Tale
of a
friendship
Mai come in quel momento desiderava essere in un altro posto.
Era nel bosco buio e silenzioso, da solo. Non che avesse paura, ma stare da solo lo infastidiva parecchio.
Aveva sbagliato ad avventurarsi da solo in quel luogo a lui sconosciuto, di questo ne era certo, ma adesso era tardi per ripensarci.
Prima non aveva saputo resistere al suo spirito selvaggio in cerca di libertà e non aveva pensato che si sarebbe potuto perdere.
Dopotutto, non poteva pensare e prevedere tutto: era solo un bambino.
Grandi gocce d’acqua cominciarono ad insinuarsi tra i suoi capelli.
Sbuffò ancora e si alzò il cappuccio.
Già in situazioni normali odiava la pioggia, in quella situazione, poi, era ancora più fastidiosa: odiava osservarla cadere da solo, gli metteva tristezza.
Si sedette sul terreno umido e si abbracciò le ginocchia.
Plic. Plic. Plic.
Vedeva le gocce cadere dal cielo, scivolare lentamente lungo il tronco dell’albero di fronte a lui e fondersi con il terreno silenziosamente.
Kiba pensò a sua madre: sicuramente si era preoccupata non avendolo visto tornare e aveva mandato qualcuno a cercarlo, magari la sua neesan*, Hana.
Presto sarebbe stato fuori da lì, al caldo, seduto nella sua stanza. Da solo.
Plic. Plic. Plic.
La pioggia si fece sempre più forte. Alcune gocce superarono anche il suo cappuccio e gli bagnarono i capelli.
Kiba mise il broncio. Cominciava ad avere fame, anche perché prima di uscire non aveva fatto merenda. Aveva lasciato l’invitante torta preparatagli dalla mamma sul tavolo, promettendo di assaggiarne un pezzo non appena fosse ritornato.
Avrebbe mangiato da solo come al solito e poi sarebbe andato a giocare.
Questo immaginava sarebbe successo quel pomeriggio, ma la situazione aveva preso una piega inaspettata.
Sospirò.
Plic. Plic. Plic.
Non era smesso di piovere neanche un secondo da quando si era seduto.
Il bambino abbandonò la schiena sul tronco dell’albero, distrutto.
Era bagnato fradicio e aveva tutti i vestiti infangati. Storse la bocca pensando a cosa gli avrebbe detto la mamma non appena l’avesse visto. Sicuramente si sarebbe arrabbiata.
Magari l’avrebbe anche messo in punizione. Sbuffò, cercando di non pensarci e guardò l’orizzonte.
Il sole stava tramontando dietro le montagne, lasciando il posto alle stelle, ma gli alti alberi non lasciavano intravedere nulla se non le tenebre che lo stavano pian piano avvolgendo.
Oramai non riusciva a vedere neanche ad un palmo dal suo naso.
Plic. Plic. Plic.
Kiba si sentiva stanco, così tanto stanco da non riuscire più a tenere gli occhi aperti.
Sentiva il suo corpo sprofondare sempre di più nel terreno intriso d’acqua, ma non opponeva alcuna resistenza.
Si portò una mano alla fronte, riflettendo.
‘Se chiudo gli occhi’ si chiese ‘cosa può mai succedere? Hana chan e okaasan** mi sveglieranno…’
Anche se avesse voluto tenere gli occhi aperti, comunque non ce l’avrebbe fatta.
Li chiuse piano e cominciò ad ascoltare lo scrosciare impetuoso della pioggia.
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La donna annusò ancora una volta l’aria circostante chiudendo gli occhi e si fermò di scatto.
‘Cosa succede, okaasan?’ domandò Hana.
‘Sento un odore debolissimo proveniente da quella parte’ rispose la donna indicando con un dito la direzione esatta ‘Ma ho… un brutto presentimento.’
La ragazza si morse un labbro. ‘E’ colpa mia. Non avrei dovuto lasciarlo andare.’
Tsume scosse la testa. ‘Non è colpa tua, Kiba sarebbe uscito comunque. Sai quanto è testardo.’
‘Andiamo a prenderlo, allora’
Hana fece per seguire la direzione che la madre le aveva indicato, ma la donna la fermò.
‘Non possiamo avventurarci nel bosco! E’ buio e non abbiamo che un piccolo cane con noi.’
‘Allora che facciamo? Non possiamo fare finta di niente e abbandonarlo a se stesso!’
‘Certo che no.’ La donna posò per terra il piccolo cane che teneva in braccio e gli accarezzò la testa. ‘Andrà lui a cercare Kiba.’
La ragazza corrugò le sopracciglia, perplessa. ‘Ma non è neanche addestrato!’
‘Fidati, ce la farà.’
Tsume si inginocchiò accanto al cane e prese a sussurrargli qualcosa. Poi gli diede una pacca affettuosa e si rialzò.
‘Vai!’ gli ordinò.
L’animale abbaiò in segno di obbedienza e si addentrò nel bosco.
Hana sospirò e congiunse le mani.
‘Spero che lo trovi…’
\\\\\
Si aggiravano nel bosco cercando qualcosa da poter addentare e sbranare.
Nessun animale quel giorno non aveva trovato cibo: a causa della pioggia e dei tuoni tutte le prede si erano spaventate ed erano scappate lontano.
Avanzando man mano, i lupi cominciarono a fiutare uno strano odore, l’odore di pioggia mista alla terra e al caratteristico profumo umano.
E cosa può esserci di meglio di un umano quando si ha fame?
Gli animali continuarono ad avanzare fino a quando non si trovarono davanti Kiba.
Il bambino aveva gli occhi socchiusi, ma non era svenuto, infatti, non appena sentì i lupi ululare, li spalancò sconvolto.
I lupi lo circondarono, continuando ad ululare, famelici.
Kiba non sapeva cosa fare: era disperato, spaventato e sentiva brividi freddi percorrergli la schiena. Continuava a muovere gli occhi da una parte all’altra per cercare qualcuno -o qualcosa- che potesse aiutarlo, ma non vedeva niente.
Tentò di deglutire, ma aveva come un nodo alla gola.
Gli animali avanzavano sempre di più, l’aria minacciosa e gli occhi gialli, terrificanti.
Il ragazzino tremava ormai come una foglia.
Dov’erano la mamma e la sorella?
Perché non venivano a salvarlo?
Non voleva gridare: aveva paura che i lupi potessero innervosirsi ancora i più. E poi, chi l’avrebbe sentito?
I lupi erano vicinissimi a lui.
Uno di loro si sollevò sulle zampe e ululò fortissimo. Poi spalancò la bocca.
Nel buio, Kiba riusciva solo a vedere lo scintillio dei suoi denti aguzzi.
Chiuse gli occhi, rassegnato.
Sarebbe morto, lo sapeva. La sua vita era finita.
\\\\\
Se quella era la morte non era poi così male. Non aveva provato neanche dolore.
Non aveva, però, ancora il coraggio di aprire gli occhi: continuava a restare in quella posizione, gli occhi serrati, ad aspettare.
Immise ancora aria nei polmoni, come per darsi coraggio.
‘Conterò fino a tre, poi aprirò gli occhi’ decise.
Uno, due… tre.
E il mondo attorno a lui prese di nuovo vita.
Sentì come uno scoppio, un boato. Aprì di scatto gli occhi.
Davanti a lui, con un rumore assordante, i lupi stavano lottando contro qualcuno che Kiba non riusciva a vedere.
Ululavano, azzannavano, si lanciavano nella mischia, ma il loro avversario sembrava riuscire a tenergli testa piuttosto bene.
‘Non… non può essere’ mormorò il bambino.
Solo all’ennesimo, feroce ululato si convinse di non vivere in un sogno.
Non era morto, ma qualcuno l’aveva salvato prima che fosse stato troppo tardi.
Non riusciva a crederci.
All’improvviso un lupo ululò fortissimo: era stato ferito.
Kiba poteva vedere il suo sangue luccicare sull’erba mentre sentiva lo stomaco contorcersi.
Odiava il sangue.
Si portò le mani sul ventre e chiuse gli occhi, cercando di non vomitare, ma non sarebbe resistito ancora per molto.
Gli animali cominciarono ad indietreggiare, spaventati dal loro compagno di branco ferito che si contorceva in preda agli spasimi quasi affondando nel terreno. Poi si voltarono e corsero via.
Il bambino spinse ancora i palmi delle proprie mani contro il ventre e aprì gli occhi.
Vedeva solo il lupo ferito, immobile, e un piccolo cane bianco con il muso ancora sporco di sangue.
Sorrise.
Il piccolo cane gli si avvicinò scodinzolando. Kiba allungò una mano e cominciò ad accarezzarlo.
‘Ehi piccolo’ disse con un filo di voce ‘Grazie’
L’animale gli si accucciò accanto e chiuse gli occhi.
Lui lo prese tra le braccia e prese a strofinargli il musetto per rimuovere il sangue che lo impastava.
‘Che ci fai tutto solo nel bosco?’
Il cane si avvicinò ancora di più e cominciò a strofinarsi contro il suo petto.
‘Non hai un padrone, vero?’
Il piccolo latrò tristemente, abbassando la coda.
Kiba lo guardò negli occhi.
‘Allora vieni con me.’ disse serio.
Il cagnolino abbaiò festoso e si strofinò ancora contro il suo petto.
Il bambino sorrise accarezzandolo.
Finalmente tutto era finito. Quel cane l’aveva salvato.
‘Perché quando l’ho incontrato… aveva il musetto rosso.’
Tsume sorrise.
‘Ricordi ancora quando l’hai incontrato?!’
‘Certo. Quel giorno è cominciata la nostra storia…’
*neesan
-> sorella maggiore
**okaasan -> mamma
Akamaru in giapponese significa "rosso".
Dedicata a
Elena. Auguri Tesoro! *_*
Grazie per tutto quello che hai fatto per me.
Grazie per essermi stata vicina.
Grazie per avermi sempre spronata!
Ti voglio bene!
Dedicata
a
Neji, che ha l’onore di condividere con Elena il compleanno!
*_*
Dedicata a Kiba, perché tra quattro giorni è
anche il suo compleanno! *_*
Per ultimo, ma non meno importante, dedicata all’amicizia,
che è la cosa più
bella che possa esistere! *_*
Come al solito divago, ma che
volete farci, è il primo regalo di compleanno che scrivo! XD
Sono terribilmente emozionata! **
Spero tanto che vi sia piaciuta, ci ho messo davvero l'anima nella
stesura,
perchè adoro Kiba e Akamaru e adoro questo splendido
sentimento chiamato
amicizia. ^^
Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.
Segni di passaggio sempre benaccetti, ricordate! ^^
Alla
prossima! :*
Ayumi