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Autore: Iselwen    03/07/2008    12 recensioni
Un piccolo One-shot ambientata in un universo molto alternativo. Sacrificio ed amore, vita e morte. Naruto e Sasuke in qualcosa di diverso dal solito. Se siete sensibili preparate i fazzoletti.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Mi apparve così, come un fulmine in una giornata estiva. La più splendida creatura mai vista stava lì, ferma su quel balcone. La sua figura sembrava come sospesa nel tempo. Raggi di luna gli accarezzavano il viso risaltandone i lineamenti quasi arroganti, capelli corti di un nero corvino ondeggiavano lievemente scossi dal vento. Teneva le mani sul cornicione, reggendosi con estrema delicatezza, quasi come se il materiale usato per la ringhiera non fosse freddo metallo, ma fine cristallo. Spostai il mio sguardo sul suo corpo: indossava un semplice maglione verde a collo alto e un paio di semplici blu jeans. Lo osservai per lunghi minuti, finché la mia mente non comprese la scioccante verità: era un uomo!
Non riuscivo a respirare. Il mio corpo si rifiutava di reagire. Era bello! Dannatamente bello! I miei pensieri non erano normali! Come potevo trovare bello un altro uomo?
Quando finalmente si girò, mi guardò dritto negli occhi. Mi trovai a fissare due occhi neri torbidi come il carbone ma che sembravano scrutare le profondità dell'anima. Ancora una volta rimasi senza fiato per la sua bellezza. Osservando meglio il suo viso mi chiesi come lo avessi potuto scambiarlo per una donna; anche se i lineamenti erano delicati avevano comunque i tratti virili tipici degli uomini.
Dopo che i nostri sguardi si furono incrociati nessuno disse né fece nulla. Rimanemmo semplicemente lì ad osservarci per un tempo che parve infinito. Poi, con un unico sorriso in mia direzione, senza dire una parola, si voltò e rientrò in casa, lasciandomi a riflettere sui miei strani sentimenti.
Tornai lì anche la notte successiva e quella ancora dopo. Ogni volta si ripeteva la stessa cosa: ci fissavamo e poi lui mi lasciava lì, sospeso fra il nulla e l'infinito. Il mio desidero era quello di conoscere meglio quell’uomo, mi sentivo attratto da lui come un ape con il miele.
Poi quel giorno, uno come tanti, successe qualcosa che mi lasciò molto scosso. Lui inaspettatamente non era lì ad attendermi. Aspettai per ore ma lui non venne. Mi sentii sconvolto, tradito. Tornai lì per altri quattro giorni sperando di trovarlo, ma lui non venne. Il quinto giorno, infine, mi arresi. Non sarebbe più venuto…
Lacrime amare mi solcavano le guance, lacrime di frustrazione e rabbia. Piansi, piansi per la prima della mia vita. Non riuscivo a credere che non lo avrei più rivisto, dovevo fare qualcosa. Senza pensarci su, iniziai a correre verso il piccolo condominio che doveva essere la sua abitazione. La fortuna sembrò assistermi. Trovai il portone d’ingresso già aperto, risalii velocemente le scale a due a due, dirigendomi verso la porta, che sentivo, mi avrebbe condotto da lui. Feci per bussare, ma la portavenne aperta prima con un sonoro *clak*. Sulla soglia c’era lui, bello come mai, Mi guardò imbronciato. Aprì le labbra e parlò: la sua voce era roca, come rotta da una forte emozione. Ciò che disse mi sconvolse, non tanto per la parole usate, ma tanto per la naturalezza con la quale le pronunciò
“Perchè ci hai messo tanto?"
Sbattei le palpebre per ricacciare le lacrime. Lo odiavo, sì lo odiavo, era troppo arrogante! Ma quelle che furono le mie azioni si discostarono completamente dal mio pensiero: lo tirai dal braccio e lo baciai sulle morbide labbra, non con dolcezza ma con arroganza e possessività. Mi aspettavo che lui si discostasse ma, inaspettatamente, non lo fece; si limitò a star li fermo immobile finché qualcosa non si sciolse in entrambi. Il bacio pian piano si era trasformato: le nostre labbra si univano adesso con passione e…amore.Non era odio quello che provavo verso di lui, ma proprio amore, quell’amore che si prova solo una volta nella vita.
Non ebbi neanche il tempo di realizzare quel dolce pensiero che mi sentii cadere, il pavimento sotto i miei piedi era scomparso. L’oscurità iniziò ad avvolgermi. Riuscivo ancora a vederlo ma la sua immagine era sempre più sfocata, sempre più lontana. L’ultima cosa che sentii prima di sprofondare nelle tenebre fu la sua voce bassa e roca che mi diceva qualcosa, ma la mia mente si rifiutava di capire
“Era l’unico modo, le nostre anime dovevano essere in congiunzione, non dimenticarlo mai…ti amo sarò sempre con te"
Ed infine il buio….

Freddo, glaciale freddo avvolgeva le mie membra. Cercai di aprire gli occhi, ma le mie palpebre erano troppo pesanti. La mia mente era confusa, per quanto mi sforzassi non riuscivo a ricordare gli avvenimenti degli ultimi giorni. Non so quanto tempo rimasi lì a galleggiare in quell’oceano scuro. L’unica mia compagnia erano due splendidi occhi neri che, con il loro calore, mi incitavano a non arrendermi.
Poi la memoria, così com’era scomparsa, ritornò: un altro attacco molto forte mi aveva colpito sul pianerottolo di casa mentre mi avviavo per andare a scuola. Il mio cuore era debole, lo era sempre stato. Nulla di eccezionale, fin da piccolo sapevo che sarei potuto morire da un momento all’altro.
In lontananza sentivo mia madre piangere, avrei voluto rassicurarla, dirle che stavo bene, che mi sarei ripreso presto, ma non riuscivo a respirare figuriamoci a parlare. Ormai avevo capito la realtà: stavo morendo. In verità non avevo molti rimpianti, per via della malattia non mi ero mai affezionato a nessuno, quindi non lasciavo nulla.
Ero lì intendo a cercare un valido motivo per il quale non lasciarmi andare a quel sonno ristoratore, quando una voce roca mi sussurrò in tono dolce, ma al contempo arrogante
"non arrenderti tu devi vivere!”

Volli dar retta a quella voce, combattei contro il buio che mi reclamava uscendone, infine, vincitore.

Sono passati otto mesi da quella brutta esperienza. Ho ripreso la mia vita normalmente e l’unica cosa che mi rimane di allora è un’enorme cicatrice che mi passa lungo il petto. Non provo vergogna per questa mia deturpazione, anzi, sono orgoglioso di possederla, essa rappresenta la mia unica vittoria nella vita.
Adesso sono qui, seduto per una visita di controllo su una scomodissima sedia ad attendere il dottore che mi ha operato. E’ sempre stato da lui essere in ritardo. In questo periodo odio rimanere solo, mi sento sempre strano, come se qualcosa non andasse, mi manca qualcosa. Sospirando cerco nella stanza qualcosa che riesca a scacciar via da me la sensazione di solitudine e finalmente riesco nel mio intendo. La mia cartella medica si trova proprio lì, sulla scrivania. Non che mi interessi molto, ma sempre meglio di non far nulla. Mi sporgo lievemente sulla sedia e, dopo averla efferata, inizio a leggere. Un sorriso mi increspa le labbra quando leggo quel 10% riferito alle mie possibilità di passare l’intervento, “sopravvivere un trapianto di cuore non è certo da tutti” mi dico con orgoglio. Volto lentamente pagina, convinto che ormai non ci sia più nulla di interessante da leggere quando una foto sgualcita mi cade sul grembo. Sul retro c’è scritto: FOTO DEL DONATORE. Con mani tremanti la giro. La faccia che mi sono ritrovato a fissare era quella di un ragazzo della mia stessa età, corti capelli neri gli incorniciavano il viso dai lineamenti affilati, piccole rughe gli increspavano la fronte, tipiche di chi è abituato ad aggrottarla continuamente. Ma la cosa che più mi colpì furono gli occhi, due intensi occhi neri così sconosciuti, ma al contempo cosi familiari che sembravano scrutare fin in fondo all’animo. Lacrime amare mi solcarono le guance, lacrime di frustrazione e di rabbia e allora piansi, piansi per la prima della mia vita…

  
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