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Autore: Erbacea    24/03/2014    0 recensioni
“Ho bisogno di lui ma solo adesso me ne rendo conto, Aaron.”
“No, tu non hai bisogno di lui, sai cavartela benissimo da sola. Piantala di pensare a lui e va avanti perché meriti un’altra possibilità. Non puoi essere sempre la vittima.”
“Aaron.” Sbottai. Lui si fermò, per darmi la possibilità di parlare.
“Io sono fragile. Lo sono da sempre stata e lui mi ha resa felice fin dal primo momento, anche se adesso sono distrutta è grazie a lui se fin ad ora ho vissuto una vita perfetta.”
“Forse perché avevi del prosciutto al posto degli occhi oppure perché non volevi renderti conto di ciò che stavi andando in contro. Ma adesso sei qui, e questo l’hai scelto tu. Ora non puoi darti la colpa di tutto. Se ti ama veramente corre a cercarti. Tu sarai qui e solo allora saprai se perdonarlo o meno. Adesso vivi.”
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo Primo
 
Avevo voglia di cambiare vita. Nuova casa, nuova città e nuove persone probabilmente mi avrebbero aiutato a dimenticare. Ero sola con un Desiderio che zampillava dalle ferite del passato: vivere. Non avevo nemmeno più un lavoro. Mi licenziai tempo prima perché la signora Lloyd si approfittava del mio talento da stilista. Così, non portandole il vestito pronto in tempo per la mostra e portando via con me il mio capo migliore avevo imboccato un'altra via che mi avrebbe allontanato dal portone della solita e movimentata New York. Non mi sarei mai più presentata in quell’Atelier, le giurai. Procuratami un biglietto d’aereo per il North Carolina mi sentivo libera per metà. Sentivo sotto il mio corpo il tessuto della poltrona di quell’aereo che mi avrebbe scortato direttamente in un’altra vita. Cercavo di abbandonare ogni ricordo, uno per uno, lungo il cammino che percorrevo. Li posavo lì e chilometro dopo chilometro mi spogliavo lentamente dei miei pensieri che continuavano a molestare la mia mente. Maledetto il giorno in cui conobbi quel bastardo che mi rubò il cuore e lo lanciò dopo averci giocato sul mucchietto lì all'angolo.
“No, per favore. No.” Ricordavo quelle parole. Le ripetevo spesso quando ero ancora a New York, con lui. Era violento e anche se voleva dimostrarmi affetto lo faceva sempre nel modo sbagliato. Non riuscivo a capire se mi amasse oppure no in quei momenti.
Continuava a prendersi gioco del mio cuore: purtroppo capivo che mi avrebbe fatto del male, ma ancora, ancora ed ancora una volta gli permettevo di usare il mio organo vitale come palla da biliardo.
“Aaron,  avevi ragione!” Appena sentì la mia voce triste che chiedeva aiuto riconobbe subito che la ragazza con cui stava parlando ero io.  Amici dell’infanzia,  io ed Aaron,  il  Aaron ne avevamo passate tante insieme ma ci dividemmo perché lasciai la città per scappare con Logan. A quel tempo ero una bravissima ragazza, ordinata, perfetta.  Riccia, bruna, con quel modo di fare testardo e sbarazzino che faceva innamorare tutti i ragazzi del dopo-scuola che incontravo sempre nell’aula di informatica.
“Sto malissimo! Logan  mi ha lasciato!” dissi piangendo. Feci un sospiro profondo, come mi consigliò per telefono.
“Si è arrabbiato tanto quando ha visto un test di gravidanza con i risultato positivo nella pattumiera del bagno.”
“Aspetta, non dirmi che sei incinta?” mi domandò ancora più disperato.
Negai. “La donna delle pulizie l’ha fatto questo test. L’ho vista con lo scatolo tra le mani due giorni fa.” Singhiozzai.
“Perché non l’hai spiegato a Logan, Evelyn?”
“Lui è così. Quando è arrabbiato per qualcosa non ascolta le opinioni degli altri. Mi ha lanciato contro delle cose di vetro, ha rotto tutto ed è andato via dicendomi che al suo ritorno non sarei dovuta più essere in quella casa.”
“E’ pazzo, Evelyn.” Ripeteva infilandosi le dita tra i capelli per il nervosismo. Sentivo attraverso l’apparecchio il rumore delle nocche che premevano sul tavolo.
“ Te l’avevo detto di non frequentarlo.  Tu addirittura volevi sposarlo. Per fortuna non sei incinta, né hai intenzione di sposarlo ancora.  Adesso dove sei? Sento dei rumori assordanti.” Mi chiese infine. Udii Un sospiro di sollievo quando gli risposi di essere in città. “Ho preso il taxi e sto andando in un albergo. Domani farò il check-in, torno a Fayetteville. Non voglio più vederlo.  Voglio cambiare vita.”
“Hai  i soldi? Sai dove andare?” ricominciò a preoccuparsi. Avevo preso qualche banconota dalla sua cassaforte e la sua carta di credito. Anche se era il minimo, avevo una gran paura perché appena scoperto sarebbe subito cominciata la caccia.
Ero preoccupata, non stavo ascoltando ciò che Aaron, gentilmente mi diceva.
“Mi stai ascoltando, Evelyn?”
Svegliatami dallo shock scossi la testa e gli risposi di no.
“Aaron, c’è un altro problem a. Sono in viaggio e tra qualche ora ho l’atterraggio. Potresti ospitarmi a casa tua per qualche giorno? Non voglio correre subito dai miei genitori: mi direbbero che avevano ragione e non dovevo fidarmi di lui.”
“Certo. Facciamo passare del tempo. Puoi rimanere a casa mia quanto tempo  lo vorrai.”
Piedi per terra. Respirai per la seconda volta nella mia vita l’aria tranquilla, spensierata della mia città. Mia perché ne conoscevo ogni angolo, ogni essere vivente, ogni caratteristica.
 “Ora sei qui. Potrai rifarti una nuova vita. Tutta nuova.” Mi accarezzò il viso dolcemente. Le sue mani grandi me lo occuparono completamente.  Mi asciugò le lacrime con la punta del pollice e mi strinse forte a sé.  Mi mancava molto essere tra le sue braccia, il profumo di menta proveniente dai suoi vestiti mi ricordava la nostra infanzia, pura infanzia. Accartocciai del tessuto della sua maglietta nella mia mano per sentirlo più vicino. Più mio, come una volta, quando nemmeno i ragazzi e le ragazze potevano dividerci.
“Signora Carter” Corsi verso  la madre di Aaron, come una seconda tutrice per me. Mi è sempre stata accanto. Era molto cambiata nel corso degli anni, ma capace di trattenere i suoi tratti delicati, la sua voce fine e pura. Lo ammetto, amavo ascoltarla anche quando non sapeva proprio cosa dire. Era un’ottima donna, all’epoca, con il cuore d’oro.
“Evelyn, cosa ci fai quaggiù?” domandò la donna.  Le luccicavano gli occhi. Chiuse il grande libro che aveva tra le mani e lo poggiò con delicatezza sul tavolino e successivamente conservò  gli occhiali da lettura sulla copertina verde dai  merletti dorati. Cercò di poggiarsi con i gomiti sui braccioli della poltrona di stoffa su cui era accomodata per darsi forza e alzarsi.
“Rimani seduta, mi avvicino io.” La pregai.  Accovacciata ai suoi piedi le baciai la fronte.

“Rimani quanto vuoi, Evelyn. Questa è anche casa tua, ricordi?”
“Si, e la ringrazio. Avevo davvero bisogno di qualcuno che si occupasse di me come una volta.” Aaron si voltò verso di me di scatto, udite quelle parole. “In soffitta, Aaron porta la sua valigia in soffitta.” Sospirò la donna.
“Mamma, eccoti lo spray. Sai, Evelyn, ha gravi problemi alla respirazione e deve  sempre avere a portata di mano il suo spray.”
“Non preoccuparti Aaron, me la cavo benissimo da sola. Suvvia, quando penserai di portare la valigia di Evelyn in soffitta? Probabilmente vorrà riposare.”
“La ringrazio ancora, ma non penso di riposare adesso. Ho da fare tante cose e soprattutto mi serve un lavoro, perché non voglio approfittarmi di voi e della vostra ospitalità. Andrò via appena ammucchiato qualche dollaro.”
“Oh, non pensarlo nemmeno. Non disturbi e non ti stai approfittando di nessuno. Però apprezzo il tuo modo di essere. Magari Aaron si impegnasse a cercare un lavoro e a non poltrire sul divano tutto il giorno.” Accentuò l’ultimo periodo in modo da portarlo fino alle orecchie del ragazzo occupato in soffitta.
Ridacchiò. “Mamma, ti ho sentita.”
Un rumore assordante  dal terzo piano. “Sto bene, sono solo cadute delle scatole.” Ci assicurò Aaron.
“Adesso va a riposare, ne hai bisogno.”
“La ringrazio, ma sono sicura che non chiuderò occhio.”
“Almeno provaci.”


Feci come mi consigliò.  A piedi scalzi, una volta in soffitta salii sul letto e mi poggiai su un lato. In quel momento pensai a dov’ero arrivata. Non ero sola, per fortuna, ma una parte di me mi aveva abbandonata e non sapevo più cosa fare. Logan mi aveva distrutta, ridotta al culmine, ma mi mancava. Mi mancava il suo corpo caldo, non sbronzo. Stavamo benissimo finché non incominciò a bere, e ogni volta che lo faceva diventava violento, prepotente e soprattutto cambiava personalità. Continuavo a perdonarlo ogni settimana, ma comunque andava, quella dopo eravamo punto e da capo.
Singhiozzavo, mentre ricordavo i momenti belli e brutti passati accanto a lui. Singhiozzavo pensando a ciò che sarei diventata se non avessi detto basta, se non avessi chiesto a Dio un’altra opportunità di vivere.
“Evelyn, smettila di versare lacrime per lui, non lo merita.”
“Solo quando è ubriaco non lo merita. Io ho avuto modo di conoscerlo e ti assicuro che se non toccasse bicchieri sarebbe un ragazzo modello.”
Scostandomi i capelli dal viso Aaron continuava ad ascoltarmi seduto sul letto, al mio fianco.
“Io sono scappata, proprio come una bambina.”
“No, scappar via non è da bambini. E’ un modo di crearsi una vita nuova, e questo lo sai bene Evelyn.”
“Ho bisogno di lui ma solo adesso me ne rendo conto, Aaron.”
“No, tu non hai bisogno di lui, sai cavartela benissimo da sola. Piantala di pensare a lui e va avanti perché meriti un’altra possibilità. Non puoi essere sempre la vittima.”
“Aaron.” Sbottai. Lui si fermò, per darmi la possibilità di parlare.
“Io sono fragile. Lo sono da sempre stata e lui mi ha resa felice fin dal primo momento, anche se adesso sono distrutta è grazie a lui se fin ad ora ho vissuto una vita perfetta.”
“Forse perché avevi del prosciutto al posto degli occhi oppure perché non volevi renderti conto di ciò che stavi andando in contro. Ma adesso sei qui, e questo l’hai scelto tu. Ora non puoi darti la colpa di tutto. Se ti ama veramente corre a cercarti. Tu sarai qui e solo allora saprai se perdonarlo o meno. Adesso vivi.”
“Aaron.” Stavo per farmi scappare un – Ho paura – ma poi mi intrattenni, anche se Aaron capì subito.
“Il bello delle donne è che hanno paura, ma alla fine hanno il coraggio di fare tutto, se lo vogliono.”
Gli sorrisi. Finalmente sorrisi. Stampandogli un bacio sulla guancia tutto ciò che riuscii a fare fu ringraziarlo.
“Da domani ti chiamerò Hope.” Ridacchiò. “Adesso riposa, domani si va in città.”
“Non penserai mica che dormirò fino a domattina?”
“Perché no? Questo letto è comodissimo. Buon riposo.” Si chinò e mi baciò la fronte accarezzandomi con due dita la guancia liscia e rossa. Era ufficiale. La mia vita stava finalmente cambiando, in positivo. Dovevo solo crederci.


“Interessante curriculum, ma non basta per sopravvivere nel mondo della moda.”
“Mi faccia almeno parlare con la direttrice della casa di moda, per favore.”









 
 
  
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