16 giugno
La bicicletta correva veloce sulla strada che costeggiava il mare. Faceva caldo, anche se il sole non era più alto in cielo ma si apprestava a sparire all’orizzonte. Ormai sulle spiagge erano rimasti pochi ombrelloni e si sentiva solo l’instancabile rumore delle onde e dei raggi della bicicletta. Giacomo si fermò accanto al molo e accasciò la bici a terra. Scalammo i massi in silenzio, concentrati per non cadere o tagliarsi. Arrivai in cima più veloce di lui, come sempre, e gli tesi la mano. Tutti dicevano che il molo assomigliava tanto a una passerella, partiva dalla spiaggia e continuava diritto dentro il mare. Era fatto di tanti scogli e massi dove le onde battevano e alzavano schizzi, ma noi eravamo troppo in alto per essere bagnati. Era tutto bianco, da piccola immaginavo sempre di essere una sposa che andava all’altare. Camminammo fino in cima, superammo le protezioni e ci sedemmo sulla punta. Il cielo era rosa e qualche gabbiamo solitario volava alto. Guardai l’orizzonte, il cielo, la spiaggia. Sentii il vento che mi scivolava tra i capelli e respirai l’odore di salsedine. A volte ci si dimentica quanto sia affascinante il mondo intorno a noi. Si sottovaluta la precarietà delle cose. Mi venne da piangere.
- Jack, non mi piace sentire dolore. –
- Un giorno passerà –
- Si.. ma quel giorno non è oggi. Intanto cosa faccio? –
- Aspetti, e tieni duro –
- Ho paura di non farcela questa volta –
-  È una frase che dici spesso ma poi, in qualche modo, ce la fai sempre-
Lo abbracciai. Ci alzammo per tornare a casa, ormai la cena doveva essere pronta. Mi voltai indietro per guardare il mare. Tutto era iniziato otto mesi prima.