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Autore: CarlottAlien    24/03/2014    4 recensioni
"[...] L'odore di quel demone l'aveva inebriata, non aveva mai sentito nulla di simile,ma si riscosse immediatamente. [...] Sembrava un daiyokai, ma non ne era sicura. O non voleva crederci. Sapeva che, contro di lui, non avrebbe avuto scampo."
Spero di avervi incuriosito almeno un pochino ^^ se amate Sesshomaru, leggeteeeee ^^
Genere: Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5

 

Il sole si rifletteva sulle alte montagne che confinavano con le Terre dell’Ovest, facendo brillare i minerali delle pareti rocciose, diventate un’esplosione di colori intensi e caldi, come il cielo prossimo al tramonto.

Il signore di quelle terre sconfinate riposava dentro un anfratto sulle montagne scarlatte, nascosto da occhi indiscreti. Ammirava fiero le terre sotto di lui, le Sue terre, dove aveva combattuto infinite battaglie, da cui era sempre uscito fieramente vincitore. Tutti lo temevano, era conosciuto come Lord Sesshomaru, figlio del Grande Demone Cane, che gli lasciò in eredità il dominio su quelle terre. Qualsiasi demone lo conosceva. O meglio, non tutti. Perché quella piccola sfrontata della figlia di Akeshi non sapeva chi egli fosse. Ma dove diamine viveva?

  ‘Meglio così.’ pensò il daiyokai. Un piccolo, impercettibile sospiro uscì dalle labbra semi-dischiuse del glaciale demone cane, mentre con uno sguardo diverso da prima ritornava a fissare le Terre dell’Ovest. Queste cominciavano a cambiare tonalità, segno che la notte stava arrivando, pronta a coprire con il suo manto scuro ogni cosa. Pensare alla giovane lupa gli aveva fatto riaffiorare nella mente ciò che in quei tempi più lo infastidiva. O meglio dire, preoccupava. Si, perché anche un daiyokai della potenza e del calibro di Sesshomaru, a volte, si preoccupa. Specialmente quando sa che quello che dovrà ben presto affrontare sarà rischioso anche per un demone come lui.

 

 

 

  La notte era scesa furtiva come un ladro, ricoprendo ogni cosa con il suo pacato manto scuro e addormentando i colori della foresta e le creature che ci vivono durante il giorno. Tuttavia, la notte era anche l’inizio di un nuovo giorno per altri demoni e animali, che prendevano ora il sopravvento nelle vaste terre dominate dagli alberi secolari. Tutto cambiava aspetto e forma. La luna, ormai quasi piena, inondava la foresta con la sua luce mistica, rendendola quasi un posto fatato; cambiavano i suoni e i rumori che riecheggiavano nelle vaste lande, rendendo tutto diverso, come se la foresta della notte e quella del giorno fossero due universi distinti; anche l’odore stesso del bosco mutava, si addolciva, diventava meno intenso di quello che facevano percepire i raggi del sole quando scaldavano i tronchi, l’erba, le foglie.

Hitomi percepiva benissimo questa metamorfosi della foresta e ne rimaneva ogni volta estasiata. Amava la notte, amava la luce della luna, amava le ombre scure che si muovevano furtive dando sempre un senso di mistero a quei luoghi. Purtroppo, però, quella notte non l’avrebbe passata come al solito, divertendosi con le creature della foresta o sorvegliando confini. No, avrebbe fatto qualcosa di molto più importante ed eccitante quella notte.

La luna ormai prossima alla completezza dava carica alla giovane youkai, che aveva affinato al massimo delle proprie capacità d’udito, olfatto e vista alla ricerca del demone cane che, però, sembrava svanito nel nulla.

Correva in direzione verso la quale il demone dai capelli d’argento era scomparso l’ultima volta che l’aveva incontrato, verso le montagne. Ma di lui non aveva trovato ancora nessuna traccia, nemmeno una brevissima scia di odore. Nulla.

  ‘Dove diavolo si è nascosto quel dannato cane?’ pensava infastidita Hitomi. Era bravo a nascondersi, se non voleva essere trovato ci stava riuscendo bene. Ma la giovane lupa non sopportava chi si nascondeva, soprattutto se questo aveva deciso di aiutarla, in qualche modo.

Si fermò poco prima dell’inizio dei monti Urishima, era ancora nascosta nell’ombra degli ultimi alberi. Cominciava ad innervosirsi, ma era l’ultima cosa che voleva. Doveva restare calma e lucida. Quella era una prova.

Chiuse lentamente gli occhi dorati e sospirò, liberando la mente. In fondo, la sua specialità erano proprio i suoi sensi acutissimi. Rilassò la muscolatura e concentrò tutta la sua attenzione sul naso e sulle orecchie, che non smettevano di muoversi come radar. Sembrava una statua da quanto era ferma e composta nella sua posizione, assomigliava quasi ad una dea della foresta. La tremula luce della luna che filtrava tra le foglie le illuminava appena il volto lineare, dando alla sua pelle piuttosto colorata una parvenza cinerea, come fosse marmo. La pelliccia che indossava, umida di rugiada fresca della notte, risplendeva, impreziosendo la sua figura alta e snella, agile e scattante.

Rallentò il proprio battito cardiaco, che altrimenti le rimbombava nelle sensibili orecchie, ascoltando fruscii, sibili, movimenti provenienti anche da luoghi molto distanti da dove si trovava lei. Cercava di focalizzare nella sua mente immagini legate a quei suoni, ma nulla le ricordava il demone cane.

Allora concentrò le sue forze solamente sull’olfatto, gettò la testa indietro facendo muovere la sua folta chioma aurea e respirando una boccata d’aria a pieni polmoni. E sì, eccola lì; una piccola, impercettibile traccia di quell’odore così particolare e intenso da non poter essere dimenticato. Era Lui, ne era più che certa. Aprì gli occhi e scattò fulminea verso ovest, seguendo il confine delle montagne, ma sempre tenendosi a debita distanza. L’aveva trovata, una debole scia, molto vecchia, forse di alcuni giorni, lasciata dal demone di ghiaccio. La seguiva, veloce e silenziosa, quasi avesse paura di spaventarla e di perderla, facendosi sfuggire così l’unica possibilità che aveva di trovare quel dannato demone.

Non appena arrivò al confine tra le sue terre e quelle dell’Ovest di bloccò, percependo un picco di quell’odore. Si era intensificato, ora lo percepiva quasi come Lui fosse li con lei. Fissò le alte pareti delle montagne, scrutandole attentamente. Lui sapeva che lei era li. E si era lasciato trovare.

 

 

 

  Buio. Nient’altro che un buio opprimente, pesante, regnava in quella grotta. Si faticava a scorgere qualsiasi cosa. O quasi. Se ci si concentrava si poteva notare un piccolo particolare che risplendeva di una luce propria, fioca, che non illuminava nulla intorno a sé. Un volto. Mistico, scultoreo, misterioso. Si mosse appena, lasciando che alcuni ciuffi argentei venissero illuminati dal chiarore argenteo della luna. E, ad un tratto, un sorriso appena accennato apparve su quel volto di marmo, disumano nella sua perfezione.

  ‘Brava questa ragazzina.’

 

 

 

  Hitomi fissava l’imponente parete rocciosa illuminata dalla luce della luna, la quale la faceva risplendere quasi come fosse stata di diamante. Era uscita completamente allo scoperto, non si preoccupava più di nascondere la propria presenza: Lui sapeva perfettamente che lei si trovava ai piedi delle montagne. Probabilmente sapeva anche che Hitomi stava fissando la piccola apertura nascosta tra gli spuntoni di roccia. Certo che si era trovato un bel posticino dove nascondersi!

La parete di fronte a lei era davvero ripida, a tal punto da rendere difficile sia la salita ma, soprattutto, la visione di quella piccola grotta nascosta. Solo un occhio che conosceva quelle montagne poteva scorgere quell’anfratto.

Ora, però, tutta la difficoltà stava nell’arrivarci, lassù.

  ‘E’ davvero alto, quel bastardo salta come una cavalletta.’ Rimuginò la giovane lupa. Ma quella era la Sua notte, la luna le trasmetteva una carica e un’energia che le facevano ribollire nelle vene il sangue demoniaco. Sorrise, anzi, ghignò, divertita da quel continuo senso di sfida che aleggiava tra lei e quel misterioso demone.

Tese ogni singolo muscolo del corpo, fissando intensamente la piccola grotta, ora illuminata appena dal chiarore lunare. In un attimo tese le gambe muscolose e si lanciò verso l’alto, spostando appena qualche centimetro di terra sotto ai piedi nudi. Saltò con destrezza e leggiadria, tanto da non emettere nemmeno un piccolo suono, tranne quello labile dello spostamento d’aria. Fu rapidissima. Un momento prima era a terra e l’attimo dopo si trovava in piedi di fronte alla grotta.

Fissava ora quel buco nero che pareva senza fine, come se fosse la strada che conduceva direttamente nel ventre della montagna. L’ombra di Hitomi si perdeva in quel mare di pece nera, mentre la sua figura ancora tesa si ergeva di fronte all’ingresso. Dentro, il vuoto. O, almeno, sembrava. La giovane youkai sentiva che quella grotta non era vuota. Sebbene la montagna emanasse una forte aura demoniaca, Hitomi percepiva chiaramente l’aura del candido demone. Sentiva il suo sguardo puntato su di lei. Per un attimo, un istante soltanto, si sentii vulnerabile sotto lo sguardo penetrate che si sentiva addosso, anche se non riusciva a vedere gli occhi del suo proprietario.

  ‘E per fortuna…’ pensò tra sé e sé. Si perché sapeva, in cuor suo, che se avesse incrociato ora quegl’occhi ambrati, caldi e gelidi al tempo stesso, immortali come il loro possessore, sarebbe stata in balia di quel demone, degli eventi, dei suoi istinti resi più aggressivi dal potere della luna…STOP! No, assolutamente no, doveva riprendersi, non doveva cedere a quelle sue debolezze.

  ‘Maledizione, ma che mi prende? Da quando mi faccio influenzare in questa maniera dal primo che mi passa sotto il naso?’

Stizzita dai suoi stessi pensieri, si riscosse in un attimo, tornando in sé. Non voleva più aspettare.

  “Ehi!” ringhiò “So che sei lì dentro e presumo che tu sappia perché sono qui. Vieni fuori.”

Silenzio. Non un sibilo, né un rumore. D’un tratto, un fruscio, lieve, quasi impercettibile.

  ‘Si è alzato.’ Pensò Hitomi, perdendo per un attimo un battito.

  “Mi disturbi e pretendi di dettar legge? Sfacciata.”

Quella voce, così glaciale, indifferente, resa più profonda, cavernosa, dalla grotta, investì la youkai come un’onda anomala. Il suo odore la inebriava come una droga, la sua voce gli rimbombava nelle orecchie invadendole la mente e impossessandosi dei suoi pensieri. Cos’erano tutte quelle sensazioni? Sentiva il cuore accelerarle appena, il sangue che scorreva velocemente nel suo corpo, arrivandole alla testa e facendole perdere per un istante la missione, i segreti e il motivo per cui si trovava lì. I suoi istinti nascosti nella parte più profonda di lei si stavano risvegliando, e pretendevano di essere ascoltati.

  ‘La luna…dev’essere la luna. È più potente del solito…’ pensò, cercando di convincere sé stessa.

  “Hai perso la parola? Non ho tempo da perdere, io.” Detto questo il misterioso demone bianco si mostrò a Hitomi, avvicinandosi alla soglia della grotta e facendosi illuminare appena dalla luce della notte. La giovane lupa fece appello a tutto il suo odio verso quel tipo così arrogante e sfrontato, fissando un punto indistinto su quel volto così dannatamente perfetto.

  “Sai bene perché sono qui, non fare l’idiota! Devi aiutarmi.” Disse Hitomi, mostrando appena i denti.

  Devo? Io non devo fare un bel niente, ragazzina, non ho obblighi verso nessuno.” Rispose glaciale il demone cane, per nulla intimorito dalla lieve minaccia della lupa.

  “Allora non sei un demone di parola.”

  “Non ti ho mai dato la mia parola a proposito di nulla.”

  “Avevi detto che mi avresti cercata.” Ritentò Hitomi, stavolta cercando di sembrare più controllata.

  “L’ho fatto?” rispose il candido demone. Hitomi non ci vide più.

  “Vuoi aiutarmi si o no?? Perché nemmeno io ho tempo da perdere, se è per questo, specialmente con un tizio a caso che invece di avere delle risposte per me ha solo altre domande!” esplose dalla rabbia, fissandolo ora negli occhi. Lui, imperturbabile come sempre. Non una mossa, né un espressione sul viso. Nulla. Forse un lieve fastidio nel suo sguardo dopo quell’uscita così aggressiva di Hitomi.

  “Vedi di imparare a controllarti, ragazzina.” Disse, scomparendo nuovamente nell’ombra. Anche il suo odore e la sua aura andavano via via diminuendo. Se ne stava andando.

  ‘Eh no, maledizione! Non mi scappi.’ Pensò la giovane youkai, mentre si fiondava, anche lei, in quell’oblio nero.

 

 

  Nessun odore avevano quelle montagne. Nessun suono emettevano quelle rocce. Nessuna vita viveva tra quelle intricate gallerie. Che posto era mai quello?

Hitomi si accorse che il demone bastardo, come lo aveva chiamato nella sua mente, non se n’era andato, non aveva nemmeno tentato di fuggire. Si stava facendo seguire all’interno di quel labirinto di roccia. L’unico punto di riferimento che lei avesse era il Suo odore, che rimaneva immutato anche dentro a quella montagna apparentemente morta. Come diavolo faceva Lui ad orientarsi lì dentro, se nemmeno lei, con i suoi sensi raffinati, ci riusciva?

  “Sesshomaru.” Disse Lui ad un tratto, senza che Hitomi avesse proferito parola. Lei restò spaesata.

  “Che diavolo vuol dire?” rispose, forse un po’ troppo sprezzante.

  “E’ il mio nome.” disse soltanto, come se non gli importasse minimamente di come lei gli si rivolgesse.

  Sesshomaru…’ ripensò tra sé e sé la youkai. Non riusciva a capire cosa quel nome le ricordava. In qualche lato recondito della sua memoria doveva aver già sentito quel nome, lei ne era certa.

Si riscosse dai suoi pensieri quando andò a sbattere contro qualcosa di duro ed imponente. La schiena di Sesshomaru.

  “Stai attenta, maledizione.” Disse lui leggermente irritato.

Hitomi si accorse solo ora che l’aria, laggiù, era diventata calda all’inverosimile e pressoché irrespirabile. Odorava di zolfo, di sangue, di morte. Terribilmente familiare. Fu un attimo, un flash che la riportò a qualche giorno prima.

 

[…] Alzò lo sguardo e si ritrovò in un posto completamente diverso da quello di prima. Tutto era iniettato di rosso, l’aria irrespirabile carica di esalazioni tossiche, urla di anime disperate le rimbombavano in testa. Era finita all’inferno? […]

 

Sentiva l’ansia crescerle dentro, il sudore che le imperlava la pelle le sembrò come acqua gelida. Tremò, non sapeva nemmeno lei per cosa, tante erano le preoccupazioni, i pensieri e i disagi fisici che aveva in quel momento. Sesshomaru si mosse. E lei si affrettò a seguirlo, standogli un po’ più vicino, come se fosse l’unica sua ancora di salvezza. Stava tornando all’inferno?

 

  Camminarono ancora, Hitomi non seppe dire per quanto tempo. I suoi sensi, resi sensibili dalla luna, erano nel caos più totale, alche si sentiva spaesata, confusa. Sudava freddo, faticava a rimanere lucida.

  “Ce la fai?” le chiese ad un tratto Sesshomaru. Nessun accenno di preoccupazione, ne tantomeno di interesse. La considerava forse troppo debole per affrontare ciò che le avrebbe mostrato?

  “Ovvio.” Rispose Hitomi, atona.

Le parve di svoltare a sinistra e, subito dopo, fu luce. Le parve, anche, di vedere la fine di quell’interminabile galleria, ma sembrava di finire direttamente nella fauci di un demone. Vedeva solo fuoco, un rosso così intenso che le faceva percepire tutto il calore del cuore della montagna, facendole bruciare gli occhi. Li chiuse. Come faceva Sesshomaru a sopportare tutto questo? Era uno strazio vero e proprio per i suoi poveri sensi. Il suo candido accompagnatore avanzava imperterrito, facendo attenzione a non toccare le pareti, che sembrava essersi strette attorno agli indesiderati ospiti. Ora Hitomi riusciva a scorgere delle forme abbozzate attorno a lei. Vedeva la roccia sudare, pareva squagliarsi anch’essa a causa di quel calore disumano. Alzò lo sguardo e fissò Sesshomaru. La schiena imponente le copriva la visione di quella luce, sembrava imperturbabile, nulla poteva scalfirlo nella sua imponenza. Ma, quando un ciuffo argenteo si spostò, mostrando il collo del demone, Hitomi notò che anche lui stava sudando. Lo vide, d’un tratto, appoggiare la mano sinistra all’elsa di una delle spade che portava alla cintola. La youkai si irrigidì di colpo. Che diavolo succedeva adesso?

  “Stai in silenzio ora. Concentrati e rallenta il battito cardiaco. Non ci devono sentire.”

Chi non doveva sentirli? Per un attimo si lasciò invadere dall’agitazione. Si spostò di lato, voleva disperatamente vedere ciò che la schiena di Sesshomaru le nascondeva. Si accorse solo in quel momento che avevano davvero raggiunto la fine della galleria, trovandosi a strapiombo su una gola invasa da un fuoco che sembrava arrivare direttamente dai gironi infernali. Dalla voragine provenivano urla assordanti, voci di creature che non potevano appartenere al mondo dei vivi. Hitomi si sentiva stordita da questi rumori troppo intensi, ma qualcosa l’attirava inevitabilmente verso il limite estremo della galleria. Voleva poter guardare con i propri occhi chi o cosa emetteva quelle urla incessanti. In quel momento che si sentì tirare all’indietro e fu spinta addosso all’umida roccia. Quel poco di fiato che le rimaneva in corpo l’abbandonò, costringendola a boccheggiare mentre fissava Sesshomaru con occhi sgranati. L’aveva scagliata con forza contro la parete e ora la costringeva a rimanere immobile sotto il suo peso.

  “Zitta.” Disse perentorio.

Proprio mentre lei lottava per riavere un po’ d’aria lui le tappò la bocca con una mano artigliata, inchiodandola con lo sguardo. Un attimo, e tutto fu buio. Pareva che le fiamme che illuminavano la galleria e ardevano nella gola si fossero spente, soffocate. Sesshomaru la sovrastava con la sua imponente mole, Hitomi non riusciva a staccare gli occhi dai suoi, in preda alla confusione più totale. Poi, un rumore. Sordo, pacato.

  ‘Un battito d’ali..?’ pensò la lupa. Ma non sentiva la presenza di nessuno, né di un animale né tantomeno di un demone. Tentò di muoversi per guardare ciò che Sesshomaru le nascondeva, ma lui la teneva in una morsa, impedendole quasi di respirare. Sentì le gambe cederle. Fu un attimo. Per meno di un secondo Sesshomaru allentò la presa su di lei, e Hitomi riuscì appena a scostare la candida pelliccia del demone per osservare ciò che era comparso alla fine del tunnel.

Morte. Questo le parve di vedere. La morte. Il suo corpo si irrigidì nell’istante in cui vide quell’abominevole creatura che aveva visto soltanto qualche giorno prima. Ma era morta, questa invece era viva, se così si poteva dire.

Gli incavi vuoti neri come la pece del Gaki sembravano scrutare la galleria alla ricerca di qualcosa. Le mani erano artigliate alla roccia, così come i piedi, permettendo al demone dell’oltretomba di coprire l’apertura sulla gola. Le grandi ali membranose sbattevano con un ritmo pacato, quasi ipnotico, mentre il Gaki emetteva un suono gutturale sempre più intenso. Sembrava non riuscire a vederli, per fortuna. Forse Sesshomaru li aveva, in qualche modo, mimetizzati agli occhi dell’orrenda creatura. Ad un tratto, il Gaki urlò. Quel grido stridulo e malvagio inondò le gallerie dell’intera montagna, provocando un dolore inimmaginabile a Hitomi, che si portò inutilmente le mani alle orecchie. Si sentì male, la testa le girava vorticosamente, era stordita. Avrebbe voluto inginocchiarsi e vomitare, ma Sesshomaru la teneva saldamente in piedi. Cominciò a tremare, a causa degli spasmi dovuti al dolore. Poi, anche il panico l’assalì quando vide che il Gaki stava avvicinando la testa alla schiena di Sesshomaru. Avrebbe voluto urlare, ma il demone cane le tappò di nuovo la bocca. Un attimo dopo, il Gaki si gettò nel vuoto della gola, urlando ancora. E altre urla risposero in coro. Sesshomaru allentò la pressione su Hitomi, che stava lasciando cadere il proprio corpo inerme, ma subito la riprese, caricandosela sulle spalle.

  “Dobbiamo fuggire.” Disse solo Sesshomaru, poi scattò verso il buio della galleria.

 

 

 

  Hitomi non riusciva a parlare, tantomeno a correre o a muoversi. Era a malapena cosciente, sentiva la morbida pelliccia di Sesshomaru accarezzarle il volto.

  ‘Che bella sensazione…’ pensò intontita.

Non vedeva nulla, tutto era inghiottito dal buio. Niente più fiamme. Niente più aria intrisa di gas. Niente più urla. Cominciava a sentirsi meglio, ma il corpo non rispondeva ancora ai suoi comandi. Sesshomaru correva velocissimo, fuggiva da ciò che si erano lasciati dietro. Forse, quello che aveva mostrato ad Hitomi era troppo per lei.

Un’ultima svolta e finalmente vide la candida luce lunare illuminare l’uscita. Schizzò fuori dalla montagna e si gettò letteralmente nel vuoto, trattenendo con più forza Hitomi sulla schiena. Atterrò in mezzo agli alberi della foresta, ma non smise comunque di correre. Dovevano allontanarsi il più possibile da quelle montagne.

 

 

  Fiamme. Solo fiamme regnavano in quella gola angusta. Dozzine di Gaki volavano nell’aria carica di gas che odorava di morte e putrefazione. E altrettanti demoni nascevano, estratti dalle rocce. Non provenivano dall’Oltretomba vero e proprio, ma venivano letteralmente creati dai cadaveri di altri demoni, in cui venivano imprigionate anime corrotte e malvagie, che trasformavano, poi, i corpi nella loro forma di Gaki.

Tutto questo era vietato da qualsiasi legge morale, sia del mondo dei vivi sia dello stesso mondo dei morti. Non si poteva evocare le anime dannate dei morti e farli rivivere, imprigionandoli dentro altri corpi. Esse dovevano ricevere la loro punizione, secondo le leggi dell’Oltretomba, non ritornare in vita.

Ma tutto questo faceva parte del piano non di una mente folle, ne tantomeno corrotta. L’essere che guidava tutto ciò era pura malvagità, l’essenza del Male.

  “Si…signore…?”

Un piccolo demone, che somigliava molto di più ad un Goblin, si avvicinò in ginocchio davanti all’altare su cui poggiava il trono di colui che comandava. Egli era di spalle, mentre il suo servitore tremava sempre di più, cercando le parole giuste da dire.

  “Pare…che ci fossero degli intrusi, mio signore…”

La mano artigliata e scheletrica di quell’essere, artigliò il poggiolo del suo trono, frantumandole le estremità. Un suono gutturale carico d’ira spaventò ancor più il piccolo demone, che nascose la testa tra le esili braccia.

  “Trovateli.” Ringhiò il Male. “Ed uccideteli!!”

 

 

  Era da parecchio tempo, ormai, che Sesshomaru continuava la sua folle corsa. Cercava un luogo pressoché sicuro, lontano dagli esseri che ora abitavano dentro le montagne. Quello che aveva visto non gli piaceva per niente, il loro numero aumentava pericolosamente, e la preoccupazione di essere stati scoperti si stava insinuando come un tarlo nella sua testa.

  “Sesshomaru…per favore, fermati.” Sussurrò con filo di voce Hitomi, ancora aggrappata alla schiena del demone. Sesshomaru si spostò più all’interno della foresta, fuori dal percorso che stava seguendo, e si fermò. Hitomi scese dalla sua schiena e, barcollando sulle gambe che ancora non la sostenevano in pieno, si appoggiò ad un albero poco distante e vomitò quel poco che aveva nello stomaco. Tutta la tensione che aveva accumulato e il disagio fisico di prima sembrano averle dato pace, così si abbandonò con la schiena sul tronco dell’albero, sedendosi sull’erba fresca e umida della notte. Chiuse gli occhi e sospirò, sollevata di non essere più dentro quell’inferno.

  “Tutto bene?” le chiese Sesshomaru, seduto alla giusta distanza da lei.

  “Più o meno. Non è stata proprio una passeggiata…” rispose lei, ancora con un po’ di fiatone.

  “Penso che tu ti sia resa abbastanza conto in che genere di situazione ti stai cacciando. Sei davvero sicura di riuscire ad affrontare tutto questo?” la voce di Sesshomaru era tagliente. Nel suo tono non c’era un accusa di debolezza nei confronti di Hitomi, ne tantomeno di arroganza. Era soltanto la pura e semplice verità.

  “Sinceramente? Non lo so…” rispose sospirando la giovane youkai. “Ma anche se mollassi arrivata a questo punto cosa cambierebbe? Assolutamente niente…purtroppo quello che sta per succedere non è solo un problema tuo, o mio, ma sarà, purtroppo, un grosso problema per tutti quanti se non li fermiamo in tempo.”

Sesshomaru fissava Hitomi mentre lei perdeva il proprio sguardo nell’immensità della foresta. Poteva notare come sembrasse davvero provata, sia fisicamente che mentalmente, dopo quel breve incontro nelle montagne. Il daiyokai si chiedeva se davvero ce l’avrebbe fatta ad affrontare una battaglia di dimensioni spropositate come quella che prevedeva. D’un tratto, un guizzo fece brillare gli occhi di Hitomi, che ora si era voltata verso di lui inchiodandolo con uno sguardo carico di una determinazione che non credeva potesse avere.

  “Premesso questo…” disse la lupa. “…allenami, Sesshomaru.”

Il candido demone rimase per un attimo di stucco, senza però far trasparire nulla dalla sua maschera glaciale di indifferenza. Lui allenare qualcuno? In tutte le centinaia di anni in cui aveva vissuto non aveva mai allenato nessuno, tantomeno aveva pensato di farlo. Ma ora quella giovane e sfrontata youkai che aveva di fronte lo fissava con uno sguardo che pareva non ammettere una risposta negativa.

  “Tsk. Cosa credi, che io vada in giro ad allenare i primi mocciosi che mi capitano a tiro? Hai sbagliato in pieno ragazzina.” Rispose gelido.

  “Non te lo sto chiedendo, infatti.” Disse di rimando Hitomi. Ora Sesshomaru era davvero sorpreso dalla sfrontatezza della figlia di Akeshi.

  “Diciamo che la nostra è una specie di ‘alleanza’.” Continuò Hitomi. “Penso che di certo non rifiuteresti l’aiuto di qualcuno che possa coprirti le spalle in battaglia.”

  “Non ho mai avuto bisogno di nessuno, io.”

  “Ma questa non è una guerra che puoi combattere da solo, e lo sai benissimo anche tu. Potrei esserti davvero utile.”

  “E come fai a dirlo?” Sesshomaru si alzò in piedi, mostrandosi in tutto il suo imponente fascino misterioso. “Da quello che mi hai mostrato oggi non sei nemmeno in grado di sopportare la

presenza di un Gaki vivo. E tu mi saresti utile in battaglia?”

  “Ho le capacità per imparare ad essere più forte, lo sai anche tu.” Rispose perentoria Hitomi, alzandosi anche lei in piedi e avvicinandosi a Sesshomaru, senza però aria di sfida o arroganza.

  “Puoi allenarmi e farmi diventare in grado di sostenere questo tipo di battaglia. Se non lo farai tu, lo farò da sola. Devo pur sempre proteggere il mio clan, la mia non è una guerra personale.”

I due si fissavano con un’intensità tale da estraniarli dal resto del mondo, come se fossero in un universo tutto loro. Hitomi cercava di sostenere lo sguardo di Sesshomaru, sempre glaciale e indifferente, come se stesse guardando un qualsiasi insetto del bosco. Ma ormai la lupa aveva capito che la sua non era proprio solo arroganza. Lui era semplicemente così. E l’avrebbe fatta diventare incredibilmente forte.

  “Va bene.”

Dopo quello che sembrava un tempo interminabile, Sesshomaru acconsentì. E fu allora che il candido demone si sorprese ancora di più della giovane che aveva di fronte. Gli stava sorridendo. Pensò che mai nessuno, prima di allora, gli avesse sorriso in modo così sincero. Proprio com’era apparso, il sorriso di Hitomi sparì, lasciando spazio ad uno sguardo carico di determinazione.

  “Allora, quando cominciamo?”

Per un attimo, Sesshomaru tornò con la mente al passato. E pensò che quella giovane lupa somigliava terribilmente a sua madre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!! ^^

Non smetterò mai di scusarmi per gli ENORMI e COLOSSALI ritardi che accompagnano questa storia >w<

Manca davvero poco alla maturità, così poi potrò aggiornare le mie storie regolarmente, abbiate un po’ di pazienza xD

Spero che il capitolo piaccia a tutti e ringrazio specialmente tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra le seguite /preferite *piange commossa* grazie davvero a tutti!!

Pian piano la storia sta prendendo forma, ci tengo molto a descrivere gli stati d’animo e i sentimenti dei personaggi, vorrei emozionare chi legge come mi emoziono io mentre scrivo!

Un bacio a tutti, a presto!! <3 <3 <3

 

CarlottAlien

  
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