossero
esauriti non avrebbe avuto motivo di essere così agitata, o
no?
“Non ho bisogno di una risposta adesso, sono stato
così tanto tempo senza di te
che per qualche giorno in più non
morirò… spero” ironizzò,
cercando di spezzare
la tensione.
Rebecca sorrise.
“Pensaci” e – detto ciò
– Demetrio si sporse appena per schioccarle un bacio
quasi al lato del labbro, poi si alzò e si diresse
nuovamente verso il casale.
La mora rimase sbigottita, probabilmente rossa come un peperone. Ora
sì che era
davvero confusa!
La giornata
era trascorsa lenta e tranquilla. Desmond si era ritirato in camera
dopo una
breve passeggiata: aveva sentito l’accenno di un mal di testa
arrivare in punta
di piedi per poi esplodere in una vera e propria emicrania non appena
aveva
raggiunto il letto.
William avrebbe voluto mettere il ragazzo al corrente riguardo a Siria,
ogni
minimo particolare, ma Desmond non si era fatto vivo per tutto il resto
della
giornata così aveva immaginato che stesse poco bene o che
non avesse ancora sbollito
la collera, così preferì lasciarlo riposare.
L’americano si svegliò tardi, quando fuori si era
fatto già buio. Non appena
lanciò un’occhiata all’orologio sul
comodino notò che ormai era il due di
Gennaio, mezzanotte passata. Il mal di testa sembrava essere andato via
del
tutto, fatta eccezione per la pesantezza che sentiva gravare come un
macigno
sul capo.
Il giovane decise di alzarsi e scendere di sotto per vedere se qualcuno
fosse
sveglio e – soprattutto – perché stava
morendo di fame. Quando uscì dalla
stanza notò che era tutto buio, sinonimo che tutti stessero
già dormendo.
Eppure, mentre cominciò a scendere le scale a tastoni,
iniziò a sentire delle
voci confuse provenienti dal piano di sotto, probabilmente dalla
cucina.
Sperava vivamente che non ci fosse suo padre: era dispiaciuto per
ciò che gli
aveva detto ma era ancora arrabbiato riguardo la loro discussione.
Non appena arrivò alla cucina e accese la luce fu
meravigliato, anche se non
molto, di ritrovarsi davanti i tre antenati.
La stanza era grande abbastanza, abitabile: aveva tutti i mobili della
cucina
su una parete, la stessa alla quale, vicino all’angolo,
v’era la porta del
retro del casale. Era bella e ben tenuta, rustica, prevalentemente
bianca e
marrone. Al centro v’era un tavolo al quale Connor era
seduto. Altair era
appoggiato contro il frigo a braccia conserte mentre
l’Assassino italiano se ne
stava seduto sul bancone della cucina con le gambe a penzoloni.
Sembravano più
reali che mai, l’alone che di solito li circondava era
completamente sparito,
tanto che sembrava fossero lì, in carne ed ossa, assieme a
lui. Ormai gli
risultava davvero complicato comprendere quando stesse avendo delle
visioni e
quando no, l’unica cosa che lo guidava oramai era il suo
buonsenso.
‘Ci risiamo…’ pensò Desmond,
demoralizzato. Entrò nella cucina e decise di
ignorarli, magari così gli avrebbero fatto la cortesia di
sparire quanto prima.
“Si è
svegliato” disse Ezio, guidando
gli altri due compagni a portare l’attenzione
sull’americano.
“Mi chiedo come ci si aspetti che
questo
novizio salvi il mondo dal momento che preferisce dormire piuttosto che
rendersi utile” furono le parole aspre
dell’arabo.
“Non essere così cattivo con lui” si
intromise Connor.
Desmond continuò ad ignorarli. Passò davanti ad
Altair e si fermò di fronte ai
fornelli, scoperchiò una pentola e vi ritrovò
dentro della pasta, ancora, per
l’ennesima volta. Sospirò ed aprì un
cassetto, prese una forchetta e portò la
pentola sul tavolo, dopodiché si sedette di fronte a Connor
e cominciò a
mangiare in silenzio. Teneva lo sguardo basso, sul cibo, fin quando
solo
qualche istante dopo si ritrovò anche Ezio ed Altair seduti
al tavolo a
fissarlo.
Con un filo di pasta che gli penzolava ancora dalle labbra, Desmond
alzò lo
sguardo e li guardò tutti e tre, uno ad uno, prima di
risucchiare lo spaghetto
con un suono tutto fuorché elegante. Si prese il suo tempo
per masticare e
mandare giù il boccone sotto lo sguardo attento degli
antenati, poi non ce la
fece più.
“Che c’è? Avete fame? Mi guardate come
se non mangiaste da millenni, non lo
sapete che è maleducazione?” disse esasperato.
“La tua mancanza di
serietà mi lascia
allibito” rispose Altair appoggiandosi contro lo
schienale ed incrociando
le braccia al petto.
“Ma fa sempre così?” chiese allora
l’americano, guardando gli altri due.
“Pian piano ci farai
l’abitudine. Se ci
siamo riusciti noi, ci riuscirai anche tu… dopotutto sei tu
quello che si
ambienta facilmente e si abitua a tutto, no?” disse
l’italiano.
Desmond alzò lievemente le sopracciglia e lo
guardò per qualche istante.
“Si può sapere che cosa volete da me?
Perché continuate a darmi il tormento?
Non esistete!”
“Ne sei sicuro?” domandò
ancora
l’italiano.
“Ovviamente!”
“La certezza è la madre
degli idioti” commentò
l’arabo.
“Io non lo sopporto” bofonchiò Desmond,
voltandosi poi verso Altair. “E allora
visto che sai tutto perché non mi illumini? E soprattutto
spiegami perché
quando rivivevo i tuoi ricordi sembravi così saggio ed
affascinante, il grande
Assassino arabo, e ora che rivivi grazie alla mia testa sei un completo
stronzo!”
concluse cominciando davvero ad alterarsi, ma poi alla fine dei conti
con chi
stava litigando? Con l’aria? Con sé stesso? Tutto
ciò era assurdo.
Altair non fece in tempo a rispondere che sentirono qualcuno bussare
alla porta
d’entrata. Desmond volse il capo verso il corridoio e quando
tornò a guardare
gli antenati, essi non c’erano più.
“Chiaramente. Al diavolo…”
bofonchiò il ragazzo, alzandosi. Mentre imboccava il
corridoio, rischiarato solo dalla luce proveniente dalla cucina alle
sue
spalle, si chiedeva chi potesse essere. Dal momento che aveva dormito
tutto il
giorno e non sapeva chi dei compagni fosse entrato ed uscito,
immaginò che
potesse essere uno di loro.
Arrivò a tastoni fino all’entrata, non prima di
aver sbattuto il ginocchio
contro un mobile ed imprecare a bassa voce. Appoggiò la mano
sulla maniglia e
lentamente aprì la massiccia porta blindata, sporgendosi per
vedere chi vi
fosse. Non poté credere ai suoi occhi: sentì un
tuffo al cuore ed un vuoto allo
stomaco quasi inghiottirlo mentre il senso di colpa cominciò
a serpeggiare
dentro di lui.
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Angolo Autrice:
Sono stata bravaaaa?!?!? *--*
Ho aggiornato preeesto! u.ù
*Si applaude da sola*
*Rotola*
Ok, la smetto :3 posto al volo e scaaaappo viaaaa, veloce come il veeento!
Scherzi a parte u.ù chi sarà la persona misteriosa alla porta?
Sono UFFICIALMENTE aperte le scommesse!
Porterà pace o scompiglio?
Chi lo sa! èwé
Il prossimo capitolo sarà un po' più lunghetto u.u ho dovuto separarlo dal prossimo che sennò sarebbe venuto TROPPO lungo!
Ok, queste note d'autore sono pressoché inutili, uno sclero continuo!
Prima di passare - e chiudere - ci tengo a fare i miei piccoli ma meritati ringraziamenti!
ladyjessy, Lightning00 (continua a farmi morire dalle risate, ti prego!), KeynBlack e SlytherinSoul per aver recensito il mio ultimo capitolo!
Grazie, grazie, grazie, grazie! <3
Ringrazio anche Dooinfe per aver inserito la storia tra le preferite,
Fantom94 per aver inserito la storia tra le seguite
E GjXD per averla inserita tra le ricordate!
Grazie, grazie e grazie!
E come al solito grazie a tutti voi, chiunque passa di qui e spende solo qualche minuto del suo tempo a leggere :)
Al prossimo capitolo!
Tanti baci! <3