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Autore: EmmaStarr    25/03/2014    6 recensioni
C'era odore di pioggia.
Non era un odore di pioggia normale, però: aveva un non so che di dolce, fruttato, quasi pungente. Sì, era decisamente una pioggia fresca, una pioggia buona.
Aveva sonno, ma quell'odore lo incuriosiva. Provò aprire gli occhi, davvero, ma era come se il suo corpo non rispondesse. Dove si trovava?
* * *
Luce verde continuava a venire, di notte e di giorno, e a volte parlava. Chiedeva sempre una cosa sola: – Svegliati.
Era una richiesta, non un ordine. Ed era triste. Fu quella la prima volta in cui ci provò sul serio, in cui si impegnò con tutto se stesso per svegliarsi davvero, perché era una richiesta troppo triste.
Voleva svegliarsi. Si stava svegliando, aveva quasi aperto un occhio quando subentrò un'altra voce. – Scusami...
Scusami se non mi sono fatto salvare.
* * *
Accadde in un giorno grigio. Quella voce – la voce che diceva grazie e scusami, la voce che più di tutte sentiva di dover dimenticare – disse un'altra cosa, una cosa grande e spaventosa.
Disse Addio.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Mugiwara, Portuguese D. Ace
Note: Nonsense, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Illusion {waiting for the rain}




 

C'era odore di pioggia.

Non era un odore di pioggia normale, però: aveva un non so che di dolce, fruttato, quasi pungente. Sì, era decisamente una pioggia fresca, una pioggia buona.

Aveva sonno, ma quell'odore lo incuriosiva. Provò aprire gli occhi, davvero, ma era come se il suo corpo non rispondesse. Dove si trovava?

Oh, non importava, lì stava bene. Non era al buio, anche se aveva gli occhi chiusi: era al sicuro. E poi, in fondo, cosa cambiava? C'era odore di pioggia.

Voci. Voci ovattate e confuse, voci spaventate. Cosa c'era da essere spaventati? Lui non era in pericolo, stava bene, lui...

Una voce, più spaventata delle altre, più tesa. Il suo nome, pronunciato con ansia, con impazienza, con paura. Cosa stava succedendo? Perché la voce aveva paura?

Stava per piovere, ormai era questione di istanti: ora, però, oltre all'odore di pioggia e a quello un po' più dolce e pizzicante che non sapeva identificare ce n'era un altro più acre, più cattivo, più spaventoso. Forse... polvere da sparo? No, più ferroso, più liquido, più brutto.

Non voleva ricordare.

Iniziò a sentire un leggero velo d'inquietudine. Cosa stava succedendo? Sperò che le voci se ne andassero: stava bene, prima che arrivassero loro: non c'era nessun problema. Non era neanche al buio, c'era questa specie di luce blu. Blu come il mare.

Il mare!

Ma certo, come aveva fatto a dimenticarlo? Poco prima di essere lì, era in mare. No, forse non proprio, però vicino. C'era una grande piazza, piena di gente, tantissima gente. Un po' buoni e un po' cattivi, e più su, in alto... no, non ricordava più tanto bene. C'era il mare, questo sì. Sentiva di amare moltissimo il mare, nessun dubbio in proposito, ma il resto... era una bolla di sapone: evanescente. Fragile. Le voci si facevano sempre più lontane, anche quella che l'aveva chiamato prima. Ebbe l'impulso di rispondere, di dire che no, non dovevano andarsene. Di chiedergli di restare. Eppure sentiva che era giusto così, che aveva scelto lui questa situazione.

E poi stava per piovere, quindi andava bene, no?

Mosse una mano. Se ne accorse, perché fu come essere sbalzati fuori dal proprio corpo. Oppure dentro, davvero, era difficile a dirsi. Aveva solo sentito qualcosa di bagnato caderci sopra (ma non era pioggia, non pioveva ancora), e aveva reagito così, di riflesso. Le voci si erano fatte più forti, più forti, poi di colpo scomparvero.

 

* * *
 

Odore di tè, misto all'odore della pioggia.

Tè nero, caldo, avvolgente. Ne avrebbe voluto un sorso, sì, ne avrebbe voluto un po'.

La luce non era più blu, adesso: era un po' più calda, gialla, quasi arancione. Ancora, non riusciva ad aprire gli occhi: probabilmente aveva fame. Davvero aveva fame? Non ne era sicuro, era tutto un po' confuso. Quando si sarebbe messo a piovere? Non doveva mancare molto, ormai.

La stessa voce che l'aveva chiamato prima – quanto prima? Un'ora, un giorno, un anno? Una vita prima? – pronunciò forte il suo nome, in maniera rude, velocemente, come se gli costasse fatica. Gli chiese di alzarsi.

Lui si sarebbe alzato, sul serio, ma non ce la faceva. Un'altra persona – era un'altra, lui lo sapeva – cercava di farlo mangiare. Qualcun altro ancora lo visitava. Una donna leggeva un libro ad alta voce. Erano tanti, erano intorno a lui, e sapeva che erano tutti. Anche se non li sentiva parlare, sapeva che c'erano. Sentiva di conoscerli, in qualche modo, e sentiva di essere al sicuro in loro compagnia.

Eppure davvero, non poteva alzarsi. Forse non voleva nemmeno, dopotutto: era stato lui a scegliere di finire lì così, no? Di questo era certo: gliel'avevano chiesto, e lui aveva risposto di sì. Aveva deciso di rimanere in quelle condizioni, anche se non ricordava perché. Aveva volontariamente scelto di dimenticare, no?

Quindi davvero, che smettessero di essere tristi e di parlare di tristezza e di odorare di tristezza e di emanare tristezza. Lui stava bene, era felice: stava per piovere, no?

 

* * *

 

La luce era rossa, e questo non andava per niente bene.

Il rosso non andava bene, no, no e poi no. Non sapeva perché, era strano, eppure ne era assolutamente certo: non voleva vederlo, non voleva assolutamente vederlo. Rosso sulle mani, sui vestiti, dappertutto. Rosso sulla bocca, una bocca sporca di rosso che non doveva essere lì.

Grazie.

Altro rosso, rosso sbagliato, rosso fuori posto. Non voleva sentire quella parola, non voleva sentire quella voce. Tutto, ma questo no.

La colpa, realizzò un istante dopo, era delle voci di prima, delle persone di prima. Lo stavano tirando indietro, non era quello che aveva desiderato quella volta. In quella piazza. Quella piazza rossa... no, non era rossa, non tutta. Non sempre. Solo ad un certo punto era diventata tutta rossa, tutta spaventosa e orribile e vuota, vuota... Vuota di quella voce. Quella voce non c'era più, quindi perché doveva sentire ancora le altre?

La luce era ancora rossa, e davvero, non ce la faceva più.

Stava gridando? Era la sua voce, quella? Sperò con tutto il cuore che iniziasse a piovere. Con la pioggia sarebbe finito tutto, lo sapeva. Tutto.

Il rosso se ne andò, e non capiva bene perché ma ne era felice, grato. Ancora le voci di prima. La voce che leggeva. Quella che lo visitava. Quella che cucinava. Quella che cantava. Quella che diceva sempre “Super!”. Quella che sgridava. Quella che si spaventava sempre. E quella che l'aveva chiamato prima.

Erano tutte lì, avevano mandato via il rosso: era tornata una luce chiara, pulita, soffice. Voleva sorridere, voleva ringraziarli, ma non poteva muoversi. Aveva deciso così, no? Se si fosse mosso, non sarebbe più potuto tornare indietro: avrebbe visto il rosso e sarebbe stato investito dalla consapevolezza che il rosso portava con sé. Il rosso non perdonava, era troppo brutto. E, se si fosse mosso, avrebbe addirittura ricordato perché.

Ma per il momento non c'era più nessun rosso, e lui non gridava più, e per la prima volta si ritrovò a sperare che la pioggia tardasse ancora un po'.

Non voleva andarsene adesso: ancora un po', ancora un po'.

 

* * *

 

Il tempo passava, e per quanto l'odore della pioggia fosse forte ancora non pioveva, non pioveva.

Luci blu come il mare si alternavano a luci verdi e arancioni e gialle e di tanti altri colori di qualcosa che conosceva e che amava ma che non ricordava.

A volte si chiedeva se non fosse meglio alzarsi e ricordare, perché in fondo sembrava non esserci niente di male, là fuori. E tutti parevano tristi. Sentiva che, alzandosi, sarebbero stati più felici.

Ma non poteva farlo, giusto? Aspettava la pioggia. Gli era stato promesso, giusto?

Dimenticherai. Non ti muovere e dimenticherai tutto. Se vuoi che finisca, aspetta la pioggia.

Lui voleva dimenticare, quando aveva accettato, voleva che finisse. Se lo ricordava, c'era un odore fruttato nell'aria misto a pioggia e a qualcosa di orribile che non poteva descrivere se non come rosso. Poi erano arrivate le voci, l'avevano portato via dalla piazza – la piazza azzurra o rossa o piena o vuota ma comunque un posto da cui voleva a tutti i costi scappare – ed ora era un alternarsi di luci diverse.

E lui iniziava a ricordare, soprattutto la notte: la notte, a volte, arrivava la luce rossa. E allora urlava, e sapeva, perché lo sapeva, che subito le altre luci sarebbero arrivate. La luce verde, soprattutto, era quella che più riusciva a calmarlo: non sapeva come facesse, solo che quella luce verde aveva un modo tutto suo di stargli vicino senza dire niente. Non serviva più sentire la sua voce, anzi, non parlava quasi mai. Bastava che ci fosse, e poteva vedere la sua luce farsi strada dentro di lui.

Erano quelli i momenti in cui si chiedeva se forse, ma solo forse, non sarebbe stato meglio svegliarsi. Perché la luce verde, a volte, quando credeva che nessuno lo vedesse, piangeva. Lo sapeva perché i suoi contorni tremolavano troppo, quando gli si avvicinava.

E capitava che, quando la luce verde se ne andava via, si ritrovasse un po' bagnato. Ma non aveva ancora piovuto.

 

* * *
 

Le voci parlavano sempre meno, sempre meno con lui, sempre meno tra di loro. A volte si fermavano, poi ripartivano, e lui non sapeva come ma lo percepiva. Erano in mare.

La luce rossa a volte riappariva, e le aveva dato un nome: sangue. Faceva un po' meno paura, così.

Solo che, appena aveva trovato questa parola nei meandri della sua mente, era apparsa anche una domanda: sangue di chi?

E davvero, davvero, lui non poteva, non voleva rispondere a questo.

Luce verde continuava a venire, di notte e di giorno, e a volte parlava. Chiedeva sempre una cosa sola: – Svegliati.

Era una richiesta, non un ordine. Ed era triste. Fu quella la prima volta in cui ci provò sul serio, in cui si impegnò con tutto se stesso per svegliarsi davvero, perché era una richiesta troppo triste.

Voleva svegliarsi. Si stava svegliando, aveva quasi aperto un occhio quando subentrò un'altra voce. – Scusami...

Scusami se non mi sono fatto salvare. Sapeva già come continuava quella frase, lo sapeva ma non voleva sentirlo. Come quando aveva detto grazie. Era grazie per avermi voluto bene. Ma non voleva bene alla voce, no, la voce gli faceva solo paura.

Richiuse gli occhi. Non poteva ricordare. Non poteva e basta.

Luce verde sospirò e se ne andò, e lui si sentì morire dentro. Perché non pioveva ancora? Non ne poteva più.

 

* * *

Accadde in un giorno grigio. C'era odore di pioggia e di tempesta, una tempesta fredda che muoveva la nave avanti e indietro.

La luce era grigia, triste. Sì, triste. Aveva un nome anche per questa tristezza: morte.

Sì, ma morte di chi? E ancora, non voleva sapere. Aveva contato otto luci diverse, su quella nave (era una nave, una nave, la sua nave? Una nave che sapeva di casa e di alberi, di legno nuovo e di acqua salata, di risate e di sole. Una nave di sogni. Non voleva svegliarsi). Otto luci diverse, otto sfumature, come dietro un vetro colorato. A volte gli sembrava quasi di intravedere delle forme – o erano ricordi?

Accadde in un giorno grigio. Quella voce – la voce che diceva grazie e scusami, la voce che più di tutte sentiva di dover dimenticare – disse un'altra cosa, una cosa grande e spaventosa.

Disse Addio.

Non doveva dirlo, non l'aveva mai detto, ma lo disse e un tuono squarciò l'aria. – Devo andare. – disse la voce. – Vieni con me?

Tutte le luci si catapultarono lì, come se avessero capito, come se avessero sentito. Prima che potesse anche solo comprendere ciò che gli era stato detto, sentì una cosa che lo lasciò senza fiato, sconvolto: sul suo viso si era posata una singola, piccola goccia d'acqua. Aveva iniziato a piovere.

E adesso cosa faceva? Andava o restava?

Andare significava grigio. Morte. La sua, sì, però anche quella della voce che diceva grazie e scusami e che se ne stava andando.

Luce verde mormorò un nome, e non era il suo e nemmeno il nome di qualcun altro là dentro, questo lo sapeva. Disse “Ace”. Disse “è venuto a prenderlo”.

Ace, sì, Ace. Quella voce aveva un nome e il suo nome era Ace. Era di Ace l'odore buono che aveva sentito quel giorno in piazza subito dopo aver dimenticato, era Ace! Insieme a quelle tre lettere affiorarono tante immagini. Due bambini, no, erano tre? Una casa sull'albero. Una tigre. Tre bastoni. Un bastone in meno, una lettera... lacrime nascoste da un cappello – il mio cappello? Dov'è? Era la prima volta che ci pensava da quando era lì... O ci aveva già pensato luce verde, posandoglielo sul capo? Ace. Un sorriso, grande, forte, senza paura. E delle lentiggini, vivaci, allegre. Sei contento che io sia vivo?

Ace. Un cappello arancione e un tatuaggio sulla schiena. Ace. Un sorriso e una sfida a braccio di ferro. Ace. Il tramonto e un pezzetto di carta. Ace. Una prigione e un'esecuzione.

Ace. Un ultimo sorriso e sangue sulle mani.

Si agitò. No, così non vale! Stava ricordando. Anche se aveva iniziato a piovere. Non erano questi i patti, giusto? Dimentica. Dimentica fino alla pioggia. Se vuoi che finisca, aspetta la pioggia. Doveva finire, no? Finire insieme ad Ace, giusto?

Ma c'erano loro. Quelle luci. La luce gialla che gli portava da mangiare, che sapeva di fumo e di tè. La luce arancione dalla voce dolce, che sapeva sempre di mandarini e una volta gliene aveva lasciato uno tra le mani, piangendo. La luce marroncina che parlava di nuovi scherzi e che gli portava strane invenzioni e che gli raccontava storie. Quella rosa pallido che lo visitava di continuo e cambiava le bende e parlava piano, tremando. C'era anche la luce viola che leggeva, leggeva fino a consumarsi la voce e lo faceva per lui, solo per lui. E la luce azzurra che sapeva di olio di motore e di coca, e quella nera che non faceva che cantare... E la luce verde, la luce verde che c'era, c'era quando ne aveva bisogno e non serviva che la chiamasse perché c'era sempre: come poteva abbandonarle tutte?

Per andare dove?

– Addio.

No. No, Ace, non ancora, no.

– Devo andare.

Ti prego, ti prego, no! Non vale, ero venuto per salvarti, Ace! Non andare... non lo vedi che piove?

– Ho solo un rimpianto... – Il mio sogno. – Non potrò vederti realizzare il tuo sogno.

Che sogno? Te ne stai andando, cosa c'è di più importante?

– Devo andare.

Non esiste, non puoi. Per favore, Ace. Non lasciarmi solo.

La luce verde si alzò di colpo, con decisione, con impazienza, con preoccupazione. Con paura. Lo chiamò di nuovo, gridando il suo nome.

Uno a uno, anche gli altri si alzarono e lo chiamarono. Disperatamente, con forza. Non lasciarci soli.

Il volto di Ace sorrise danzando davanti ai suoi occhi. – Vedi? Non ti sto lasciando da solo.

Devi andare. – Devo andare.

Non vengo con te. – Non vieni con me.

Perché mi hai fatto dimenticare tutto? Si sono spaventati. – Per vedere quanto ci tenevi.

Ho aspettato la pioggia. Avevi detto che sarebbe finito tutto, con la pioggia. – Sta finendo. Decidi tu come.

Non posso venire. – Non puoi venire.

Mi dispiace. – Ti voglio bene.

Grazie.

 

* * *

 

C'era odore di pioggia. Come un vetro appannato, vedeva solo luce bianca: era al sicuro, ancora per un istante. Però era pronto, era pronto davvero. Pioveva. Goccia dopo goccia, oltre quel vetro bianco ed evanescente le forme si facevano più distinte.

Uno ad uno apparivano i volti dei suoi compagni, spaventati e indeboliti ma , davanti a lui, veri e luminosi.

Sbatté due volte le palpebre. – Scusate... scusate se ci ho messo tanto. – disse piano. La voce usciva ancora, anche se era un po' roca. Abbozzò un sorriso.

I volti dei suoi compagni erano sempre più luminosi. Erano tutti lì, lì per lui. D'accordo, Ace non c'era più, ma non era da solo. Non lo sarebbe mai stato.

– Bentornato, Capitano.

 




















 
Angolo autrice
Va bene, se non avete capito niente non preoccupatevi, faccio fatica io.
Facciamo un po' d'ordine... questa shot si svolge in un ipotetico momento subito successivo a Marineford (la "grande piazza") in cui i Mugiwawra hanno recuperato Rufy e se lo sono portato dietro. Rufy rimane svenuto e non si muove, e non parla, perché "ha dimenticato". Ace gli ha fatto dimenticare. Fino alla pioggia.
"Luce verde", "Luce gialla" e gli altri sono i Mugiwara, (e provate ad indovinare a chi corrispondono i vari colori, su) perché sono la sua luce, non dite che non è vero.
E alla fine... insomma, si è capito. Spero.
Seriamente, ringrazio tutti quelli che sono arrivati fino a qui. È la prima volta che scrivo una storia del genere (shot senza dire neanche una volta il nome del protaginista: fatto. Shot senza usare neanche una volta una parola che il correttore automatico sottolinerà: fatto. Sono seriamente soddisfatta del mio operato). Ho cercato di rendere al meglio la reazione di un Rufy in queste condizioni, che non ha potuto sfogarsi con Jimbe e ha preferito dimenticare (in un momento di debolezza, subito dopo la morte di Ace, ci può stare). Mi è piaciuto descrivere dal suo punto di vista quello che sente intorno a sé, come pian piano inizia a ricordare e come, soprattutto, tutti i Mugiwara sono intorno a lui.
E quindi niente, grazie a tutti per aver letto; se mi lasciaste un commento ve ne sarei estremamente grata! ^^
Un abbraccio, vostra
Emma
  
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