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Autore: vannagio    24/03/2014    6 recensioni
Quella era davvero una giornata del cazzo. E JD ne aveva le palle gonfie, di quella merda. Dieci farfalline in un giorno erano troppe per fino per il Santo Protettore Dei Tatuatori. Che forse non esisteva affatto, vista e considerata la ragazzina che era appena entrata nel suo negozio di tatuaggi. C’era solo un tipo di ragazza che JD detestava più della solita Barbie Voglio Una Farfalla Sull’Inguine, ovvero la classica Bellezza Dark.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una storia di metallo e inchiostro'
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Capitolo 8




«Porteresti mai la tua roba in un lava secco che si chiama La Macchia?».
L’ombra che il lampione proiettava sul marciapiede si allungò fino alle ruote posteriori della sua auto, poi si allargò in una sagoma massiccia e alla fine si condensò in un Moro alto quasi due metri. Passare inosservati confondendosi tra le ombre era la specialità di Thresh e di suo fratello Liam, che nel loro ambito professionale erano conosciuti non a caso come Le Ombre.
«A parte constatare la pessima operazione di marketing della vecchia Anelia, hai trovato qualcosa?», chiese Benedetta.
«Sul retro non ci sono né porte né finestre. Però c’è una scala antincendio, che sale fino al tetto. Forse possiamo entrare da lì. Se c’è una scala, c’è anche una porta».
«E se c’è una porta, c’è anche chi la sorveglia».
Appoggiata alla fiancata della sua auto, Benedetta diede uno sguardo col binocolo a visione notturna. Il lava secco La Macchia era un blocco di cemento quadrato. L’ingresso principale era sbarrato da una saracinesca corrosa dalla ruggine. I neon dell’insegna traballavano, la A finale di Macchia era completamente spenta. L’intonaco era marcio di umidità. Benedetta ci avrebbe scommesso le tette, il lava secco veniva mantenuto in vita per accanimento terapeutico. Era un’ottima attività di copertura, in effetti.
«Allora?», chiese Thresh.
«Il tetto sembra sgombro, ma è difficile appurarlo con certezza da quaggiù».
«Non mi piace lavorare alla cieca».
Benedetta lasciò cadere il binocolo sul sedile del guidatore, attraverso il finestrino aperto.
«Dov’è finito il tuo spirito avventuroso?».
«Mai avuto. Sono un tipo meticoloso e mi piace prevedere tutto. Hai già pensato a come procedere?».
«Di entrare dall’ingresso principale non se ne parla. Saliamo sul tetto e vediamo cosa ci riserva il destino. Se c’è una porta e riusciamo a entrare, io vado avanti e tu mi copri le spalle».
«Non mi piace rimanere nelle retrovie».
«C’è qualcosa che ti piace, almeno?».
Il ghigno di Thresh era una lama bianca nell’oscurità.
«Sì, spezzare colli».
Benedetta roteò gli occhi.
«Secondo te quanti uomini ci sono lì dentro?».
«Difficile a dirsi. Un cecchino sul tetto, di sicuro. Qualcuno in fondo alla scala che porta al tetto. E poi… boh? L’edificio non è molto grande. Ci sono pochi punti di accesso. Direi… due nell’ingresso principale e uno a sorvegliare la stanza in cui tengono Honey. O almeno io farei così. Stanno tenendo sotto chiave una ragazzina, in fondo, non un ninja super addestrato».
«Che ore sono?».
Thresh diede uno sguardo all’orologio da polso.
«Mezzanotte e un quarto».
Benedetta tolse la sicura alla pistola.
«Bene, allora. Cominciamo dal tetto».



«Mi prendi per il culo, Trucizna?».
«Se ti avessi preso per il culo, te ne saresti accorta, Halona. Immagino tu sappia cosa si dice degli uomini bassi, no?».
«Tieniteli per te i tuoi doppi sensi del cazzo. Questo non è un accordo ragionevole, questo è un furto!».
Se JD non avesse saputo del piano, non avrebbe mai detto che Halona stesse fingendo. Ci stava mettendo davvero tanta passione nell’interpretare la parte del capobanda oltraggiato. Probabilmente la sfrontatezza di Trucizna e l’odio che lei covava nei suoi confronti la aiutavano non poco a calarsi nella parte. Il Cardinale, invece, era rimasto in silenzio per la maggior parte del tempo. Ovvio, lui era lo zio preoccupato, che avrebbe fatto di tutto pur di salvare la nipote.
«Accordo ragionevole? Chi ha mai parlato di accordo ragionevole?». Trucizna scosse la testa. «Forse dimentichi che ho il coltello dalla parte del manico, mia dolce Halona».
«Fai meno lo sdolcinato, nano malefico. Me ne sbatto altamente della ragazzina, per quanto mi riguarda potete anche scioglierla nell’acido. Non ti cederò mai il mio club e Williamsburg Nord».
Il Cardinale fece un passo avanti.
«Bada a come parli, cagna!».
«Tu non hai voce in capitolo, razza di storpio con la cresta! Se mi trovo nella merda è tutta colpa di quella puttanella di tua nipote».
«Ancora una parola, Coyote. Solo una…».
«Signori, ma insomma!».
Trucizna si era frapposto tra il Cardinale e Halona, facendo finta di volerli separare. In realtà si vedeva da un miglio di distanza che si stava divertendo un mondo. JD fu colto da un’immagine mentale di lui che saltellava allegro come un bambino su un tappeto di cadaveri. La trovò molto azzeccata.
«Si è portato i rinforzi, proprio come avevamo previsto», bisbigliò Zachariasz, al suo fianco.
«Come fai a dirlo?».
«Lo vedi quel cumulo di macerie, appena cinquanta metri oltre la gru?».
JD annuì e assottigliò lo sguardo, fissando attentamente il punto indicatogli da Zachariasz. Impiegò qualche istante, ma poi lo vide anche lui. Un fioco baluginio. In caso di necessità, i Polacchi sarebbero saltati fuori colpendoli alle spalle.
«La canna di un fucile?».
«Probabile».
Trucizna nel frattempo gettava benzina sul fuoco.
«Ascolta, Halona. Queste sono le mie condizioni. Se non sei d’accordo, per me non c’è problema, faccio una chiamata e pożegnanie! alla ragazzina. Torniamo tutti a casa e riprendiamo la nostra bella disputa da dove l’avevamo lasciata. Tu, però, sei sicura di volere la vita di una fanciulla innocente sulla coscienza?».
Il Cardinale lasciò cadere il mozzicone di sigaro e lo spense con la punta del mocassino.
«Forse a lei le tue condizioni non stanno bene, ma a me sì. Ti cedo il mio club, anche il monopolio della droga. Non me ne fotte un cazzo, ti darò tutto quello che vuoi. Non ti basta?».
Trucizna poggiò la mano sul petto, all’altezza del cuore. Con un’espressione stucchevole sul viso.
«Oh, Cardinale. Il tuo attaccamento alla famiglia è davvero commovente. Ma che me ne faccio del monopolio della droga se non ho un quartiere in cui sfruttarlo? Mi spiace, ma se Halona dice no, non se ne fa niente, prendere o lasciare».
Il Cardinale e Halona si guardarono in cagnesco, senza dire alcunché. Stavano cercando di prendere tempo, era ovvio.
JD spostò il peso del corpo da una gamba all’altra, nervoso come un cavallo nel suo box, e tornò a sedersi sul cofano della Ford. Stare in disparte ad assistere a quella messa in scena senza poter fare nulla era un’agonia. E Zachariasz doveva essere del suo stesso avviso, perché era teso e rigido come un fascio di nervi.
«Cosa non darei per accorciare quel nano di qualche altro centimetro», disse, infatti, poco dopo.
Stanlio li stava fissando, col solito sorrisetto. JD gli restituì il sorriso.
«A chi lo dici».



La prima cosa da fare era individuare le telecamere e aggirarle, perché era da idioti pensare che un posto usato come copertura da una banda di criminali non avesse un sistema di sorveglianza. E infatti ce n’era una in cima alla prima rampa della scala antincendio. Fortunatamente il conto in banca del Cardinale era uno spazzaneve che apriva la strada verso il mondo dei balocchi.
«L’hai vista?».
«Ci penso io».
Thresh sfruttò delle intercapedini nel muro per arrampicarsi e arrivare alle spalle della telecamera. Aggrappandosi alla ringhiera, intaccò la gomma che rivestiva i cavi con la lama di un coltellino e applicò sui fili elettrici scoperti una specie di pinzetta. Al riparo dietro il cassonetto dei rifiuti, Benedetta cominciò a contare venti secondi, il tempo necessario affinché il dispositivo registrasse un’immagine della via sgombra e la riproducesse sul monitor di sorveglianza al posto di quella reale.
…diciannove, venti.
Sgusciò fuori dal suo nascondiglio e salì rapidamente la prima rampa, proprio mentre Thresh scavalcava la ringhiera. Le successive tre rampe erano sgombre da telecamere, ma una volta raggiunto il tetto si sarebbero trovati faccia a faccia con la canna di un fucile.
Per fortuna l’oscurità giocava a loro favore.
Si sporsero oltre il muricciolo che costeggiava il perimetro del tetto quel tanto che bastava per dare un’occhiata e decidere di conseguenza. Come volevasi dimostrare, davanti alla porta del lucernaio c’era un uomo col fucile spianato, che rivolgeva nella loro direzione il fianco destro. A Thresh e Benedetta fu sufficiente una sola occhiata di intesa per accordarsi. Mentre lei rimaneva indietro a coprirgli le spalle, lui saltò oltre il muricciolo. Le suole delle sue scarpe si posarono sul catrame di cui il tetto era foderato senza produrre alcun suono. Benedetta lo vide fondersi nella notte e qualche istante più tardi apparire alle spalle dell’uomo, silenzioso come un’ombra. Il cecchino non ebbe nemmeno il tempo di urlare. Cadde a terra come un fantoccio, con il collo rotto. Quando Benedetta lo raggiunse, Thresh stava contemplando la sua opera col sorriso sulle labbra. Lei inarcò un sopracciglio.
«Non scherzavi sui colli rotti».
«E nemmeno sul rimanere nelle retrovie».
Forzarono la serratura della porta ed entrarono. Una scala a chiocciola di metallo sprofondava giù per diversi metri. Dovettero scendere lentamente, uno scalino alla volta, perché il rumore dei loro passi sul ferro zincato avrebbe potuto tradirli. A due metri da terra, Benedetta intravide un altro uomo armato. Senza pensarci due volte, si lanciò e lo atterrò precipitandogli addosso. Un coltello nel fianco lo mise definitivamente a tacere. Thresh scese rapidamente gli ultimi scalini rimasti e l’aiutò a nascondere il cadavere nel sotto scala. Dai piedi del corpo partiva una scia di sangue.
«Vedi perché preferisco i colli rotti? Non sporcano e non lasciano tracce».



Quando la Mercedes del Cardinale e la vecchia Ford che la scortava erano entrate nel vecchio cantiere abbandonato della Pentex&Co., José era stato costretto a fermarsi. Se fosse entrato anche lui con la sua auto, lo avrebbero scoperto di sicuro. Così aveva posteggiato dietro a un camion e aveva tenuto d’occhio l’ingresso del cantiere con un piccolo binocolo. Una decina di minuti più tardi, era arrivato un SUV nero che, esattamente come la Mercedes del Cardinale, era entrato nel cantiere.
José si era fatto un’idea precisa di quello che stava succedendo, gli serviva solo una piccola verifica. Tolse la sicura alla pistola, la assicurò nella fondina e scese dall’auto. Muoversi a tentoni in un posto dove a ogni passo rischiavi di poggiare il piede su un chiodo arrugginito o di cadere in una buca non era quello che si dice uno spasso, ma non poteva accendere la torcia senza rischiare di segnalare agli altri la sua presenza. E poi vedeva delle luci, a una cinquantina di metri di distanza. Erano i fari delle tre auto, accesi. Si nascose dietro un pilatro incompleto, dal quale fuoriuscivano quattro ferri arrugginiti, e lanciò un’occhiata in direzione dei tre veicoli.
Porca puttana, avevo ragione!
C’erano il capobanda dei Polacchi, Marek Bagiński detto Trucizna, la proprietaria del club che faceva da punto di ritrovo per i Coyote, Halona Birmingham, e il presunto Cardinale. Tutti e tre muniti di scorta. E sicuramente non si erano dati appuntamento lì per una scampagnata notturna. Stavano discutendo animatamente. Quelli più incazzati erano il Cardinale e Ha…
Che è stato?
Uno scricchiolo alla sua destra aveva attirato la sua attenzione. José strizzò gli occhi, perché il buio era impenetrabile e i fari accesi delle auto lo abbagliavano (e poi, ammettilo, stai diventando vecchio) e finalmente lo mise a fuoco. Un uomo. Anzi, no. Parecchi uomini. Uomini armati fino ai denti. Che si nascondevano, pronti a scattare.
Oh, merda. Merda merda merda!
Fece immediatamente dietrofront. Doveva tornare alla macchina e chiamare i rinforzi, prima che quel cantiere si trasformasse in fottutissimo mattatoio.



Lo scatto della serratura la svegliò di soprassalto. Quando la porta si aprì, il rettangolo di luce proveniente dal corridoio la fotografò sepolta sotto parecchi capotti tarlati e maglioni alla naftalina. Pur di non morire congelata sul pavimento, si era raggomitolata come un gatto su un mucchio di vestiti puzzolenti. Si stropicciò gli occhi, ancora mezza addormentata.
«Che è successo? Che ore sono?».
Nessuna risposta.
E non era mai un buon segno, quando nessuno rispondeva.
La figura massiccia di Ollio si stagliò improvvisamente contro la luce dei neon. L’ombra che proiettava sul pavimento era esattamente al centro del rettangolo di luce e talmente lunga da arrivare a sfiorare la punta delle scarpe di Honey. Non riusciva a scorgerlo in viso, ma qualcosa le diceva che Ollio non aveva buone intenzioni. In un attimo fu sveglia come un grillo.
«Dov’è Stanlio?».
Perché diavolo continui a fare domande? Tanto non può rispondere. Piuttosto togliti dalla posizione di svantaggio e cerca velocemente un oggetto contundente!
Honey si alzò in piedi, ma era così spaventata che inciampò nella manica di un maglione e cadde carponi. Fu allora che lo sentì avvicinarsi. L’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e lei si ritrovò di nuovo in piedi senza nemmeno sapere come aveva fatto. Ancora traballante, ma in piedi.
La luce del magazzino si accese e finalmente riuscì a scorgerlo in faccia.
Ollio era serissimo in volto, ma i suoi occhietti celesti, di un celeste acquoso, slavato, le scivolavano addosso come la lingua viscida e flaccida di un cane. Si studiarono in silenzio per un po’, in piedi, l’uno di fronte all’altra. Lui sembrava calmo, ma il modo in cui apriva e chiudeva spasmodicamente il pugno lasciava trapelare una sinistra frenesia, una corrente impetuosa sotto il pelo dell’acqua. Honey invece era un budino tremolante.
«Stanlio ha detto che non hai il permesso di farmi del male».
Ha detto anche che ti avrebbe tagliato la lingua, nonostante gli ordini del suo capo.
Stava solo cercando di prendere tempo, in cerca di qualcosa con cui difendersi. Lo aveva già cercato diverse volte, in realtà, nel corso della giornata, ma non aveva trovato nulla, nemmeno un paio di scarpe. Aspetta, scarpe? Si tolse rapidamente un anfibio e lo impugnò a mo’ di martello.
«Questi cosi pesano un quintale, non ti conviene avvicinarti».
Per la prima volta vide Ollio sorridere.
E così seppe di non avere scampo.
Scattò contro di lei mezzo secondo più tardi, lei provò a scansarsi, ma togliersi un solo anfibio non era stata una mossa geniale. Dopo il primo passo zoppicante, cadde nuovamente sul pavimento. Lui le saltò subito addosso, afferrandola per i capelli e strattonandoli con forza.
Ollio ha una fissa per i capelli delle ragazze, adora afferrarli e tirarli.
Honey aveva ancora l’anfibio in mano, provò a darglielo sulla testa, ma lui riuscì a parare il corpo con un braccio. Lei però non aveva intenzione di arrendersi, né di mettersi a piagnucolare. Mira ai punti deboli, gli diceva sempre Benedetta. La parola chiave è “palle”. Palle degli occhi e coglioni. Mentre lui cercava di tenerla ferma con le gambe, Honey si mise a scalciare come una gatta. Gli graffiò il viso e riuscì a ficcargli due dita nell’occhio destro. Ollio mollò immediatamente la presa su di lei, urlando di dolore. Per gridare non ti serve la lingua, eh, pezzo di merda? Lo spinse di lato e riuscì a sgattaiolare via da sotto il suo corpo. Afferrò l’anfibio e si rimise in piedi. Ma anche Ollio si era alzato, e di nuovo avanza verso di lei, con un occhio rosso e la bocca aperta che gli tagliava in due la faccia. Honey si preparò a colpirlo con l’anfibio, quando…
BAM!
Ollio cadde per terra, gemendo e contorcendosi come un verme infilzato su un amo.
«Maledetto bastardo, adesso te lo faccio vedere io dove lo puoi ficcare il tuo lurido uccello!».
Honey non ci stava capendo più un cazzo, il suo cuore era andato a ballare la samba tra le ginocchia. Forse stava avendo un’allucinazione, forse era morta. Perché Benedetta le era appena passata accanto come un toro imbufalito (come una mandria intera di tori imbufaliti, in realtà), con una pistola fumante in mano, e adesso stava tempestando di pugni la faccia del suo aggressore. Quando però la vide sguainare il coltello e bisticciare con la cintura di Ollio, si riscosse.
«Benedetta, no!».
Non aveva la più pallida idea di quali fossero le intenzioni di Benedetta, sapeva solo che non si trattava di un pompino. La trattenne per un braccio e si mise in mezzo, tra lei e Ollio.
«Lascialo stare, non ne vale la pena!».
Benedetta aveva il fiato corto e gli occhi spiritati.
«Quel porco stava…».
«Ho un debito con sua madre».
Thresh apparve da chissà dove. Reggeva la pistola con due mani e teneva d’occhio il corridoio, gettandosi occhiate guardinghe alle spalle.
«Si può sapere che cazzo combinate, là dentro? Ho sentito dei rumori. Lo sparo avrà messo in allerta gli altri. Ci arriveranno addosso in men che non si dica, dobbiamo sbrigarci».
Benedetta stava fissando Honey, era chiaramente combattuta. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Thresh la precedette.
«Merda, non c’è tempo!».
«E va bene, porco cazzo!». Benedetta rinfoderò il coltello. «Sentito che ha detto? Andiamo!».
Honey sorrise, ma invece di obbedire si voltò verso Ollio. Era stato colpito all’addome e perdeva parecchio sangue.
«Ringrazia Aniela. Se sopravvivi, vedi di trattarla come si deve, intesi?».
E prima che Benedetta riuscisse ad acciuffarla e a trascinarla fuori, riuscì finalmente a dargli sulla testa il fottutissimo anfibio.



Trucizna batté le mani, entusiasta.
«Sono così contento che alla fine abbiamo raggiunto un accordo, mi sarebbe dispiaciuto fare fuori tua nipote, Cardinale. Stanlio mi ha detto che è proprio un bel bocconcino».
L’ilarità di Stanlio confermava le parole del suo capo. Cristo, che voglia matta di cancellargli quel fottuto sorrisetto dalla faccia a colpi di mazzate. JD dovette mordersi la lingua per non saltare addosso a Stanlio subito.
«Be’, sarà meglio per Stanlio che nessuno le abbia torto un capello», disse il Cardinale.
Trucizna sgranò gli occhi, con finta espressione oltraggiata.
«Così mi offendi, però. Credi forse che sia il tipo d’uomo che non si attiene ai patti?».
«Sto solo mettendo le cose in chiaro».
Halona imprecò.
«Possiamo darci un taglio, qui? Stiamo facendo giorno».
«Ma certo!», trillò Trucizna, schioccando le dita. «Sono subito da voi».
Stanlio prelevò una ventiquattrore dal SUV e gliela porse. Mentre Trucizna apriva la valigetta e ne estraeva dei fogli, Zachariasz diede di gomito a JD. Il Cardinale era intento a fissare lo schermo del suo cellulare. Per un millesimo di secondo, JD vide dipingersi sul suo volto un ghigno da squalo. Dal modo in cui aveva irrigidito le spalle, anche Halona doveva essersene accorta. Il cuore di JD fece una capriola per il sollievo.
«Dovete solo firmami i documenti di cessione dei vostri club», disse Trucizna, tornando da loro con i fogli. «Non preoccupatevi, penserò io a compilarli per voi. Cardinale, poi ovviamente dovrai presentarmi i tuoi fornitori e ufficializzare il passaggio di consegna. Mentre tu, Halona, be’, per quanto riguarda la potestà su Williamsburg Nord, sarà un po’ più complicato rendere ufficiale il tutto, ma sono certo che troveremo un modo pratico ed efficiente».
La risata del Cardinale era amara e incrinò il sorriso mieloso di Trucizna.
«Se pensi che firmerò qualcosa prima di vedere mia nipote sana e salva, ti sbagli di grosso».
«Eh, no. No, no, no. Cardinale, anche io voglio mettere le cose in chiaro. Non mi crederai così stupido da lasciare libera tua nipote prima di aver ottenuto quello che ho chiesto?».
«Avevi detto…».
«Avevo detto che ci saremmo incontrati qui a mezzanotte per discutere delle condizioni per il rilascio di tua nipote, non che l’avrei liberata questa sera stessa. Quella ragazzina è la mia polizza assicurativa, cerca di capirmi».
«Fammici almeno parlare, voglio essere sicuro che stia bene. Poi firmerò tutto quello che vuoi».
Trucizna fece finta di rifletterci su, accarezzandosi il mento. Ha proprio una passione per il teatro questo qui, pensò JD.
«Massì, mi sembra un buon compromesso». Schioccò di nuovo le dita e subito Stanlio gli mise un cellulare in mano. «Solo un paio di minuti, però. Va bene essere magnanimo, ma non esageriamo, eh?».
Compose il numero, fischiettando, si portò il cellulare all’orecchio e rimase in attesa. Per diversi minuti.
«Qualcosa non va, Trucizna?», chiese Halona, sorridente.
«Forse non c’è campo», suggerì il Cardinale.
«Non risponde nessuno». Trucizna si voltò a guardare Stanlio. «Perché non risponde nessuno?».
«Io, io…».
«Te lo dico io perché», si intromise il Cardinale. Che adesso non si preoccupava più di camuffare il suo ghigno da squalo. «Non risponde nessuno, perché sono tutti morti».



«Mandato?», chiese Benedetta, senza perdere di vista la strada.
Thresh mise via il cellulare e annuì.
«Sì, adesso i Polacchi avranno pane per i loro denti».
Honey se ne stava rannicchiata sul sedile posteriore dell’auto di Benedetta. La siringata di adrenalina, dovuta alla fuga da quella che per lei era stata una specie di Alcatraz, si era esaurita velocemente come un fuoco di paglia, lasciandola infreddolita e tremante. Era esausta, affamata e si sentiva le mani di Ollio ancora addosso. Rabbrividì.
«Staranno bene, vero? Non succederà niente a nessuno, giusto?».
Benedetta e Thresh le avevano raccontato brevemente cosa era successo, mentre lei era stata rinchiusa nel magazzino. Non riusciva a toglierselo dal cervello, quel maledetto tarlo. Che scavava e scavava e scavava. Era tutta colpa sua. Suo padre, JD, suo zio, Halona, Shiriki… stavano tutti rischiando la vita a causa sua, perché non aveva saputo obbedire a un ordine esplicito, aveva fatto di testa sua, come al solito. Era proprio una bambina viziata.
Benedetta le lanciò un’occhiata indagatrice attraverso lo specchietto retrovisore.
«Non ti preoccupare, ragazzina. È tutta gente in gamba, che sa il fatto suo».
«Sì, ma…».
«Niente ma. Adesso ti accompagniamo al Goldfinger, lì sarai al sicuro, ci sono tua madre e Liam. Thresh ed io invece andremo al cantiere, per dare una mano».
Honey raccolse le gambe al petto e poggiò il mento sulle ginocchia. Fuori dal finestrino, la città correva veloce. Le casette a schiera e i negozietti di Greenpoint lasciavano il posto poco a poco alle case a due piani ricoperte di murales di Williamsburg. Il Goldfinger era vicino.
«Riportateli a casa sani e salvi, allora».
L’occhiata di Benedetta nello specchietto retrovisore sembrò addolcirsi per un istante. Ma forse erano solo la stanchezza e i sensi di colpa ad averle giocato un brutto scherzo.



«Morti?».
Trucizna aveva gli occhi fuori dalle orbite. Il Cardinale annuì, sempre sorridendo come uno squalo. Lasciò cadere il bastone, si tolse il cappotto bordato di zibellino, lo piegò con cura e lo poggiò sul tettuccio della sua auto. Poi si slacciò i polsini e si arrotolò meticolosamente le maniche della camicia di seta fino ai gomiti.
«La tua polizza assicurativa è stata annullata».
JD scese dal cofano della Ford, mulinando minacciosamente Gina. Sam e Zachariasz estrassero la pistola dalla fondina. Con un sorrisetto nervoso, Stanlio tolse la sicura alla sua, subito imitato dal tizio con la cicatrice sulla guancia.
«D’accordo», disse Trucizna. «Ammetto il mio errore, vi ho sottovalutati. Però anche voi avete sottovalutato me».
Un numero imprecisato di uomini con i fucili spianati comparvero alle loro spalle, proprio come JD e Zachariasz avevano previsto.
«No», disse Halona. «Non l’abbiamo fatto».
Un gruppetto di Coyote sbucò da dietro un container, con Shiriki in prima fila. Le canne delle pistole e dei fucili ammiccavano sotto la luce dei fari delle auto.
«Oh». La fronte di Trucizna era imperlata di sudore. «Com’è che si chiama, una situazione del genere? Stallo alla messicana?».
«Non ne ho idea, io sono indiana». Halona puntò la pistola contro Trucizna. «Questo è per Cagnaccio!». E sparò.
Accadde tutto con una rapidità sconcertate.
Trucizna schivò il colpo per un pelo, tuffandosi di lato. Quelle gambette erano dannatamente veloci per essere così corte. E all’improvviso JD si vide cadere addosso una pioggia di proiettili, provenienti da entrambi i fronti. Adesso sapeva cosa si intendeva con l’espressione fuoco incrociato. Si sentì tirare indietro. Zachariasz lo aveva afferrato per la collottola della felpa e messo al sicuro dagli spari dietro la vecchia Ford.
«Te lo avevo detto che la mazza non sarebbe servita a un cazzo!».
Zachariasz usava la portiera dell’auto come barriera e sparava in direzione dei Polacchi. Sam era a terra, prono, in un lago di sangue. Il Cardinale aveva trovato riparo dietro la Mercedes, mentre Halona usava il cadavere del Polacco con la cicatrice sulla guancia come scudo e rideva sguaiatamente. Cazzo, se doveva scatenarsi l’inferno per vederla ridere, era meglio non vederla ridere mai. E dove diavolo era finito Trucizna? Al sicuro nel suo SUV a prova di proiettile, naturalmente. Insieme a Stanlio. Che stava mettendo in moto.
No, pezzo di merda, è troppo facile così.
«Coprimi!», urlò a Zachariasz.
«Dove cazzo pensi di andare? Se crepi, dopo chi la sente Honey?».
Non si preoccupò di rispondergli, ma si fiondò a testa bassa verso il SUV. Sembrava di essere in guerra, con gli squadroni che avevano abbandonato le trincee per scendere sul campo di battaglia. Un Polacco si accorse di lui e provò a sparargli, ma cadde a terra con un buco in fronte prima ancora di aver premuto il grilletto.
Grazie, Zachariasz!
Il SUV era già partito in retromarcia. Lentamente, però, perché il caos e il terreno accidentato gli impedivano di prendere velocità. Ciò permise a JD di avventarsi sulla maniglia e di spalancare la portiera. Stanlio fece per sparargli, ma lui fu più veloce, lo colpì alla mano con Gina, facendogli perdere l’arma. Stanlio non ebbe l’occasione di urlare, perché JD lo afferrò per la maglia e lo tirò fuori dal SUV. Che continuò a camminare lentamente ma inesorabilmente a marcia indietro.
Stanlio era ancora per terra.
«Ti devo una storia», gli disse JD.
Ma dovette parare il pugno di un Polacco, che gli si era scagliato contro. Il tempo di stenderlo con un colpo di Gina sulla tempia e Stanlio stava già scappando verso un complesso di mura di cemento armato. JD gli corse subito dietro.
«Dove vai? Pensavo che ti piacessero le storie!».



Halona rideva come un’invasata, intorno a lei i Polacchi cadevano simili a mosche spiaccicate. JD stava inseguendo Stanlio, Zachariasz era impegnato a restituire con gli interessi il piombo che gli pioveva addosso.
Carlisle vide il SUV nero incagliarsi in una buca, arrestando così definitivamente la sua avanzata in retromarcia. Doveva raggiungerlo, prima che Trucizna riuscisse a scappare. Seguendo l’esempio di JD, corse a testa bassa verso il veicolo. Correre era un eufemismo, in realtà. La gamba rigida gli permetteva tuttalpiù di zoppicare velocemente. Sparò al ginocchio di un Polacco che gli sbarrava la strada e ne stese un altro con un manrovescio. Quando spalancò la portiera posteriore del SUV, però, trovò il sedile vuoto.
«Credevi che sarei rimasto lì ad aspettarti?».
Una fitta lancinante al fianco lo colse impreparato. Si accasciò contro il sedile e scoprì di essere stato pugnalato. Riuscì a voltarsi, solo per vedere Trucizna saltargli in grembo e tempestargli la faccia di pugni. Cazzo, se sapeva colpire, il piccoletto! Ogni colpo gli faceva vedere le stelle e lo rendeva sempre meno cosciente. Si sentiva la testa gonfia e pesante, come in un dopo-sbornia di quelli devastanti. Pensava che sarebbe morto così, come un coglione, tenuto giù da un nano alto un metro e un tappo, quando i colpi cessarono all’improvviso.
Carlisle sollevò a fatica una palpebra e intravide Trucizna disegnare una parabola volando all’indietro e schiantarsi al suolo. Halona assisteva alla scena ridendo a crepelle e lo teneva sotto tiro con la pistola. Carlisle si rimise faticosamente in piedi. Si estrasse il coltello dal fianco, digrignando i denti per il dolore, e lo lasciò cadere per terra. Zoppicò lentamente verso Trucizna, tamponandosi la ferita con la mano. Intorno a loro gli spari erano diminuiti, le urla e i lamenti invece erano ovunque.
«Due contro un nano, molto leale», disse Trucizna, alzandosi.
Il pugno di Zachariasz lo rispedì al tappeto.
«Tu che parli di lealtà? Volevi ammazzare mia figlia, volevi ammazzarci tutti. Ma hai fatto male i tuoi conti».
Trucizna si massaggiò la mascella, sorridendo.
«Alto la metà, ambizioso il doppio, ricordi?».



Non appena JD ebbe raggiunto il complesso di mura in cemento armato, Stanlio gli fu addosso come sputato dall’oscurità. Cercò di colpirlo con Gina, ma Stanlio si abbassò appena in tempo per vedere la punta della mazza sbriciolarsi contro un pilastro di cemento. JD si parò il viso col braccio per proteggersi dalla pioggia di schegge e Stanlio ne approfittò immediatamente: gli fece picchiare la testa contro il pilastro, lasciandolo intontito e spaesato per qualche secondo, mentre Gina rotolava via poco più in là.
«Dato che sembri così ansioso di prenderle di nuovo…».
Due pugni allo stomaco lo fecero arretrare di un paio di passi e accartocciare su se stesso. Un altro sulla schiena, e JD finì a terra carponi. Il calcio sul mento lo mandò definitivamente al tappeto, mentre la risata di Stanlio gli solleticava le orecchie. La sua testa era un tamburo che faceva tum tum tum sotto i colpi del batterista. JD riuscì a tirarsi su in ginocchio solo con la forza della disperazione.
«Sai cosa farò una volta che avrò sistemato te? Andrò a riprendermi la tua fidanzatina. Devo ancora togliermi qualche sfizio con lei. E te lo giuro, se scopro che è successo qualcosa a Ollio… oh, una lingua tagliata sarà il meno che potrà capitarle».
Il tum tum tum alla testa aveva coperto metà delle parole di Stanlio, ma il concetto era chiaro. JD voltò la testa e la vide. Gina. Con la testa mozzata, ma pur sempre Gina. I passi di Stanlio sul pietrisco erano vicinissimi. Com’era quella cosa che diceva sempre Wile sulla breccia in cui infilarsi subito? Non aveva importanza. Si lanciò su Gina, schivando l’ennesimo calcio per un soffio. Non appena sentì le sue dita chiudersi intorno all’impugnatura, si fece rotolare lontano dalla portata dei calci di Stanlio. Non si concesse nemmeno il tempo di riprendere fiato. Scattò in piedi e caricò un colpo di mazza su Stanlio, che gli si era scagliato di nuovo contro. Lo prese in pieno: se fosse stato una palla da baseball, sarebbe stato un fuori campo.
«Ti devo una storia, stavo dicendo poco fa». JD si mise davanti a Stanlio a gambe divaricate. «Ti sei mai chiesto come mai mio nonno ha dato un nome da donna a questa mazza?».
Stanlio era ancora in piedi, ma barcollava. Si estrasse una scheggia di legno dallo zigomo. Il suo viso era un mascherone di sangue che sghignazzava.
«Sinceramente? Non me frega un cazzo».
JD gli assestò un colpo al ginocchio, Stanlio urlò ma non si accosciò.
«Tutti pensano che sia stato Wile a insegnarmi a tirare il primo pugno. Invece no, tutti si sbagliano. È stata mia nonna. Che si chiamava Gina».
Il sorrisetto non voleva abbandonare la faccia di Stanlio.
«E si vede, colpisci come una femminuccia!».
Lo picchiò sull’altra gamba. Questa volta Stanlio cadde in ginocchio, ma il sorrisetto era ancora lì. JD si era ripromesso che lo avrebbe cancellato a suon di mazzate. Lo doveva a Honey, a se stesso e anche a Gina, che ci aveva rimesso la testa.
«E questo ci porta al perché Wile ha chiamato la mazza come mia nonna».
«Perché le piaceva ficcarsela in culo?».
Pugno sul naso. Stanlio sputò sangue, ma ancora non aveva smesso di sorridere.
«No», disse JD. «Perché stendeva la gente esattamente come un colpo di mazza sulla nuca».
L’impugnatura di Gina calò sulla nuca di Stanlio.
Che cadde a terra.
Privo di sensi.
Il sorrisetto era sparito, finalmente.
Adesso Stanlio non faceva più tanta paura.
JD lo fissò a lungo, indeciso su cosa fare di lui. Non era un assassino, sicuramente non lo avrebbe accoppato. Portarlo in ospedale era troppo rischioso, avrebbero fatto un sacco di domande. Alla fine furono le sirene della polizia a decidere per lui. Cazzo, ci mancava solo questa! Lanciò un’ultima occhiata titubante a Stanlio...
‘Fanculo, ci penseranno gli sbirri a te!
E corse via verso la gru.



«Vi ricordo che ho la precedenza, devo vendicare Cagnaccio», disse Halona, di nuovo seria e imbronciata. «Voglio ammazzarlo io».
Carlisle scosse la testa.
«Ho fatto una promessa a una signora, spetta a me».
Zachariasz invece sbuffò.
«A me basta che qualcuno lo faccia fuori».
L’eco lontano delle sirene mise a tacere la disputa prima ancora che cominciasse davvero. Halona abbassò la canna della pistola.
«Merda, chi cazzo ha chiamato la polizia?».
«Non lo so», rispose Zachariasz. «Ma dobbiamo sloggiare al più presto».
«Concordo».
Non era stata Halona a parlare, però. Nemmeno Carlisle. Zachariasz sgranò gli occhi. E fu come vedere tutto al rallentatore.
Trucizna che estraeva una pistola da una fondina assicurata alla caviglia.
Che la puntava contro Carlisle.
Il colpo che esplodeva immediatamente.
E Trucizna che stramazzava al suolo.
Con un proiettile piantato nel petto.
Il tempo tornò a scorrere alla velocità ordinaria. Carlisle fischiò, tirando un respiro di sollievo.
«Cazzo, c’è mancato davvero poco, stavolta».
«Adesso sei in debito con me, Cardinale. Due volte».
Carlisle aveva la faccia di chi avrebbe preferito di gran lunga beccarsi una pallottola in fronte, piuttosto che essere in debito con un simile individuo. La canna della pistola fumava ancora, Halona fissava il cadavere di Trucizna con gli occhi ridotti a due fessure sottilissime e un sorriso triste sulle labbra.
«Adesso puoi riposare in pace, Cagnaccio».
Le sirene erano sempre più vicine, si intravedevano già le luci lampeggianti rosse e blue. Sul campo di battaglia si era passati dalla modalità carneficina a quella si salvi chi può e ognuno per sé.
«È meglio filarcela», disse Carlisle.
Ma la gamba zoppa e la ferita al fianco lo tradirono. Dovette appoggiarsi alla spalla di Halona per non accasciarsi a terra. Proprio in quel momento, l’auto di Benedetta sbucò dal nulla sfrecciando come una scheggia impazzita, mise sotto un Polacco abbagliato dai fari e si fermò proprio davanti a loro, sbandando e sollevando una nuvola di polvere. La portiera posteriore si aprì automaticamente.
«Avanti, salite!», urlò Thresh, seduto dal lato del passeggero.
Zachariasz aiutò Halona a sistemare Carlisle sul sedile posteriore, aspettò che anche lei fosse salita e poi chiuse la portiera.
«Che cazzo stai facendo?».
«La Mercedes di Carlisle non può rimanere qui, risalirebbero subito a lui. E poi devo trovare JD».
Thresh avrebbe voluto protestare, ma Benedetta lo interruppe.
«Ci vediamo al Goldfinger».
Ingranò la marcia e ripartì sgommando.







_____________







Note autore:
“Pożegnanie” in polacco dovrebbe significare “Addio”, sempre che il traduttore di google non dica scemenze.
Per il resto… niente da dichiarare. Non riesco a credere che manchino solo due capitoli alla fine. Il tempo è volato!
Grazie a tutti, come sempre. Siete fantastici!
A lunedì!
   
 
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