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Autore: Chimeres    23/03/2014    2 recensioni
Freud definì il sogno come la rappresentazione mascherata di un desiderio represso e questo storia parte proprio da qui, dalla voglia di un abbraccio che si materializza una notte e che lascia l’amaro in bocca il giorno dopo perché di notte è tutto più bello quando si ha qualcuno da sognare... ma è meno bello il risveglio quando il posto accanto al tuo è freddo e a riscaldarti non trovi due braccia calde ma solo il tuo piumone... e non è esattamente la stessa cosa.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 3. Pensieri di te
 
“non preoccuparti giovanotto, le donne intelligenti sanno aspettare”


“l’avrebbe rivista e non se la sarebbe lasciata scappare” (cit. Cap 1)

E invece se l’era fatta scappare esattamente come tutte le altre volte, non aveva avuto il coraggio di andare da lei e abbandonare per una volta quello stupido orgoglio e quella stupida paura di rivoluzionare la sua vita. Quella mattina si era svegliato con le migliori intenzioni, non si era preparato un discorso ma si sarebbe affidato alle parole che il cuore gli avrebbe sussurrato.   
                                                                                                       
Ma qualcosa andò storto.                                                                                    

Quando quella mattina arrivò alla stazione e camminò mano nella mano con la sua fidanzata mai e poi mai avrebbe immaginato di scontrarsi con quegli occhi; stava camminando distrattamente, con una espressione in volto che palesava al mondo la sua noia nonostante accanto avesse una ragazza da far invidia a molti. Si guardava intorno senza alcuna cura ripensando mentalmente al momento in cui avrebbe rivisto Anita e a quel solo pensiero il cuore iniziò ad accelerare i suoi battiti e le sue labbra si incresparono in un risolino stupido, tipico di chi sta viaggiando con la mente... ma il cuore ben presto sembrò fermarsi e il risolino gli morì sulle labbra quando due comunissimi occhi castani incontrarono i suoi e lui non potè fare a meno di notare il percorso che quello sguardo fece: i suoi occhi, la ragazza al suo fianco, le loro mani unite. La vide deglutire e abbassare lo sguardo per poi allontanarsi dalla sua vista a passi veloci come se fosse in ritardo, un ritardo che lui sapeva bene essere solo una scusa visto che, a giudicare dall’ora del grande orologio, era sicuramente in anticipo come sua abitudine.                                                                                                            
Quando, al primo incrocio, salutò la sua fidanzata si guardò la mano e se la portò con vigore sulla testa imprecando contro la sfiga che si era abbattuta su di lui.
“mille persone al mondo e dovevo incontrarla adesso?” si chiese attraversando un semaforo con il rosso per nulla preoccupato dai motorini e dalle macchine che sfrecciavano veloci e suonavano minacciosi per destarlo da quei pensieri in cui era sprofondato. Improvvisamente capì che quella mattina non avrebbe potuto dirle nulla di sensato, come avrebbe potuto convincerla che per lui fosse importante dopo aver visto il suo sguardo deluso qualche attimo prima?                                                                                                                 

Quando arrivò a lezione la ignorò passando dritto e fece di tutto per evitarla, ma mentre la vedeva ridere con altri sentiva il cuore perdere colpi perché quei sorrisi non erano rivolti a lui e l’idea che lei potesse dedicarli a qualcun altro lo faceva impazzire come non mai e si sentì ferito perché lei non era per nulla giù di morale per quello che aveva visto, lei rideva e possibilmente rideva anche di lui. Si sentiva stupido per aver pensato anche solo per un istante di mandare all’aria tutta la sua vita per lei.                                                                           

Prese il suo quaderno e andò all’ultima pagina e mentre tutti prendevano appunti lui iniziò a buttare giù qualche riga:

Devo dimenticarmi di te perché:
  • Ridi di me ma non con me
     
  • Odio la tua risatina civettuola con quel cretino                                         
     
  • Non mi scrivi, non mi pensi e non mi cerchi                                              
     
  • Hai un brufolo vicino al naso                                                                    
     
  • Non mi cerchi se non ti cerco io
Si voltò a guardarla e lei gli regalò un timido sorriso e allora scrisse quell’unico motivo che voleva nascondere anche a se stesso:
  • Non riesco ad amarti come vorrei.

Strappò la pagina accartocciandola ripromettendosi di buttarla via quanto prima, rimase a guardarla con la coda dell’occhio con la speranza di coglierla in fallo mentre volgeva  i suoi occhi verso di lui e solo una volta si accorse che, mentre torturava tra le labbra il tappo della penna, lo scrutava timidamente distogliendo lo sguardo quando la sua amica le lanciava una gomitata e le sussurrava “lo stai consumando, lasciagliene un pochino alla barbie fisioterapista”, la vide arrossire e concentrarsi sui suoi appunti. Capì che forse non era tutto perso, doveva giocare le carte giuste e forse avrebbe vinto finalmente la sua timidezza. Rise tra se e se all’appellativo di “barbie fisioterapista”, doveva essere sicuramente il nomignolo che avevano dato alla sua fidanzata e in effetti l’avevano indovinato in pieno. Elettra, era all’ultimo anno di fisioterapia, non era mai stata portata per quella disciplina, ma suo padre era un fisioterapista affermato che poteva vantare tra i pazienti calciatori e uomini di prestigio e lei controvoglia aveva deciso di seguirne le orme con il solo scopo di potersi occupare un giorno dei clienti di suo padre.

Elettra era cosi diversa da Anita a tal punto che si chiese come potessero piacergli due ragazze cosi diverse tra di loro: eccentrica, perfetta e modaiola la prima e riservata, distratta e disastrosa la seconda. Nonostante tra le mani avesse quello che tutti avrebbero giudicato il meglio c’era qualcosa in Anita che lo ammaliava, non aveva ancora capito se fossero i suoi capelli scombinati che ravvivava con una mano o il suo essere profondamente distratta, più e più volte si era perso ad osservarne i movimenti, riusciva ad essere donna ma contemporaneamente cosi bambina da fargli venire voglia di stringerla forte e proteggerla dal mondo, anche se forse avrebbe dovuto proteggerla da se stesso perché sapeva bene che i suoi sorrisi nascondevano una malinconia che controvoglia era lui a procurarle.
Poche volte era riuscito a beccare i suoi occhi immersi nel vuoto come se la sua mente navigasse chissà dove e quelle poche volte aveva avuto voglia di abbracciarla e non lasciarla andare più, ma ogni volta ricadeva sempre nello stesso errore, quell’errore che fece quando finita la lezione alla stazione prese un treno diverso dal suo...
Con la fronte appoggiata al vetro la guardò sul marciapiede con i libri stretti al petto come a proteggersi dal freddo e quel senso di vuoto che immaginò provasse lei colpì anche lui . . .

“Sono un cretino” sussurrò quando un anziano signore gli porse una caramella alla menta “non preoccuparti giovanotto, le donne intelligenti sanno aspettare”
 
  
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