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Autore: K u r a m a    22/03/2014    0 recensioni
Hobbes ci definiva lupi e non credo sbagliasse. Volevamo ogni cosa, fino a difenderla con i nostri denti. Bramavamo e desideriamo ancora nonostante ci fossimo evoluti e io ciò che volevo era lui. Solo lui.
Non esistevano altri, non esisteva alcuna cosa al di fuori di lui che riempiva le mie giornate anche con un semplice sorriso, il non potergli stringere la mano o scambiare una sola parola con lui mi uccideva dentro. Mi rendeva così debole da sentirmi patetico, davvero patetico.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia fragilità
 

E non lasciarmi mai 
lo sai che non potrei 
da quando sei la cosa più importante che ora ho... 
Arisa -  La cosa più importante

 

Mi sentivo solo senza di lui.

Non una parola, non un singolo messaggio.

Trattenevo le lacrime, il nervosismo mentre osservavo il display del cellulare imperterrito, in attesa di un segno di vita.

Non chiedevo molto, solo un singolo “buon giorno” o un semplice “mi manchi anche tu”. Mi mancava, mi mancava da morire e non potevo evitarlo.

Mi mancava così tanto da stare male, da voler anche morire piuttosto che protrarre questa lunga agonia che non sapevo quando sarebbe finita.

“Cosa starà facendo? Starà bene?” mi chiedevo mentre sentivo gli occhi inumidirsi, un groppo in gola così aspro e prepotente che non chiedeva altro di essere sputato fuori, ma non lo avrei mai fatto. Non avrei pianto, non avrei detto nulla;sarei rimasto in silenzio, sicuro che ci fosse una spiegazione per quel suo protratto silenzio, speranzoso che non mi odiasse.

A volte mi sembrava che solo io tenessi alla nostra relazione, ma poi lui mi faceva smentire tornando da me e coccolandomi con dolci parole. Inganno o verità? Non sapevo decidermi.

Forse avrei dovuto lasciarlo, forse avrei dovuto sputare tutti i miei dubbi, ma non ero sicuro di voler conoscere la verità, non ero sicuro di voler sentire qualcosa che forse avevo già compreso.

Sapevo di essere un vero masochista a prendere questa scelta, sapevo che mi stavo distruggendo ogni giorno sempre di più a causa di quelle sue promesse mai mantenute.

Mi portai una mano davanti al volto, per nasconderlo e per ricacciare indietro le lacrime che stavano per uscire prepotenti, traditrici, uniche testimoni di quel dolore interno che il mio animo stava vivendo in un modo così prepotente che mi rendeva inerte, che mi toglieva il fiato e la voglia di vivere.

Che cosa dovevo fare? Che cosa avrei mai potuto fare?!

Tirai un calcio, prendendomela con l'aria poi mi alzai per andare al bagno a sciacquarmi il viso.

Quando mi riflettei nello specchio stentai a credere che quello ero io.

Viso pallido, occhiaie profonde, occhi spenti e labbra tirate in un sorriso mesto. Per quanto ancora avrei potuto andare avanti così alternando momenti di pura gioia a quelli di mera disperazione?

Sentivo un enorme macigno sul petto, tanto opprimente che insieme agli altri sintomi mi fece tremare le gambe sul punto di cedere.

Scostai lo guardo e mi trascinai di nuovo in camera, pregando che in quel breve lasso di tempo qualcosa fosse arrivato.

Non lo sentivo da quasi ventiquattro ore e già ero ridotto in quello stato. Cosa sarebbe successo se un giorno lui mi avrebbe lasciato definitivamente?

Non volevo pensarci, non dovevo. Lo conoscevo da un anno, sapevo quanto fosse chiuso, ma allo stesso tempo dolce; restio a lasciar trapelare i suoi sentimenti a differenza mia che ero leggermente più espansivo, ma io avevo davvero bisogno della sua presenza.

Non mi importava se per un minuto, un'ora o un giorno intero. Io avevo bisogno di sentirlo vicino a me, avevo bisogno di sapere che stava bene e che mi pensava, che almeno mi aveva pensato per un po'.

Egoista, sapevo di esserlo, ma per me era naturale; proprio come ogni essere umano.

Hobbes ci definiva lupi e non credo sbagliasse. Volevamo ogni cosa, fino a difenderla con i nostri denti. Bramavamo e desideriamo ancora nonostante ci fossimo evoluti e io ciò che volevo era lui. Solo lui.

Non esistevano altri, non esisteva alcuna cosa al di fuori di lui che riempiva le mie giornate anche con un semplice sorriso, il non potergli stringere la mano o scambiare una sola parola con lui mi uccideva dentro. Mi rendeva così debole da sentirmi patetico, davvero patetico.

Chi aveva ragione? Chi aveva torto?

Volevo sapere e allo stesso tempo ne avevo il timore.

Mi lasciai andare alle lacrime, troppo stanco di quel peso che portavo nascosto. Quel silenzio angosciante che mi stava lentamente conducendo a una morte ben peggiore di quella fisica, perché almeno in quel caso il corpo moriva non lasciando più nulla, senza provare più nulla, ma quando moriva la tua anima era tutta un'altra cosa.

Il dolore rimaneva, perdurava dentro di essa e non si quietava così in fretta.

Rimaneva lì, intrecciata ad essa, lasciando squarci che grondavano di quel dolore e che proprio per causa sua non potevano rimarginarsi. Non erano come le ferite di un bambino, non era quella semplice caduta che avveniva durante il gioco.

La caduta dell'anima era qualcosa di agghiacciante, che sentivi, ma che difficilmente potevi fermare; tutto stava nelle decisioni, nelle tue azioni.

Ma quando vi è paura il corpo rimane fermo, incapace di agire senza un'enorme forza di volontà.

Sapevo quanto fosse sbagliato, quanto questo potesse far sembrare che non ci tenevo, ma era la mia indole. La fragilità era radicata dentro di me, mi rendeva come un bambino in presenza del buio e solo.

Tremante presi il cellulare e proprio in quel momento si illuminò il display e le lacrime scesero ancora più copiose mentre accarezzavo il suo nome con lo sguardo.

Mi lasciai cadere a terra, singhiozzando mentre rileggevo quelle due piccole parole che aspettavo da un giorno intero: “mi manchi”.

Piansi allo stremo, irrazionale mentre la rabbia, la preoccupazione e la disperazione erano scemate via.

Forse ero pazzo, forse un giorno ne sarei uscito distrutto o forse più semplicemente avrei trovato la mia felicità, ma ero ancora troppo timoroso per poterla vedere.

Tanti dubbi ancora attanagliavano il mio stomaco, sempre pronti a intervenire in un mio momento di debolezza e mentirei dicendo che non mi importava.

Sapevo quanto il mio silenzio fosse sbagliato, ma avrei perdurato in quella mia scelta esplodendo solo nel momento in cui avrei capito che se ne stava andando via.

Dopotutto come umano avrei sempre fatto degli sbagli, perché è nella natura di ognuno di noi.

Ogni umano è bellissimo e fragile proprio per quei suoi errori commessi che lo hanno fatto maturare e percorrere quella strada che era la vita.

L'essere umano diventava sublime nel momento in cui afferrava la sua fragilità e la contemplava, cadeva lottando e poi si rialzava e non si arrendeva.

 
   
 
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