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Autore: KH4    24/03/2014    2 recensioni
Estratto dal prologo:
"Io lo so…Tu non sei il tipo di persona che si lascia uccidere così facilmente. Non è nel tuo stile. Ti è sempre piaciuto essere teatrale in tutto ciò che fai, essere la svolta di una situazione prossima al fallimento. Ami essere egocentrico, vanitoso, arrogante, sai di esserlo, e non ti arrenderesti mai d’innanzi a una morte che non ti renderebbe il giusto onore. La sceglieresti solo dopo aver guardato a lungo una bella donna e averle sussurrato frasi che avrebbero fatto di te un ricordo prezioso e insostituibile. Soltanto allora, ne saresti soddisfatto." 
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Marian Cross, Nuovo personaggio | Coppie: Allen/Lenalee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Santi Oscuri.'
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A nove anni li incontrò entrambi. Tutti e due, nello stesso giorno e circostanza.
Uno scherzo del destino che l’aveva vista abbracciare la morte e la vita come fossero un unico essere ambivalente. Dalla scomparsa della nonna erano passati soltanto due anni, ma lo scontro plurisecolare che infestava con muta voce il mondo affondava le sue radici in un tempo che era ancora ben lontano dall'agognata fine.
Il potere di Dio che sceglieva gli uomini affinché sconfiggessero le tenebre e disfacessero la spirale di luce e ombra splendeva di quel tocco favolistico che esigeva a tutti i costi un finale dove il bene vincesse indiscutibilmente. Un ritornello rivoltante che nascondeva con goffaggine stucchevole capricci clericali dall’animo codardo. A esserci rimasta invischiata ancor prima di nascere, Amèlie aveva imparato quasi subito a guardare oltre lo scintillante velo di enfatica magnificenza: nonostante le stagioni trascorse fossero state molte, il cielo azzurro e le dense cerchie di nuvole che avvolgevano l’Ordine Oscuro non erano mutati. Il mondo andava avanti come al solito: i giorni si ripetevano con la stessa andatura, i fiori nascevano, sbocciavano e appassivano regolarmente e la porta della Home si apriva con la solita rarità.

Era tutto uguale…Tranne lei.

Alle stupide bambole di pezza aveva preferito calze rotte e giochi adulti, dove l’innocenza arrivava ad avere un prezzo tanto esagerato quanto disgustoso per come ci si giocava. Un mondo che poteva rapirti e inghiottirti senza più lasciarti andare se gli si concedeva troppa corda.
Gli uomini erano esseri davvero rivoltanti. Ne esistevano anche fin troppi, inutili, sporchi e col cervello nei testicoli, tanti quanti erano i modi per trattarli, bravi ipocriti che non appena ne avevano l’occasione si divertivano anche con inesperte quattordicenni. La Rosa Nera ben si teneva lontana dal gestire un traffico di minorenni, ma era nelle sue stanze, sul palcoscenico e in ogni sua sontuosa ala che Amèlie aveva saggiato la perversa cupidigia di chi si credeva padrone di una presunta superiorità inimitabile. Alcuni erano degli stupidi, altri dei presuntuosi, altri ancora di una contorta crudeltà da farle ricordare perché non esistesse bestia capace di eguagliarli. Le grandi città ospitavano tuguri malsani e strade dove gemiti e grugniti di contestabile pudore sommesso riempivano ombre vuote insieme al metallico tintinnio di pochi spiccioli che cadevano sull’asfalto e al frettoloso frusciare di vestiti raccattati e sistemati con rapidità. Non si sarebbe data pena a salvare un mondo abitato da simili e sudicie carcasse immonde neppure col rischio di essere punita da Dio in persona; non lo meritavano e non avrebbe provato null’altro che indifferenza d’innanzi alle sofferenze di chi non riteneva meritevole della vita data, ma se poteva trarci un qualche vantaggio, perché non accontentarli?

Li vedeva, a passarsi la lingua sulle labbra o a toccarsi per minimizzare lo stringere dei pantaloni, a mendicare con occhi sporchi un contentino. L’osservarsi allo specchio e rendersi conto del proprio corpo le aveva permesso di comprendere con maggiore lucidità cosa potesse ottenere da simili bestie: tutto dipendeva da quanto lei fosse brava ad accontentarli. Allora poteva soltanto ballare o servire ai loro tavoli, osservare da una discreta distanza come sua madre sottomettesse la loro volontà ai suoi occhi fino a trasformarla in servile accondiscendenza, ma non aveva mai ceduto alla tentazione della fretta.
Come esistenza coscienziosa di un ruolo gravoso aveva stabilito i suoi primi confini e doveri per amore di altrui esistenze a lei care. Lo aveva promesso, dopotutto, ma nel suo tentare di mantenere la parola data, le sue vedute non erano mai andate più in là dei corpi velenosi degli Akuma e delle anime purificate tramite l’Innocence. Non aveva mai realizzato pienamente in cosa fosse stata invischiata, contro chi Dio l’avesse chiamata a combattere.

Fino a quel giorno.




Anf…Pant…Anf… -

Respirava male, con i bronchi inquinati di cenere e sul punto di collassare. L’aria delle pianure era famosa per essere fresca e frizzantina, il perfetto ritratto di una giornata primaverile con tanto di sole alto in cielo, ma quella che si stava infilando a viva forza nella gola di Amèlie era di tutt’altro stampo: appuntita, ghiacciata e dura come il ferro rugginoso. L’ossigeno era contro di lei, scendeva e pretendeva di essere assorbito, ignorando qualsiasi tentativo di ripristinare il controllo che sempre la bambina si premurava di tenere stretto, scontrandosi con le ossa della cassa toracica. Del minuto corpo allenato era rimasto un residuo sgualcito e impolverato macchiato di sangue. Ogni singolo centimetro di pelle tirata era livida, provata da una miriade di esplosioni riversatesi contro di lei alla stessa velocità dei fulmini, stracciata da ferite fresche brucianti più di un mucchio di tizzoni ardenti.

Una bambola immobile, rovinata, supina, ancora viva per quel lento alzarsi e abbassarsi del torace. Il dolore non la infestava, non più. Lo aveva ignorato volutamente per non perdere la ragione e la lucidità, ma una volta scatenatosi l’aveva consumata nel giro di pochi secondi, lasciandosi alle spalle solo sensi martoriati e un’esistenza sul ciglio del buio più assoluto.

La sensazione di venire a meno e di cadere all’indietro incalzava soporifera, ma ancora resisteva, Amèlie, sveglia e pienamente in sé come mai le era capitato di essere.
Sotto un cielo arancione sporco di nuvole nere, il semicerchio incandescente qual'era il sole, stava gradualmente svanendo dietro ad un campo di battaglia frastagliato e massacrato. La piccola Esorcista di appena nove anni era stata mandata in quella zona dopo una missione in Belgio durata una settimana, risultata un fallimento per la completa mancanza di Innocence. Una semplice perlustrazione. Così c’era scritto su uno dei tanti fogli che aveva letto sul treno prima di scendere e mettersi in marcia insieme alla coppia di Finder venuta con lei. Delle testimonianze citavano fenomeni ricollegabili a un possibile frammento di potere divino che, nel caso si fosse rivelato per quello che era, doveva essere recuperato a tutti i costi. La cava situata nella pianura da perlustrare era stata abbandonata da tempo e dai resoconti non pareva possedere nulla di così eclatante da suscitare l’interesse del nemico.

E quello era stato il secondo errore.
Il primo lo aveva realizzato una manciata di minuti dopo, mandando in frantumi l’invisibile cupola di cristallo che l’aveva inconsapevolmente protetta dal più spaventoso degli incubi d’innanzi ai corpi polverizzati dei due adulti che l’avevano aspettata ai limiti della zona indicata.


- Buonasera, signorina Esorcista! -

Le si era presentato affabile, la faccia squadrata e grigia dal largo sorriso con tanto di denti aguzzi attaccati fra loro. Un buffo e grasso essere dagli abiti eleganti colorati con eccentricità, munito di un vistoso cilindro appoggiato sopra le sporgenti orecchie appuntite e un ombrello rosa con l’estremità a forma di zucca in mano. Fino a quando non si vede con i propri occhi chi si deve combattere nessuno può affermare con certezza di conoscere il proprio nemico, Amèlie compresa. Ma lei ne aveva sentito parlare, diverse volte, descritto con quell’aspetto inadatto al ruolo che invece ricopriva da settemila anni.
Non erano gli Akuma il vero nemico da sconfiggere, bensì lui, quella creatura dall’ampio sorriso sinistro che troneggiava su di lei in tutta la sua spropositata mole. Lui, il Conte del Millennio.
Poteva ergersi su migliaia di carcasse meccaniche e continuare ad accumularne sotto i suoi piedi ancora e ancora, combattere con la speranza ad arderle nello spirito, ma finché quello sarebbe rimasto in vita, non ci sarebbe stata alcuna fine per chi doveva addossarsi il peso della Rose Cross.


- Eh eh! Questa sì che è una giornata fortunata! – Amèlie udì la sua voce ancora, divertita e chiara nonostante la bocca immobile e i denti perfettamente serrati – Esco giusto per fare due passi e mi capita per mano una delle pecorelle di quell’odioso Dio e la sua Innocence. Quando si dice il caso… -
- Lero, lero, lero! E’ da parecchio tempo che non ci capitava di assistere alla morte di un’Esorcista! Sarà divertente! - Una risata stridula si accompagnò alla prima con esagerata intensità.

Accartocciata a terra e tremante, la bambina dischiuse le labbra tagliuzzate in un rantolo doloroso, con gli occhi che minacciavano di affogare nelle lacrime. Il mondo sopra di lei era appannato, sul punto di liquefarsi e schiacciarla, trattenuto dalla luce color arcobaleno che il Talisman lanciato all’ultimo emanava flebilmente, sempre più effimera man mano che i secondi passavano. Non sarebbe durato ancora a lungo, il crepitare di preoccupanti scintille giallastre già si stava inoltrando nelle sue orecchie, ma non per questo le sue dita tese al suolo si erano rassegnate. Voleva la sua falce, subito. Stringerne il manico o quel che ne restava per sopperire un’ansia da allontanamento più istintiva che affettiva. Era giusto a un metro da lei, ridotta in tantissimi pezzi metallici privi di vitalità.

Mai, nella sua breve esistenza, era stata in balia di se stessa come in quel momento, di quel potere che il suo corpo e la sua anima avevano scatenato all’unisono e sollecitato da un terrore insano come quello. Perché sì, era terrore ciò che le stava permettendo di essere consapevole di quanto la circondava e le apparteneva, tanto sfibrata e disperata da spingerla a tendere ancora di più le dita verso la preziosa Innocence. Una pura percezione del pericolo che minacciava l’incolumità e inibiva ogni suo più semplice pensiero. Inerme e impossibilitata ad alzarsi, tremava febbricitante, avvertendo distintamente quell’emozione scorrerle nelle vene e ancorarla al suolo nel mentre i mostri ombrosi riunitisi attorno a lei si ingigantivano sempre di più, pronti a saltarle addosso. Provò a puntare i gomiti e a muoversi, sollevando il busto con l’intenzione di mettersi seduta, ma la pioggia di Dark Matter lanciatale contro dai Livello Uno cozzò contro il cubo protettivo sbatacchiandola da una parte all’altra senza alcun ritegno.
L’effetto della barriera mistica stava dando gli ultimi.


- Lero, lero, lero! Cosa pensi di fare, stupida Esorcista? Non lo capisci che sei al capolinea?!? – In un gesto racchiudente il solo grammo di forza accumulato con disperazione, Amèlie sollevò di qualche centimetro la testa giusto per vedere con l’occhio rimasto aperto lo strano ombrello rosa sbraitare e saltellare come un forsennato – Vostra signoria, facciamola fuori noi! -
- Non c’è fretta, Lero: non c’è fretta –, lo rassicurò la grossa e appena offuscata figura del Conte del Millennio, comodamente seduto su uno spuntone di roccia con le gambe corte e tozze a dondolare nel vuoto – Quel Talisman è agli sgoccioli, non durerà ancora a lungo. Aspettiamo che i Livello Uno finiscano il lavoro. -

Era inutile. Per quanto fastidioso che fosse, il suono frastagliato prodotto dalla barriera non la esentava dall’udire quella voce indefinibile, a impedirle di pensare a cosa fosse collegata. Se li sentiva addosso, quegli occhietti dorati, affilati e padroni di una crudeltà inumana capace di strappare l’anima a mani nude. Spaventosi, assolutamente terrificanti. Il terrore la bloccava, vero, ma era lucida, perfettamente. I sensi amplificati, il respiro catarroso…Tutto condotto a uno stato d’elevazione che non conosceva limiti, includente anche i più superflui dei dettagli.

Amèlie percepì le sregolatezze del proprio rantolare, il freddo polveroso della roccia che si scontrava con la sua pelle, i battiti del suo cuore pronto ad esplodere, le disgustose emissioni evaporanti dalle divise dei Finder uccisi dal virus degli Akuma, il sangue che le colava lungo la testa e si incastrava fra i fili d’ebano della sua chioma, per non parlare del nauseante odore ferroso che l’avvolgeva come una nuvola afosa a causa della ferita più grande di tutte: la gamba destra era rotta, mollemente appoggiata sul terreno e con – a coronare il danno – un profondo squarcio che le tagliava la coscia e arrivava fino a metà stinco. Il liquido vermiglio era colato fuori caldo e vivo per un’abbondante mezz’ora prima che la bambina riuscisse a legarsi attorno alla gamba una delle divise dei Finder per evitare il totale dissanguamento.

E intanto, le sue dita continuavano imperterrite a cercare l’Innocence.


- Non voglio morire…Non voglio…! –

Combatteva contro quella prospettiva sempre più dominante con le lacrime e la paura ansimante a offuscarle la vista. Voleva tornare a casa, dalla mamma, l’avrebbe anche chiamata se ne avesse avuta la forza. Voleva svegliarsi e credere che fosse tutto un brutto incubo, ma il Conte del Millennio era bravo in questo, a insinuarsi col solo nome nei cuori umani e ad avvelenarli di sentimenti rasentanti la più fulgida delle disperazioni.
  
E poi successe.

La scarica da parte dei Livello Uno premette su una crepa luminescente più larga delle altre e un’esplosione la scaraventò in alto, dove le nuvole davano l’illusione di poter essere toccate.


- Mam…ma… -

Ricadde fra le macerie con rotto schiocco osseo, indolore per come quello avesse esaurito il suo effetto tempo addietro, ma prima ancora di schiudere le labbra in un flebile sospiro, gli occhi scintillanti del Conte del Millennio balenarono davanti ai suoi. La mano di lui le strinse la giacca lacera per tenerla sospesa da terra, a una distanza così ravvicinata da permetterle di vedere cosa i piccoli e tondi occhiali occultassero. A seguito di quella vista e di quel sibilo sfigurato, puro istinto folle ed omicida, tutto divenne nero.

- Sei pronta a incontrare il tuo Dio, piccola Esorcista? – 




Il dopo che succedette a quegli occhi dorati e colmi di luce sinistra che l’avevano fatta piangere seppe di morte. Certa, indissolubile. La sensazione di essere strappati dalla propria carne l’aveva assalita non appena il cuore le era stato trafitto da parte a parte per il troppo male provocato dalla vicinanza del Conte del Millennio. Calibrare l’ossigeno e combattere contro il proprio respiro per non soffocare era stato agonizzante. Pochi secondi terminati con un buio petroso e pietrificante da cui non sarebbe uscita viva. Di certo un essere come lui ci avrebbe tratto soddisfazione a prendere una vita minuscola come la sua con la semplice paura, ma non era successo. Non ne era sicura del tutto, forse la sua percezione era semplicemente vittima di quanto rimaneva di lei o magari era ancora assurdamente convinta che quanto accaduto fosse stato solo un brutto sogno. Eppure non le sembrava di lievitare per aria.

Il suo respiro…La sensazione di esser distesa sopra qualcosa di morbido e avvoltaci dentro…
Percezioni deboli, basate su un contatto a pelle a dir poco che vago, ma comunque vive quanto bastava perché la sua mente cominciasse a rielaborare qualcosa che la aiutasse a recuperare la lucidità.


- Tienila d’occhio, Tim, e avvertimi se si sveglia. – 

Le parve udire qualcuno, ma il ricordo di un botto assordante aprì una voragine colma d’immagini sfocate nella sua testa che risvegliò con spasmi dolorosi alcune delle sue membra intorpidite.
 
Sua eccellenza il Conte! Sua eccellenza il Conte!!! – La stridula e impazzita voce dell’ombrello con la testa a forma di zucca colpì le sue tempie con l’intensità di un martello.
- Tranquillo, Lero: va tutto bene. – Eccola, la voce del Conte del Millennio, librante in aria come un piuma – E’ solo un’altra sorpresa, anche se sgradita. –
 
Il riconoscere a chi appartenessero quelle voci fece sì che il suo corpicino venisse percorso per intero da un formicolio che calcò su ogni suo fascio muscolare ancora addormentato. Non vide dall’alto, dal basso o da qualunque altra posizione che avrebbe potuto permetterle di osservare il tutto con chiarezza: stava rammentando poco a poco qualcosa a cui grossolanamente doveva aver assistito con l’ultimo grammo di coscienza rimasto acceso prima di scivolare nel sonno, quindi era perfettamente naturale che rivivesse quanto passato in prima fila una seconda volta.
 
Però…Ciò che la basì, oltre quell’anormale tepore che la stava aiutando a riprendersi, fu lo sperimentare, il rivivere anche soltanto con la mente quella sensazione. La frammentata immagine di lei che veniva sbalzata via e il sapore della terra che le scendeva giù in gola non vi si avvicinavano minimamente, e la fredda spigolosità della roccia non era interpellabile neppure al suo guardare dritto negli occhi il Conte del Millennio e sentirne la mano stringerle dolorosamente il torace.
 
Sei una vera peste, caro Crossino malandrino! – Cinguettò il Conte del Millennio, atterrando leggero su un'alta sporgenza Ti si cerca tanto e poi spunti fuori nei momenti meno opportuni! Non è mica divertente, sai? –
- Per me lo è, se serve a farti incazzare –, rispose una voce che Amèlie non aveva mai sentito prima d’ora - Anche se avrei preferito godere della compagnia di una bella donna anziché cincischiare con un grassone col cilindro come te. –
La risata del Conte del Millennio fu forzata e poco divertita – Impertinente come sempre, eh? –
 
Uno spostamento d’aria seguì quella brevissima conversazione e subito vi fu un’altra esplosione che rese il tutto ancora più distorto; la corvina faticava a trattenere il nesso logico che univa tutti quei pezzi disconnessi fra di loro e che aveva raccolto quasi per caso. Eppure quella sensazione era diventata automaticamente il centro del suo universo, il perno attorno cui stava ricostruendo lentamente gli eventi accaduti.
 Era un calore umano che non le suggeriva nulla di familiare, mischiato a una vigorosità scontratasi con la pelle della sua guancia e dal profumo intossicante, trasmettente sicurezza, forza, protezione. Il suono di un cuore dal battito poderoso doveva averla svegliata, perché nel preciso momento in cui riuscì finalmente a dischiudere le palpebre, un rosso sanguigno ondeggiante più intenso del fuoco si sostituì al nero con cui aveva preso tanta confidenza. Un colore pieno e scuro dalla voce arrogante e profonda che fissava con sguardo altrettanto sfrontato e vermiglio quello dorato del Conte del Millennio, il cui sorriso non ne nascondeva l’irritazione furibonda.
 
A quel punto, la coscienza ascese per conto suo, da sola, e Amèlie finalmente aprì i suoi piccoli occhi d’onice.
 
Superata la foschia iniziale, riconobbe l’intero bianco sporco di una tenda tipica dell’equipaggiamento Finder circondarla assieme ad altri oggetti dalla forma e dal colore non ben definiti. Un lumino illuminava l’area quanto bastava per farle intuire che fuori doveva essere sera inoltrata, ma come provò a far leva sugli avambracci e a mettersi seduta, la testa le vorticò così tanto da farla ricadere di peso sul materasso; l’affanno del proprio respiro simboleggiò quella stanchezza che da sdraiata non aveva percepito minimamente, la quasi totale mancanza d’ossigeno nel sangue e di quest’ultimo nelle proprie vene le formicolava lungo i muscoli lattiginosi.
 
Si guardò ancora intorno, accorgendosi con cipiglio dubbioso che quella comune tenda da Finder era un po’ troppo grande e affollata di oggetti inusuali per appartenere a un semplice supporter. L’interno non era bianco come le era sembrato, ma decorato e pieno di mucchi assortiti di gingilli lasciati lì a prendere la polvere: fra essi spiccarono i luccichii scintillanti di bottiglie vuote e il fruscio di carte spagliate mal sistemate. C’era perfino una scrivania, ma era talmente sommersa di ciarpame e vestiti da risultare più utile come poggia-panni che come postazione di lavoro.
Ma la cosa più strana di tutte era senz’altro la strana lucina dorata che ogni tanto le passava davanti. Era piccola e tonda, con un paio di alucce e una coda dalla punta arrotolata; le svolazzava intorno in silenzio, a volte soffermandosi proprio davanti al suo viso. Piegando nuovamente gli avambracci, Amèlie si issò su una seconda volta, alzando il mento di qualche centimetro; barcollò appena, con i capelli che le scivolarono lungo la schiena e la testa vorticante, ma non appena fu sicura di riuscire a reggersi anche senza le mani, raddrizzò la schiena e si mise seduta sui talloni.
 
L’esserino che aveva da prima scambiato per un lumino andò ad appoggiarsi sul bordo del materasso. Era così minuscolo che poteva tranquillamente infilarsi in qualsiasi tasca. La corvina batté le lunghe ciglia più volte, colma di sorpresa che riluceva nei suoi occhi.
 

- Cosa sei, tu? – Domandò lei con vocina rocca. 

Per tutta risposta quello tacque, librandosi nuovamente in aria e dirigendosi verso l’uscita della tenda.
 

- Ah! Asp…Ahi! – 

Un dolore lacerante le attraversò la gamba quando provò ad appoggiarla per alzarsi. Le altre ferite urlarono all’unisono nonostante le medicazioni, colpite con la stessa intensità di un pugno dato all’altezza dello stomaco. Cadde a terra inerme, trascinandosi a presso coperte e cuscini, gemendo con i denti affondati nelle labbra per vecchi ricordi assopiti del tutto ridestati. C’era sempre qualcosa che emergeva per ultimo, frammenti che risvegliavano sensazioni di incommensurabile portata; ci era quasi caduta dentro, in una di quelle voragini, soffocata dal ferreo sapore che tutt’ora pulsava sotto la pelle incrostata.
 

- Datti una calmata, Tim: sai che odio quando mi si mette fretta. – 

L’inconfondibile fruscio della stoffa che viene scostata si accompagnò a quella voce seccata e profonda già udita in precedenza. L’odore accecante e amaro di tabacco puro non tardò a farsi sentire, riempiendo l’abitacolo con aloni grigiastri che si dispiegarono nell’aria arrivando anche all’altezza di Amèlie, che storse il naso e nascose la testa fra le braccia. Non aveva mai sopportato gli odori pungenti e tossì non appena quello le inquinò i polmoni.
 

- E tu mi spieghi dove diavolo vuoi andare? – La voce si fece sentire nuovamente. 

Era di uomo, senz’ombra di dubbio, ma da dietro le ciocche nerine dei capelli la piccina vide ben poco, giusto un paio di piedi a poco più di un passo da dove si trovava. Ebbe giusto il tempo di ipotizzare che dovesse trattarsi dell’effettivo occupante della tenda prima di venire afferrata da sotto le ascelle e tirata su senza alcuno sforzo.
 
Si impietrì di colpo una volta sospesa a mezz’aria.
 
Il rosso scarlatto balenato nei ricordi ondeggiò con movimenti fluenti e soffici davanti ai suoi occhi, inebetiti per come tali memorie astratte avessero assunto tutto d’un colpo fattezze umane, con tanto di abiti dalle rifiniture dorate anziché argentate. La differenza di rango aprì l’ennesimo spiraglio laddove regnavano ancora confusione e incompletezza, aggiungendo un altro dettaglio mancante all’appello, ma nonostante ciò, la persona che la teneva con le gambe penzolanti in aria rappresentava ancora una grossa incognita.
 
La prima cosa che pensò spontaneamente era che fosse alto. Spaventosamente alto. E con un viso che la fece avvampare all’istante.
 
Quel singolo occhio color rubino e gli occhiali dalla montatura sottile non le suggerivano nulla di vagamente familiare, se non un profondo senso d'inquietudine incapace di esprimersi a parole. L’insolita maschera bianca dall’elegante taglio che tracciava un netto confine fra la parte scoperta del volto e quella occultata da essa stessa era tutto fuorché un valido punto di riferimento, così come quel pizzetto del medesimo colore dei capelli e la sigaretta sporgente dalle labbra semichiuse.
 
Sussultò quando vide la linea che divideva quest’ultime allungarsi in un sorriso storto e sprezzante.
 

- Ma chi è…Quest’uomo? – Per una qualche ragione, Amèlie si sentì in piena soggezione d’innanzi a una persona tanto imponente, intimorita e al tempo stesso attratta. 

Non c’era nulla, nulla, in lui, che le ricordasse qualcuno in particolare, un tipo di uomo incontrato o una categoria a cui rifarsi. La sensazione percepita nel sogno misto a realtà provata sulla sua pelle ora pulsava nel suo cuore con vigore rinato, assieme a un inspiegabile e sconfinato senso di vuoto scaturito da quello stesso individuo che la osservava con imperscrutabilità.
 
Era diverso, non seppe in che altro modo descriverlo a se stessa.
 

- Sei proprio un topolino: non pesi niente –, parlò quello, facendola ondeggiare lentamente su e giù nel mentre inclinava la testa a destra con fare indagatorio – Ti è andata bene che fossi nei paraggi: non è roba di tutti i giorni incontrare quel lardone e scamparci. Francamente preferisco salvare le donne che i soldi di cacio, è più nelle mie corde, ma devo ammettere che tu come scricciolo sei parecchio graziosa. – 

Per la seconda volta e sempre senza capirne il perché, Amèlie avvampò, sperando che l’uomo non se ne accorgesse. Questo la fece sedere sul morbido materasso dopo aver terminato la prima parte della lunga ispezione visiva, spostando la sigaretta dall’angolo destro della bocca a quello sinistro. La bambina lasciò che la sua mente corresse sopra alle parole e continuasse a focalizzare la propria attenzione sui gesti dello sconosciuto: “Soldo di cacio” non era un complimento che potesse essere ritenuto degno per la propria personalità, ma era fin troppo lampante che qualsiasi suo tentativo di farsi sentire sarebbe stato eclissato dal suo stesso corpo, fragile e tumefatto.
 

- Ahi! - 

Strizzò la faccia nel non riuscire a trattenere un gemito improvviso quando l’uomo le prese la gamba ferita e cominciò a tastarne l’elasticità con attenti movimenti. Anche a fare piano, ossa, vene, organi e muscoli erano un tutt’uno sofferente per le percosse subite, ma Amèlie arricciò le labbra e imprigionò l’ossigeno in bocca impedendo a qualunque altro alito di fuoriuscire.
 

- Rotta. Di bene in meglio. Mai che ci sia un medico quando serve… -, bofonchiò lui, espirando una grossa nuvola di fumo che la fece tossire. Le diede le spalle per sfilarsi il cappotto decorato, legarsi i capelli e prendere qualcosa dalla scrivania stipata di cianfrusaglie varie – Con queste fasciature non è che si possa fare un granché, figurarsi sistemare un frattura, ma fino alla Home dovrebbero tenere. – Masticò la base della sigaretta inalando qualche grammo di nicotina, che espirò dal naso mentre armeggiava con le bende coprenti la gamba della sua piccola ospite. 

Faceva male, parecchio. Anche con il corpo e l’anima assuefatti da un dolore che aveva smesso di percepire in piena battaglia, entrambi erano tornati a farsi sentire, concedendole intervalli che la costrinsero quasi ad arrampicarsi sugli specchi per quanto forte era il suo desiderio di resistergli. Più tentava e più moli colme di straniamento le si riversavano dentro diramandosi in molteplici direzioni, cosicché i danni fossero più incisivi e molteplici, alimentati dal ricordo del Conte del Millennio e dalla paura che era riuscito a farle provare semplicemente mettendola in ginocchio all’evidenza.
Tremò d’innanzi a quegli occhi orribili, inquietanti e sottili, riempitisi d’ogni genere di male da lui stesso incarnato, che l’avevano inghiottita senza trovare da parte sua alcuna opposizione. Li sentiva pressare ridacchianti sul suo collo come fossero stati lì, dietro di lei.
 

- Ti sei presa un bello spavento, eh, piccola? –
- Uh?! – La bambina sobbalzò, alzando la testa con le mani ancora strette al petto e le spalle chiuse. 

Non poté fare a meno di chiudersi a riccio quando la mano destra dell’uomo si appoggiò sopra la sua testolina, accarezzandone leggermente i capelli d’ebano con un pizzico di gentilezza che tranquillizzò di un poco sia lei che il suo tremore. Era talmente grande che se solo avesse stretto un po’ di più, avrebbe potuto sollevarla senza problemi.
 

- Sta tranquilla. Non è qualcosa per cui debba vergognarti -, la rassicurò, guardandola dritta negli occhi - Quel barile insaccato sa come spaventare la gente, ma tu sei stata brava a resistere fino al mio arrivo e la tua Innocence è riparabile. Se è per i Finder che ti dispiace, sappi che hanno fatto il loro lavoro, come tu hai fatto il tuo. – 

Amèlie non riuscì a non tirare su col naso e a incespicare nelle poche sillabe concessele dalle corde vocali annodate fra loro: aveva superato la soglia di sopportazione, a malapena ce la faceva a reggere. La voglia di piangere era pronta a scoppiare, in attesa, nei suoi occhi brucianti già pericolosamente lucidi e nelle labbra affondate nei denti. Non l’aveva mai più repressa dalla morte della nonna, non c’era mai stata occasione per lei di lasciarsi andare: ai momenti di futile debolezza aveva sempre risposto con cocciutaggine risoluta, ma resistere a quello…
 
Gli occhi del Conte scalzarono prepotenti ogni altra immagine nella sua mente, orribili e con quella risata che non ne voleva sapere di andarsene.
 
Cominciò a singhiozzare sommessamente senza rendersene conto, mandando in frantumi ogni sorta di barriera tenuta in piedi sino a quel momento contro il torace muscoloso di quell’uomo che l’aveva avvicinata a sé con facilità. Un contatto a cui non si oppose e che realizzò solo quando se ne staccò per far respirare il viso congestionato e umido.
 
Fece per asciugarsi le lacrime con la manica della maglia, ma le venne porto un fazzoletto.
 

- Non c’è proprio niente da fare: vedere una donna piangere è sempre un delitto -, sospirò lo sconosciuto. 

Lei non ci fece caso, distratta dal pesante picchiettare delle sue tempie. Superare il limite consentito le stava facendo conoscere conseguenze su conseguenze, compreso il graduale distacco dalla realtà per la troppa stanchezza accumulata. Fu solo perché le si parò davanti al viso, incuriosito, che il tondo boccino d’oro la strappò dall’intricata rete emotiva e memonica dentro cui si stava perdendo, richiamandone l’attenzione col frenetico sbattere delle sue piccole ali dorate.
 

- Lui è Timcampi -, disse l’uomo, indicando con la coda dell’occhio l’esserino – Un golem di mia creazione. -
- Tim..cam..pi. Timcampi. - Scandendo per bene il nome del piccolo golem, Amèlie dispiegò il braccio in avanti e aprì la mano per farcelo entrare. Il boccino colse l’invito seduta stante e le si accoccolò nel palmo fino a lasciarsi avvicinare e accarezzare.
- Allora la voce ce l’hai ancora, piccola. Bene. – Alzatosi dal materasso, l’uomo dai lunghi capelli rossi afferrò una sedia di legno e la trascinò malamente davanti alla corvina, per poi sedervisi sopra pesantemente – Ci vorrà un po’ prima che qualcuno venga a prenderti, quindi che ne dici di fare due chiacchere? Potresti cominciare col dirmi il tuo nome. –
- Ah…Am… - Amèlie dovette inghiottire un paio di volte per bagnare la gola arida – Amèlie. Amèlie Chevalier -, riuscì infine a pronunciare.
- Chevalier? – L’uomo sollevò il sopracciglio, corrugando la fronte – Non sarai mica imparentata con…? –
- MI FACCIA PASSARE SUBITO!!! – 

Il fondo della tenda decorata si aprì di netto, gonfiato e infine diviso a metà come se vi ci si fosse riversato addosso una folata di vento poderosa. Una figura sottile e slanciata si gettò al suo interno fulminea, fiondandosi su Amèlie e stringendola a sé con un abbraccio convulsivo.
 

- Mamma…? – Il profumo di vaniglia e la morbidezza di quel caschetto corvino non potevano che appartenere all’unico familiare capace di trasmetterle serenità e gioia anche col semplice pronunciarne il nome.
- Signora, la prego! – Cercò di fermarla un Finder corsole dietro – Questa tenda è del…! -
- Tesoro mio! Ero così preoccupata! – Esclamò la donna, guardando la figlia da capo a collo con occhi colmi di ansia e le mani appoggiate sulle sue esili spalle – Ma guardati…Sei coperta da capo a collo di bende…! –
- Sto bene, mamma…Davvero -, la rassicurò la piccola, abbozzando il primo sorriso da quando si era risvegliata. 

Sua madre non era come lei; dalle sottili labbra rosee piegate all’insù trasparivano rincuoro e amarezza, dipinte sul suo candido volto al fine di esaltarne la sensibile emotività che lei sola riusciva a suscitare e a scatenare come un fiume in piena. Una conseguenza di quel suo essere Esorcista che Amèlie non desiderava vedere materializzarsi, ragione fondante che la spingeva sempre a dare il meglio di sé come e comunque.  
Aveva fallito, questa volta, il rimpianto per averlo permesso sarebbe potuto costarle molto di più, ma l’abbraccio di sua madre, il conforto che la scaldò e da cui si lasciò avvolgere senza lottare, allontanò quella triste realtà per darle ciò che ogni bambina meritava di ricevere dopo aver fatto un brutto incubo: Amore.


- Signora, per favore! - La voce del Finder rimasto alle sue spalle seppe di supplica – Non possiamo stare qui! Questa tenda appartiene al…G-Generale!
- Generale? – Si stupì Amèlie – E’ un…Generale? -
- Chi? – Rosalie si voltò, confusa e senza comprendere bene l’agitazione del supporter, corso verso un punto imprecisato della tenda dove alcuni mobili si erano inspiegabilmente rovesciati.
- Il tizio che hai appena scaraventato laggiù, mamma -, rivelò la bambina, indicando la forma umana stesa a faccia in giù e semi-sepolta dal mobilio sopra cui Timcampi svolazzava.
- Che cos…OH, SANTO CIELO! – 

La donna si precipitò immediatamente dal malcapitato, inaridendo la gola a forza di scuse. Chiunque conoscesse Rosalie Chevalier sapeva che era una di quelle persone dolci e gentili dalle maniere impeccabilmente delicate, composta in ogni sua movenza e dall’incrollabile pazienza che denotava grande controllo in qualsiasi tipo di situazione, ma come qualunque altra creatura al mondo, anche lei aveva un punto debole e per lei altro non era che la sua adorata figlioletta Amèlie.
Era sufficiente che l’incolumità della piccina valicasse la linea stabilita per ingigantire l’apprensione che Rosalie celava dietro la quieta serenità e l’irruenza con cui aveva fatto letteralmente volare dall’altra parte della tenda un uomo grande il doppio di lei personificava al meglio quella forza capace di smuovere intere catene montuose senza il minimo sforzo. Il dislivello che la divideva dalla figlia le era sempre stato fin troppo chiaro, luminoso a sufficienza perché lo odiasse profondamente; aveva dovuto accettarlo a malincuore, ma ciò non l’avrebbe mai esentata a preoccuparsi ogni qualvolta che il suo cuore di madre reagiva a determinate notizie riguardanti il tesoro a lei più caro.
 

- S-Sono davvero mortificata! – Continuava a ripetere lei, cercando di aiutare l’uomo – Non l’avevo proprio vista! -
- Ve l’avevo detto di aspettare fuori! – Strepitò il Finder accanto a lei, sbiancato per l’aver già intuito le possibili conseguenze della sua disattenzione – Generale, state…? – 

La mano del suddetto premette sulla faccia del supporter con tale forza da scansarselo di dosso e lanciarlo all’indietro. Mai come in quel frangente il povero Finder desiderò trovarsi da tutt’altra parte, perché se c’era una cosa che il diretto superiore odiava da maledetti erano le sorprese o che si entrasse nei suoi alloggi senza esplicito permesso da lui consentito. Lo sbroccare infastidito denotò quanto l’irritazione gli stesse gonfiando le tempie verdastri, imbestialite per come certi sottoposti assillanti non riuscissero ad adempiere a ogni sua semplice richiesta e manco capivano quando fosse il momento di eclissarsi. 

Il Finder di turno aveva già avuto modo di incassare qualche esperienza al riguardo e deglutì pesantemente nell’accorgersi dello scintillio omicida che balenò nel solo occhio visibile del Generale. Scappò via senza emettere fiato per pura paura di aggravare ulteriormente la sua posizione.
 
S…State bene? E’ tutto a posto? – Rosalie si fece avanti ancora una volta, dispiaciuta.
- Non vedo perché non dovrei esserlo -, esordì affabile quello, ripulendosi le spalle dalla polvere - Se c’è qualcuno che qui deve chiedere scusa sono io: a sapere di una visita tanto gradita mi sarei adoperato per sistemare meglio questo alloggio. - La giovialità esibita dall’uomo suscitò in Amèlie un cruccio che corrugò la sua fronte bendata. Com’è che la sua voce era diventata improvvisamente tanto cordiale?
- Oh, non sia ridicolo: l’unica ad avere una colpa qui sono io. – C'era da scommetterci che sua madre non se ne sarebbe accorta – Non avrei dovuto permettermi di entrare a quel modo, è il vostro alloggio dopotutto, ma come ho saputo che mia figlia si trovava qui non ci ho più visto. –
- …Figlia? – Ci fu un attimo di interdizione dove lo sguardo rubino dell’uomo volò prima dalla sua sorridente madre, poi da lei e infine nuovamente su Rosalie.
- Sì, mia figlia Amèlie -, ripeté candida quest’ultima – Non so davvero come ringraziarvi per essersi preso cura di lei. –
- Ordinaria amministrazione, madame -, si riscosse in fretta lui - Immagino che abbiate fatto parecchia strada per arrivare all’accampamento. Perché non…Non…Ma dove accidenti…? – Era sparita, letteralmente, a una velocità a cui il suo unico occhio buono non era riuscito a stare dietro.
- Coraggio, tesoro mio. Ti porto alla Home. – Il Generale si girò giusto in tempo per vedere la donna uscire dalla tenda con in braccio la figlia, lasciandolo nell’angolo a fissare con insistenza il pigro fruscio del pesante tessuto bianco.
- Ma mi ha ignorato? – Si rivolse al piccolo golem dorato quasi sperasse in una risposta, ma tutto ciò a cui si limitò Timcampi fu un leggero atterraggio su una delle sue robuste spalle, dove rimase con le minuscole ali piegate. 




Note di fine capitolo:
Ed eccolo, finalmente, Marian Cross, il demonio dai capelli rossi che ha tanto traumatizzato Allen. Ho solo una cosa da dire prima di perdermi in inutili sproloqui: io amo quest’uomo! Tra i personaggi di D Gray Man è sicuramente quello che più preferisco, il classico tipo che ne sa sempre una più del diavolo e non fa mai niente senza avere una buona ragione, da amare così tanto da volerlo strozzare, come vorrebbe tanto fare Amèlie. Scrivere questa storia mi sta appassionando sempre di più, soprattutto per dove sono arrivata io con la stesura; purtroppo rileggendo i vecchi capitoli ho notato i soliti e stupidi errori di distrazione che saltano fuori dopo decenni (E dire che leggo sempre una decina di volte prima di pubblicare…). A chiunque legga, chiedo scusa per tali mancanze, qualcosina qua e là ho già sistemato, ma appena avrò un po’ più di tempo darò un’occhiata più approfondita, in special modo al prologo: credo che lo sistemerò un po’ ma senza aggiungere particolari dettagli…A presto!!!
 
 
 
  
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