Goin’
mental
Jeremy
Daky era una di quelle persone che rasentava
la pazzia, avrebbe dovuto trovarsi internato in un ospedale
psichiatrico,
circondato da infermiere zelanti e dottori poco preparati e molto
menefreghisti.
Strano
a dirsi, ma non era così; nonostante avesse
dato fuoco per due volte alla casa della madre, avesse fatto saltare in
aria
l’auto di suo fratello e poco ci era mancato che uccidesse il
suo secondo
compagno, era ancora a piede libero, più indipendente che
mai e con un sacco di
altre idee malsane per la mente.
Perché
non era in prigione? O rinchiuso nel
manicomio dove avrebbe dovuto essere? Semplice: la ricchezza del padre
copriva
qualunque crimine, insabbiava qualsivoglia accusa, distruggeva
qualsiasi
ipotesi; fortunatamente il vecchio genitore era trapassato se no, lo
avrebbe
incastrato in un istituto dal primo momento. Non si era mai sentito
tanto
felice per la morte di qualcuno, eppure suo padre era stato buono, con
lui,
anzi lo aveva cresciuto in modo esemplare, non gli era mai mancato
nulla dal
punto di vista del denaro o dell’affetto. Forse avere una
madre che s’interessava
anche un po’ di lui, invece di avere in mente solo ed
esclusivamente James lo
avrebbe aiutato, ma non poteva lamentarsi. Sapeva perché la
madre preferisse il
fratellastro, perché James Daky altro non era il primo
figlio della donna, che
suo padre aveva deciso di adottare in un atto, che Jeremy avrebbe
definito, di
pura e melensa carità.
Il
vero problema non erano sua madre, suo fratello o chiunque altro. Era
lui.
Lui
e la sua malattia: una nevrosi incontrollabile, quasi equiparabile alla
pazzia
di un serial killer; sembrava comandarlo in alcuni momenti della
giornata senza
che potesse prevederla o combatterla e poi… spariva,
lasciando i ricordi
orribili e tangibili di quello che aveva fatto. Le prime volte era
stato
terrorizzato da se stesso, aveva pensato di chiamare la polizia e
costituirsi o
di farsi rinchiudere volontariamente in una clinica. Il suo amor
proprio, il
suo orgoglio, la sua voglia di libertà avevano avuto il
sopravvento e si era
limitato a chiamare le persone giuste, a pagare i diretti interessati,
poi
aveva cambiato città, aveva voltato pagina, sperando che non
accadesse più.
La
prima volta era accaduto a diciotto anni, suo
padre era morto da un mese e quelle che erano sempre state delle
leggere
emicranie, che passavano con una pillola, avevano creato il caos nella
sua
mente; quando si era ripreso, si trovava in cortile, vicino al grande
portone
della sua villa: le fiamme divoravano la dimora sua e di sua madre.
Aveva
urlato, sperando che qualcuno lo aiutasse e, in fondo, che
quell’orribile
sensazione di colpevolezza sparisse.
Con
il tempo, la sua malattia sembrava
essersi affievolita, in meno di due anni era passato da impazzire tre
volte al
giorno fino ad arrivare a un’alternanza di due, tre volte al
mese.
A
venticinque anni si sentiva in grado di condurre una vita normale,
pacifica,
senza far troppi danni. Era riuscito a mandare avanti anche due
relazioni con
due splendidi uomini; aveva scoperto fin da adolescente che le donne
non lo
stuzzicavano neanche quindi non lo aveva stupito per nulla trovarsi a
suo agio
in una relazione con un altro uomo; era andato tutto a gonfie vele, non
aveva
dovuto dire la verità e gli attacchi nevrotici erano stati
sempre meno e si era
trasformati quasi in un semplice isterismo che non spaventava la gente
più di
quanto non lo facessero i cinque minuti
di rabbia o gli attacchi di panico.
Poi
era successo: un giorno era rientrato un’ora
prima dal lavoro, aveva preso le redini dell’azienda paterna
rendendosi presto
conto che il lavoro del pubblicitario faceva per lui, e aveva trovato
il suo
compagno Sly con un altro; non era quello il problema vero e proprio e
lo
sapeva bene. Fosse stato un altro
qualsiasi, avrebbe parlato con il compagno, forse lo avrebbe persino
perdonato
conscio dell’amore che provavano l’uno per
l’altro, ma così non era stato. Trovarsi
davanti il suo partner che faceva sesso orale con suo fratello
maggiore, lo
aveva destabilizzato.
Erano
rincominciati in quel momento i problemi veri
e propri, la sua psiche non aveva retto e aveva creato un puzzle
indiscutibilmente falso in cui, non solo sua madre, ma anche suo padre
preferivano James, in cui il mondo intero vedeva suo fratello come
migliore, in
cui nessuno avrebbe scelto lui, potendo avere il primogenito Daky.
A
poco erano valse le parole del compagno o quelle
ancora meno convincenti di James; lui sapeva che sarebbe impazzito e
quando lo
guardò negli occhi: Jeremy capì che desiderava
solo quello.
Quel
giorno, il 13 marzo 2014, Jeremy quasi uccise
una persona; non ce la fece realmente, la mandò in coma.
Sfortunatamente non si
trattava del fratello, ma di Sly.
Lo
andò a trovare in ospedale più volte nello stesso
giorno, disperato per l’accaduto, sperando che si svegliasse.
In effetti, così
accade i medici riuscirono a salvarlo e qualche ora dopo, seppur
indebolito e
traumatizzato dall’accaduto, poteva considerarlo fuori
pericolo.
Il
giorno seguente all’incidente, Jeremy fece
saltare la Spider nuova di zecca del fratello, era in sé
quando decise di
farlo, così come lo era quando piazzò il
detonatore, nulla nella sua mente non
quadrava quando spinse il pulsante. La sorte volle che non fosse James
a trovarsi
alla guida dell’automobile, quando prese fuoco. Aveva ucciso
un povero
parcheggiatore; non gli importava.
Si
accorse quel giorno che non era da lui essere
normale: lui era un pazzo omicida che la scampava sempre e la sua
personale missione
sarebbe stata uccidere James Daky; se mai vi era stato qualche legame
diverso
dal sangue fra loro, ormai non era che un granello di sabbia nel
deserto,
insignificante e ineccepibile all’occhio umano.