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Autore: soulmirrors    24/03/2014    13 recensioni
Zayn è un ragazzo devoto al lavoro, che non ha mai avuto sconti dalla vita e che è abituato a sudare per ottenere qualcosa.
Niall invece è un pattinatore professionista che ha collezionato già un bel po' di medaglie, nonostante la giovane età, e anche molte cicatrici invisibili che ogni tanto riaffiorano insieme alle sue paure.
Entrambi sono come due piccoli mattoncini colorati di un enorme tetris; sembrano destinati a rimanere soli per l'assurda forma della loro anima così complicata, eppure, insieme, troveranno il giusto incastro.
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Zayn rimase lì immobile a guardarlo, incapace di aprire bocca mentre il pattinatore, quasi fluttuando via sul ghiaccio, gli lasciava come ricordo la sensazione di essersi sognato tutto.
Si dissolse nel nulla come l’azzurro pallido di un fuoco fatuo nel cuore di un bosco avvolto dalla notte.

[Zayn/Niall] [25.6k] [K]
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Piccole note iniziali! Le citazioni che troverete ad ogni paragrafetto sono di un libro a me molto caro per tante, forse troppe, ragioni.
Il libro in questione è Che tu sia per me il coltello di David Grossman.
Detto questo vi lascio alla lettura e ci becchiamo dopo con le note finali!
Enjoy!
























Alle parole taciute.
A tutte quelle parole che sono impronunciabili, che grattano la gola e risvegliano piccoli mostri assopiti.
Alle parole non dette che troveranno la loro via di fuga alternativa.
A tutte le persone con il cuore Blu, non per la nobiltà, ma per la malinconia che le contraddistingue.
A quelle persone un po’ come me.
 





Un altro ritardo come quello del suo primo giorno di lavoro e Paul lo avrebbe sbattuto fuori senza accettare giustificazioni di alcun tipo. D’altronde il datore di lavoro era stato chiaro: “Pretendo estrema puntualità e ti concedo un massimo di tre ritardi in questo periodo di prova, dopodiché, non ci metterò nulla a rimpiazzarti!”
Quindi il messaggio lui lo aveva recepito bene e per questo si era ritrovato a meno un quarto dalle tre di un gelido pomeriggio di gennaio a correre come un forsennato per le vie della città. 
E più correva e dava spallate alla gente per farsi largo nella strada affollata, più Zayn ringraziava il cielo di abitare non molto lontano dal BC Place di Vancouver dove ormai lavorava da circa una settimana. Un altro ritardo non poteva proprio permetterselo perché quel lavoro gli era indispensabile come l’acqua lo è per i pesci. A dire il vero ancora non riusciva a credere di essere riuscito a trovarlo, quel lavoro, perché insomma, lui e la sfiga erano un binomio vincente, eppure quella volta sembrava proprio che l’universo avesse deciso di remare a suo favore. 
Se solo due settimane prima la sua auto (un catorcio prossimo all’autodistruzione) non fosse rimasta a corto di batteria alle spalle dello stadio, intasando mezzo traffico, Zayn non avrebbe mai conosciuto il tizio che gentilmente, offrendogli il suo aiuto, gli aveva anche parlato di quel lavoro. 
E’ strabiliante, aveva pensato Zayn ritrovandosi il numero di Paul tra le mani, pensare a come la sfiga, il caso e la fortuna, girino tutti e tre a braccetto.  
Decidere di andare contromano, quindi, ritardando anche quel giorno, avrebbe significato schiaffeggiare la fortuna che si era finalmente degnata di sorridergli.
Il punto, però, era che Zayn amava dormire, non che fosse pigro da sveglio, tutt’altro, ma da circa una vita aveva capito che l’unico sport che potesse praticare davvero erano i tuffi su qualsiasi superficie morbida, e lasciarsi trasportare dalle correnti del sonno in una sorta di surf onirico. 
Quel pomeriggio, ad esempio, dopo aver ignorato tre volte la sveglia del cellulare, era balzato giù dal letto con gli occhi sgranati e le labbra gonfie per il post sonno; esibendo una sfilza di imprecazioni particolarmente colorite si era infilato addosso le prime cose che era riuscito ad agguantare nel caos tremendo in cui riversava la sua povera camera, ed era uscito di casa letteralmente di corsa. 
Ed ecco perché alle tre in punto si era ritrovato ansante col cuore a minacciarlo di implodergli nel petto, con addosso un poco credibile maglioncino grigio con tanto di Topolino ammiccante stampato sul torace, nell’imponente atrio del BC Pala Stadium.
Non era di certo la prima volta che metteva piede lì dentro, eppure Zayn ogni volta che vi entrava non poteva fare altro che rimanere un po’ di minuti, impalato, a guardarsi intorno.
Quel posto lo aveva sempre affascinato, sin da piccolo. 
Il BC Palace era uno stadio polifunzionale che quell’anno in occasione dei giochi invernali aveva messo a disposizione la sua ampia superficie alle discipline sportive in lista per quell’edizione. Il campo di erba corta, non a caso, era stato rimpiazzato da una lastra di ghiaccio ampia e lucente sulla quale, da lì a un’ora, avrebbero iniziato a volteggiare pattinatori professionisti proveniente da ogni parte del mondo.
Perché Zayn, era vero, non praticava alcuno sport, però gli piaceva molto seguirlo e, anche se non gli andava di ammetterlo, era un appassionato del pattinaggio di figura. Non aveva mai indossato in vita sua un paio di pattini da ghiaccio ma nonostante ciò conosceva ogni figura artistica e il sistema di punteggio di quello sport. 
Sfregò le mani soffiando il suo alito caldo tra i palmi, vedendo chiaramente uscire fuori dalla sua bocca una piccola nuvoletta di condensa e lasciò che gli occhi si beassero ancora un po’ di quello spettacolo.
La pista era da mozzare il fiato, zittire ogni senso, e attorno ad essa giravano in grossi anelli gli spalti, con tanto di sedute, creando un effetto prospettico simile a quello di un anfiteatro. Il ghiaccio, sovrastato da grosse vetrate illuminate da potenti fari, scintillava in modo così sovrannaturale che Zayn fu costretto ad assottigliare lo sguardo per mettere a fuoco la realtà. Dopo essersi stretto nel cappottino, nascondendo il mento nella sciarpa ampia che gli avvolgeva generosamente il collo - perché gli sembrava che lì dentro la temperatura fosse persino più bassa di quella all’esterno - prese a camminare con fare circospetto verso il piccolo ufficio che gli era stato adibito per la sua mansione. 
Camminò sul tappeto di gomma che costeggiava la pista di ghiaccio, facendo in modo di non dare troppo nell’occhio (per cercare di evitare Paul e magari anche il suo muso rude). Un leggero tremolio pervase le sue membra nell’attimo in cui il tabellone luminoso issato sulla parete centrale in alto alla pista, iniziò a mostrare in caratteri bianchi e verdi gli orari degli allenamenti di ogni disciplina sportiva, accompagnato da una voce femminile che rimbombava tra le pareti dello stadio. 
Proprio quella voce ricordò a tutti i presenti (alcuni sportivi seduti tra gli spalti a chiacchierare) che da lì a qualche minuto sarebbero iniziati gli allenamenti per i pattinatori professionisti. 
Quindi Zayn doveva sbrigarsi, raggiungere di corsa la Zamboni e iniziare a ripulire il ghiaccio dai graffi prima che giungessero sul posto gli sportivi.
Ebbene sì, Zayn si occupava proprio di questo in quel posto. Era l’addetto alle pulizie, in un certo senso, e aveva sulle spalle la salute di ogni atleta poiché una sola porzione di ghiaccio non raffinata per bene avrebbe potuto significare un capitombolo per chi ci avrebbe in seguito pattinato sopra.
Louis, Il suo amico d’infanzia - un figlio di papà abituato a non conoscere il sudore per ottenere qualcosa - appena Zayn gli aveva parlato di quel lavoro non aveva perso tempo e subito si era precipitato da lui per prenderlo bonariamente in giro. Non a caso da due settimane si divertiva a chiamarlo “schiavetto” ma a Zayn, ad ogni modo, non importava un bel niente di ciò che poteva pensare l’altra gente; a lui i soldi servivano e sapeva che ogni lavoro nobilitava l’uomo indipendentemente da ciò che si doveva fare. L’unica cosa che lo aveva frenato un po’, prima di accettare quel contratto, era stata la consapevolezza di dover avere a che fare con gente come Louis ogni giorno. Perché a Zayn la gente borghese che amava ostentare i sui averi gli faceva venire il prurito alle mani, e se sopportava Louis era solo perché alla fine gli voleva un gran bene.
Dopo essersi cambiato e aver indossato la divisa dello staff – che consisteva in un semplice pullover nero con sulla schiena il motto dei giochi invernali “With glowing hearts” – si era infilato le cuffiette del suo iPod di seconda mano per poi precipitarsi a mettere in moto la macchina leviga ghiaccio.  
E con la voce di Macklemore sparata a mille nei timpani per annullare il vociferare fastidioso intorno a lui, Zayn aveva dato il via alla sua opera guidando quella macchina in ogni angolo della pista.







 
§
“L’angoscia che tutto quello che c’è di buono in me
non sarà mai dato a nessuno, e nessuno lo vorrà mai.
Ma cosa c’è di buono in me?”





 




Un lago ceruleo rifletteva come uno specchio il cielo primaverile sopra di lui, con tanto di sole pallido e nuvole striate. 
L’aria era fredda ma a tratti piacevole perché ricordava al suo giovane sangue di essere ancora caldo.
Era bello sentirsi addosso le carezze gentili del vento pomeridiano, pensava, sentirsi leggero e spensierato come un piccolo uccello. 
E non pioveva. No, a Westmeath non pioveva da circa un mese.
La quercia ormai secolare dietro la casa dei nonni, dove era cresciuto, il copertone nero di un auto a penzolare da un grosso ramo sul quale passava ore a dondolarsi, erano particolari apparentemente insignificanti che per lui invece valevano tutto.
Come piccoli dettagli di una tela campestre che nessun critico d’arte nota, perché troppo preso ad analizzare il colore e le forme delle nuvole.  
E verde ovunque. Prati immensi maculati da fiori di ogni specie, e in lontananza la linea tondeggiante dei colli a ricordargli la bellezza della natura. 
L’Irlanda era il suo posto, diceva, lo sarebbe sempre stato anche se si fosse trasferito sull’altra faccia della Luna.

“Nialler sbrigati o le api mangeranno i tuoi dolcetti preferiti!”

Sentì l’anziana donna richiamarlo dall’altro lato del giardino mentre lui, con i suoi nuovi rollerblade, sfrecciava nel viale alberato davanti casa.

“Arrivo nonna, solo un altro giro!” urlò di rimando con un enorme sorriso sul viso paffuto, lo stomaco esultante, pregustando il sapore speziato dei biscotti allo zenzero che solo sua nonna sapeva preparare in una maniera impeccabile.

Un altro giro, pensò, un altro giro lungo la staccionata bianca, bianca come la pista di ghiaccio sulla quale quello stesso inverno aveva deciso di dare il via al sogno della sua vita…



«…Quindi, per ripicca, gli ho detto di trovarsi una nuova partner, che per me Liam Payne ormai non esiste più!»

La ragazza con i lunghi capelli castani, avvolta in una tuta sportiva gialla come il sole, gli raccontava l’ultima discussione avuta con il suo ragazzo.

Lui però sembrava non essersene neppure accorto tant’è che quella, bella e indispettita, sbuffò sonoramente convinta di poter attirare la sua attenzione solo con quel futile gesto. 

«Niall, mi stai ascoltando?» insistette.

Una mano piccola e affusolata prese ad agitarsi freneticamente davanti al suo sguardo assorto, cercando di richiamarlo da quel ricordo nel quale si era rifugiato.

Si voltò alla sua destra ancora stralunato e sbattendo le ciglia chiare sui grandi occhi blu si ritrovò davanti il viso corrucciato di Sophia.

«Sì sì, certo, ti ascolto» mentì spudoratamente, ma la ragazza conoscendolo non ci cascò.

«Sì certo, come no» lo rimbeccò, infatti.

Aveva ragione la sua amica, Niall non la stava affatto ascoltando. 
Era troppo preso a scavare nella sua mente alla ricerca di un angolo dove rifugiarsi, un posto dove rannicchiarsi e liberarsi dal peso delle tensioni, quelle che ogni volta lo assalivano quando doveva affrontare un allenamento o una gara difficile.

Lo stomaco, non appena Niall ebbe abbandonato il suo rifugio mentale, iniziò a borbottare insistentemente, reclamando attenzione. Attenzione però che lui non poteva assecondare, non ora, a circa mezz’ora dall’inizio del suo primo turno d’allenamenti. 

Mancava solo un mese, oramai, all’inizio dei giochi invernali, e come gli ricordava il suo allenatore, il tempo per le sciocchezze era finito: ora bisognava fare sul serio.  

Aveva atteso con ansia quel momento, da circa una vita, da quando era alto poco più di un metro e passava le estati con ai piedi i suoi rollerblade, e gli inverni con i pattini da ghiaccio.

Ora che era lì seduto sugli spalti del BC Palace Stadium, circondato da tanti atleti altrettanto talentuosi, iniziava ad essere terribilmente terrorizzato.

Era spaventato, costantemente preso di mira dalle sue paranoie e le sue mille domande. 

Merito davvero di essere qui? Ci sono tanti altri migliori di me.
Sto solo perdendo tempo, dovrei dedicarmi ad altro.

Fortuna che Sophia, seduta ancora al suo fianco e con tra le mani l’iPhone su cui non smetteva un solo attimo di picchiettare i polpastrelli, aveva finalmente smesso di parlare e, soprattutto, ostinarsi a renderlo partecipe delle sue crisi esistenziali.

Perché quando si sentiva in quel modo, tagliato fuori dal mondo e attanagliato dalla sua mente, Niall non voleva essere tratto in salvo. Voleva naufragare con i suoi pensieri, a volte troppo torbidi, troppo bui per permettere alla luce di rischiararli.

E Niall era lì, con la sua pelle quasi diafana a fare invidia alla pista ghiacciata, i pattini sopra una spalla a penzoloni e gli occhi di un celeste troppo scuro rivolti a quella superficie che di lì a poco lui stesso avrebbe segnato con le lame affilate del suo talento.

Niall era quello sport, era ritmo, salti, e figure mozzafiato. 

Niall era talentuoso e non importava se la vocina infida dentro la sua testa gli sibilava il contrario: Niall era bravo e doveva solo concedersi il diritto di crederci.


Quando una voce femminile riempì lo stadio annunciando che la pista era finalmente pronta, tutti i pattinatori entusiasti lasciarono gli spalti dirigendosi nella zona di preparazione per indossare pattini e protezioni.  

Lo stomaco di Niall si contorse in una smorfia facendolo sbiancare in volto.

Era esaltato dall’idea di metter piede sul ghiaccio, ma un blocco mentale gli impediva di godersi appieno le sensazioni positive che quel primo giro di prova gli stava suscitando. Proprio quando avrebbe voluto qualcuno al suo fianco per disinibire le paure, magari scambiando due chiacchiere, si accorse che Sophia non c’era. Era sparita.

La ragazza si era precipitata di corsa per evitare di incrociare il suo partner con il quale, a quanto aveva capito, aveva litigato.

«Niall!» si sentì chiamare mentre una mano gentile gli si posava su una spalla.

«Liam, ciao!» 

«Niall per caso hai visto Sophia, è da ieri che non la sento…» ammise il ragazzo abbassando il capo, la colpa a oscurargli gli occhi castani.

Il cuore gli si strinse appena a quella vista, conoscendo Liam da quasi una vita sapeva quanto ci tenesse a quella ragazza; un po’ si maledisse per essere stato tanto egoista da non aver prestato attenzione a Sophia, magari ora con l’amico sconsolato davanti avrebbe saputo come comportarsi.

Per questo, all’oscuro di tutto, «E’ appena entrata in pista, eccola lì» disse indicandola con lo sguardo. Era come si sentisse in dovere di aiutare entrambi. Perché Niall era fatto così, si prendeva il male di tutti senza chiedere nulla in cambio. 

«Grazie» mormorò l’amico dandogli una pacca di gratitudine sopra la spalla.

Sophia sembrava la regina della pista, era lì sul ghiaccio da appena una manciata di secondi e già volteggiava leggiadra tra salti e piroette alte e basse. Niall la invidiava tantissimo, perché era tutto quello che lui non sarebbe mai potuto essere.

Era aggraziata, aveva un corpo armonioso e i suoi movimenti non peccavano mai. Lui invece si sentiva perennemente un anatroccolo costretto a stare in un lago, circondato da cigni bellissimi e altezzosi. 

Ma Niall era un cigno, ed era il più bello di tutti, peccato che i suoi occhi non riuscissero a riconoscerlo.

Ormai era rimasto da solo nella piazzola di sosta, con le braccia sulla balaustra di ferro che divideva quella zona dalla pista. I piedi gli pizzicavano nello spazio costrittivo dei suoi pattini neri, la voglia di gettarsi nella mischia lo rendeva febbricitante. Chiuse gli occhi e dopo essere ritornato con la mente nel viale alberato davanti casa dei suoi nonni finse di aver ai piedi dei rollerblade e si lasciò andare.

Un attimo dopo era in pista a scivolare sul ghiaccio in un modo così naturale da far sentire chiunque lo stesse osservando un principiante. Tutti i pattinatori sembrarono rallentare il loro moto per dedicarsi  a quella visione eterea di cui erano diventati improvvisamente spettatori.

Niall pattinava come se stesse semplicemente respirando, perché tutto faceva parte del suo essere. Nei suoi movimenti non c’erano forzature di alcun tipo e cosa ancor più strabiliante, a differenza degli altri, si era dimenticato di indossare le ginocchiere e le protezioni per i gomiti. E nonostante l’assenza delle protezioni si concedeva al ghiaccio con disinibizione, possedendolo a ogni giravolta che abile compiva.

Una farfalla dai colori sgargianti volava in un gruppo di falene monocromatiche, così buie dentro da essere attratte dal suo naturale splendore.








 
§

“I tuoi occhi, grandi, scuri e belli, per un istante si sono aggrappati ai miei
e insieme ci siamo raddrizzati e rialzati
grazie quasi alla sola forza dello sguardo.”



 








Il perché fosse ancora lì dentro, Zayn non lo sapeva.
In piedi nella zona preparatoria degli atleti, oltre la balaustra di ferro, osservava come in uno stato catatonico la pista davanti a sé.

A detta di Paul aveva un’ora di spacco a disposizione, prima della fine del primo giro di prova, e avrebbe potuto impiegare quel tempo per fare qualcosa di costruttivo, come passare ad avvertire Josh della pizzeria che poteva benissimo fare il turno di sera. 
E invece eccolo lì, totalmente incantato a rimirare i pattinatori sfilare audaci sotto ai suoi occhi scuri e luminosi.

Dio solo sa quanto amava quello sport, non gli era mai interessato praticarlo eppure osservarlo in tv era una passione per lui. E ora che lo vedeva praticare dal vivo per la prima volta in vita sua, ora che poteva catturare i colori degli atleti con le sue pupille curiose, i loro movimenti professionali, le figure artistiche delle loro braccia e delle loro gambe che si muovevano in sincrono, Zayn si sentiva… in estasi.

Poi accadde che qualcosa catturò la sua attenzione e non seppe bene perché si ritrovò a fissare a bocca aperta – letteralmente – la figura di un ragazzo snello, sin troppo, che come un’apparizione divina attraversava in diagonale la pista; scivolava su un piede solo, mentre l’altro lo teneva ben fermo con una mano agganciata alla lama del pattino.

Il collo piegato all’inverosimile verso la nuca per raggiungere la punta del piede sollevato, il mento alto ed elegante, i muscoli tesi delle braccia, furono questi tre aspetti a bloccare Zayn come un turista in piena crisi di Stendhal davanti a un’opera d’arte fiorentina.

Non aveva parole sufficienti e adatte per descrivere quella figura dal viso niveo e leggermente arrossato all’altezza delle gote, i capelli apparentemente biondi ma che celavano un castano di fondo. Persino quelli rapirono i suoi occhi, quei capelli che verso le punte diventavano pallidissimi come i raggi di una luna sconosciuta.

Niall non sapeva di essere osservato mentre eseguiva quella figura chiamata “angelo” che lui prediligeva alle altre perché gli permetteva di sentire l’aria infrangersi con prepotenza sulla pelle del viso, mantenendo vivo quel ricordo che lo faceva tanto stare bene. Ed era proprio in quel ricordo che, di nuovo, si era rifugiato prima di aprire gli occhi e tornare sul ghiaccio, in quella realtà, concludendo la diagonale con un’elegante piroetta alta. 

E fu mentre con le braccia strette a croce sul petto, girava su se stesso che incrociò, fatalmente, due occhi scuri. 

Occhi ardenti del colore della terra cotta dal sole in estate. 
Occhi lontani che a lui sembravano miracolosamente vicini.

E la testa iniziò a vorticare terribilmente perché si era scordato una cosa fondamentale da fare prima di compiere quella piroetta; aveva dimenticato una regola essenziale al fine di svolgere quella figura senza intoppi. Doveva tenere il capo ben fermo e guardare un punto davanti a sé, senza distrazioni, e lui invece, catturato da uno sguardo lontano, aveva dimenticato ogni regola. Così, per seguire quei maledetti occhi, si era voltato indietro nella loro direzione lasciando che il corpo perdesse il suo baricentro.

Una trottola emotiva che vorticando su se stessa impazziva, di luci e colori.

Due occhi scuri colmi d’ansia.
Un sospiro trattenuto.
Due mani strette intorno a una balaustra di ferro.

Liam aveva afferrato prontamente Niall permettendogli di fermarsi prima che rovinasse in terra, rischiando così di rompersi una rotula.
Si era ritrovato tra le braccia dell’amico, il fiato corto e la testa accoccolata sul petto ampio attendendo che smettesse di girare e il cuore riprendesse a correre nel verso giusto.

Quando Niall recuperò il controllo del suo corpo e poté tornare a guardare in fondo alla pista, si accorse che quei due occhi ardenti erano svaniti. 










 
§

“Da tempo ho notato che,
appena ho un momento libero,
tu fai subito capolino nella mente.”









«Amico, ti conosco da quando?» biascicò il ragazzo disteso sui sedili posteriori della sua Range Rover.

«E ora perché me lo chiedi?» rispose Zayn seduto al posto del guidatore con le gambe in avanti sul sedile del passeggero, la Corona tra le dita di una mano ormai intorpidita per il lungo contatto con il vetro gelido della bottiglia.

Erano nel parcheggio del centro commerciale dove Zayn, dalle otto del mattino sino a mezzogiorno, lavorava part-time come cassiere. Ultimi cinque minuti di spacco e sarebbe dovuto rientrare di corsa dentro. 

«Per una volta, anziché rifilarmi un’altra domanda, potresti rispondermi e basta?» protestò l’altro sbuffando.

Se ne stavano stravaccati nel “macchinone esagerato” – come diceva Zayn – di Louis a chiacchierare. Il castano non aveva lezioni da seguire quella mattina e così aveva deciso di passare da lui per ammazzare un po’ della sua noia borghese.  

«Ci conosciamo più o meno da una vita?» disse a quel punto Zayn mordicchiandosi un labbro per non ridere perché gli aveva di nuovo risposto con un’altra domanda.

Louis tracannò un sorso allungandosi in avanti giusto il tanto per dargli una pacca di approvazione sopra una spalla e «Esattamente. Quindi, se non vuoi che inizi a pensare di te come un bugiardo, dimmi chi hai conosciuto».

Lui sbuffò alzando gli occhi al cielo, puntellò un gomito sul finestrino calato e fece collidere pesantemente la testa nel palmo di una mano.
Calò appena le palpebre sulle iridi scure e un corpo snello e atletico su due pattini neri gli si parò davanti dando vita al ricordo del giorno prima.
Lo vedeva nitidamente come se lo stesse guardando davvero, dal vivo, scivolare sul ghiaccio, roteare leggiadro e illuminare qualsiasi cosa come fosse stato una stella dotata di luce propria.

Lo stomaco gli si avviluppò non appena quel ricordo volse al termine. Vide nuovamente gli occhi estatici del pattinatore che lo guardavano prima che il corpo perdesse l’equilibrio e iniziasse a vorticare senza criterio. 

Zayn ancora si malediva perché credeva di essere stato la causa di quello scampato incidente; ricordava di aver stretto forte le mani intorno alla balaustra sperando che non cadesse per colpa della sua sbadataggine, lui che credeva di aver levigato la superficie di ghiaccio in ogni angolo. 

E poi quel ragazzo che lo aveva afferrato in tempo, lui che si era lasciato abbracciare come fosse stato il suo eroe…

Tese la mascella a quell’ultimo dettaglio e alzò le spalle mentre sentiva Louis alle sue spalle sbuffare spazientito.  

«Nessuno, Louis. Non ho conosciuto nessuno».

Effettivamente quella non era una bugia, solo una mezza verità che per chi non conosceva Zayn sarebbe potuta passare anche, ma per Louis… Louis che lo conosceva davvero da circa un’esistenza non se la bevve e così, dotato di testardaggine e di una curiosità da far impallidire persino una donna, decise di insistere.

«Che hai conosciuto qualcuno, caro Zap, nessuno me lo leva dalla testa. Se me lo dirai di tua spontanea volontà non perderai un amico, se lo verrò a scoprire da solo puoi anche dirmi addio adesso!»

E poiché riuscire a rimanere impassibili al tono da prima donna fintamente risentito di Louis era davvero un’utopia, Zayn esplose in una risata fragorosa che fece tremare l’abitacolo della vettura lussuosa e allontanare per poco il ricordo del pattinatore dalla sua mente. 

Scosse la testa puntando gli occhi lucidi e ilari verso il vetro verde ancora tra le mani, e fu quasi tentato di parlargli di quel ragazzo che aveva adocchiato al BC Palace, quando Perrie, la ragazza con cui alternava i turni alla cassa, fece capolino in lontananza incitandolo con una mano a rientrare.

«Allora cosa hai intenzione di fare?» lo incitò il castano.

Zayn non parlava mai di sé a nessuno, solo con Louis riusciva ad aprirsi e consentire la visione fugace di ciò che aveva dentro, ma in quel momento proprio non gli andava di condividere il ricordo del pattinatore con lui perché ne era quasi geloso. 

Così, non potendo ritardare ulteriormente, dopo aver poggiato il vetro vuoto sul cruscotto, aprì lo sportello lasciandosi un Louis boccheggiante alle spalle.

Ridacchiò immaginando la sua espressione sbigottita quando gridò un «Addio!» lasciando che le spalle gli cedessero al peso di un’altra fragorosa risata. 









 
§

“Forse provavo la sola, vera e unica passione che io conosca
(quella per il senso di colpa, che cerca sempre un peccato con cui accoppiarsi).”









I rollerblade lanciati maldestramente via per correre a piedi scalzi sul prato corto, così da raggiungere in fretta la sua piccola gioia.
Briciole ovunque, intorno alla bocca e sulla t-shirt fresca di bucato.

“Sono buonissimi, nonna!”

Il giardino con tanti alberi da frutta e le piante ben curate, il tavolino bianco in ferro battuto circondato da quelle graziose seggiole intagliate minuziosamente che rendevano quel posto quasi magico, meta preferita da gnomi e fate.
 
“Lo so, ora mangia che lo sport ti ruba tante forze!”

Sua nonna, diceva Niall a chiunque gli chiedesse di parlare di lei, era quella donna che riusciva a cogliere sempre le sfumature nei suoi occhi…




Non gli era mai successo.

In tredici anni a Niall non era mai capitato di distrarsi a tal punto da dimenticare una regola fondamentale del suo sport.

E come se i suoi sensi di colpa non bastassero a demolire la sua già critica autostima, il suo allenatore dopo la fine degli allenamenti non aveva desistito dal demolirlo psicologicamente.

Perché Niall doveva dare il massimo, sempre, non poteva permettersi simili errori. 

Niall doveva essere la perfezione, in tutto, nella vita e nello sport.

Ma Niall aveva solo tanto freddo, tanto.

Il calore delle lacrime non riusciva a riscaldare le sue guance, neppure tenere le mani chiuse in pugni aiutava a racimolare un po’ di tepore.

Lo stomaco faceva male e la gola bruciava.
Il palmo di una mano contro la parete di fronte, l’altro schiacciato sullo stomaco. 

Gli occhi stretti e l’aria che mancava, il rumore acquoso del suo dolore che si riversava nella tazza sotto di lui. 

Il senso di colpa, la sensazione di essere poco, di non essere mai abbastanza. 

L’acqua ormai diventata troppo torbida per riuscire a specchiare i suoi occhi pieni di vita, la sua anima da guerriero. 

E insieme al rumore dello scarico, Niall, ogni volta indossava il suo sorriso malinconico, quello che a guardarlo bene era di un bel colore blu, così simile ai suoi occhi. La voglia di diventare piccolo, così piccolo sino a sparire dal mondo, quella sensazione rimaneva con lui, come un Neon Cardinale attaccato al ventre di uno squalo.

Niall e il suo sguardo, quello che nessuno decifrava mai, quello che solo una persona, che ormai non c’era più, riusciva a scomporre e ricostruire da zero strappando via il tassello rotto che ne deturpava la bellezza. 
Quel pomeriggio non sarebbe andato agli allenamenti.
 
Quella volta, ricordare, non gli era bastato per scacciare via i suoi demoni interiori.










 
§

“Anche la realtà, a volte, è affollata come un sogno.”











Zayn era un ragazzo devoto al lavoro, si impegnava davvero in tutto quello che faceva.
Digeriva difficilmente le restrizioni dei suoi capi, è vero, ma cercava di accettare ogni condizione affinché potesse tenersi stretto il lavoro il più a lungo possibile.
Ad esempio con Paul era stato impeccabile sino a quel momento (chiudendo un occhio su quell’unico ritardo che gli era capitato i primi giorni di lavoro).

E aveva sempre ascoltato Paul e le sue ramanzine senza fiatare perché se quell’omone poteva sembrare tanto rude alla fine non parlava mai a vanvera. 
Quindi Zayn aveva accettato le sue regole senza batter ciglio ma una cosa in particolare se l’era fatta sfuggire.

Paul era stato chiaro anche in questo: “Durante il servizio niente cuffie o auricolari. Massima vigilanza”.

Ebbene sì, Zayn doveva essere sempre vigile e tenere sott’occhio, e a portata d’orecchio, gli avvisi del tabellone e quelli vocali.

Ma quel giorno era entrato al BC Palace col suo bel paio di cuffie sulle orecchie e, troppo preso da mille pensieri, si era scordato di disfarsene.

Gli allenamenti erano finiti da cinque minuti; gli atleti pian piano si accingevano ad abbandonare la pista tra risa e commenti tecnici. Quel pomeriggio il pattinatore, così lo aveva ribattezzato in assenza di un nome da dare alla sua bellezza, non aveva eclissato tutti con la sua presenza e Zayn, in fondo, aveva avanzato già le più pessimistiche delle ipotesi.

L’idea di poter c’entrare qualcosa con quel piccolo incidente lo faceva davvero contorcere, per questo si era rifugiato nella musica, per cercare di lenire quello strano senso di colpa.

La musica, quindi, come le braccia di una madre premurosa lo aveva stretto a sé per tutto quel tempo impedendogli, però, di accorgersi di un’intrusione di campo appena avvenuta.

Mentre Eminem e Rihanna cantavano a turno nelle sue orecchie distraendolo efficacemente, un atleta in felpa rossa e cappuccio tirato sopra la testa era appena arrivato, e senza aspettare troppo si era gettato sulla lastra di ghiaccio che lui avrebbe dovuto ripulire. 

Fortuna che proprio in quel momento Zayn stava effettuando la manovra per permettere alla Zamboni di uscire dal suo box, sennò non lo avrebbe mai visto e di conseguenza avrebbe avuto sulla coscienza un altro incidente. Perché, insomma, pattinare con il ghiaccio in quelle condizioni era da incoscienti aspiranti suicida. 

«Ehi, gli allenamenti sono finiti da un pezzo!» urlò dalla sua postazione, il motore della Zamboni a ringhiare di già nel silenzio dello stadio.  

L’atleta non sembrò sentirlo perché, del tutto incurante, iniziò a sfrecciare come una saetta verso il centro della pista dove, agile, effettuò la prima trottola.

Qualcosa gli suggeriva di farsi gli affari suoi e lasciare quell’incosciente al suo destino infausto ma la sua coscienza in quel momento fu, per fortuna, più forte.
 
«Hai sentito cosa ti ho detto?» riprovò, questa volta con un tono leggermente intimidatorio. 

Ma il ragazzo sui pattini neri lo snobbò di nuovo, fendendo l’aria con la lama di un pattino sollevato in avanti in una figura di cui, in quel momento, troppo preso a osservare, Zayn non riusciva a ricordarne il nome.  

Fece una smorfia di disappunto grattandosi la barba incolta che lo faceva apparire più grande di quello che in realtà era e ci riprovò, questa volta urlando nel piccolo megafono installato sul cruscotto della Zamboni.

«Ehi, dico a te, cappuccetto rosso!» 

A quel punto parve proprio di esserci riuscito a richiamare l’attenzione dell’atleta perché quello si fermò con una luna sul filo interno disegnando una semicirconferenza nel ghiaccio, nel cuore della pista.

La schiena di Zayn si lasciò carezzare lascivamente da una batteria di brividi scatenati da quella figura artistica tanto bella. 
Possibile che ogni volta rimanesse ammaliato dalle mosse perfette di quegli atleti?

«Fosse per me ti lascerei continuare ma…»

Tutte le parole gli morirono nella gola quando il ragazzo calò via il cappuccio della felpa mostrandogli il viso e i capelli dal colore particolare.

Dovette sforzarsi davvero per non permettere alla mascella di cadergli in terra, tanto era lo stupore per quell’inaspettata sorpresa.

«Scusami, non dovrei essere qui ora, lo so» soffiò il pattinatore avvicinandosi a lui con due semplici slittamenti.

Quegli occhi blu e luccicanti come zaffiri fecero sentire Zayn spaesato. Schiuse le labbra carnose per replicare, dire qualcosa ma mai parlare gli era sembrato così complicato. 

Quindi «Ciao» fu tutto ciò che Zayn riuscì a dirgli prima di pentirsene e abbassare lo sguardo sul volante della macchina leviga ghiaccio.

Per quale assurdo motivo lo aveva salutato come se entrambi si conoscessero di già?

E mentre quella sensazione di inadeguatezza si faceva spazio dentro di lui «Ciao» gli fece eco il pattinatore di fronte a lui, sedando l’imbarazzo che lo aveva travolto per pochi secondi.

Solo allora Zayn riuscì ad osare alzando di nuovo lo sguardo su quei due occhi e, per la prima volta, guardarlo in viso, da vicino. 

Terribilmente vicino.

Senza tutta quella distanza a sfocare i contorni della sua figura, il pattinatore sembrava ancor più etereo e… bellissimo.

Ne aveva conosciuti di ragazzi belli, Zayn, ad esempio il suo amico Louis, ma quel ragazzo dall’aspetto determinato e d’un tempo fragile, lo stava destabilizzando.

«Be’ dicevo che fosse per me ti lascerei continuare ma la pista in questo stato è pericolosa ed è meglio che ci faccia prima io un giro», iniziò Zayn abbozzando un sorriso impacciato, «con questa» chiarì  indicando la macchina sotto di lui. 

Il ragazzo con i capelli biondo cenere si strinse nelle spalle, evidentemente intimorito dal suo sorriso, e con gli occhi rivolti alle punte dei pattini neri parlò ancora.

«Oggi non sarei dovuto venire» disse in un sussurro appena udibile che fece inarcare a Zayn un sopracciglio. Il suo accento lo incuriosiva tanto, e gli ricordava qualcosa, che non fosse americano era palese anche se non riusciva bene a capire da dove venisse.  

Lo vide guardarsi intorno spaesato, a tratti impaurito, come se si aspettasse di veder balzare fuori un animale feroce pronto a divorarlo.

Si morse una guancia e «Allora perché sei qui?» domandò piano, mentre l’altro sollevava di poco il mento per permettergli di accorgersi dei denti che avevano preso a torturare con veemenza un labbro.

«Già, perché sono qui?»

Quel gioco di domande che ricevevano in risposta altre domande a Zayn ricordò subito Louis e la loro chiacchierata di quella stessa mattina.

Così senza rifletterci, perché era istintivo e a volte di una spontaneità davvero disarmante (se non imbarazzante), Zayn si lasciò sfuggire una risata roca e bassa che ebbe il potere di far alzare definitivamente lo sguardo del pattinatore su di lui.

«Cosa ti fa tanto ridere?» fece l’altro, la fronte corrucciata dalla perplessità e il fantasma pallido di un sorriso sul volto.

Zayn si prese qualche secondo per osservarlo in viso e «Niente, è che non andresti d’accordo con un mio amico»  rispose sinceramente ma in modo vago, alzando le spalle.

Il pattinatore annuì distrattamente intrecciando le dita delle mani dietro la schiena, e a Zayn sembrò d’un tratto di avere di fronte un bambino e non più un ragazzo probabilmente della sua stessa età. 

La voglia irrazionale di balzare giù dalla macchina e abbracciarlo forte, sino a farlo scomparire tra le braccia, fu davvero tanta ma non si mosse.

Il silenzio che ne seguì fece pensare a Zayn di avere esagerato, forse, di averlo in qualche modo offeso. Ma essendo stato spontaneo e per nulla malintenzionato non se la sentì di scusarsi, di cosa poi?

Quindi lasciò all’altro la possibilità di dire qualcosa ma quello non aprì bocca, fece solo scivolare le lame dei pattini all’indietro, allontanandosi, guardandolo negli occhi, prima lentamente poi acquisendo man mano velocità sino a dargli le spalle e sparire del tutto. 

Zayn rimase lì immobile a guardarlo incapace di aprire bocca, mentre il pattinatore, quasi fluttuando via sul ghiaccio, gli lasciava come ricordo la sensazione di essersi sognato tutto.

Si dissolse nel nulla come l’azzurro pallido di un fuoco fatuo nel cuore di un bosco avvolto dalla notte.










 
§

“Perché voglio che tu sappia tutto di me,
voglio che tu mi conosca nella mia nudità,
nei miei piccoli calcoli e nelle mie ansia meschine.”









Quella giornata sin dal mattino si era rivelata a lui con un grande potenziale. Niall, dopo tanto tempo si sentiva finalmente ottimista. Per che cosa di preciso, be’, non lo sapeva neppure lui, fatto stava che essersi svegliato con l’appetito di fare finalmente un’abbondante colazione lo aveva messo di buonumore. 

E nonostante il lunatismo, che purtroppo lo affliggeva dai tempi dell’adolescenza, il suo umore rimase alto sino al pomeriggio, quando avrebbe dovuto affrontare il suo coach e gli allenamenti al BC Palace.

«Sei, come dire… Sei raggiante oggi» gli fece notare Liam, anche lui con un gran sorriso probabilmente dovuto alla rappacificazione avvenuta con la sua partner di danza.

Erano insieme agli altri pattinatori nella zona preparatoria e a dispetto della prima giornata, Niall si sentiva carico e motivato, pronto a dare il massimo.

Quando l’amico condivise quella constatazione, senza farsi troppi problemi alzò un sopracciglio perché, cavolo, possibile riuscisse ad esser bravo solo a mostrare le emozioni positive? 

«Tu dici?» rispose vago, una mano a scompigliare i capelli, poca voglia di toccare il nocciolo della questione.

«Ieri sei rimasto in albergo, non sei uscito dalla nostra camera per tutto il giorno e quando sono rientrato dagli allenamenti non c’eri…»

Il ragazzo chino su se stesso ad agganciare per bene i pattini, e ad infilare scrupolosamente le protezioni, fece una pausa prima di arrivare al punto. 

Sophia li raggiunse in quell’istante: salutò Niall con un occhiolino e una carezza voluttuosa alla schiena di Liam. Quello come un gatto parve quasi miagolare e Niall sorrise del rapporto complice che avevano i suoi due amici.

«So che probabilmente non ne vuoi parlare ma, sai che sono schifosamente curioso…» riprese Liam dopo essersi rialzato a guardarlo.

Niall sbuffo in un sorriso e «Lee, parla» lo spronò.

«Ecco, volevo chiederti… dov’è che sei andato ieri sera, tutto solo?»

Niall ridacchiò nella manica della felpa rossa, quella che gli aveva fatto aggiudicare il nomignolo di “cappuccetto rosso” – sorrise a quel ricordo – e lasciò che le spalle gli vibrassero visibilmente. Gli occhi, invece, guizzarono subito in direzione della pista per sfuggire a quelli curiosi di Liam.

«Ieri non mi andava di vedere nessuno» confessò. L’espressione di Liam, però, bastò a fargli capire di non essere riuscito a dissolvere del tutto la sua curiosità.

Nessuno degli atleti scelti per quell’edizione dei giochi invernali era di Vancouver, né tantomeno dello stato. 
Ogni atleta proveniva da una parte diversa del mondo e di conseguenza nessuno era pratico della zona, incluso Niall.

Per questo, pensò il biondo, Liam doveva essersi insospettito di non averlo trovato né in camera né in giro per l’hotel.   

Prese un lungo respiro e per una volta si concesse il lusso di condividere con qualcuno uno sprazzo di ciel sereno affacciatosi sopra la sua anima.

«Sono passato di qui, alla fine degli allenamenti, per pattinare da solo».

Liam lo stava ascoltando attentamente come chi sa di essere di fronte a uno spettacolo irripetibile, da non perdere.

«Sono passato e ho incontrato la distrazione…»

«Hai incontrato chi?» chiese a quel punto l’amico senza riuscire a trattenersi.

«Ho rivisto il ragazzo che l’altro giorno mi ha procurato il capogiro in pista».

Un brivido particolarmente violento si insinuò nella sua schiena avvolgendolo sino allo stomaco che formicolò sollecitato dal ricordo.

Intanto la voce riempì lo stadio avvertendo gli atleti che di lì a pochi istanti avrebbero potuto iniziare gli allenamenti. 

«Ho capito. E dimmi, di chi si tratta, è un pattinatore?» bisbigliò Liam circospetto avvicinandosi al suo orecchio quasi temendo di farsi udire da qualcuno lì vicino.

Una risata serafica sovrastò il brusio fastidioso prodotto dagli atleti scalpitanti. Si librò in alto, e come una fenicie richiamò l’attenzione di molti. Niall rise come se Liam avesse detto la cosa più divertente di questo mondo perché il suo cuore desiderava farlo.  

«No, Lee», esordì tentando invano di sedare le sue risa premendosi due mani sull’addome, «sei completamente fuori strada!» 


E come calamitato dal suono coinvolgente della sua risata, il ragazzo della Zamboni si voltò nella sua direzione con i suoi occhi caldi e serici, e a Niall parve quasi che stesse sorridendogli. 









 
§

“Ma con te non mi comporto in modo logico:
solo in modo follemente logico.” 








Zayn aveva tre lavori e con essi tre personalità che adottava a seconda di ciò che svolgeva.

Per questo, al mattino, era un gentile cassiere nel centro commerciale più conosciuto della città; al pomeriggio, sino alle otto di sera, era un taciturno addetto alle pulizie nel BC Palace Stadium di Vancouver -  in quel periodo assediato da centinaia di atleti - e la sera, invece, un affabile cameriere in una piccola pizzeria nel centro storico di Gastown.  

Quest’ultimo lavoro però, a differenza degli altri due, era solo un parttime che gli permetteva, di tanto in tanto, di arrotondare il guadagno.

Ad ogni modo Zayn quel giorno era a dieci minuti dalla fine del proprio turno di cassa quando già sentiva l’impazienza farsi largo scalciando dentro di lui. 
Perrie che sarebbe dovuta essere lì da un pezzo per dargli finalmente il cambio non era ancora arrivata e la gentilezza di Zayn, quella che dispensava sempre a tutti i clienti, iniziava a dissolversi pericolosamente.

Voleva andarsene di lì, tornare a casa, mangiare qualcosa di fretta e fare una doccia, magri dormire qualche ora prima di fiondarsi allo stadio.  

Non sapeva bene da quando precisamente avesse iniziato a trovare tanto allettante la sua mansione al BC Palace, fatto stava che Zayn era entusiasta di metter piede lì dentro.
 
Al mattino – gli aveva fatto notare Louis – si svegliava con un unico pensiero e quello perdurava sino al pomeriggio alle tre, quando quel pensiero si palesava davanti ai suoi occhi, etereo, bellissimo, con gli occhi assurdamente splendidi e le labbra rosa come i fiori di pesco.

Alla fine aveva ceduto, Louis sapeva quasi tutto del pattinatore e grazie alle sue descrizioni quasi maniacali all’amico gli sembrava quasi di conoscerlo di vista.

Liquidò poco delicatamente l’ultima donna dal viso paffuto e con il corpo che Botero avrebbe tanto apprezzato e dipinto, e prese a tamburellare spazientito con le dita di una mano sul piano della cassa.

Gli avventori in quel posto erano sempre tanti, troppi, a ogni ora, specie sotto mezzogiorno.

«Fanno tre dollari» strascicò con il suo tono di voce disinteressato senza neppure alzare lo sguardo quando due bottigliette di una bibita energizzante apparvero dal nulla sul tappeto metallico sotto di lui. 

Il cliente bisbigliò qualcosa di incomprensibile e dopo aver racimolato degli spicci glieli porse sul portamonete di plastica.

«Grazie» sentì dire da quel qualcuno in un sospiro e «Grazie a lei» intonò come ormai era d’abitudine sistemando le monete nel carrellino elettronico della cassa. 

Ma proprio nell’attimo in cui con una mano richiudeva lo sportellino, Zayn si accorse di essersi gelato sul posto. Quell’accento non gli era nuovo, per niente. Il cuore che aveva appena intonato un battito nuovo, acuto, glielo confermò crudamente. 

Alzò di scatto la testa verso l’uscita del centro e incontrò subito gli occhi blu di Perrie e i suoi capelli pallidi e quasi surreali.

«Dì la verità, credevi che ti avrei appeso!» trillò quella spostandosi di lato e permettendogli di scorgere oltre ai vetri della porta un cappuccio rosso sotto un giubbino bianco con il logo delle olimpiadi stampato sopra la schiena insieme a una piccola bandiera dell’Irlanda.

A Zayn la salivazione parve arrestarsi e nella sua testa si palesò un’unica cosa da fare, immediatamente. 

Afferrò le sue cose e «Perrie, grazie grazie grazie! Ci vediamo domani!» disse tutto d’un fiato lasciandole un bacio tra i capelli prima di fiondarsi fuori come un ossesso.

Grazie per essere arrivata a salvarlo.
Grazie per essere, in un certo senso, il suo portafortuna.
Grazie per, niente… doveva raggiungerlo il prima possibile!

Il pattinatore era ancora lì, di spalle, e con passo lento e calcolato si apprestava a raggiungere la fermata d’autobus lì vicino. C’era qualcosa nella sua camminata incerta, pensò Zayn, come se stesse tardando di proposito ma magari era solo una sua impressione.

«Ehi!» urlò Zayn maledicendosi per non avergli chiesto neppure il nome quando aveva avuto modo di parlargli la prima volta.

Il ragazzo biondo non sembrò accorgersi di nulla tant’è che continuò indisturbato a camminare.

Zayn improvvisò una sorta di corsa per tenergli dietro che gli avrebbe fatto imprecare la milza per tutto il giorno. 

Dovrei seriamente iniziare a fare un po’ di sport pensò come promettendolo a se stesso.
 
«Cappuccetto rosso!» urlò deciso, ricorrendo al nomignolo che gli aveva affibbiato la prima volta e che, allora, aveva funzionato.

Anche questa volta parve funzionare perché l’atleta si fermò di scatto voltandosi lentamente su se stesso sino a incontrare il suo sguardo. 

Zayn sogghignò. Aveva fatto centro.

«Ho dimenticato lo scontrino, me ne sono accorto solo ora…» provò a dire il ragazzo credendo di essere stato raggiunto solo per quello.

Zayn dovette mordersi le labbra per non scoppiargli a ridere in faccia, sarebbe stato davvero poco carino.

«No, veramente volevo parlare un po’ con te» disse sincero ringraziando la sua audacia che in casi come quello si rivelava essere sempre una benedizione.

L’altro sembrò avvampare leggermente schiudendo le labbra morbide come per dire qualcosa… Qualcosa che però non arrivò.

Zayn decise di ritentare anche per rimuoverlo dall’impaccio.

«Io mi chiamo Zayn» gli annunciò tendendo una mano verso di lui.

Se c’era una cosa che suo padre gli aveva insegnato prima di diventare vittima di una brutta malattia che non risparmia mai nessuno, era che nella vita bisogna rischiare e mettersi in gioco se si voleva ottenere qualcosa. E traendo coraggio dal ricordo di suo padre, Zayn non si lasciò avvilire dal silenzio dell’altro. Anzi, ne approfittò per osservarlo da vicino, come non aveva mai fatto sino ad allora.

La pelle di quel ragazzo, chiara quasi quanto il latte, sembrava liscia e vellutata come una pesca; quell’associazione di idee fece sì che Zayn provasse l’impulso irrefrenabile di accostare due dita ad una sua guancia ma non lo fece, infilò la mano che teneva lungo un fianco nella tasca degli skinny neri come per impedirselo. 

L’altra ancora tesa a mezz’aria tra di loro fremette proprio mentre  «Io sono Niall» rispondeva l’altro allungando la sua per stringergliela. 

Senza indugiare Niall raggiunse con la sua la mano di Zayn e la strinse in una presa forte e decisa.

Zayn ne rimase colpito. Sospettava di essere ignorato, oppure, se proprio avesse deciso di stringergli la mano, Zayn aveva pensato che sarebbe stato un tocco leggero e riluttante dettato dalla circostanza.

E invece, quel biondino lo aveva stupito.

«Tu sei il ragazzo della Zamboni» constatò quest’ultimo stringendo tra le braccia il sacchetto di carta con i suoi acquisti.

Zayn gongolò internamente perché, cavolo, quel ragazzo si era ricordato di lui.
Si diede dello stupido perché quel suo comportamento era tipico delle ragazzine alle prese con la loro prima cotta, e si riscosse cercando di rispondere in modo quasi distaccato.  

«Precisamente» confermò, quindi, asserendo col capo corvino e guardandolo di sottecchi.

Niall sospirò in un palese sorriso che per pochi istanti, pochissimi, fece credere a Zayn di essere in grado di volare tanto si sentì leggero.

Avrebbe voluto chiedergli perché pochi giorni prima era da solo in pista, e non con i suoi colleghi. Avrebbe voluto chiedergli da dove venisse anche se oramai l’accento irlandese e la bandierina sopra al giubbotto avevano risposto per lui, definitivamente. Avrebbe voluto chiedergli dove alloggiava in quel periodo, durante le olimpiadi invernali ma davvero, Zayn non se la sentiva anche perché temeva di poterlo mettere, in un certo senso, sulla difensiva. Così scelse di rimanere in silenzio, camminandogli affianco e facendosi bastare il contatto fugace delle loro spalle vicine.  

Sin quando…

«E’ colpa tua» lo accusò il pattinatore, improvvisamente, tirando avanti senza neppure fermarsi a guardarlo. La sua voce, calma e spontanea cozzava con ciò che aveva appena detto. 

Zayn si bloccò sul posto incapace di comprendere le parole dell’altro. Si strinse nelle spalle e «A cosa ti riferisci?» domandò.

Solo allora Niall si fermò, e Zayn poté vedere chiaramente le sue spalle prima intirizzirsi e poi abbassarsi, come se si fosse rassegnato a una qualche verità a lui ignota.

«Niente, lascia perdere…» provò a sorvolare prima che Zayn lo raggiungesse con tre lunghe falcate.

«No che non lascio perdere!» replicò, il tono più alterato del dovuto, chiudendogli la spalla in una mano per farlo voltare. 

Niall saltò sul posto, evidentemente sorpreso da quell’improvviso contatto.

Il biondo osservò il punto in cui la mano di Zayn stringeva la sua spalla facendolo pentire di essere stato così istintivo, ma Zayn non pensò neppure per un istante di lasciarlo andare, come aveva già fatto la prima volta allo stadio. 

«I tuoi occhi distraggono» ammise allora, e con un lentissimo gesto alzò il mento per guardarlo in viso.

Zayn si sentì percuotere dall’interno, scuotere le ossa da una forza indescrivibile che subito seppe associare al potere dello sguardo profondo di Niall.

Nessuno mai gli aveva detto una cosa simile, tantomeno lo avevano mai guardato così a lungo negli occhi. Il modo in cui il pattinatore riusciva a tener testa ai suoi occhi era destabilizzante e d’un tempo ammirevole. 

Zayn seppe inconsciamente che stesse riferendosi alla settimana prima, quando lo aveva visto per la prima volta in pista prima che perdesse l’equilibrio. E come se lo avesse letto nel pensiero, l’altro annuì piano. 

Non sapeva cosa rispondere, quindi «Mi dispiace» disse, toccandosi la nuca in un evidente segno di imbarazzo. E gli sorrise pure, benché sapesse quanto patetiche potevano apparire le sue scuse, ma furono le sole parole che riuscì a cavarsi fuori in quella circostanza tanto strana. 

Ficcò entrambe le mani nelle tasche dopo essersi accorto di avere ancora la destra ben stretta sulla spalla di Niall.

«E di cosa? Non è colpa tua» lo rassicurò quest’ultimo riprendendo a camminare con una scrollata di spalle. Zayn pensò che quel ragazzo era appena riuscito ad aggiudicarsi tutta la sua insana curiosità.

Zayn voleva, doveva conoscerlo assolutamente.

«Io ora dovrei prendere l’autobus» gli fece notare Niall bloccandosi di scatto sotto la fermata.

Zayn si morse un labbro sapendo di non avere nessun scusa per seguirlo, anche perché non voleva dargli l’impressione di essere uno stalker, e lo guardò posizionandosi accanto ad un palo e far collidere ad esso una spalla.

«Allora a più tardi» gli fece Zayn alzando una mano per salutarlo, accorgendosi solo dopo aver chiuso bocca di quanto ambigua potesse apparire quella sorta di… promessa?

In quel momento, mentre l’altro, in silenzio, lo fissava impenetrabile, Zayn si sentì nudo come se Niall con i suoi occhi potesse leggergli dentro la testa. E ciò che sconvolse ancor di più il ragazzo moro fu la consapevolezza che ogni suono intorno a loro fosse come sopito, come se ogni forma e colore avesse cessato di esistere d’improvviso per risaltare la presenza del pattinatore di fronte a lui.

«A più tardi, Zayn» rispose proprio quest’ultimo dandogli le spalle per issarsi sugli scalini alti dell’autobus appena arrivato. 

Lasciò che il suo nome pronunciato dalla voce di Niall riverberasse per qualche altro secondo nella sua testa mentre osservava il pattinatore salire, senza voltarsi a guardarlo né a salutarlo con un qualsiasi cenno, sul mezzo. 

Le porte dell’autobus si chiusero dietro Niall che prese posto in una seggiola accanto al finestrino, la fronte cosparsa di ciocche bionde poggiata contro il vetro. 

Zayn non si era mosso, una forza più grande di lui lo aveva inchiodato lì e quando il motore del mezzo rimbombò nella via trafficata, a Zayn sembrò che gli occhi blu di Niall gli stessero sorridendo.






 
§

“Un miscuglio di dolore e d’inspiegabile godimento.”









Niall non era timido.

Spesso le persone a primo acchito, senza prendersi la briga di conoscerlo davvero, credevano che la sua fosse una di quelle timidezze assurde, da casi patologici. 
No, Niall la timidezza non sapeva neppure cosa fosse, lui era riservato. La riservatezza faceva parte di lui da sempre, lo era sempre stato, riservato.  

E non era neppure asociale come spesso, bonariamente, i suoi amici gli dicevano per prenderlo in giro e rinfacciargli la sua scarsa voglia di vita sociale. Gli piaceva bere in compagnia, uscire, e persino la musica commerciale delle discoteche, ma in egual modo amava anche starsene da solo. La solitudine faceva parte di lui come la riservatezza. Quando era solo un bambino le maestre si preoccupavano, i suoi genitori anche, spesso si allarmavano perché quando un bambino preferisce starsene da solo a disegnare anziché far baldoria con gli amichetti subito gli si associa qualche patologia strana. No, Niall era normalissimo, aveva solo bisogno dei suoi spazi.

Per questo quella mattina era uscito dall’hotel – dove alloggiava con gli altri atleti - situato in una zona centrale di Vancouver, e aveva deciso di andarsene in giro da solo. Aveva bisogno di starsene un po’ per conto suo e anche fare due passi lo avrebbe aiutato a ritrovare quella calma interiore che solo la solitudine riusciva a donargli. Alla fine non aveva neppure camminato chissà quanto, perché Niall era un ragazzo che non amava avventurarsi in posti sconosciuti da solo; aveva preferito restare in zona e trovare il suo silenzio interiore nel caos di un centro commerciale.  
   
Scelta discutibile la sua, ma d’altronde lui era fatto così. Era bizzarro.
Secondo lui anche per ricercare tranquillità occorreva concentrazione, essere capaci di sgombrare la mente, isolarsi dal mondo pur essendo immerso in esso.

Ma Niall mica poteva sapere che, oltre al BC Place, anche in quel posto avrebbe incontrato la sua distrazione? 

E l’unica cosa che era riuscito a pensare e a ripetersi come un mantra, quando l’aveva riconosciuta quella distrazione, era stata “non alzare gli occhi, non alzare gli occhi, ti scongiuro non alzare gli occhi…”

Quegli occhi alla fine, però, si erano alzati e lo avevano persino seguito, e lui non ce l’aveva più fatta, perché Niall non era timido, lui era schietto e le cose te le diceva senza troppi giri di parole. 

“I tuoi occhi distraggono” aveva detto al ragazzo della Zamboni, quello che aveva scoperto si chiamasse Zayn. 

Zayn. Quante volte Niall aveva ripetuto quel nome mentalmente durante il tragitto in autobus? Il suono del nome di quel ragazzo lo faceva sorridere e neppure sapeva per quale motivo, forse perché gli sembrava così esotico. Esotico come il colore della sua pelle che a differenza della sua spiccava come una rosa nera in un deserto di neve. O magari semplicemente la forma allungata dei suoi occhi, o del loro colore. 

E di cose da dirgli ne aveva davvero tante, Niall, alla faccia della sua presunta timidezza! Avrebbe voluto dirgli che era troppo bello, ma l’autobus era arrivato giusto in tempo e per questo si era limitato a pensarlo soltanto, osservandolo oltre quel vetro spruzzato di pioggia. 

Così si era costretto, letteralmente, a non pensare al ragazzo della Zamboni almeno per qualche ora visto che, prima o poi, sarebbe dovuto tornare al BC Palace e la consapevolezza di rivederlo già lo sfiancava. 

E così era stato. Nonostante le chiacchiere di Sophia e la compagnia di Liam, nonostante fosse seduto tra di loro sopra gli spalti e circondato dal vociferare degli altri atleti, i suoi occhi non volevano saperne di staccarsi dalla macchina leviga ghiaccio guidata dal ragazzo con i capelli scuri come penne di corvo.

Perché era bastato un solo sguardo per far crollare tutto, come il Titanic contro l’iceberg, un ordigno bellico che esplode all’improvviso nel cuore della notte. Scontrarsi con gli occhi di Zayn (Zayn, Zayn, Zayn…) era stato come subire un attentato.

«Niall, dovresti aiutarmi!» annunciò Sophia pattinandogli incontro. Lui si voltò subito a guardarla con un sopracciglio alzato.

«Se posso, perché no» disse.

La ragazza si sciolse i capelli castani, lunghi e selvaggi, e li raccolse velocemente in una grossa ciambella sopra la testa per non permettere a nessuna ciocca di intralciare il suo sguardo. 

«Liam è un coglione, ma questo tu lo sai meglio di me» sbuffò improvvisamente accigliata; Niall ridacchiò cogliendo al volo, da un’occhiata eloquente dell’amico, che i due avevano di nuovo litigato.

«Non mi dire che vuoi provare con me una presa…» la implorò quasi, pattinandole intorno.

Quella si illuminò con un enorme sorriso seguendolo con lo sguardo e a Niall non servì alcuna risposta.

Poco dopo si ritrovò a sollevarla in aria e a pattinare con lei appollaiata, prima sopra una spalla, poi inginocchiata sopra una coscia, e infine fu costretto a farle fare il famoso angelo tenendola in equilibrio sopra la schiena.

«Mai pensato di lasciare l’individuale e intraprendere il pattinaggio in coppia?» gli domandò la sua amica guardandolo come fosse stato il Dio del pattinaggio su ghiaccio.

A quel punto proprio non riuscì a trattenersi e le scoppiò a ridere in faccia, la sua risata coinvolgente fece sorridere tutti quelli che lo circondavano.
Perché Niall, in fondo, era una lacrima ben nascosta all’ombra di una risata radiosa. 

Gli allenamenti quel pomeriggio si erano rivelati più duri del solito, complice Sophia che gli aveva chiesto di diventare suo partner per qualche presa particolarmente complessa.

Sapeva di essere un pattinatore versatile ma Niall non avrebbe mai e poi mai abbandonato la sua carriera da individuale, anche perché l’idea di pattinare con una donna, ad essere onesto, non lo aveva mai neppure sfiorato. 

A meno di mezz’ora dalla fine degli allenamenti, Niall aveva ringraziato il cielo per non aver incrociato neppure una volta gli occhi scuri di Zayn. Nonostante si sentisse deluso - perché sapere di essere osservato da lui, per uno strano motivo lo spronava a dare il meglio – aveva capito che evitare ulteriori distrazioni avrebbe aiutato a farlo concentrare appieno su quello che stava facendo.     

Perché Zayn era una distrazione e questo non giovava alla sua carriera sportiva, specialmente in quel periodo in cui l’unica cosa che avrebbe dovuto affollare i suoi pensieri erano le gare che si sarebbero tenute di lì a un mese.  

Poi c’erano il coach e le sue pressioni, e quella bestia nera da combattere in silenzio e da solo che lo coglieva inaspettatamente, come il peggiore dei predatori.

Il panico che rendeva le sue notti più buie di quanto non lo fossero di già. 
L’ansia della vita, del futuro, la paura costante di sbagliare e mandare a rotoli tutto. Niall ci stava solo pensando, a quell’angoscia, e lo stomaco gli si era già ristretto, e l’aria era già mancata.

Slittò repentino verso la balaustra di ferro e strinse forte gli occhi sperando che il ferro tra le mani potesse dimostrargli di essere forte quanto lui, di poter essere capace di non lasciarsi inghiottire nel baratro oscuro della sua mente.
Ce la mise tutta per non lasciarsi sopraffare dal tremore, dalla voglia di spalancare la bocca e lasciar cadere via il dolore, i troppi pensieri, le troppe responsabilità.

Incrociò lo sguardo di Greg, il suo coach, e in quell’attimo pensò di non potercela proprio fare, di dover scappare via di lì il prima possibile. Nello sguardo autoritario di Greg, Niall ci lesse tutte le sue proibizioni. 

Se sino ad allora era stato solo il cibo ciò che doveva tenere sotto controllo con estrema precisione, ora si era aggiunto anche Zayn. 

Un’altra distrazione. Era solo una distrazione e lui non doveva averne di distrazioni.
Strinse forte i pugni, calciò via i pattini e corse via. 

Arrivato nei bagni riservati agli atleti permise al suo corpo di soccombere alle sensazioni brutte, al marcio che si portava dentro. 

Quella posizione che ormai negli ultimi tempi assumeva sempre più di frequente: il palmo contro la parete di fronte per far perno su di essa e tener su la testa, una mano sullo stomaco per placare il dolore all’addome, gli occhi serrati per non guardare ciò che le orecchie udivano. 

Le tempie che pulsavano, la gola che bruciava insistentemente e la sensazione di vuoto improvviso.
Niall detestava farlo ma la sua mente, in quegli attimi, era più forte di lui. 






 
§

“Sei un tale enigma.
Non è obbligatorio risolverlo, dici tu, stai solo con me.
Ok, sono con te.”









Erano trascorse due settimane.

Zayn iniziava a sentirsi irrimediabilmente stupido per quel suo pensiero ma non poteva fare a meno di sospettare di essere diventato come uno di quei poeti solitari che donavano la loro esistenza ad una figura eterea che probabilmente neppure esisteva. Un sentimento platonico e sconvolgente si affacciava nella sua testa e questa consapevolezza lo agitava nel profondo. 

Complice l’atteggiamento di Louis, il suo amico, che non perdeva occasione per ricordargli quanto strana fosse la sua “relazione alla Dante e Beatrice” con quel pattinatore irlandese.

A lui non era mai piaciuto forzare qualcuno per parlargli, non era da lui imporre la sua presenza ma c’era qualcosa, nel comportamento del pattinatore, che lo insospettiva.

Avevano scambiato qualche parola in quei giorni ma la voce spesso distaccata del pattinatore, cozzava con la luce che vedeva chiara e limpida nel fondo delle sue iridi. 
Era come se volesse passare del tempo con Zayn ma fosse frenato da qualcosa di più grande di lui.

Inutile dire che questa presa di coscienza aveva portato Zayn a studiare un modo per avvicinare Niall senza il rischio di incappare nel suo allenatore o in qualche suo compagno impiccione.

Niall era in pista con alcuni pattinatori dell’individuale maschile a provare una coreografia di gruppo per l’apertura dei giochi invernali. Naturalmente Zayn era rimasto a guardarlo nonostante l’ora di spacco, come faceva da sempre, da quando lo aveva notato muoversi sul ghiaccio dal primo giorno.

Si era avvicinato di soppiatto alla zona preparatoria dove gli atleti lasciavano la loro roba prima di affrontare gli allenamenti e nella tasca della felpa rossa, che il biondino si portava sempre dietro, Zayn aveva infilato un bigliettino con su scritto:


Alla fine degli allenamenti non andare via, devo parlarti di una cosa.
Z


E lui ci aveva sperato sino all’ultimo momento.

Quando più tardi la musica era sparita e con essa gli atleti che si erano allenati quel lungo pomeriggio, Zayn non aveva perso tempo e si era dato da fare per ripulire il ghiaccio dai graffi e dal passaggio delle lame il prima possibile.

Si era accorto, mestamente, che la felpa di Niall era sparita e anche la sua borsa, cosa che lo condusse dritto ad un’unica conclusione: Niall aveva deciso di ignorare il suo biglietto e se n’era andato.

Si costrinse a non dar troppo peso a quella piccola sconfitta e a voler guardare l’altra faccia delle medaglia; magari il pattinatore era solo stanco, magari aveva notato il biglietto solo dopo aver lasciato lo stadio ed essere giunto in albergo.

Magari la rassegnazione di Zayn era destinata a non durare ancora per molto perché…

«Ehilà, Zorro!» sentì urlare dal fondo della pista.

Si voltò di riflesso e il cuore implose silenziosamente trasformando la tristezza di Zayn in un ampio sorriso.

Lo vide di fianco a una parete, una spalla poggiata ad essa, le braccia incrociate sul petto così come i piedi ancora nascosti dai pattini neri. 

Gli stava sorridendo e Zayn pensò che i sorrisi di Niall fossero spettacolari perché non erano un semplice piegamento di labbra, ma un insieme di tante altre cose. Il colore dei suoi occhi che si intensificava, la chiostra di denti bianca e luminosa, le rughe d’espressione intorno agli occhi e il suo cuore che a tutte queste cose smetteva di battere.

«Perché Zorro?» domandò Zayn mostrandogli un sorriso mentre ruotava il volante della Zamboni per compiere l’ultimo giro di pista e farsi più vicino. 

«Ti sei firmato con una Z, e scusami tanto se l’associazione di idee mi è partita spontanea» disse ridacchiando nella manica della sua felpa.

Zayn esplose in un’enorme risata tenendosi la pancia perché ora che ci pensava, Niall aveva proprio ragione.

«Ma a quanto pare sono solo uno sfigato, altro che Zorro» si scimmiottò da solo con una smorfia.

«Già, a quanto pare…» asserì il biondino con un  tono ilare per stare al suo gioco.

Zayn parcheggiò la Zamboni nel solito box e si avviò oltre la balaustra, di fronte alla pista per guardarlo da vicino e potergli parlare senza dover alzare la voce.

Ma Niall non gli aveva neppure dato il tempo di mettere a posto la macchina che già era lì in mezzo a volteggiare.

«Ma ho appena finito!» protestò Zayn fintamente offeso mettendosi seduto sulla balaustra – in realtà non aspettava altro che vederlo esprimere se stesso senza le restrizioni del suo coach e soffocato dalla presenza di altri atleti in pista.

Niall non gli rispose nulla, si mosse per compiere una piroette alta e si limitò a lanciargli un’occhiata grata.

«Comunque credevo che te ne fossi andato…» confessò il moro facendo spallucce.

Il pattinatore si voltò di scatto a guardarlo con un’espressione offesa come per dirgli “non avresti neppure dovuto pensarlo” e, chinandosi in avanti in un elegante inchino, rispose: «E invece eccomi qui». 

Guardandolo quasi in estasi, Zayn pensò che pur non essendo un poeta – anche se la sua cotta platonica da poeta ormai era palese anche ai muri – sarebbe stato capace di scrivere un elogio alla sua bellezza.

Pensò che descriverlo in ogni più piccolo dettaglio sarebbe stato semplice ed appagante, quasi quanto toccarlo. Perché era da un po’ che in Zayn si era insinuata quella voglia di sfiorarlo, sentire la morbidezza della sua bocca sotto ai polpastrelli, accostare la punta del naso al suo collo per poterne percepire l’odore.

Solo pensare a tutte quelle cose gli procurava il capogiro, Zayn non osava immaginare come si sarebbe sentito se le avesse attuate tutte.

Il pattinatore prese una rincorsa in diagonale e quasi nel centro della pista si piegò in ginocchio per iniziare, in un modo spettacolare, a ruotare intorno a se stesso. Lo osservò con la bocca socchiusa, il fiato mozzato nel petto.

Niall girava come una trottola, il movimento era così veloce che Zayn a stento ne riconosceva i lineamenti del viso poiché questi si erano lasciati modellare dalla dinamicità del movimento. 

Quando il biondo si fu rialzato, restando fermo sul posto in perfetto equilibrio, lo guardò di rimando sbuffando una risata; Zayn penso che probabilmente era per colpa della sua faccia estatica. 

Non riuscì a trattenersi e «Ma come diavolo fate voi pattinatori a girare come trottole senza avere nessun capogiro?» gli domandò.

Niall parve rifletterci su e dopo essersi scompigliato i capelli con una mano scivolò sul ghiaccio sino a raggiungerlo. Gli posò i palmi caldi delle mani sopra le ginocchia e gli aprì piano le gambe per posizionarcisi nel mezzo.

«Vuoi che ti spiega il trucco?» sospirò alzando il capo per raggiungere i suoi occhi.

Zayn se non fosse stato per le mani del biondo sopra alle sue ginocchia a tenerlo saldo, probabilmente si sarebbe cappottato all’indietro. Avercelo così improvvisamente vicino, in una posizione tanto intima, lo imbarazzava ma al tempo stesso lo faceva stare bene.

«Sì» ammise, sinceramente curioso.

«Devi sapere che c’è una regola fondamentale che vale per tutti gli sport che implicano questo tipo di figura» iniziò serio, lo sguardo sul viso di Zayn per coglierne ogni espressione.    

«Prima di iniziare a girare devi isolarti dalla realtà, imporre ai tuoi occhi di non guardare, alla tua mente di non pensare così da non far sapere al corpo che si sta iniziando a girare su se stessi».

Zayn lo ascoltava senza batter ciglio, gli occhi che saettavano lenti dagli occhi blu alle labbra rosa e piene di Niall.

«Sì annulla il mondo per evitare che, dopo la trottola, questo finisca col vorticare intorno a noi» concluse con un leggero sorriso.

Dopo quella breve delucidazione Zayn si scoprì essere senza parole. A quel punto tutto gli fu terribilmente chiaro. Quando fuori dal centro commerciale Niall gli aveva detto che i suoi occhi avevano il potere di distrarlo, possibile stesse riferendosi al suo piccolo incidente del primo giorno? 

«Comunque, di cosa volevi parlarmi?» gli domandò subito dopo interrompendo bruscamente il suo flusso di pensieri.

Zayn si sentì stringere le ginocchia in una presa più forte prima che Niall si desse uno slancio all’indietro per allontanarsi da lui senza smettere di guardarlo.   

Si morse un labbro portando istintivamente le sue mani dove fino a poco prima c’erano state quelle del pattinatore e inspiegabilmente si ritrovò ad abbassare gli occhi perché reggere quelli di Niall non gli era mai sembrato tanto difficile.

«Questa domenica non ti alleni, giusto?» domandò con un barlume di speranza a rischiarare il suo volto leggermente intimidito. Domanda retorica poiché conosceva gli orari degli allenamenti manco fosse lui stesso un atleta.

Il pattinatore sollevò un sopracciglio incuriosito da tutto quell’interesse da parte del moro e «No, domenica no. Ci riposiamo dopo una settimana intensiva di allenamenti» rispose.

Zayn esultò internamente e ballò persino la conga in stile cheerleader impazzita ma esternamente si limitò a mostrare un sorriso obliquo. 

Niall trasalì appena nonostante l’adrenalina a scorrergli nelle vene insieme alla curiosità; per dimostrarsi non troppo coinvolto dalla curiosità di Zayn riprese a volteggiare, scivolare e saltare lungo tutta la pista, sotto gli occhi attenti dell’altro. 

«Perché me lo chiedi?» si sentì dire azzardando uno sguardo più intenso degli altri in direzione del moro.
Niall si lasciò catturare dalle linee del volto di Zayn e ne fu talmente calamitato che si ritrovò, nuovamente, a scivolare verso di lui. 

Ora che gli era di nuovo vicinissimo, nella stessa identica posizione di prima, notava quel filo rude di barba che lo rendeva così maschio, così uomo. Il biondino si sentì sospirare mestamente scacciando dalla testa l’immagine delle sue labbra a percorrere piano la mascella incolta di Zayn. 

«Perché… Domenica vieni con me!» disse proprio questi esplodendo di entusiasmo, una mano subito pronta a scattare tra i suoi capelli “finto biondo”, come diceva lui, per scompigliarglieli tutti.

Si lasciò sconquassare la chioma per una manciata di secondi prima di  «Non se ne parla proprio!» rispondere di getto, scuotendo energicamente il capo in segno di diniego costringendo l’altro ad allontanare la propria mano. 

Zayn si rabbuiò come un cielo colto d’improvviso da una tempesta in piena estate e «Perché mai?» gli domandò serio.

«Ma tu non hai il turno al centro commerciale?» rispose Niall con un’altra domanda, alzando in modo scettico un sopracciglio.

Zayn sbuffò impaziente e «La domenica è il mio giorno libero! Ho solo il turno in pizzeria, ma in tarda serata. Quindi, a quanto ho capito, siamo entrambi liberi per quel giorno» provò a buttarsi di nuovo cercando di strappargli via un sì.

«Sei un uomo indaffarato, quanti cavolo di lavori hai?» 

Zayn rise sguaiato perché il pattinatore era davvero un portento a sviare l’attenzione da lui su argomenti futili come lo erano in quel momento gli impieghi lavorativi di Zayn.

Quest’ultimo gli prese la testa tra le mani, i palmi ampi a coprire le guance appena chiazzate di rosso del biondo e si avvicinò per rispondergli con serietà.

«Sì, diciamo che non mi gratto la pancia, ma…» fece una pausa; il modo in cui Niall stava guardandolo non aiutava per niente la sua concentrazione, per niente. Zayn deglutì e «Quindi? Domenica partirai all’avventura con Zorro?»  

L’altro soffiò il suo sospiro dritto sulle labbra di Zayn e lui non seppe se l’avesse fatto di proposito per destabilizzare maggiormente la sua attenzione, o se fosse solo un sospiro di disperazione. 

«Non posso, Zayn. Le giornate di riposo per noi atleti sono sacre in questo periodo» comunicò il ragazzo stringendosi nelle spalle. 

Non era una bugia, ma neppure una verità. Gli atleti potevano utilizzare le loro pause come volevano ma era consigliabile stare a riposo. Se fosse stato per lui, però, avrebbe già accettato di buon grado la proposta di Zayn ma sapeva di dover dare conto a Greg.

Di nuovo quella sensazione di angoscia lo travolse facendogli tremare le mani poggiate sulle cosce di Zayn. Il moro parve accorgersene perché indirizzò subito le iridi scure sui suoi dorsi bianchi e caldi scossi come piccole foglie tremule.

«C’è qualcosa che non va, Niall?» si premurò a chiedere alzandogli il mento con l’indice per guardarlo in viso.

Niall aveva iniziato a tremare, seppure impercettibilmente, sentendo la paura montare in lui pronta a soggiogare il suo stomaco come succedeva ogni volta che il panico sopraggiungeva.

«Sto bene» si sforzò di rassicurarlo, la voce ferma nonostante il velo liquido a coprirgli le iridi oltremare, a rendere il suo sguardo lontano come il fantasma del sole all’orizzonte durante un tramonto rosso sangue.

Fu proprio quello a non convincere Zayn che non aveva smesso di indagare a fondo nel suo sguardo.

E Niall dal canto suo iniziava a sentire la mancanza delle sue dita impertinenti tra le ciocche folte e chiare sopra la sua testa. 

No, quel biondino gli nascondeva qualcosa ma Zayn sapeva che non gli era dato sapere, specialmente se l’altro non dava segno di volergliene parlare. D’altronde che diritto aveva lui per indagare sulla sua vita nonostante morisse dalla voglia di farlo?

Zayn portò le sue mani a coprire quelle di Niall. Le avvolse come una coperta calda, le carezzo in silenzio, con i polpastrelli, per poi stringerne delicatamente ma con decisione i polsi. Zayn aveva le mani caldissime a differenza dell’altro ragazzo così, ingenuamente, ne riscaldò i polsi trasmettendogli forza con gli occhi. 

Niall socchiuse gli occhi concentrandosi sul suo respiro, inspirando ed espirando piano e godendo del calore che Zayn stava trasmettendogli con quel contatto di pelli; sapeva che per calmare il tremore che anticipava ogni attacco bisognava tenere i polsi sotto il getto d’acqua tiepida, e in quel momento le mani di Zayn si rivelarono essere una valida alternativa.   

«Come va ora?» gli domandò Zayn che non aveva mai smesso di controllare ogni sua espressione del volto.

Niall inspirò profondamente e «Meglio, ma non ho cambiato idea» gli annunciò cercando di smorzare la serietà del tono con un sorriso incerto.

A quel punto Zayn sentiva di dover andare fino in fondo e scoprire il perché di tanta risolutezza da parte del pattinatore. 

Quindi corrugò la fronte e «Ti sono antipatico?» domandò serio aspettandosi in risposta, a quel punto, qualsiasi cosa.

«Certo che no, idiota» ridacchiò l’altro scuotendo la testa.

«Allora non ti piaccio nemmeno un po’?» insistette continuando a tenerlo ben saldo per i polsi.

Vide il biondino spalancare appena gli occhi, sfuggire al suo sguardo per pochi secondi come se si sentisse improvvisamente impacciato, per poi ritornare a guardarlo più determinato di prima e dirgli con sfrontatezza: «Se non mi piacessi non sarei qui, Zorro».

Zayn rise di pancia dando il benvenuto nel suo stomaco allo svolazzare eccitato di milioni di farfalle colorate, non solo per quella conferma da parte di Niall ma per il nomignolo che gli aveva, di nuovo, affibbiato. Tornò serio e «Allora perché non vuoi passare un po’ di tempo con me, sarà divertente!»

Niall abbassò il capo tristemente e lui non avrebbe mai osato pensare che un giorno il colore blu potesse mancargli come in quel momento. Avrebbe firmato un patto col Diavolo pur di sapere cosa passava per la testa a quel biondino mentre si ostinava a evitarlo in tutti i modi con lo sguardo.

«Zayn…» sussurrò flebilmente facendolo trasalire.

«Dimmi, Niall» lo esortò.

«Zayn, ho uno schema da rispettare, un coach che mi tutela, le gare da affrontare a breve e poi subito dopo me ne andrò da qui e io non lo so…»

A quel punto toccò a Zayn di tremare. Un tremore che però non aveva niente a che vedere col corpo, un terremoto emotivo che lo colse alla sprovvista. Era come se ci avesse pensato solo allora, come se si fosse affacciato sulla realtà dopo un lungo viaggio onirico. 

Niall lo aveva appena riportato con i piedi per terra e lui si sentiva inghiottire dal terreno arido del mondo reale, avrebbe voluto ritornare a non pensare e a viversi ogni attimo senza intoppi.

«Possiamo non pensarci adesso, che ne dici?» disse accorato, con tanto sentimento da trasformare quella domanda in una supplica.

Il pattinatore gli dedicò un sorriso che lui sentì sincero nonostante la tristezza malcelata dalle sue iridi.  

Cosa avrebbe potuto inventarsi a quel punto Zayn per sciogliere l’animo così testardo e concreto di quel ragazzo che, minuto dopo minuto, si rivelava essere una di quelle pagine di enigmistica impossibile da risolvere e sulle quali Zayn avrebbe voluto passarci notti intere?

Quale escamotage sarebbe stato in grado di alleggerirlo in parte dal peso cruento dell’inevitabile realtà?

Si morse una guancia con tanta veemenza che rischiò addirittura di bucarsela, la mano a carezzare distrattamente – come faceva tutte le volte che rifletteva – la barba corta e scura senza sapere di stare riaccendendo nel pattinatore una miriade di piccole fantasie. 

Poi in un lampo Zayn si illuminò d’immenso.

«Facciamo una scommessa» sogghignò divertito, mentre Niall incrociava le braccia al petto e si scostava da lui per guardarlo meglio. 

Tutt’a un tratto l’idea di proporre quella scommessa, però, non gli sembrava più tanto brillante, ma tanto valeva rischiare che vivere con un rimpianto in più sulla coscienza.

«Del tipo?» domandò il pattinatore, la testa piegata di lato come un gattino curioso lasciando che le gote gli diventassero di un tenue colore rosato.

Zayn strinse impercettibilmente le dita intorno alla balaustra di ferro cercando, inconsciamente, qualcosa a cui aggrapparsi in caso quel tentativo si fosse rivelato vano e pensò bene a come esporre la sua idea.

L’altro lo fissava attento, quasi pendendo dalle sue labbra, senza batter ciglio.

«Se imparo in mezz’ora a compiere una piroetta alta, questa domenica esci con me» annunciò sicuro di sé, dissimulando il più possibile con un sorriso baldanzoso il terrore di un eventuale fallimento che si faceva largo nella sua testa.

«E se invece non ci riesci?» s’informò a quel punto Niall, improvvisamente interessato e divertito da quella scommessa ma anche terrorizzato dalla risposta del moro. 

Fece addirittura schioccare la lama di un pattino sul ghiaccio, come per incitarlo a parlare in fretta, ringraziandolo per essere riuscito, inconsapevolmente, ad allontanare il panico che era quasi riuscito a sopraffarlo.

Zayn deglutì, senza distogliere lo sguardo e mostrarsi, di conseguenza, debole ai suoi occhi e «Se non ci riesco mi tocca accettare la sconfitta» gli disse schiettamente imprecando tra sé pensando già al suo imminente fallimento.








 
§

“Un’anima estranea che svolazza libera dentro la mia.”








«Niall lo sai che non mi piace fare il guastafeste ma non posso fare a meno di ricordartelo».

Liam se ne stava sul suo letto, quello attaccato al muro vicino alla porta della camera che condividevano.
 
Niall invece era seduto sull’ampio davanzale dell’unica finestra con una gamba flessa al petto e l’altra penzoloni, la punta del piede scalzo a giocherellare distrattamente con la moquette verde scuro.

«Non ti piace esserlo ma a quanto pare ti riesce spontaneo» lo canzonò.

Sentì l’amico alle sue spalle sbuffare. 

Da quando era rientrato dagli allenamenti, Liam non aveva fatto altro che fargli mille domande sul ragazzo della Zamboni e gli aveva persino detto una cosa tipo “Ho visto come vi guardate, non sono stupido” che aveva fatto sgranare gli occhi a Niall. 

Lui, preso in contropiede, lo aveva accusato di stalking e sebbene ci avessero riso su Niall lo pensava sul serio; d’accordo che l’amico da anni era come un fratello maggiore che aveva sviluppato verso di lui un istinto protettivo, ma spiarlo addirittura… forse era un po’ troppo.  

«Sai che se te lo dico è solo perché ti voglio bene e sei mio amico, noi siamo solo di passaggio quando ci sono di mezzo le gare, non ci conviene prenderci sbandate per degli estranei del posto…»

La schiena di Niall si intirizzì come quella di un gatto.

«Zayn non è un estraneo, forse lo è per te» replicò seccamente rivolgendo a Liam uno sguardo affilato che sicuramente fece raggelare il sangue nelle vene al ragazzo castano.

No, Zayn non era un estraneo. Aveva avuto modo di conoscerlo, sebbene non sapesse molto della sua vita privata, forse niente, ma a Niall bastava sapere che i suoi occhi scuri erano in grado di distrarlo, sempre.

Distrarlo dall’angoscia, distrarlo dalle sensazioni brutte e dal panico. Soprattutto da quello.
Negli occhi di Zayn aveva trovato un antidoto efficace ai suoi attacchi, come sino ad allora lo era stato il ricordo di sua nonna.

«Non volevo dire questo, lo sai…» provò a giustificarsi Liam mettendosi seduto.

Niall si voltò a guardare la strada di sotto.

L’hotel in cui alloggiavano era ben posizionato, offriva loro una visuale a trecentosessanta gradi da mozzare il fiato. La finestra della loro camera dava su un cielo scuro sfavorito dalle luci di Vancouver che mettevano in ombra le stelle che quella sera sembravano essersi estinte. 

Nella strada le vetture scorrevano con un ritmo lento, tanto era fitto il traffico, e il rumore dei clacson e il suono del violino di un musicista di strada si fondevano creando, stupendo ogni aspettativa, un accordo quasi piacevole come se il classico si fondesse al moderno dando origine a un’opera d’arte di dubbio gusto.

«Quindi domenica ci andrai?» provò, con cautela, a chiedergli Liam schiarendosi la voce con un colpo di tosse.

«Una scommessa è una scommessa, lui l’ha vinta e io l’ho persa» rispose tranquillamente facendo spallucce. Il sorriso divertito che nacque dalle sue labbra a quel ricordo lo tenne nascosto agli occhi dell’amico facendolo riflettere nel vetro sul quale aveva poggiata la fronte.

Di Zayn, ad esempio, quel pomeriggio aveva avuto modo di capire che se si prefissava qualcosa, la otteneva. Come aveva fatto poco prima, riuscendo a piroettare su se stesso, anche se con qualche incertezza. Era stato divertente vederlo tutto impacciato sopra ai suoi pattini – quelli di riserva – e scoprire di avere persino la stessa misura di piede! 

Ce l’aveva messa tutta per vincere quella scommessa e ci era riuscito e, sorprendentemente, della vittoria del moro ne aveva esultato anche Niall, da perdente.

Era stato bello toccarlo con la scusa di impostargli la postura delle spalle, così come lo era stato premere i polpastrelli sulle braccia per mostrargli i movimenti base da eseguire per la riuscita dell’esercizio. 

Ancora più bello era stato prenderlo al volo, tra le braccia, quando il moro aveva perso l’equilibrio e si era ritrovato ad una spanna dal suo viso.

Sentire il respiro spezzato di Zayn sulle labbra e tuffarsi nel mare caliginoso dei suoi occhi era stato sublime. 

Il solo ricordo gli faceva trotterellare il cuore.

«Ti farà bene, Niall» se ne uscì l’amico all’improvviso riscuotendolo dal torpore dei ricordi.

Niall corrugò la fronte dopo essersi voltato a guardarlo.
 
«Uscire con quel ragazzo, ti farà bene, ma quando tutto sarà finito e dovremmo partire?» chiarì Liam, incenerendo così la gioia che come un pugno di coriandoli colorati gli si era librato nello stomaco.

Ma in fin dei conti quei due erano amici proprio per quella ragione. 

A Niall piaceva la verità, preferiva quella a delle zuccherose bugie e Liam era il solo in grado di schiaffeggiargliela in faccia, la realtà, in modo da ridestarlo dalle fantasie che spesso lo avevano condotto a soffrire il più del dovuto. 

Liam aveva ragione, lo conosceva meglio di chiunque altro. Zayn sarebbe stato la sua cura a quel male di vivere che da un anno aveva reso quasi impossibile la sua esistenza.

Ma entrambi sapevano che, quando avrebbe dovuto allontanarsi da Vancouver e lasciarsi tutto alle spalle, le paure sarebbero ritornate e forse anche più forti di prima.

Però Niall non voleva pensarci, perché farlo quando c’erano ancora le gare da svolgere e tanti altri giorni da passare lì in compagnia di quel ragazzo?  

Inevitabilmente, però, dopo essere stato messo dinnanzi alla realtà dall’amico, Niall si sentì schiacciare il cuore da un peso ineluttabile.

    















 
§

“Io mi rivelo solo al secondo sguardo, o al terzo, 
mai a quello che effettivamente mi osserva.
 […]
E sto solo cercando di capire come mai la tua felicità
mi appaia ancora tanto triste.”











 

La superficie scura e lucente del mare si increspava al passaggio del seabus sul quale stavano viaggiando.

L’idea era stata di Zayn, naturalmente, perché per raggiungere il Lynn Park situato sulla sponda di Vancouver Nord bisognava spostarsi per forza via mare. C’erano un bel po’ di turisti con loro e per questo, Zayn, per ritagliarsi un po’ di privacy col pattinatore, aveva scelto di prendere i due posti in fondo, laddove si poteva scrutare la costa sud della città allontanarsi e farsi sempre più piccola. 

Fortunatamente, nonostante il clima non fosse dei più miti, essendo ormai quasi febbraio, quella domenica pomeriggio si prospettava all’insegna del sole. Il cielo era ceruleo e sfumato di tanto in tanto dal candore di alcune nuvole di passaggio che si divertivano a rendere il sole più algido di quanto già non fosse. Tutto sommato si stava bene, e il venticello pungente che ogni tanto carezzava i loro visi sembrava far felice Niall.

Proprio quest’ultimo scrutava l’increspatura dell’acqua tenendo gli occhi bassi, standosene affacciato al parapetto con un piede poggiato su una balaustra bassa. Zayn gli era di fianco, spalla contro spalla, e con gli occhi nascosti dai Ray-Ban neri si divertiva a guardarlo di sottecchi.

Quel giorno Niall lo aveva lasciato senza fiato, a Zayn sembrava, se possibile, più bello del solito. Aveva attribuito quella sua sensazione al fatto che, per la prima volta, lo vedeva in jeans chiari e scarponcini anziché in tuta e con la solita tenuta sportiva che sfoggiava ogni giorno per gli allenamenti.

A dire il vero, ora che ci pensava, Zayn un po’ rimpiangeva il tessuto aderente che di solito gli fasciava le cosce e i glutei mettendo in mostra il suo fisico atletico forgiato dagli anni di sport.

Ma tutto sommato Niall sarebbe potuto anche venire in pigiama a quell’appuntamento che Zayn avrebbe comunque ringraziato il cielo per essere riuscito a convincerlo ad uscire con lui.

Anche lui aveva su gli occhiali da sole per proteggersi dagli improvvisi sprazzi di luce, il profilo di solito tondeggiante, ora era spigoloso e concentrato. Chissà a cosa stava pensando, si chiedeva Zayn che più lo osservava e più si convinceva di essere ormai cotto a puntino.   

«La smetti di fissarmi?» domandò Niall spezzando le riflessioni di Zayn.

Il moro sussultò colto in flagrante e fu solo grazie al sorriso che scorse sul viso di Niall che riuscì a non cedere ulteriormente all’imbarazzo creatosi per la schiettezza del biondo.

«Se ti dà fastidio la smetto…» provò a giustificarsi ricambiando con un’occhiata smaliziata che fece imporporare le guance del biondino. 

Niall allargò il sorriso e «No che non mi dà fastidio. Ti prendevo per il culo, Zayn» ridacchiò nascondendo la bocca nella manica del giubbino. 

La risata di Niall, pensò Zayn tra le tante cose, doveva essere considerata patrimonio mondiale tanto era bella e capace di smuovere le masse. 

«Idiota» lo apostrofò il moro scuotendo il capo, improvvisamente felice per l’atmosfera complice venutasi a creare tra di loro.

Dopo essersi staccato dal parapetto, Niall si voltò a guardare Zayn e, in un passo, gli fu vicino quanto bastava per annullare quel vuoto inutile che li divideva. 

Si alzò gli occhiali che smorzavano il colore dei suoi occhi che faceva da eco visiva a quello del mare e se li infilò tra i capelli a mo’ di frontino.

Zayn a quel punto si sentì disorientato, preso alla sprovvista, e per via dello sguardo sibillino dell’altro ringraziò le sue lenti scure che lo facevano sentire meno esposto. Era come se si sentisse vulnerabile, come succedeva tutte le volte che il pattinatore lo scrutava in quel modo. 

Quando Niall lo osservava non lo faceva mai per caso, questo Zayn ormai lo aveva imparato. Ogni volta che permetteva ai suoi occhi profondi di sondare in ogni parte il volto di Zayn, era perché Niall sentiva il bisogno di accertarsi della sua esistenza, era come se ricercasse la conferma di essergli realmente accanto, attraverso gli occhi.  

Allungò una mano verso il volto di Zayn e senza pensarci troppo gli levò via le lenti che, immediatamente, mostrarono i suoi occhi marroni come il cioccolato fondente.

«Ci si sfida ad armi pari» constatò il biondo, ammiccandolo.  

Niall aveva capito di voler guardare sempre quegli occhi perché, nonostante lo spaventasse ammetterlo, sentiva di averne bisogno tutte le volte che voleva distrarsi dai soliti pensieri, dalle sue ansie meschine che minacciavano di distruggere ogni piccola pagliuzza dorata di serenità che rifulgeva nelle tenebre della sua mente.

Zayn trattenne il fiato mentre il pattinatore richiudeva le stanghette dei suoi Ray-Ban e non accennava a porgerli, forse per paura che potesse nascondere di nuovo il suo sguardo dietro di essi.

«I tuoi occhi sono più forti, però, così non vale» cercò di protestare coprendosi il volto con le mani.

«Non fare il coglione e guardami» lo rimbeccò Niall ridendo prima di schiaffeggiargli i dorsi per far sì che scoprisse di nuovo il suo sguardo.

«Lo penso davvero. I tuoi occhi destabilizzano ma non credo si tratti del colore, quello, sotto un punto di vista, potrebbe persino apparire banale. Insomma gli occhi blu non sono poi così tanto speciali…»

«Oh, grazie allora» l’altro si finse offeso, e schiacciandogli un palmo contro il petto gli diede una piccola spinta all’indietro.

«Lasciami finire», ridacchiò Zayn, «intendevo dire che i tuoi occhi destabilizzano perché sanno come contenere le emozioni».

Restarono in silenzio ad osservarsi senza provare alcun imbarazzo in quel modo genuino che avevano gli occhi di esplorare il corpo dell’altro. 

Miriadi di domande presero ad affacciarsi nella mente di Zayn, una valanga di dubbi che avrebbe tanto voluto far dissipare al ragazzo che aveva di fronte e che nel giro di poche settimane si era guadagnato tutta la sua attenzione.  

La voce dell’accompagnatore turistico d’un tratto riscosse i due ragazzi che non avevano smesso mai di guardarsi. 

Niall sussultò addirittura mentre la guida iniziava a spiegare ai turisti la storia del tratto che stavano attraversando, sfoggiando saccentemente la sua conoscenza del posto e facendo roteare gli occhi al cielo a Zayn; la faccia buffa del moro procurò un attacco ilare a Niall che rise di gusto a bocca spalancata e ad occhi chiusi.

Zayn capì in quel momento, lasciandosi contagiare  dalle risa dell’altro, che Niall nei suoi sorrisi celava qualcosa che a lui era ancora sconosciuto. 

Un drappo blu lucente che smorzava ogni volta i colori vivaci della sua gioia. 

Sfumate le risa ritornò il silenzio riconciliante nel quale poco prima entrambi si erano crogiolati, scrutandosi a vicenda come animaletti curiosi. La voce saccente tornò solo per informare velocemente ai passeggeri che di lì a poco sarebbero giunti a destinazione. 

D’improvviso Zayn sentì il bisogno impellente di accostare le sue labbra a quelle di Niall, un desiderio travolgente e improvviso che destabilizzò ogni suo apparente equilibrio. 

Complici furono le occhiate ancestrali del pattinatore che si muovevano veloci sul suo viso, prima carezzandone gli occhi per poi passare alla bocca che Zayn non riusciva più a tranquillizzare.    

Non seppe quando e come si ritrovò a pochi centimetri dal volto di Niall, la punta del naso a sfiorare quella del biondo che, non aiutando di certo il suo autocontrollo, aveva posato una mano sul suo fianco come a volergli intimare di non tirarsi indietro.

Il seabus passò sotto al ponte che collegava la parte verde del Lynn Park alla zona grigia ciclabile, e in quell’istante una lunga ombra si riversò su entrambi come un velo notturno pronto a celare ogni loro segreto.

Niall non si mosse, lasciò che il cuore si agitasse dentro di lui mentre Zayn inclinava di poco il capo per accostarsi piano, mentre l’ombra del ponte continuava ad avvolgere e proteggere entrambi dagli occhi invadenti. 

La tachicardia non era una sensazione nuova a Niall che ormai ci conviveva da più di un anno, specie di notte durante gli attacchi di panico più irruenti; quella volta, però, c’era qualcosa di nuovo in quel batticuore sfrenato, qualcosa di follemente sano e giusto nel sentirsi lo stomaco sottosopra. 

Percepì il calore del fiato di Zayn che si insinuava piano tra le labbra che lui aveva già schiuso per riflesso, lasciando gli occhi aperti per non perdere mai di vista l’avvicinarsi del ragazzo moro, sin quando…   

L’ombra che li aveva cullati come due feti in grembo volò via, non appena la piccola imbarcazione ebbe superato il ponte, e con essa anche quel desiderio recondito. 

Zayn si allontanò come se si fosse appena svegliato da un sogno ad occhi aperti e la mano che era quasi giunta a posarsi su una guancia arrossata di Niall si strinse con forza intorno alla spallina dello zaino che portava in spalla.

Si trattava di un bacio mancato o di un bacio che era stato solo rimandato?

Niall si voltò verso il mare con un sorriso stretto tra i denti immaginando a come sarebbe stato estinguere, per la prima volta, la sua tachicardia con un bacio.

La sua malinconia, per pochi attimi, si trasformò in autentica gioia.







 
§

“Lascia il tuo liuto, o poeta, e baciami.”









Non aveva alcuna idea di dove lo stesse portando Zayn.

Niall quel giorno aveva solamente deciso di lasciarsi andare e di accettare, finalmente, ciò che di buono aveva deciso di offrirgli il destino. In fin dei conti, quella domenica mattina mentre ancora decideva cosa fare, se accettare o meno la proposta di seguire Zayn alla cieca, aveva maturato una convinzione.

Se era lì a Vancouver era perché voleva vincere, non importava quale medaglia avrebbe portato a casa, a lui sarebbe bastato salirci su quel podio, oro, bronzo o argento non faceva alcuna differenza. Da quando aveva conosciuto Zayn, però, aveva capito che un premio la sua vita sembrava già averlo ricevuto e a lui non restava altro che accettarlo. 

Non lo conosceva da tanto tempo eppure a Niall era bastato incrociare una volta sola lo sguardo di Zayn per capire tante di quelle cose, di lui, che probabilmente non sarebbe riuscito a cogliere neppure nel corso di anni se si fosse trattato di un’altra persona. Era stato tutto così spontaneo e genuino tra di loro che per un breve tempo si era chiesto se quelle teorie sul colpo di fulmine fossero realmente fondate o meno.    

Stavano camminando da mezz’ora circa attraverso il parco verde che pullulava di bambini, coppiette appartate all’ombra dei grandi alberi, turisti, e anziani in cerca di un po’ d’aria salubre da respirare, ridacchiando per qualche battuta o semplicemente godendosi il silenzio che tra di loro non era mai imbarazzante.

Ogni tanto gli lanciava delle occhiate di sbieco per osservarlo di nascosto, e Zayn era davvero bello, pensava Niall camminandogli accanto e scrutandolo con la coda dell’occhio. Stretto nel suo cappottino verde scuro che faceva risaltare il suo incarnato, Zayn era bello e particolare, di una bellezza per niente banale e scontata. Lo era per i colori caldi che caratterizzavano il suo spetto, dai capelli neri alla carnagione, agli occhi ardenti. Era bello per il suo portamento, la sua andatura a volte sciatta che lo faceva sorridere sotto ai baffi, e poi quel labbro inferiore perennemente all’infuori che lo faceva sembrare un bambino imbronciato che era stato costretto dalla vita a crescere troppo in fretta.

Niall era felice perché, oltre ad essere lì con quel ragazzo, quel pomeriggio di inizio febbraio sembrava quasi primaverile, con il sole a illuminare le distese verdi e gli uccelli a cinguettare tra i rami degli alberi. 
Il tempo lì era davvero imprevedibile, e quel detto che Zayn gli aveva detto “A Vancouver quando esci di casa al mattino ti porti l’ombrello e gli occhiali da sole” era quanto più di vero Niall avesse mai sentito in vita sua.

Per un istante si sentì a casa, tra i colli color prato e i campi lussureggianti smossi dal vento che risvegliava in lui solo i ricordi più belli.     

«Non mi hai neppure chiesto dove ho intenzione di portarti» si lamentò il ragazzo moro al suo fianco con una smorfia di disappunto. 

Niall si voltò nella sua direzione scuotendosi i capelli con una mano e, con la fronte appena corrucciata «Non te l’ho chiesto perché mi piacciono le sorprese» gli rispose facendo spallucce.

«E non sei curioso, neanche un po’?» insistette il moro dandogli una leggera spallata che lo fece barcollare su un fianco.

«Ehi!» protestò lui ricambiando energicamente quel colpo mettendoci troppa forza tanto che Zayn portò una mano a massaggiarsi la parte lesa. Ma la risata roca che si liberò dalla sua bocca carnosa fece capire a Niall di non avere affatto esagerato. 

Ridacchiò anche lui mentre si allontanava da Zayn solo per scansare un gruppo di bambini trotterellanti e urlanti. 

«Certo che sono curioso, Zayn, un casino. Ma la curiosità rovina le sorprese e…»

«…A te piacciono le sorprese, ora lo so» disse il moro in modo saccente continuando la frase per lui, lasciandogli mordere la lingua che subito guizzò fuori per mostrargli una linguaccia ridicola.

Così, mentre Zayn ricambiava alzando le sopracciglia come per dire “io so sempre tutto” lui azzardò e «A dire il vero una cosa che mi preme chiederti da quando ci siamo incontrati oggi ci sarebbe…» soffiò sornione fermandosi in mezzo al viale che stavano percorrendo.

«E allora cosa aspetti, chiedimelo!» lo spronò Zayn continuando a camminare piano per non lasciarselo troppo indietro.

Lui sospirò perché era vero, Niall adorava l’imprevedibile e detestava la sua curiosità perché spesso, come in quel caso, lo costringeva a guastarsi sempre la sorpresa, ma in quel momento proprio non riusciva a trattenersi e così glielo domandò: «Cosa diavolo hai in quello zaino che ti sei portato dietro?»

A quel punto vide Zayn bloccarsi e le sue spalle alzarsi e abbassarsi in un movimento inequivocabile: stava ridacchiando silenziosamente.

Senza conoscerne il motivo si ritrovò a imitarlo, contagiato forse dall’aria frizzante che caratterizzava quel posto, sentendo crescere esponenzialmente dentro di lui la curiosità per quella risposta mancata.

Poi, senza pensarci su due volte, in una corsetta gli fu addosso ed essendo Niall un ragazzo estremamente fisico e istintivo lo abbracciò da dietro facendogli cadere in terra lo zaino ancorato solo ad una spalla. Sentì la schiena del moro incurvarsi in avanti sotto al suo peso, e le mani che aveva intrecciato sul suo petto furono subito raggiunte da quelle di Zayn che le strinse forte e le coprì come fossero state un tesoro prezioso da nascondere e proteggere. 

Niall, con il petto schiacciato sulla schiena di Zayn, lo sentì respirare piano. 
Il batticuore ritornò di nuovo, prepotente, ma il ritmo cadenzato dei respiri di Zayn riuscì a calmarlo mentre se ne stava con il naso affondato tra i suoi capelli corvini ad annusarne l’odore. 

«Allora, mi rispondi?» gli sussurrò all’orecchio, le braccia ancora ben ancorate intorno a lui per stringerlo forte.

Nonostante le risa dei bambini e il cicaleggio delle persone a Niall sembrava di essere solo, insieme a Zayn, come se non ci fosse nessun altro.

Zayn si raddrizzò, per quanto Niall glielo permettesse, e ruotando lentamente il capo per incrociare il suo sguardo, senza tergiversare oltre e con un’unica chiara intenzione nel cuore, fece scontrare le sue labbra a quelle piene e morbide del ragazzo. 

La sensazione di completezza che lo travolse subito dopo aver toccato con la propria bocca quella di Niall, fu la più travolgente che Zayn avesse mai provato sino ad allora. Inizialmente fu un contatto innocente, come una prova per tastare, oltre alle labbra di Niall, anche la sua volontà. Il fatto che anziché tirarsi indietro il biondino avesse acconsentito a quel bacio, fece esplodere Zayn che, catturato in un turbinio di emozioni, portò una mano sulla guancia arrossata dell’altro per sfiorarla e contenerla. 

Quando Niall schiuse le sue labbra lo fece con la chiara intenzione di afferrare il broncio naturale di Zayn e succhiarlo, chiuderlo tra i denti e morderlo piano. Zayn trasalì e completamente dimentico di dove entrambi si trovassero, si piegò in avanti e fece scivolare una mano lungo la schiena di Niall, sino alle fossette di Venere nascoste dal tessuto della giacca. Niall in risposta si arcuò in un arco voluttuoso per assecondare le linee del suo corpo, tastando con ossessione le spalle, la schiena e le braccia di Zayn con le mani tremolanti.

In quell’istante quei due erano talmente belli insieme, oggettivamente, con il contrasto armonico delle loro pelli chiare e scure, e dei loro capelli, da riuscire a smuovere l’animo sensibile di qualsiasi persona, persino di un artista e probabilmente dello stesso Hayez decantato per il suo famoso bacio.   

E fu straordinario vedere le braccia di Niall legarsi al collo di Zayn che, desideroso più che mai, aveva appena deciso di rubare il sapore dalla sua bocca abbracciando lascivamente con la lingua quella del pattinatore, che non sembrava desiderare altro.    

Niall si lasciò baciare, e baciò, come se non avesse un domani a cui raccontare della sua gioia. Baciò Zayn senza fiato, con il cuore pronto a collassare purché l’altro ragazzo gli restasse incollato addosso, petto contro petto, pronto a prendersi ogni responsabilità del suo decesso emotivo. Perché, pensò Niall lasciando che la sua lingua giocasse a rincorrere quella di Zayn, era una legge non scritta la sua: chi voleva stargli vicino doveva assumersi la responsabilità della sua anima.[2]  

Se fossero esplosi insieme, come due stelle in una galassia buia e cieca, avrebbero riempito ogni spazio fisico e temporale con ogni sorta di colore, perché le loro emozioni a collidere insieme avevano la forza di due arcobaleni, senza origine né fine, pronti a sconfiggere ogni tempesta. 

Gli occhi di Zayn, due finestre che avevano sempre e solo dato su un deserto arido, si aprirono finalmente su di un mare blu sconvolto da onde irruenti di cui lui stesso ne era il fautore.

Si staccarono ad occhi chiusi per poi riaprirli piano, con cautela, come per non lasciarsi sfuggire quell’attimo dalla memoria. 

«Ora mi dici cosa hai in quello zaino?» sussurrò Niall a corto di fiato, ancora stravolto dal bacio e con un’espressione indecifrabile sul volto a renderlo ancor più bello.

Zayn finse di pensarci su e con gli occhi assottigliati e ambrati di felicità «Se te lo dicessi che sorpresa sarebbe?» soffiò sulle labbra dalle quali si era appena staccato a malincuore.

Niall si sentì strappare via l’aria dai polmoni, colpa di quell’assurda vicinanza di labbra, nasi e intenzioni.

«Sei un idiota!» disse prima di scoppiare a ridere e assestare piccoli pugni sul petto di Zayn che, come se niente fosse, ancora lo teneva stretto a sé in quella splendida posizione.

Lo liberò dalle sue braccia percependo subito, tra di esse, un vuoto e un freddo che non avrebbero dovuto avere modo di esistere, non dopo quel bacio che aveva sognato più di qualsiasi altra cosa. 

Ma tutto sommato «Lo so» sorrise per poi abbassare gli occhi sulle punte delle Converse sdrucite che indossava, «quando saremo dall’altra parte», gli indicò un punto del parco col dito, «lo scoprirai!» 

Guardando Niall annuire divertito, ancora sconquassato, passarsi la lingua sul labbro che lui stesso aveva morso poco prima, Zayn desiderò credere che finalmente la sua vita stesse andando per il verso giusto.









 
§

“Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, 
permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo ne rimanga fuori, 
che sia solo l’esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno. ”










Sconvolgendo ogni aspettativa di Niall, Zayn aveva tirato fuori dal suo zaino due paia di rollerblade della stessa misura. 

Quando il pattinatore gli aveva chiesto come gli fosse venuta in mente una tale idea, Zayn spontaneo come sempre gli aveva rivelato che ci aveva pensato la prima volta che lo aveva visto pattinare. Ed effettivamente era proprio così. 

Quando aveva avuto modo di ammirarlo in pista mentre si allenava, esibendo, senza neppure accorgersene, il suo talento spropositato, Zayn subito aveva associato – ingenuamente – la sua bravura sui rollerblade a quella di Niall sulle lame. 

Zayn e lo sport non andavano molto d’accordo, è vero, ma non solo gli piaceva un sacco seguirlo in tv e andare allo stadio a supportare i Canucks (la squadra di Hockey locale), a lui piaceva anche pattinare… sull’asfalto!

Era un talento sui rollerblade sebbene sulle lame non riuscisse a dare il meglio di sé e per questo, anche per condividere la sua passione con Niall, aveva deciso di pattinare con lui. 

Una delle tante cose che Zayn non avrebbe potuto dimenticare di quel pomeriggio trascorso con Niall sarebbe stata la faccia del biondo quando dallo zaino aveva cavato fuori pattini, caschi e protezioni.

“Hai pensato proprio a tutto, eh?” gli aveva detto Niall inondandolo con uno dei suoi sorrisi così luminosi da far vergognare persino il sole. E pensare che non era finita lì, perché Zayn quando organizzava qualcosa lo faceva meticolosamente soprattutto se per qualcuno a cui teneva.

E a Niall teneva davvero, non avrebbe saputo dire quando aveva iniziato a nutrire quell’affetto istintivo, a volte persino protettivo nei suoi riguardi, sapeva solo di essere nato per provare quelle sensazioni in sua compagnia.



«Eh no, caro Horan, mi dispiace dirtelo ma senza lame fai cilecca!» rise lasciandoselo nuovamente alle spalle dopo averlo sorpassato.

«Sta’ zitto idiota, sono solo fuori allenamento!» urlò quello dietro arrancando per raggiungerlo.

«Scusa non valida» riferì lui sistemandosi il caschetto a punta sopra la testa, voltandosi velocemente indietro per controllare la distanza tra loro.

Sentì la risata di Niall raggiungerlo di spalle e avvolgerlo tutto, sino a fargli girare la testa, e senza neppure accorgersene si ritrovò a rallentare per il desiderio di incrociare il suo sguardo blu.

«Da piccolo ci passavo estati intere sopra questi cosi, ed ero più veloce di te» gli riferì Niall dopo essere riuscito a raggiungerlo ed essersi posizionato alla sua destra.

«Perché, hai smesso?» domandò.

Vide il sorriso di Niall scemare e desiderò si stesse sbagliando quando scorse in fondo agli occhi del biondo quel terrore che aveva già avuto modo di vedere e che gli aveva lasciato il gelo nelle ossa.

«Poi magari ti racconterò, un giorno…» rispose l’altro in modo vago, sforzandosi di sorridere ma non riuscendo a convincerlo manco di striscio.

Zayn si rabbuiò martoriandosi un labbro per la frustrazione di non essere riuscito, ancora una volta, a far aprire all’altro uno scorcio sulla sua vita e permettergli, quindi, di liberare un po’ delle sue paure.  

«Ti propongo una sfida» disse il biondo distraendolo, quasi volutamente, dall’alta marea di pensieri formatosi nella sua testa. Sicuramente era un modo per catalizzare l’attenzione da lui, su qualcos’altro.

Zayn alzò un sopracciglio e, decisamente incuriosito, annuì in sua direzione.

«D’accordo, spara!» 

Niall assottigliò lo sguardo e «L’ultimo che arriva al circuito degli skater paga pegno!» e senza aggiungere altro diede due lunghe stoccate con le gambe guadagnandosi un notevole vantaggio e un fiotto di imprecazioni da parte di Zayn alle sue spalle.

«Sei sleale!»

Dopo quasi dieci minuti di corsa forsennata si erano ritrovati, ansanti e sudaticci, seduti l’uno di fronte all’altro sulla gratinata di pietra di fronte alla pista per gli skater.
La visuale lì era stupefacente. I ragazzi sulle loro tavole di legno variopinte con tanto di ruote dai colori sgargianti, sfrecciavano in ogni direzione cercando di effettuare strabilianti acrobazie dalle rampe di cemento. A contenere i loro movimenti vi erano lunghe mura aerografate da bellissimi murales sulle quali, come fossero state delle storyboard, scorrevano ogni tipo di emozione: follia rossa con pugni chiusi e volti deformati, malinconia blu tra occhi al cielo e una luna bianca, gioia gialla tra sorrisi stilizzati e un sole antropomorfo con tanto di occhiali scuri su un naso paffuto.

Niall si era liberato del giubbotto e della camicia a quadri ed era rimasto a mezzemaniche godendosi il sole, ora più caldo, delle tre del pomeriggio. Aveva i capelli sparati in ogni dove senza alcun ordine e le guance arrossate, e quando il vento fresco soffiava dritto sulla sua faccia lui chiudeva gli occhi e sorrideva, soddisfatto.

«Sei sudato e con questo vento ti prenderai di sicuro un malanno se te ne stai mezzo nudo» gli fece notare il moro che se ne stava in camicia e jeans strappati con la schiena piegata all’indietro e con i palmi delle mani a fare perno per non finire con le spalle in terra.

«Esagerato!» rise il biondino facendo schioccare la lingua. «E poi se non potrò partecipare alle gare perché costretto a stare a letto, mi avrai sulla coscienza, oltre al fatto che sarai costretto a latitare per non farti trovare dal mio coach» aggiunse con un sorriso obliquo ma con la lucente ombra dell’angoscia a riverberare oltre le sue iridi.

Zayn lo notò subito e infatti «Deve essere un tipo tosto il tuo allenatore, quando ne parli ti irrigidisci sempre o magari è solo una mia impressione…» gli fece notare schiettamente.

Non era affatto solo una sua impressione. Ad avvalorare ciò che aveva appena detto, infatti, Niall per riflesso aveva intirizzito le spalle.

«Lo sono tutti gli allenatori, se è per questo, non è di certo un problema suo se mi lascio prendere dal panico».

A quel punto vide Niall spalancare gli occhi e voltarsi dall’altra parte con la mascella contratta, e Zayn capì che forse con l’ultima affermazione si era lasciato sfuggire qualche dettagli di troppo. 

Quell’ultima parola aveva fatto sì che Zayn rimanesse col fiato sospeso. Allora era di questo che si parlava? Di panico?

«Allora, me lo fai pagare o no questo pegno?» disse il biondino, sforzandosi di sorridere e di colpirlo ad una spalla bonariamente, ma a Zayn oramai premeva solo sapere di più, raccogliere le macerie che quella bomba lanciata da Niall aveva sparso dentro la sua testa.

Sentirsi impotente, incapace di aiutare chi gli stava a cuore, era la sensazione che Zayn aveva posizionato in cima alla lista di sensazioni orribili che una persona potesse mai provare.      

Zayn fece una smorfia per accettare il fatto che, era chiaro, Niall non voleva parlarne e «Perché tingi i capelli?» gli domandò comunque, dando inizio al pegno a cui aveva deciso di sottoporre l’altro.

«Tingo i capelli da un casino di tempo, credo da quando avevo undici anni. Ad Halloween decisi con dei miei amici di tingerli per gioco e da allora mi ci sono affezionato, a questo biondo» confessò Niall aprendo un solo occhio per guardarlo.

Alla fine proporre quella sfida non era stato molto saggio da parte sua, poiché aveva clamorosamente perso e il suo pegno consisteva nel subire il gioco del “Perché”.

“Devi rispondere alle mie domande senza dire ‘perché’ o ti toccherà un altro obbligo” gli aveva spiegato Zayn - come se lui non conoscesse le regole di quello stupido giochetto – appena arrivato a destinazione ancora col fiatone. 

Ed era stato sconvolgente per Niall scoprire di volerci giocare – visto che si rifiutava sempre con chiunque - solo perché a proporglielo era stato Zayn.

«Capito, mi piacciono un sacco i tuoi capelli ma questo non c’entra ora…» asserì Zayn strizzandogli un occhio.

«Perché hai scelto di gareggiare come individuale e non in coppia?»

A questa domanda vide Niall fare una smorfia, grattarsi il capo e chinarsi in avanti assumendo una posizione sciatta che lo fece ridacchiare.

«Ho sempre gareggiato da individuale, sin da quando ero solo un principiante. L’idea di pattinare con una donna non mi ha mai entusiasmato…» 

Zayn a quel punto ne fu convintissimo: Niall si stava mordicchiando un labbro fissando la sua bocca in un modo così sfacciato da far ridestare in lui un’eccitazione sino ad allora sopita. 

Ricambiò l’occhiata con un mezzo ghigno compiaciuto.

«Perché non ti entusiasma pattinare con una donna?» insistette, enfatizzando di proposito l’ultima parola. 

Niall rise. 

«Peccato, ti facevo un tipo più sveglio» lo canzonò schiacciandogli il labbro inferiore (il broncio spontaneo) tra due dita. Zayn rise mentre l’altro «Sul serio vuoi che te lo dica?» domandava.

Scosse la testa in segno di diniego, continuando a sorridere sornione, e poiché era solo una provocazione la sua, decise di virare su una domanda più seria. 

«Perché hai smesso di pattinare coi rollerblade, e da quando?»

«Sapevo te l’avresti legata al dito questa cosa!» sogghignò il biondino sporgendosi in avanti per dargli un buffo sulla guancia.

Zayn ridacchiò.

E in effetti aveva proprio ragione. Zayn, il pegno da fargli subire, in parte lo aveva scelto in funzione di quella mancata risposta. Perché Zayn quando voleva scoprire qualcosa era capace di scendere persino a patti col Diavolo!

«Ok, lo ammetto, ma ora rispondimi».

Vide l’altro storcere la bocca in modo scettico, il suo sguardo rabbuiarsi, e Zayn subito capì che Niall stava cercando di evitare la prima domanda, e infatti… 

«Ho smesso da…» fece una smorfia, gli occhi al cielo, «sì, ho smesso da circa due anni. Andavo su quei cosi», indicò col mento i rollerblade accanto a loro, «solo durante l’estate, quando ero in vacanza da mia nonna».

Zayn fu quasi certo che la voce di Niall si fosse inclinata pericolosamente quando aveva nominato sua nonna; gli faceva male metterlo in crisi, inconsapevolmente, facendogli quelle domande ma allo stesso tempo sentiva che farlo aprire sarebbe stato un passo avanti, un modo per Zayn di sentirsi meno impotente. 

Fece una pausa e annuì piano, i denti a martoriare prima l’interno di una guancia e poi le labbra, Niall lo guardava quasi grato, come se iniziasse a essere finalmente a suo agio permettendo all’altro di scorgere un po’ di se stesso attraverso le risposte.

«Perché permetti al…» fece un’altra pausa per non concedere a quella parola di diventare un tabù tra di loro e «…panico di sopraffarti?» disse, dissimulando l’apprensione nel tono della voce.

Quello era il vero punto a cui voleva arrivare Zayn. Le altre domande erano state solo un contorno, un modo per arrivare piano piano al nocciolo della questione. Zayn voleva conoscere quella risposta per dare finalmente una ragione all’angoscia che più volte aveva visto nel fondo degli occhi di Niall.

Infatti proprio quest’ultimo tradì più di un’emozione dopo aver ascoltato la domanda di Zayn. Socchiuse gli occhi e si strinse nelle spalle dandogli di nuovo l’impressione di essere di fronte ad un bambino indifeso. Fu tentato di ritirare la domanda quando notò il tremore che aveva iniziato a scuoterlo dalle spalle, le occhiate spaesate che Niall lanciava intorno a lui furono un triste déjà vu del loro primo incontro.

«Ehi, se non ne vuoi parlare…»

«No, voglio farlo, però tu guardami» lo implorò aggrappandosi ai suoi occhi perché ora più che mai aveva bisogno della sua distrazione per non lasciarsi inghiottire dai torbidi meandri dell’anima.

Zayn annuì e si porse in avanti, per avvicinarsi a lui e ai suoi occhi che d’un tratto gli apparvero più grandi, colorati ed espressivi del solito.

Sentì una sensazione alla bocca dello stomaco come se, tutt’a un tratto, non volesse più conoscere ciò che tormentava l’altro. Strinse i pugni sulle ginocchia e lo esortò a parlare gettandosi nelle acque tempestose delle sue iridi.

«Mia nonna è stata l’unica persona capace di capirmi, sempre. L’unica ad interessarsi incondizionatamente a me e a quello che mi frullava per la testa, la sola ad essere in grado di accettare i miei silenzi senza obbligarmi a parlare, al contrario dei miei» socchiuse gli occhi e tirò su un gran respiro. 

Zayn inaspettatamente si sentì stringere le mani, e fu sconvolgente perché, ancora una volta, Niall lo aveva sorpreso. Lui che avrebbe dovuto dargli forza si ritrovava a trarre coraggio, per ascoltarlo, dalla presa risoluta sulle sue mani dell’altro ragazzo.

Riprese a parlare.  

«Le estati le trascorrevo da lei, ed è proprio durante una di queste che ho iniziato ad andare sui rollerblade. E’ da un anno che mia nonna non c’è più e ora, nonostante sia passato un bel po’ di tempo, sto imparando ad accettarlo, sebbene per me sia ancora difficile…»










 
§

“Vorrei fuggire da me stesso, dalla mia mossa maledetta, 
per ritrovarmi improvvisamente altrove, davanti a te, perché no? 
Ma nuovo, libero, nudo.”












Se Niall fosse stato un oggetto  avrebbe avuto le sembianze di un diario. Un diario segreto. Un diario fatto di pagine ingiallite, macchiate di inchiostro, caffè, tè e cioccolata. Pagine che tra le loro pieghe vissute, come scrigni, avrebbero custodito segreti, paure, emozioni e briciole di biscotti. Un diario impossibile da trovare, da aprire, da leggere soprattutto, perché sarebbe stato scritto in modo contorto, magari da destra a sinistra, come i progetti celati di da Vinci.
Sì, Niall sarebbe stato sicuramente un diario di quelli custoditi gelosamente, in modo talmente possessivo da mettere a repentaglio la vita stessa del suo proprietario.  
Se gli si chiedeva cosa avrebbe voluto essere se fosse stato un oggetto lui rispondeva una fotocamera, per immortalare le rughe, le smorfie, i sorrisi, i pianti, le storie delle persone. Questo è ciò che diceva ad alta voce, ma in cuor suo rispondeva: vorrei essere un diario segreto, lasciato incustodito intenzionalmente, alla luce del sole, per farmi trovare e leggere da chiunque.
 
In questo modo, aprirsi a qualcuno, sarebbe stato più facile e meno faticoso.
Perché lo sapeva, gli era stato detto da sua nonna e anche dallo psicanalista che ormai da un anno lo seguiva: “parlare con qualcuno dei propri tormenti è il primo passo verso la guarigione”.
Ma Niall, purtroppo, sino ad allora non era mai riuscito ad esternare le sue angosce, come se avesse un filtro intorno all’anima che gli permetteva di far passare solo le emozioni positive. Per questo nessuno era stato mai capace di interpretare i suoi sguardi, i suoi silenzi, di comprendere i suoi allontanamenti e accettare la malinconia che era un po’ la sua costante di vita. 

Poi, dopo circa una settimana da quello splendido pomeriggio trascorso a Lynn Park con il ragazzo della Zamboni, Niall aveva avuto modo di trasformarsi, inconsapevolmente, in ciò che tanto avrebbe voluto essere. 
Zayn lo aveva trovato per caso e raccolto gentilmente, sfogliato con delicatezza e letto alcune delle sue righe, senza lasciarsi intimorire dalla calligrafia complessa della sua essenza.

«Sbaglio o tra una settimana hai la gara?» 

Zayn era seduto dall’altra parte del tavolino, i gomiti sulla superficie bianca e lucida e il mento poggiato sui palmi delle mani.

Erano alla caffetteria dietro al BC Palace, il destino aveva voluto che si incontrassero e che parlassero un po’, da soli, senza la pressione del coach di Niall o l’invadenza dei suoi amici.

«Eh no, non ti sbagli. Lunedì tocca all’individuale maschile di aprire le gare e io sono il quinto in ordine di uscita» rispose, il cucchiaino stretto tra due polpastrelli a girare svogliatamente nel liquido scuro e denso nel bicchiere sotto di lui.

«Ti senti pronto per affrontare questa sfida?» sentì dire al ragazzo moro che non accennava a volergli staccare gli occhi di dosso. 
Fece spallucce percependo come acqua calda e confortante lo sguardo di Zayn accarezzargli costantemente il corpo. Quella percezione lo accompagnava spesso, soprattutto quando si allenava; sebbene non amasse essere osservato insistentemente, lo sguardo di Zayn gli accarezzava il cuore come se ne avesse davvero bisogno.

«Devo esserlo, Zayn. Anche se non mi sento pronto al cento percento, non ho altra scelta» disse arricciando il naso, dedicando una smorfia al liquido nella tazza che non smetteva di vorticare.

Zayn annuì solamente. Quel giorno, a dire il vero, avrebbe voluto parlargli di loro, di quel bacio a Lynn Park che era stato il primo di una lunga serie. Aveva una paura fottuta, Zayn, non sapeva come introdurre l’argomento noi due insieme così chiedergli della gara era stato un triste modo di aggirare il vero tarlo. 

«A cosa pensi? Sembri assente» gli fece notare Niall; allontanò la tazza per incrociare le braccia sul tavolino e scivolare in avanti, sino a sfiorare con i suoi i gomiti di Zayn.

«Vuoi saperlo?» disse quest’ultimo con tono cospiratorio avvicinandosi a sua volta e chinandosi in avanti. 

Niall alzò le sopracciglia chiare e «Sono schifosamente curioso, dovresti saperlo ormai».

«Penso al fatto che, se tu non fossi impegnato da mattino a sera con gli allenamenti e io non fossi diviso tra i miei lavori, passerei tutto il tempo a baciarti…»

Niall roteò gli occhi teatralmente e lasciò collidere la fronte sulla superficie del tavolo.

«Quanto sei sdolcinato Zayn?» sbuffò nascondendo un limpido sorriso compiaciuto e il colore dell’imbarazzo sulle sue guance restando col capo chino. Anche lui pensava continuamente alla stessa cosa, anche se non glielo aveva detto, e il battito accelerato del suo cuore ne era la conferma. 

«Sei tu che hai voluto saperlo, non lamentarti!» protestò il moro.

Lo guardava intenerito Zayn e, istintivamente, affondò le mani tra i suoi capelli biondo cenere per giocherellare con le punte ispide. L’altro si lasciò carezzare senza muoversi né protestare, mugolando di tanto in tanto.  

Niall se ne stava abbandonato sul tavolo come fosse nel pieno del rilassamento, Zayn poteva vedergli chiaramente solo i capelli lunghi tra le dita e quelli più corti che accompagnavano lo sguardo verso la fossetta calda e tenera sotto la nuca. Si ritrovò a fissare quel punto con la testa china su di un lato, mordendosi una guancia per contrastare la voglia di baciarlo proprio lì in quel posto che diventava schiena bianca e sulla quale avrebbe lasciato volentieri milioni di baci. Era così concentrato in quell’impresa da essersi scordato di massaggiare la testa di Niall che, indispettito, aveva mugolato e scosso la testa per esortarlo a riprendere. 

Così, mentre l’altro si abbandonava al relax, lui decise di abbandonarsi all’istinto.

Si alzò e, sporgendosi in avanti, Zayn fece in modo di far collidere con dolcezza le sue labbra piene alla nuca di Niall che restò immobile col fiato sospeso. E trattenne il respiro anche quando sentì le labbra morbide del moro schiudersi piano per mordergli con tenerezza la pelle in cima, tra le scapole. Zayn si lasciò andare completamente, incurante come sempre di essere in un luogo decisamente poco appartato, per lasciargli piccoli baci sempre in quella zona tra collo e nuca.

«Zayn…» gorgogliò Niall restando fermo, senza spostarsi neppure di un centimetro.

«Sì?» fu la sua risposta mentre ritornava a sedersi e lo sentiva respirare piano, ancora a testa china sul tavolo.

«Zayn, se tu non fossi diviso tra tre lavori e io troppo impegnato con gli allenamenti… passerei tutto il tempo a farmi baciare da te».

E così Zayn gli prese il viso tra le mani e, anche se solo per quella mattina, lo accontentò.


 
*


Il giorno seguente ritrovarsi nella stessa caffetteria, seduti allo stesso tavolo, non fu di certo una coincidenza, ma un tacito appuntamento scambiato il giorno prima.

Il tempo come un cerchio di fuoco ruotava intorno a loro e, inesorabilmente, si stringeva sempre più sino a ustionare le loro pelli. Ogni scusa era buona per passare del tempo insieme, soprattutto ora che l’inizio delle gare era ormai prossimo e l’ignoto futuro non faceva altro che ghignare nella loro direzione. 

«Non la bevi la tua cioccolata? Tra poco dovrai allenarti e non hai toccato cibo, lo so, me lo ha detto Liam».

Zayn appoggiò il mento in una mano guardando accigliato il ragazzo che aveva preso a boccheggiare quasi come fosse indignato.

«Da quando conosci e parli con Liam?» domandò con uno sbuffo scettico alzando persino un sopracciglio per colorire la sua espressione.

Niall vide l’altro mordicchiarsi un labbro in un sorriso sghembo, facendo fare un salto mortale al suo cuore, prima che rispondesse tranquillamente: «A dire il vero ci parlo da un po’, a volte sembra quasi voglia farmi il terzo grado per accettarsi che io sia uno a posto».

Un suono limpido come lo scroscio di una fonte tra le montagne e chiaro come un’eco, riverberò tra le mura di quel posto facendo voltare alcuni avventori verso di loro. Niall aveva riso di gusto provocando in Zayn una sorta di sconcerto. 

«Dici sul serio? Liam ti sta tenendo sott’occhio?» domandò sedando le risa che lo avevano smosso, le mani a tenersi la pancia.

«Sì, da lunedì più o meno. Non che mi dia fastidio, anzi, è simpatico e poco invadente… in alcune situazioni»

Niall rise di nuovo scuotendo il capo.

«In altre invece sa essere davvero un ottimo rompicoglioni, lo so bene, fidati!»

Fu il turno di Zayn di ridacchiare. Parlando con Niall aveva scoperto che lui e Liam si conoscevano sin dall’infanzia. Questa nuova consapevolezza aveva maturato in lui una forma di invidia nei riguardi di Liam, verso colui che aveva avuto modo di passare così tanto tempo con la persona più splendida che Zayn avesse mai incontrato in vita sua.

Tornò a rabbuiarsi in fretta, però, notando la colazione di Niall ancora intatta.

«Comunque non mi hai risposto, la finisci o no la colazione prima degli allenamenti?» insistette.

Niall spostò lo sguardo verso la porta del locale che si apriva - con un tintinnio di campanelle - per far entrare un nuovo cliente; in realtà la sua era solo una scusa per non guardare Zayn.
     
«Devi mangiare qualcosa, lo sai, non puoi…»

«Non mi servono lezioni di vita, Zayn» lo zittì spazientito, con un gesto della mano scostò in malo modo la tazza che produsse un triste stridio sulla superficie del tavolo.

Zayn deglutì e d’un tratto le parole che Liam gli aveva tirato addosso pochi giorni prima, come piante carnivore, trovarono dentro la sua testa terreno fertile per diventare verità. 
Una verità che Zayn aveva sperato, forse per paura, fosse solo apprensione esasperata da parte del migliore amico del pattinatore.


«Non ti dirò nulla, Zayn, non è un mio diritto farlo» aveva esordito dal nulla Liam slacciandosi i pattini per infilarli nella borsa.

«A cosa ti riferisci? » aveva mormorato a quel punto sentendo montare una strana ansia nel petto.

Il pattinatore si era tirato su per guardarsi intorno, come per accettarsi che Niall fosse lontano, e aveva sospirato mestamente quando con lo sguardo era riuscito a intercettarlo in pista, ancora intento a volteggiare come un angelo. 

«Niall è speciale» disse, e a Zayn non erano sfuggite le mani di Liam strette convulsamente intorno alla balaustra. «So che lo pensi anche tu, ma io mi riferisco ad altro» chiarì, o almeno ci provò poiché Zayn continuava a non capirci molto di quelle sue parole.

E proprio quando «Senti Liam, io non…» stava per dire, l’altro lo fermò stringendogli forte un braccio con la mano.

«Guardalo» quasi ordinò, indicandogli il ragazzo biondo con il mento. «Sembra forte e sicuro di sé sul ghiaccio, e lo è davvero ma…» lo vide zittirsi per osservare attentamente Niall compiere una figura artistica particolarmente complessa. Zayn ne fu profondamente colpito, e quasi credé di poter svenire quando, dopo aver concluso l’esercizio, Niall si voltò a sorridergli. 

«Quando pattina è come se volasse in alto, poi però, quando i suoi piedi toccano terra tutto svanisce e a Niall serve qualcuno in grado di attutire la sua caduta» riprese a parlare Liam, risvegliandolo dai suoi pensieri. 

Zayn ripensò al pomeriggio in cui Niall gli aveva confidato il suo male interiore, il panico che spesso offuscava ogni cosa rendendolo cieco legandogli le braccia, impedendogli di aggrapparsi a un pensiero felice per sopravvivere in quegli attimi di blackout della mente. 

«Mi ha parlato della sua ansia, se è a questo che ti riferisci. Io e Niall parliamo di tutto» disse in tono brusco, quasi come a volersi mettere sulla difensiva.  

Liam rise amaramente. 

A Zayn gli si raggelò il sangue.

«A quanto pare non avete parlato di tutto» soffiò Liam.

«Be’ allora non so proprio di cosa tu stia parlando» disse Zayn spazientito, lo sguardo assottigliato poiché la stretta intorno al suo braccio diventava attimo dopo attimo sempre più molesta.

Liam parve accorgersene e lo lasciò subito andare e, sospirando ancora «Te lo dirò chiaramente, Zayn» disse con una voce amorevole e gentile che allontanò via lo spettro della risata di poco prima. «Aiutalo, io ci ho provato in quest’ultimo anno ma ho fallito. So che tu puoi farcela, lo vedo da come ti sorride».



In quell’istante a Zayn sembrò tutto spaventosamente più chiaro. Ogni particolare dei loro incontri, che sino ad allora gli era sembrato insignificante, acquisiva in modo terrificante un significato limpido che non richiedeva più un senso logico.

Tutte le volte che, dopo aver mangiato qualcosa insieme, Niall spariva in bagno come una saetta, ora non erano più un punto interrogativo, ma esclamativo. 

Sentì lo stomaco stringersi dolorosamente perché sapeva che quella richiesta d’aiuto partita da Liam sarebbe dovuta partire da Niall stesso, e sapeva che quest’ultimo non lo avrebbe mai fatto.

«Perché non vuoi fare colazione, Niall?» domandò sentendo di doverlo fare.

Il ragazzo di fronte a lui sgranò gli occhi, come terrificato da una consapevolezza. Niall aveva capito che ormai Zayn era giunto alla verità, alla sua verità, e non poteva farne una colpa a nessuno, era inevitabile e lo sapeva.

«Ti ho forse detto che non voglio?» rispose acidamente con un’altra domanda, facendosi coraggio e afferrando il cornetto vuoto dal piattino bianco di porcellana come per sfidarlo. A Zayn però non sfuggì il tremolio nelle dita quando queste si strinsero intorno alla crosta dorata.  

Tutto sommato Zayn provò a sorridergli, come per incoraggiarlo, e lui se ne accorse tant’è che lo ricambiò spontaneamente mandando giù il primo boccone. 
Gli era mancato il sapore dolciastro sotto al palato, l’appiccicaticcio dello zucchero intorno alla lingua e la sensazione di calore allo stomaco quando si mangia qualcosa che si ama.

Zayn restò in silenzio e, tacitamente, continuò a osservarlo come un genitore osserva il suo piccolo affinché non si strozzi col cibo; poi lentamente, senza imporglielo, gli avvicinò la tazza col cioccolato, la stessa che lui poco prima aveva allontanato da sé malamente.

Quando ebbe finito l’intero cornetto vide un dito di Zayn avvicinarsi piano al suo viso, e dirigersi verso un angolo della bocca.

Niall si sentì fremere quando il polpastrello freddo dell’indice del moro spennellò via qualcosa dalla sua bocca.  

«Avevi un po’ di zucchero a velo» si giustificò prima di succhiare via dal suo dito quell’effimera traccia di zucchero.

E Niall non poté fare altro che schiudere la bocca e rimanere inebetito dinnanzi a tutta la sua premura. Gli ricordò quando sua nonna gli ripuliva gli angoli della bocca con un tovagliolino di carta, dopo aver mangiato i biscotti alla marmellata che lei stessa gli preparava ogni pomeriggio.    

«Mh, grazie» mormorò il biondo e «La finisci questa?» domandò premuroso Zayn sorridendogli, gli occhi a indicare la tazza quasi vuota.

Lui annuì e afferrò la porcellana ormai tiepida con entrambe le mani, e quando il bordo era ormai giunto alle labbra, si bloccò con gli occhi vacui puntati nel nulla.

Un brivido gli percorse la schiena, un’ombra nera, pesante come petrolio sulle ali di un gabbiano, avvolse ogni cosa. Il liquido scuro dei pensieri, melma asfissiante, bloccò il suo volo sereno facendolo precipitare giù a picco, verso terra. Un angelo etereo costretto a restare tra il marciume di una realtà imperfetta, non adatta a lui.
Posò con un tonfo sordo la tazza, che quasi si crepò per l’urto, e scosse la testa come per dire “no” a ciò che sapeva stava per accadere.

Un attacco di panico era lì, appostato dietro l'angolo, con la bava alla bocca e pronto a divorarlo. 

«Niall, stai tremando…» disse Zayn a mezza voce dopo avergli stretto le mani per accarezzarne i polsi con i pollici, proprio come aveva fatto la prima volta.

Niall si concesse di guardare le mani ambrate dell’altro ragazzo entrare in contatto con le sue, per pochi attimi, prima di porre fine a quel contatto ritirando bruscamente le proprie mani.

«Non è vero» negò risoluto, gli occhi spalancati per la consapevolezza di stare negando l’evidenza. 

«Ti stai sbagliando, sto bene» aggiunse, più per convincere se stesso. 

«Niall, non serve mentirmi, lo vedo. Dimmi cosa posso fare per aiutarti» provò a dire Zayn, tendendogli con quelle parole una mano a cui aggrapparsi. Mano che Niall rifiutò.

«Niente. Non puoi fare niente, non devi fare niente» disse, infatti, strisciando la sedia in terra e alzandosi di scatto. I pugni serrati contro la superficie del tavolo.

Zayn stava guardandolo con apprensione, e nei suoi occhi, Niall ne era certo, vi era l’impotenza di non poter fare nulla, la frustrazione che come una pennellata di grigiazzurro rendeva i suoi occhi freddi e distanti, non più ardenti come li aveva conosciuti.

Così senza pensarci, siccome con Niall – Zayn lo aveva imparato a sue spese – bisognava essere svelti e repentini, a volte persino rozzi per farsi ascoltare, si alzò di scatto e lo seguì di gran carriera verso le toilette.

Quando si accorse che la consapevolezza stava tramutandosi in terrore, paura per ciò che sapeva avrebbero visto i suoi occhi una volta aperta quella porta che celava la figura d’un tratto fragile e indifesa di Niall, Zayn capì di dover essere forte. Di doverlo essere davvero, per lui, ma soprattutto per quel ragazzo che oramai gli si era insinuato dentro e che come la più bella delle aurore boreali aveva colorato la sua anima con una moltitudine di sfumature emotive.

«Niall, aprimi…» soffiò delicatamente, una mano a carezzare, come fosse la schiena del pattinatore, la superficie della porta.       

Silenzio. 

A Zayn il silenzio non faceva paura, anzi, lo preferiva di gran lunga al caos. Ma in quel momento l’assenza di suoni e di parole fu in grado di esplodergli nelle orecchie facendolo trasalire.

«Niall, per favore» implorò. Fu in quell’istante che un singulto flebile si levò oltre la cabina stretta che avvolgeva il ragazzo biondo come una gabbia che tiene in salvo il canarino dalle grinfie del gatto. 

Zayn trattenne il respiro e, inspirando piano, poggiò un orecchio contro la porta  pronto a captare qualsiasi sussurro di Niall.

«Niall, non ti racconterò le solite cazzate che ti avranno già raccontato» esordì Zayn socchiudendo gli occhi, una mano avvolta intorno alla piccola maniglia della porta bianca.  

«Non è facile, non lo è e credimi, lo so. So cosa vuol dire perdere qualcuno, so che la storiella del tempo che porta via il dolore è solo una cazzata, perché non è così; il dolore si accampa in noi e non andrà mai via» disse, e la gola bruciava perché le bugie Zayn non sapeva raccontarle ma la verità faceva più male. Nonostante questo l’avrebbe sempre preferita alle menzogne.

«E sai cos’altro è una cazzata?» domandò retorico non appena un altro singhiozzo ebbe bucato la superficie che li divideva facendolo sussultare visibilmente.

«Da soli non ci si salva, eppure lo crediamo continuamente, ma non è così. E’ una stronzata che ci raccontiamo per convincerci di essere forti, ma non lo siamo, Niall… Nessuno lo è davvero se è solo».

Zayn credeva in ciò che stava dicendo, ci credeva fermamente benché la verità delle sue stesse parole non gli permettesse un solo istante di respirare, tanto faceva male.

«E tu sei un guerriero Niall, lo sei davvero. L’ho pensato dal primo istante in cui ti ho visto su quella pista di ghiaccio. Continuo a pensarlo ogni volta che ti parlo, che mi imbatto nei tuoi occhi, e lo penso anche adesso che sei lì dentro e stai permettendo al buio di inghiottirti…»

«Non posso farcela».

La voce di Niall lo spaventò. Sembrava sul punto di spezzarsi, come avesse accettato l’idea di lasciarsi soccombere al dolore, di dargliela vinta.  

«Ce la puoi fare, invece, e io sono qui, proprio qui dietro».

Mentre lasciava andare via quell’ultima preghiera uno scatto metallico gli fece aprire gli occhi, così sentì distintamente il cuore accelerare osservando la maniglia roteare piano verso destra e permettere alla porta di aprirsi di pochi centimetri.

«Non sono un guerriero» ammise Niall a capo chino, il tono di voce colmo di delusione, per se stesso.

Zayn fu folgorato dal luccicare ancestrale di due lacrime che scivolavano via dalle gote di quel ragazzo che, anche se non poteva vederle, sapeva essere rosee. 

Sentì un sorriso nascergli sulle labbra. Gli si avvicinò cauto come si fa ad un cucciolo impaurito e, con naturalezza, lo avvolse piano tra le braccia sino a sentire le lacrime di Niall bagnargli il collo. 

In quell’abbraccio il pattinatore ritrovò parte di sé, una stella che dopo essersi lasciata divorare da un buco nero, nello spazio eterno, per fortuna o per caso, ritrova un frammento della sua luce e ritorna a brillare più di prima. 

Le lacrime non riusciva a contenerle, neppure ci provava, erano calde e silenziose, alternate a piccoli singhiozzi che venivano prontamente attutiti dal petto di Zayn schiacciato contro il suo. E Zayn più stringeva le braccia dietro la sua schiena e lui più lasciava che il dolore lo abbandonasse, scappando via pusillanime dai suoi bellissimi occhi che le lacrime non dovevano neppure immaginarle. 

«Non l’ho fatto, Zayn» mormorò Niall e la sua voce sembrò roca e bassa, modellata dalle labbra schiacciate sul collo del moro. «Questa volta non l’ho fatto».

«Cosa?» domandò spendo già a cosa stesse riferendosi il pattinatore. 

Niall si staccò dal suo abbraccio per guardarlo negli occhi, le mani ferme e salde sulle sue spalle ora non tremavano più. 

«Ho combattuto, ho resistito e ho vinto», disse con gli occhi arrossati, «solo perché ci sei stato tu a distrarmi».  

Per la seconda volta nella sua vita, da quando aveva conosciuto quel ragazzo, Zayn si sentì forte e finalmente indispensabile per qualcuno. Si sentì àncora e porto sicuro, parafulmine in una tempesta di saette, paracadute per un atterraggio di sicurezza.

«Sarà dura ma ne verrai fuori, Niall» soffiò sulle sue labbra, chinandosi di poco per raggiungere il suo volto. «Te lo prometto ma… Permettimi di starti accanto, non tagliarmi fuori» lo implorò di nuovo, i nasi a sfiorarsi piano, come a conoscersi timidamente per la prima volta.

Niall non rispose, incassò quella richiesta spassionata e, inspirando piano tagliò lui stesso quella stupida distanza che li divideva e lo baciò. 

La forza di un’intenzione sigillata tra due bocche.    









 
§


“Se un giorno dovessimo fare l’amore, lo faremo piano, come nel sonno.
Vedo noi due come due feti che si cercano con movimenti lenti, a occhi chiusi.”





Un mese era volato via e il giorno tanto atteso, e temuto, era arrivato. Quel giorno era giunto, per lui, ma soprattutto per Niall.
Ogni qualvolta i suoi pensieri volavano in sua direzione, il corpo di Zayn sembrava trafitto da milioni di emozioni tutte bellissime, spaventose e contrastanti. In quei giorni aveva avuto modo di conoscere il ragazzo irlandese in ogni sua sfumatura, in ogni più piccola piega e ombra. 

Ce n’era ancora di strada da percorrere insieme a Niall per conoscerlo davvero, e forse – Zayn ne era sicuro – mai ci sarebbe riuscito fino in fondo; ma non gli importava, no, a Zayn questo non importava. A lui era bastato essere, anche solo per un attimo, parte del suo mondo. Un mondo sfarzoso, fatto di colori sgargianti e al tempo stesso di posti tetri e mostruosi. 

Niall era luci e ombre, una camera oscura dove passare ore e ore tra acidi e filtri a sviluppare, con dedizione, tante foto, immagini di ricordi indimenticabili, emozioni da vivere senza riserva alcuna.

Non avendo resistito alla tentazione di dare una sbirciata nell’Inferno di Niall, Zayn aveva conosciuto le sue ansie che, come cellule malate, si moltiplicavano durante le notti o nei momenti difficili, concependo, così, un piccolo mostro nero che gli divorava il sonno e tutti i pensieri felici. 

Ogni volta, a turno, svelavano un dettaglio della loro vita perché il tempo era una piaga e purtroppo non si poteva far nulla per fermarla. Il tempo correva come un treno senza freni, impossibile da contrastare, per questo bisognava approfittarne il più possibile dei momenti liberi, per parlare di tutto, anche delle sciocchezze, per conoscersi e provare ad entrare nella vita dell’altro, piano piano.

In pochi giorni si possono fare cose che in anni non si ha il coraggio di fare, e Zayn e Niall in un mese e poco più avevano fatto proprio questo. Probabilmente se il destino li avesse fatti incontrare concedendo ad ognuno più tempo per conoscersi, non lo avrebbero fatto in un modo tanto intenso.  
 
Zayn non stava più nella pelle, era così elettrizzato quella mattina che ad ogni suo movimento sprizzava scintille luminose. Neppure gli atleti che avrebbero dovuto gareggiare sembravano tanto coinvolti quanto lo era lui, perché il cuore di Zayn batteva così forte da poterlo udire in una mandria imbestialita di elefanti. 

La gara era andata bene, come non aveva dubbi, e Niall si era classificato secondo sul podio, con la sua bella medaglia argento a illuminare il BC Place e a mettere in ombra tutti gli altri atleti. Certo, non era un oro, ma la sua vittoria l’aveva trovata lo stesso in quel mese perché aveva vinto tutto contro la vita. 

Di strada ce n’era ancora da percorrere per lasciarsi alle spalle le sue ansie e le sue paure, ma ce l’avrebbe fatta perché, ora lo sapeva anche lui, Niall era un guerriero e questo mai nessuno avrebbe potuto cambiarlo.

Niall aveva scelto di esibirsi sulle note di Over The Love di Florence, e Zayn sapeva che non avrebbe mai potuto dimenticare quella esibizione, neanche a volerlo. Non avrebbe dimenticato mai la trottola che Niall aveva effettuato senza distrazioni, stavolta, mentre la voce di Florence recitava “’cause you’re a hard soul to save, with an ocean in the way” perché Niall era questo: un’anima complicata da salvare, con un oceano dentro da attraversare, acque profonde che nascondevano un atollo di felicità dietro le grandi iridi colorate.




 
*
 


Zayn non era uno di quelli che stavano lì a rimuginare sul da farsi per giorni e giorni. 
Se sentiva di voler fare qualcosa, lo faceva e basta, senza pensarci troppo. Eppure, quella volta, la decisione di raggiungere Niall la aveva maturata lentamente, stupendo persino se stesso.  

Alla fine aveva deciso di volerlo rivedere per l’ultima volta prima che il pattinatore irlandese partisse e lo lasciasse da solo, in compagnia di un ricordo intenso quanto uno di quei sogni bellissimi che al risveglio, lasciano puntualmente un vuoto nel petto e il pizzicare salato delle lacrime negli occhi. 

Sapeva dove alloggiava e grazie a quel rompicoglioni - come avrebbe detto lo stesso Niall - di Liam, era riuscito ad entrare nell’hotel e ad avere il permesso di raggiungerlo nella sua camera. 

Bussò due volte con le nocche di una mano e «Servizio in camera» annunciò con il suo tono reverente che utilizzava ogni giorno con i clienti del market. Non poté vederlo eppure giurò a se stesso di poter percepire il sorriso di Niall al di là della porta ancora chiusa.

«Cosa ci fai qui?», mormorò quest’ultimo aprendo la porta, un pugno a stropicciare un occhio, «è tardissimo e stavo provando a riposare». 

Zayn fece spallucce, come fosse improvvisamente in imbarazzo. Con la destra reggeva una scatola dietro la schiena per nasconderla agli occhi del biondo e «Scusa, se vuoi me ne vado…» provò a spiegare ma non appena aprì bocca si sentì afferrare per il polso e trascinare dentro.

«Ti sfottevo, Zayn. Dai, entra» gli sorrise l’altro per poi richiudere la porta alle loro spalle.

Zayn continuò a nascondere dietro la schiena la scatoletta rossa. 

La camera di Niall era l’emblema dell’ordine. La lampada che emanava una calda luce aranciata e che sporgeva dalla parete, accanto a quello che Zayn immaginò fosse il suo letto, illuminava tenuemente l’intero ambiente. C’erano due enormi trolley accanto ai rispettivi letti, già pronti, e affianco ad ognuno due borsoni ancora aperti e da riempire.

«Sei solo?» domandò, più che per la curiosità, per mettere a tacere quello strano sentore che improvvisamente gli aveva stritolato lo stomaco. La realtà che, stretta a braccetto col tempo, continuava a scorrere sibilandogli meschina che quella era la loro ultima volta in cui si sarebbero visti e parlati.

«Sì, gli altri son fuori a festeggiare e Liam rimane a dormire con Sophia, sai com’è…» mormorò Niall passandosi svogliatamente una mano tra i capelli ammaccati dal cuscino; probabilmente stava cercando davvero di riposare, prima della sua irruzione. 

Portava dei pantaloni della tuta e una canottiera bianca sdrucita e larga che gli lasciava scoperto il costato. Zayn lo guardava di sfuggita e il non toccarsi, il non baciarsi e il fatto che si lanciassero occhiate fugaci erano tutti sentori di una leggera tristezza che presto si sarebbe trasformata in una potente malinconia dai toni freddi come il mare blu in inverno. 

«E come mai non sei con loro a divertirti?» domandò osservando attentamente ogni movimento dell’altro. Lo vide alzare le spalle, mentre armeggiava con il piccolo frigo nell’angolo della camera, probabilmente in cerca di qualcosa da offrirgli.

«Zayn, lo sai, in  questi casi la mia misantropia raggiunge picchi elevatissimi e se fossi andato con loro sarei finito comunque col tornare in hotel dopo poco, quindi…» 

Si alzò e con una smorfia scettica «Non ho molto da offrirti, questo è l’unico sballo di noi atleti» annunciò allungandogli due bevande energizzanti apparentemente al gusto d’arancia rossa.  

Zayn sorrise mostrandogli i denti e gli si avvicinò.

Fuori era buio, così la luce aranciata della lampada che illuminava pigramente la camera, veniva contaminata di tanto in tanto dai colori vivaci dei fanali dei mezzi che fendevano la grande vetrata della finestra.

Vide Niall poggiarsi di schiena, le caviglie incrociate, contro il davanzale della finestra e guardarlo per la prima volta da quando aveva messo piede lì dentro, mentre lui si lasciava cadere sul letto.

«Cosa nascondi lì dentro?» domandò con un sopracciglio alzato, le braccia incrociate sul petto e gli occhi puntati sulla scatola che Zayn ancora reggeva gelosamente. 

«Vieni qui e scoprilo da solo» gli rispose quest’ultimo dando piccoli colpetti al materasso per incitarlo a sedersi accanto a lui.

Niall storse la bocca, quella sua solita espressione scettica a colorirgli il viso mentre si staccava dalla finestra per fare come Zayn gli aveva detto.

Il ragazzo dai capelli corvini iniziò a percepire il suo cuore ritornare a battere più forte che mai; sperava davvero di renderlo felice con quel piccolo gesto.
Niall si sedette piano accanto a lui, la piccola scatola rossa a separarli, «Non sarà mica un anello, vero?» domandò portando le punte della mani davanti alla bocca simulando un’espressione teatralmente sbalordita. 

«Non credi sia troppo grande per un gioiello?» rise Zayn indicandogli la confezione decisamente troppo sproporzionata per contenere solo un piccolo oggetto.

Il biondino si arruffò i capelli, fece spallucce e, con in viso una maschera sin troppo seria si accinse a raccogliere la scatola. 

Quando l’ebbe scoperchiata con una lentezza flemmatica, come si trovasse dinnanzi al vaso di Pandora, la sua espressione divenne un caleidoscopio di emozioni.  

«Sono biscotti» constatò Zayn allarmato dal suo improvviso e inspiegabile silenzio.

«Allo zenzero» precisò Niall alzando finalmente gli occhi su di lui.

I battiti di Zayn cessarono per qualche istante lunghissimo. I biscotti giacevano sul fondo della scatola adagiati disordinatamente su un fazzoletto bianco. Erano astratti, nel senso che non avevano una forma vera e propria eppure sapevano di buono.

«Ti fa schifo?» chiese con timore sporgendosi verso il contenuto della scatola per annusarne il profumo.

«No, è che sono gli stessi che mi preparava mia nonna» mormorò Niall continuando a fissarlo.

Zayn deglutì.

«Li ho fatti io, sai?» fece lui tutto orgoglioso, un mezzo sorriso sghembo per non permettere a Niall di lasciarsi travolgere dalla malinconia.

Ed era vero, li aveva preparati lui con le sue stesse mani quei biscotti!

Il ragazzo biondo e atletico non fiatò ma la luce che invase i suoi occhi bastò a Zayn come risposta. Lo vide affondare una mano oltre il bordo di cartone e cacciarne fuori un biscotto simile ad un triangolo scaleno. Lo osservò da vicino, in ogni angolo, lo annusò persino accostandolo al naso, ad occhi chiusi, e infine lo portò alla bocca.

Zayn stava zitto e lo osservava, permettendo ai brividi di sconquassarlo da dentro, al cuore di correre e scalpitare come un cavallo in una prateria sconfinata.

«Sono buoni» gli riferì Niall masticando con gusto il piccolo morso strappato dal biscotto.

«Sono tutti tuoi! Ho pensato che durante il viaggio avresti voluto fare a meno di mangiare le solite cose degli aerei…» disse premurosamente, il capo piegato di lato per osservare meglio le sue labbra muoversi. 

«Ho pensato che lo zenz…»

«Zayn» lo zittì improvvisamente Niall mettendo da parte il biscotto.

Lui ammutolì e «Sì» disse, ritrovandosi improvvisamente più vicino a Niall, come se il suo corpo si lasciasse calamitare di continuo.

«Zayn perché sei venuto?» 

Il tono di voce che Niall utilizzò per quella domanda fece in modo che a Zayn sembrasse una vera e propria supplica di dolore, più che una domanda. I brividi non tardarono ad arrivare così come la tristezza non ci mise molto ad impossessarsi del suo cuore. 

«Veramente io…» provò a spiegare senza riuscire a cavare parole di senso compiuto in grado di soddisfare l’altro. Si morse per qualche istante l’interno della guancia e riprovò a parlare.

«Non potevo lasciarti andare così, senza vederti un’ultima volta, da solo» confessò chinando il capo, «domani parti e a me sembra tutto così ingiusto».

Niall si strinse nelle braccia, le unghie corte affondate nella carne di un avambraccio, forse per provare a raschiare via un po’ di dolore, od a sostituire quello mentale con quello fisico. 

«E’ la realtà, Zayn, sapevamo entrambi che sarebbe finita così» buttò lì quelle parole con la carica di una saetta distruttiva che abbagliò gli occhi di Zayn. Questi alzò il volto per incrociare il suo ma lui, prontamente, si era già alzato mettendo distanza tra loro con qualche passo.

«Lo so, è inevitabile, questo però non mi fa sentire meglio».

«Ma è così e dobbiamo farcene una ragione…» insistette Niall sforzandosi di rendere fredda la sua voce.

«Quindi non ci rivedremo più?» 

A quel punto se avesse avuto abbastanza coraggio, Zayn si sarebbe strappato via la lingua per non essere riuscito a tacere e a risparmiarsi l’ulteriore peso di una verità imminente quanto atroce.

Vide il pattinatore raggelarsi sul posto, di nuovo accanto alla finestra ma questa volta col viso rivolto alla notte fuori di essa, e provò ad avvicinarsi solo per poterlo sfiorare.

«Non lo so…» soffiò Niall, le dita di Zayn a percorrere un suo braccio come piume leggere sulla superficie dell’aria. «Ora non so niente».

«Invece io, forse, una cosa l’ho capita…» azzardò lui posizionandosi al suo fianco, le mani sul marmo freddo della finestra.

Niall spalancò gli occhi sul buio oltre il vetro, il cuore a dilatarsi come un fiume in piena, l’ombra fresca di una consapevolezza che apparteneva anche a lui ad ombrargli la tristezza.

«Cosa credi di aver capito?» lo sfidò quasi, voltandosi verso di lui, incitandolo ad ammettere ad alta voce quei sentimenti che anche lui provava ma che, purtroppo, non sarebbe riuscito a rendere concreti con la sua voce, non quella notte.

Vide Zayn schiudere le labbra, fissare la sua bocca con le iridi caliginose e sensuali, e non gli diede neppure modo di spiegarsi che gli si era avvicinato a tal punto da mozzargli il fiato e strappargli via ogni parola dalla gola. 

Niall era così vicino da dargli il capogiro, così vicino che poteva sentire il calore della sua pelle nonostante indossasse ancora la giacca.

«Dillo» ordinò il pattinatore e Zayn vide in quegli occhi blu cobalto quelli di un vero guerriero impavido.

Non riuscì a dire nulla perché Niall, un attimo dopo, gli fu subito addosso, stringendolo tra le braccia e baciandolo forte. Le labbra chiuse a premere contro le sue e a imprimersi con tale forza da fargli male.

«Dimmelo Zayn» implorò sfilandogli la giacca che cadde a terra leggera, ai loro piedi, permettendogli di accarezzare le braccia nude del ragazzo che gli aveva regalato la sua vittoria personale.

Ma Zayn ancora una volta non disse nulla, gli sfilò soltanto la canottiera, le dita a tremare appena, benché si sforzasse di mantenere un minimo di lucidità per ricordare ogni particolare di quella notte.

Lo fece voltare per aderire con il torace alla sua schiena bianca e calda, sentendo ogni nervo tendersi sotto le sue mani quando queste passavano a toccare i pettorali definiti, a solcare come velieri i canali tra gli addominali alti e bassi. Sentì il basso ventre esplodere quando con la sinistra andò a tastare lascivamente la protuberanza oltre la stoffa dei pantaloncini che Niall ancora indossava, e tremò quando Niall stesso grugnì una sorta di imprecazione spingendogli contro il bacino sino a far aderire il sedere alla sua ormai erezione.

E quando il dolore pulsante divenne insopportabile Zayn iniziò a frizionare la sua voglia contro Niall che, esasperato, torse il collo inverosimilmente per mordergli le labbra e baciarlo fortissimo.

Tra le lenzuola fresche caddero entrambi, la scatola di biscotti si riversò in terra, sulla moquette morbida senza provocare alcun rumore a differenza delle toghe del letto che presero a cigolare sinistramente. 

Si annodarono, si strinsero, aderirono pelle contro pelle, risuonarono nel silenzio della notte con gli schiocchi dei loro baci, i gemiti incontenibili, i respiri pesanti e accaldati.

Si promisero tante cose, ne implorarono altrettante come quando Niall, sotto di Zayn a stringergli il bacino con le gambe, a graffiargli le spalle con le unghie e gettandosi nei suoi occhi con una disperazione sublime, lo implorò di farlo suo e di non essere neppure delicato; non doveva esserlo perché la sensazione bruciante di averlo dentro voleva provarla anche in aereo, quando sarebbe stato costretto a rimanere seduto per la durata del viaggio e il suo cuore lo avrebbe punito  per non essere rimasto in quel letto, a farsi proteggere.    

Zayn non poté accontentarlo, però, perché il bisogno di prendersi il suo tempo e di rendere indimenticabile ogni gesto era troppo forte, anche delle richieste di Niall. Per questo lo baciò prima lentamente, poi con maggiore foga sino a strozzarsi quasi quando la lingua di Niall raggiunse a sfiorare la sua ugola. E lo accarezzò piano e poi con forza, imprimendo le dita nella carne bianca che tanto aveva bramato in tutto quel tempo che li aveva visti solo scambiarsi baci e tenere carezze.

Si unirono senza staccarsi neppure un attimo, Zayn con il capo affondato nell’incavo del collo di Niall che a sua volta gli mordeva una spalla quando il dolore diventava asfissiante.
E fu tutto terribilmente doloroso, fisicamente ma soprattutto emotivamente. Tutto doleva, muscoli e ossa, soprattutto i cuori che forse, più dei corpi, non avevano smesso un solo istante di rincorrersi freneticamente sino a consumare l’asfalto dentro ai loro petti. 

Niall era scomparso all’alba, come una cometa, dopo aver brillato tutta la notte tra le braccia di quel ragazzo che si era rivelato essere la sua salvezza, perché se Niall era un guerriero, Zayn era il suo scudo, la sua armatura. Doveva diventare forte senza di lui, andare avanti e lasciarsi indietro i mostri che non gli avrebbero mai permesso di vivere appieno quel ragazzo che, invece, meritava tutto. 

Zayn si svegliò solo in quel letto, nella camera non vi erano tracce della notte appena trascorsa eccetto l’odore del bagnoschiuma di Niall che difficilmente avrebbe dimenticato, come tutto di quei giorni trascorsi con lui, d’altronde.

Non era triste, né si sentiva confuso, Zayn era semplicemente felice. Una felicità effimera, forse, eppure riusciva a dipingere nei suoi occhi scintillii di luce che non vi erano mai stati prima di allora. La stessa felicità che scolpiva agli angoli del suo sguardo piccole rughe ogni volta che sorrideva perché, mentre andava a lavoro, indossava una felpa dal cappuccio rosso che gli stava un po’ stretta sulle spalle ma che gli ricordava di chi fosse il suo cuore ogni volta che la indossava. 

Da qualche giorno, nella sua camera, era apparso un piccolo mappamondo. Sul tavolino accanto alla finestra vi era una sfera verde e blu che Zayn non faceva altro che far trotterellare su se stessa per bearsi dell’effetto ottico che una banderuola blu, puntata su di un luogo preciso, creava nelle sue iridi. Una piccola bandiera che campeggiava in un punto dell’emisfero, un luogo che ora più che mai, Zayn desiderava visitare. 
Lande verdi e sconfinate, prati in fiore e laghi da attraversare in barca, perché no… Parchi dove pattinare, paesaggi notturni e suggestivi da fotografare con gli occhi dell’anima. 
Un posto nuovo, pregno di storia e di cultura, di cose e persone da scoprire e soprattutto da vivere. 




 
/Note/
Siete sopravvissuti? Non ha senso, vero? Potete dirlo tranquillamente, non mi offendo!
Il punto è che questa storia nasce con uno scopo preciso, qualcuno qui sa a cosa mi riferisco.
Ad ogni modo, buonasera a tutti! Io sono Kikka e dio mio, non entravo qui sopra per pubblicare da circa tre mesi… più o meno.
Ci tengo a precisare che non l'ho riletta tutta perché farlo sarebbe stato come beccarsi un calcio nelle costole dopo un pestaggio mortale, visto che già scriverla mi è costata tanto (hahaha).
Non ho molto da aggiungere riguardo alla OS, oddio, non voglio farlo il che è un tantino hahaha diverso!
Spero si sia capito il messaggio che la storiella voleva trasmettere...
La tematica è delicata, lo so bene, spero di non aver toccato la sensibilità di nessuno, ho già turbato la mia haha non voglio altre anime sulla coscienza.
Scusatemi ma… davvero, non so cos’altro aggiungere quindi vi ringrazio per aver letto e se deciderete di farmi sapere cosa ne pensate, se condividerete con me le vostre considerazioni post-lettura vi inondo di cuori in anticipo! Ditemi tutto, sia qui che su twitter: @bluesidhe ♡
Ringrazio il Salmone ♡ perché alla fine è lei che mi ha infettata… Colpa sua se scrivo di questi due.
Ringrazio le mie bimbe (Ossimoro, Sophie, Sal, Cupcake ♡) che mi hanno supportato e sopportato in questi mesi di blocchi emotivi e quant’altro e niente…
Quindi, mh, vado.
Baci, tanti tanti baci.
K ♡
   
 
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