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Autore: Martina3    25/03/2014    1 recensioni
Becky Greene è una sedicenne di Holmes Chapel. Da un po' di tempo ha una cotta folgorante per un ragazzo della classe affianco alla sua. Harold Styles. Peccato che, però, egli non la degni di uno sguardo, perché attratto solo da una ragazza, Rachel Smith.
Passano tre anni e Harold diventa solo un ricordo, nonostante sia diventato una star. Becky ha anche un ragazzo, Jake. Ma un giorno, nonostante i suoi sforzi, la ormai diciannovenne non può sfuggire al destino e si trova a un palmo di naso nientemeno che Harry, Harry Styles.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VENTESIMO
 
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Me ne stavo lì, distesa, con le mani intrecciate sul ventre, fissando il soffitto. Non mi ero nemmeno tolta il vestito. Il perché non lo sapevo, probabilmente perché volevo tenermi stretta l'unica cosa che forse mi sarebbe rimasta di lui. Avevo un nodo in gola, che si stringeva sempre di più. Soffocavo ogni singhiozzo, liberandolo in un respiro profondo. Non potevo piangere, non potevo farmi sentire, ma avevo un tremendo bisogno di farlo. Sentii una lacrima scorrere a lato del mio occhio per poi cadere sul cuscino. Harry era voltato dalla parte opposta alla mia, inerme anche lui. Probabilmente dormiva. Io non chiudevo occhio, le sue parole rimbombavano nella mia mente, come un'eco lontano ma persistente. Ci eravamo promessi molte cose, quella sera. Mi chiesi se sarebbe bastato.
Sobbalzai quando sentii la sua voce: «Dormi?»
«No.», sussurrai per nascondere la voce rotta.
«A cosa pensi?»
«Tu a cosa pensi?», riuscii a mascherare di nuovo i singhiozzi a fatica.
Non rispose.
Fu lì che trasparì il pianto che incombeva. «Harry a cosa pensi?», ripetei.
Ancora nessuna risposta. Si voltò lentamente, mentre io non osavo muovermi. Il mio petto vibrò in dei singhiozzi silenziosi, a labbra strette tra loro e occhi gonfi di lacrime. 
«Piangi?», mormorò lui.
Scossi la testa freneticamente, negando l'evidenza.
«Non farlo.», disse quasi con tenerezza.
Rimasi muta ed immobile, in attesa di qualche spiegazione, di una parola che mi chiarisse le idee.
Si avvicinò a me, mise il braccio sotto il mio cuscino e con l'altro mi avvolse per stringermi forte a sé. Mi sentii protetta, lontana da ogni pericolo e da ogni male, sebbene il male in quel momento fosse lui. Liberai il mio nervoso pianto, lasciando che lui mi trasmettesse il suo affetto, e in quell'istante non mi importò in che razza di casino fossimo, mi bastavano soltanto il suo calore e il suo profumo. Mi baciò la fronte, sentii il suo respiro appesantirsi ed il suo cuore accelerare. «Non lasciarmi, ti prego.», dissi con voce strozzata. Rimanemmo lì, immobili, stretti l'uno con l'altro. Come se tutto andasse bene. 

Il mattino seguente mi svegliai, disturbata dalla voce di Harry proveniente dal soggiorno. All'inizio non capivo, ma poi tesi l'orecchio e mi misi ad ascoltare.
«Non esiste. Non puoi chiedermi una cosa simile, Simon.», il suo tono era severo, ma lui si sforzava di fare piano. «Io devo essere libero di vivere la mia vita, capisci? Non mi puoi negare la cosa più importante che ho.». Silenzio per qualche istante. «La fama?! Me ne fotto della fama, Simon! Dannazione, hai una moglie e un figlio, come puoi non capire?». «Louis ha una relazione, Liam ha una relazione, Zayn ha una relazione. Perché io non ne posso avere una?!». «Come sarebbe a dire “almeno un paio di single ci devono essere”?!». «No, Simon, non cerco di capire. Va' al diavolo, tu e tutti quei paparazzi. Sì, andate al diavolo tutti quanti.». Ci fu un lungo silenzio, tanto che pensai che avesse riattaccato. «Mi inventerò qualcosa.», sbottò infine. Sentii un forte tonfo e un lungo sospiro. E così il suo manager gli stava imponendo di rompere con me. Il tutto aggiunto al casino della sera prima. Non potevo piangere nemmeno ora, perché non doveva sapere che avevo sentito tutto. Dovevo sentirmele dire da lui, quelle cose. E avevo paura. Paura della fine. 
Mi alzai dal letto dopo qualche minuto ed andai in bagno a lavarmi. Avevo ancora l'abito blu addosso. Esitai prima di uscire, con la mano ferma sulla maniglia e il cuore a mille. Quando uscii mi diressi verso la cucina. Harry era seduto sulla sedia del tavolo da pranzo, con la fronte appoggiata sulle mani intrecciate e gli occhi serrati. Non dissi nulla, presi una tazza dalla dispensa e preparai del caffè. «Ne vuoi un po'?», chiesi.
«No, grazie.», non si mosse.
Mi sedetti dall'altra parte del tavolo, con le mani attorno alla tazza e lo sguardo basso. Silenzio. Ancora quell'odioso silenzio. Aspettavo solo lui, ancora. Stetti per dire qualcosa, ma mi bloccai in tempo. Si udiva il tic tac dell'orologio a muro, e basta. Non bevvi nemmeno un sorso del mio caffè. Non so quanto tempo stemmo lì, muti ed inermi ad aspettare chissà che cosa. 
«Forza.», dissi.
Non disse nulla, di nuovo.
«Guardami.»
Non mi guardò.
Mi alzai di scatto e andai da lui: «Ti ho detto di guardarmi.»
Sembrava in trance. Mi salì una rabbia immensa, che mi veniva da dentro, qualcosa di irrefrenabile, di implacabile. Fu allora che gli presi il viso con una mano con forza, costringendolo a guardarmi. I suoi occhi erano rossi e umidi e mi sentii un mostro per averlo trattato in quel modo, ma non poteva lasciarmi a rodere dentro in quel modo. 
«Parlami.», ringhiai.
Dalla sua bocca provenne un mugolio e una lacrima scorse sulla sua guancia. Allentai la presa e, per quale motivo non lo seppi, gli tirai uno schiaffo, forte, e rumoroso. «Harry dillo! Dillo che è finita, che non esiste più un noi. Credi che io non abbia capito, che non riesca a vedere aldilà del mio naso? Dillo senza tanti giri di parole, sarà un pugno nello stomaco, ma almeno non lasciarmi con questo peso.». Mi accorsi che avevo iniziato a piangere. Mi sentivo crudele e spietata, di fronte ad un bimbo indifeso, ma la rabbia sovrastava lo spirito di compatimento. Scossi la testa: «Ti prego.», mormorai.
Si alzò dalla sedia. Ora che i suoi occhi mi guardavano dall'alto fui io a sentirmi piccola ed indifesa.
«Meriti qualcuno che ti renda la vita più semplice, non più complicata.»
Mi venne quasi la nausea: «Oh no, non iniziare con i discorsi che fanno tutti. “Tu meriti di meglio” e tutte quelle cazzate lì. Adesso mi dirai che ci dobbiamo prendere “una pausa di riflessione”, non è così?»
«Becky io non sto scherzando. Guarda le tue labbra, sono distrutte. Pensa a ieri sera, potevi farti male di nuovo. Ed ora immagina, con Jake tutto questo sarebbe successo?»
«Non tirare fuori Jake. Lui non c'entra niente.», dissi a denti stretti.
«Lui è un ragazzo come gli altri. Io no.»
«Appunto per questo ho scelto te, perché tu sei diverso.»
«Sai che non è di quello che sto parlando.»
«Ah no? E di che stai parlando?»
«Del fatto che non permetterò che tu patisca ancora per colpa mia. Becky questo era soltanto l'inizio di una lunga agonia.»
«Quante volte ti ho detto che ero pronta ad essere forte? Quante, eh?»
«Becky...»
Lo interruppi: «Che ne è stato di tutte quelle promesse? Di quelle parole, eh? Che ne è stato? Hai già dimenticato?»
«Non ho dimenticato.»
«E allora perché mi stai facendo questi discorsi, Harry?! Io pensavo che la nostra fosse una storia solida e invece basta una spinta per far crollare tutto! Io credevo in noi, ci credevo. Tu no.»
«Ci credevo.»
«Ma ti senti? Dico, ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Il tuo discorso non sta in piedi, dici delle cose che non pensi nemmeno, ti contraddici da solo, lo capisci questo?», gridai.
Speravo ancora che potesse dirmi della telefonata di poco prima, ma nulla. Attesi qualche istante, ma non faceva altro che continuare con le sue assurde convinzioni e con i suoi discorsi insensati.
Abbassai il tono, sconfortata e con aria malinconica. «Ho sentito tutto.»
I suoi muscoli si tesero e i suoi pugni si strinsero. 
«Senti, pretendevo delle spiegazioni. E mi aspettavo tu fossi sincero con me, ma non l'hai fatto. Perché non mi hai detto tutto, Harry?»
Scoppiò. «Santo Dio Becky.», si passò la mano tra i capelli e iniziò a muoversi nervosamente, «Come potevo dirti che ancora una volta la mia fama è colpevole della nostra sofferenza?!», il suo tono alto mi colpì come uno schiaffo in pieno viso. Piangeva e gridava e io non capivo più nulla. «Io sono follemente innamorato di te, ti amo con tutto me stesso, voglio renderti la donna più felice di questo pianeta, voglio costruire la mia vita con te, sposarmi e avere dei figli da te. Ma non posso darti tutto questo. Perché io sono “Harry Styles” e basta, sempre disponibile per tutti, impossibilitato a fare qualsiasi scemenza perché punto di riferimento per milioni di giovani, costretto a fare quello che mi dicono e ad essere come loro mi vogliono dipingere alla gente. E' vero, quella telefonata a cambiato le cose, ma se non ci fosse stata... io non credo che la mia decisione sarebbe stata molto diversa.», la sua voce era diventata più calma e bassa, ma non smetteva di piangere.
«Harry è finita?»
Chiuse gli occhi, che traboccarono di lacrime. In quell'attimo, in quella frazione di secondo, sebbene sapessi già la risposta, non riuscii a sopprimere quel barlume di speranza, che si spense al suo: «E' finita.»
Mi crollò il mondo addosso, mi sentii impazzire. Mi mancò il respiro e dovetti appoggiarmi al tavolo. Istintivamente si fece avanti per aiutarmi, ma scossi la testa. Corsi goffamente in camera per lo scomodo vestito a farmi la valigia, mi asciugai gli occhi freneticamente, cercando di non pensare a nulla. Come si fa a non pensare a nulla? Cercavo di scacciare ogni ricordo, ogni pensiero, me lo imponevo e ci stavo riuscendo anche abbastanza bene, ma poi incappai in quelle foto e mi sentii morire. Decisi di lasciarle sul comodino, non potevo portare un ricordo tanto grande con me. Come se bastasse quel misero gesto per aiutarmi a dimenticare. Già parlavo di “dimenticare”, ridicolo. Quando ebbi preso tutte le mie cose andai verso l'entrata e mi sforzai di non guardarlo, non potevo. Senza aspettare un secondo di più aprii la porta ed uscii di casa. I singhiozzi mi bloccavano il respiro ed ora potevo dare libero sfogo al mio pianto disperato. Aprii l'enorme cancello, dove chiaramente c'erano ancora i paparazzi. Un vociare confuso si destò non appena varcai la soglia. Non ascoltai nemmeno una parola di quelli che si avventarono su di me, ma mi limitai ad avanzare con passo deciso, portando il mio pesante bagaglio. Non era l'unico peso che avevo con me. La folla mi seguì fino alla fermata dei taxi, dove mi fiondai non appena uno si accostò al ciglio della strada. «Aeroporto.»
L'auto partì ed io presi il mio portafogli per contare quanti soldi avevo. Mi sarebbero bastati proprio per un pelo. La gente si girava a guardare la ragazza dall'abito blu sgualcito che correva da ogni parte, una specie di Cenerentola in fuga dal palazzo. Ci volle un'oretta per arrivare a destinazione. Pagai il tassista e scesi di corsa per dirigermi in fretta verso il check-in.

Salii sull'aereo cinque ore dopo. Non mi sentivo più nemmeno una persona, soltanto un corpo vuoto senz'anima, che vagava senza meta e senza scopo. Mi chiesi perché stessi volando su quell'aereo. Per cosa lottavo? Per cosa andavo avanti? Non lo sapevo, agivo d'impulso e basta. 
Il viaggio fu noioso e senza fine, rimasi per tutto il tempo nella stessa posizione, guardando il sedile davanti al mio, sempre lo stesso punto fisso. Non avevo più pianto, ma non pensavo ad altro che a lui. Quando sbarcai in Inghilterra era notte fonda. Tra una cosa e l'altra arrivai a casa che era l'alba. Vidi che la luce della cucina era accesa, mia madre era già sveglia. Suonai il campanello senza neanche pormi il problema di cosa le avrei detto. Per me poteva succedere qualsiasi cosa, non mi importava niente di nulla. 
«Amore mio... Che ci fai qui?». Mi guardò dalla testa ai piedi. Chissà quante domande avrebbe voluto farmi. In effetti mi ero presentata all'alba, con un sontuoso vestito, in lacrime, proveniente dall'altra parte del mondo.
«Non chiedermi nulla. Fallo per me. Ti scongiuro.»
Scioccata, mi aprì la porta e mi lasciò entrare. Andai in camera mia senza nemmeno togliermi l'abito e sistemare le mie cose. Mi gettai sul letto.


Spazio autore: salve a tutti! annuncio che il prossimo sarà l'epilogo, ovvero l'ultimo capitolo di questa ff. perciò, godetevi queste ultime righe! xx
  
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