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Autore: ladymad    26/03/2014    0 recensioni
Rimasi a meditare seduta al mio banco. Anche Rosie era andata via ormai, e chiunque altro dotato di coscienza e amor proprio sarebbe scappato da quel carcere al suono della campana. Io no. Io ero turbata dai miei mille pensieri, dalle mie mille malinconie, dai miei mille fastidi,dalle mie mille paure. Io ero rimasta a fissare il vuoto.
Mi recai in palestra prima di tornare a casa; lo facevo sempre ogni venerdì dopo le lezioni da quando andavo al liceo, quando tutti erano andati via. Tolsi la maglia,rimanendo in top e indossai un pantaloncino. Iniziai a strecciare i muscoli,a saltare,e infine, come di procedura, salii sulla trave. Slanciai le gambe,il collo,le braccia in una danza piena di emozione e passione. Grandi lacrime iniziarono a rigarmi il viso bianco,e tutto divenne un misto di confusione,rabbia,solitudine e angoscia. Continuavo a destreggiarmi come mossa da un filo,come fossi un burattino, inconsciamente. Un rumore portò la mia mente alla realtà, come se qualcuno fosse lì a scrutare i miei movimenti. Tutto iniziò a riprendere colore..
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chaz, Justin Bieber, Nuovo personaggio, Ryan Butler
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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“Siamo tutti governati dal destino.
C'è un mondo oltre questo mondo nel quale siamo tutti collegati e tutto fa parte di un grande piano in costante mutamento.
Viviamo circondati dalla magia...bisogna solo osservare, osservare, osservare con attenzione, poiché anche il tempo e la distanza sono diversi da come appaiono.
Siamo tutti collegati.
-Storia d’inverno.”
 
Coincidences
 
Stavo alla finestra ad ammirare la pioggia scendere,il vetro appannarsi ad ogni mio respiro,con una tazza di tè fumante tra le mani. Era venerdì sera,pioveva a dirotto da quando ero tornata a casa,dopo scuola, e la mia già scarsa voglia di uscire era completamente stata frantumata dal cattivo tempo,così avevo deciso di restare in casa con zia Ginny,tra le morbide coperte,sul divano, a guardare qualche commedia romantica e mangiare popcorn.
Ginny era la sorella minore di mia madre, circa 10 anni più grande di me,ecco perché la consideravo più un amica che una stretta parente; si era presa cura di me dopo la morte dei miei genitori e con lei avevo trascorso tutta la mia adolescenza. I primi 3 anni dopo la morte dei miei li avevo passati in orfanotrofio,lei non era ancora laureata e non poteva mantenermi; così,dopo la sua laurea,conseguita prima, lei aveva iniziato a lavorare per il giornale locale ed io ero andata a vivere tra le sue mura,nell’amore di quella casa che aveva visto nascere mia madre, vecchia e impregnata di ricordi. Li avevo potuto ricostruire la mia vita,nuovi amici,nuova scuola,nuovi luoghi,nuovi attimi da ricordare. Ed ero diventata quello che ero,la ragazza coi capelli rossi e gli occhi del colore del cielo che piove,che piange,la ragazza forte e fragile allo stesso tempo,la ragazza con tanti problemi per la testa,la ragazza con gli amici che l’aiutano sempre,la ragazza che sa sorridere,nonostante di motivi per farlo ne abbia pochi.
<<Pronta per una serata tra donne?>> zia Ginny esordì, poggiando una ciotola di popcorn nel tavolino davanti al divano e le coperte su di esso, con un magnifico sorriso che non potei non ricambiare. Il suo amore era quello che mi bastava per essere discretamente felice, era ciò che mi dava forza,la mia sicurezza.
<<Cosa preferisci tra ‘Se scappi ti sposo’ e ‘Mia moglie per finta’ ?>>risi mostrandole le custodie dei due dvd tra i quali avrebbe dovuto scegliere.
Il camino era acceso,la casa riscaldata,i pop corn caldi e iniziammo a guardare il dvd che Ginny aveva scelto,ridendo e scherzando,sotto le coperte,con una tazza di cioccolata e marshmallow,come due persone che si vogliono immensamente bene. Aveva la stessa risata di mia madre,lo stesso sorriso, e per un attimo fu come vivere di nuovo i vecchi momenti,come averla di nuovo accanto ad abbracciarmi,a parlarmi,a rassicurarmi, a vivere. 

JUSTIN’S POV
 
L’avevo vista. Finalmente l’avevo vista. Ed era dannatamente bella,era come rivivere il passato,era un perfetto dejà vu,una vecchia fotografia.
E la mia mente aveva preso a sognare,a rivivere, nel momento in cui l’avevo vista. Non mi importava nient’ altro che conoscerla, dovevo farlo. E ci sarei riuscito.
***
Varcai la porta d’ingresso e potei notare che niente era cambiato, era tutto come quando ero andato via,fuggito dai problemi e dalla città che mi aveva visto crescere e che con tanto rigetto mi mandava via a causa della mia natura.
Mi avvicinai alla credenza e scovai una vecchia bottiglia di scotch,la afferrai e ne versai il contenuto in un bicchiere contenente ghiaccio in cubetti. La sorseggiai seduto su una poltrona davanti al camino,ripensando a lei. Si era accorta della mia presenza,avevo riportato la sua mente alla mia attenzione, e avevo potuto scorgere il suo viso bianco latte rigato da mille lacrime,gli occhi gonfi e rossi per il pianto. Si divertiva ad auto infliggersi dolore,a soffrire,a continuare a riaprire una ferita anziché sanarla del tutto. Mi spinse a pensare che forse era diversa da Beth, forse era migliore. Ma le supposizioni non sono verità.
Sentivo il liquore bruciare in gola e la mia mente iniziò a fantasticare,riportandomi ai tempi andati,tempi bui che con tanta facilità non avrebbero dovuto emergere.
Una presenza alle mie spalle fece ritornare la mia mente ottenebrata dai ricordi al presente: erano Chaz e Ryan,i migliori da ormai due secoli,fedeli come fratelli; erano loro la mia famiglia,tutto quello che mi restava, eravamo inseparabili,come legati da corde; qualunque strada prendessero le nostre vite sapevamo che ci saremmo rincontrati e, come guidati dall’istinto,sapevamo che ci bastava chiudere gli occhi e ritrovarci insieme. Quantomeno l’eternità è meno scabra e inutile se hai qualcuno con cui passarla e che sei certo non ti tradirebbe mai.
Sorrisi,alzandomi dalla poltrona in pelle nera, correndo ad abbracciarli. Ci eravamo separati nel 1987 e ognuno aveva deciso di prendere le sue valigie e andare dove il vento lo spingeva,verso nuovi posti,nuovi luoghi,nuove città,nuove persone,nuove culture. E adesso eravamo di nuovo a casa,nel nostro presente macchiato di passato,in attesa di un futuro di un'unica tinta,che magari per me avesse il colore di Scarlett.
<<Leesburg sembra dover ancora avere a che fare con i tre ragazzacci>> esordì Chaz,facendo l’occhiolino e io e Ryan non potemmo che ridacchiare,mentre ci stringevamo tutti e tre in un caloroso abbraccio. Ci sedemmo sul divano,raccontandoci della nostra vita negli ultimi anni, bevendo bourbon  invecchiato nella credenza e ridendo degli sfortunati e tipici accaduti di Chaz.
<<Tu come mai sei a casa invece? Cioè,cosa ti ha spinto a tornarci?>> mi chiese Chaz, mentre insieme a Ryan attendevano frementi una risposta alla domanda. Sorseggiai dal mio bicchiere e,poggiatolo sul tavolino risposi:<<Mi mancava, avevo tanta nostalgia e voglia di tornare e scoprire cos’è cambiato. E magari cos’è ancora uguale.>> mentii,sorridendo affabile, e sembrava quasi ci avessero creduto. Se avessi raccontato che ero qui per incontrare il sosia della ragazza che mi aveva vampirizzato (e che avevo amato),mi avrebbero dato del matto sicuro.
<<Effettivamente mancava anche a me sentirmi a casa. Sai com’è, vagare per due secoli ti fa capire che puoi conoscere il mondo meglio delle tue tasche,ma non sarà mai come il tuo paese.>> la risposta di Ryan era azzeccata e profondamente vera,niente era eguale alla propria dimora; nemmeno Parigi,con la Tour Eiffel e il Moulin Rouge del 1900;o Londra,illuminata dal progresso,con le luci bianche del Tower Bridge e la ruota panoramica ,sulla quale sembrava di poter raggiungere il cielo; e che dire poi dell’Italia,che sprizzava arte,culture antiche e intrecciate tra loro e grandi e secolari costumi da ogni dove. Niente sarebbe stato comunque come la mia casa.
La nostra serata procedette tranquilla e fu piacevole; ci addormentammo seduti sul divano,quasi ubriachi,con la bottiglia di whisky mezza vuota sul tavolino di mogano scuro e i visi felici di ragazzi che cercano evasione da una realtà quasi paradossale; forse cercavamo di scrollarci di dosso due secoli di esistenza e tragici eventi,incontri sfortunati e gioie,dolori,amori e forti emozioni. Certo,per qualche ora.
 
SCARLETT’ POV

Il sabato mattina di solito era il giorno della settimana che più di tutti apprezzavo: uscivo presto di casa,passeggiando per le vie alberate del centro,con il vento fresco di prima mattina che si strusciava delicatamente sul mio viso; poi mi dirigevo in biblioteca, con una ciambella glassata e mi immergevo nei libri,mi ci tuffavo,assaporando le parole e le emozioni dei personaggi fantastici,le loro storie,i loro amori passionali,i baci fugaci e i rapporti corrosi,consumati e poi ripresi. Mi ci perdevo completamente forse perché avevo sempre sognato di vivere come le dame d’ottocento, in mezzo a sfarzosi balli e amori carnali, forse perché le persone dei libri sono più vere pur essendo inventate, forse perché le loro storie hanno un lieto fine o forse perché la mia storia non era per niente uguale alla loro; e io ci speravo che lo fosse,che fosse diversa dalla realtà,da quello che era. Speravo che fosse felice.
Alle 6.50 la sveglia suonò riportandomi nel regno dei non vegetali e,riposata, mi alzai e decisi di fare in fretta,impaziente di perdere i sensi in mezzo a pagine giallastre. Feci una doccia e indossai una tuta, legai i capelli in una coda e sciacquai il viso,decidendo di uscire senza trucco.
Zia Ginny era ancora distesa sul divano che dormiva tranquilla, dopo la notte trascorsa a guardare il film e mangiare schifezze. Fortunatamente era sabato e avrebbe potuto riposare tranquilla.
Scesi le scale silenziosa,presi le chiavi e il mio cellulare e li infilai nella borsa,indossai le cuffiette  e mi incamminai spedita verso il centro. Il sole era ancora fioco e il vento leggero ma pungente. Ascoltai musica isolandomi dal mondo,con le mani strette in tasca e ciuffi di capelli che mi disturbavano la vista di tanto in tanto,mossi dal vento.
Ripensandoci non è che il sabato fosse diverso dalle altre mattine,piene di lacrime e sensi di colpa,fastidiosi ricordi,appuntiti e taglienti come lame; la tristezza c’era,era sempre con me, solo che non dovevo sorbirmi 8 ore di lezione in aggiunta ai miei problemi personali. La verità è che la mia vita era vuota come me,dopo la morte dei miei, e avrebbe continuato ad esserlo fino a che non lo avrei superato e accettato,fino a che qualcuno non mi avrebbe riempito le giornate di felicità, fino a che non sarei stata in pace con me stessa. Per ora la situazione era sempre questa,sempre statica, sempre la stessa merda.
Arrivai davanti al bar ed entrai,ordinando la solita ciambella con la glassa rosa da portare via e un cappuccino con doppia dose di zucchero; preferivo almeno in questi casi evitare l’amaro in bocca. Dopo aver rivolto un cordiale saluto alla commessa, uscii e mi diressi in biblioteca, salutando la donna con gli occhialoni grossi seduta dietro al bancone all’ingresso e dirigendomi alla sezione dei romanzi che ero solita scegliere.
Tolstoj ,ci capitai davanti per caso e mi misi a scrutare i libri in questa sezione,toccandone il dorso e leggendone i titoli,accarezzando con l’immaginazione ciò che avrebbero potuto narrare. Con gli occhi chiusi mi soffermai su uno di essi: Anna Karenina. Provai ad immaginarne la storia,gli intrighi amorosi e le sale immense,adornate da magiche luci e sfarzosi lampadari di cristallo. Quanto avrei voluto vivere in un epoca così. Quanto avrei voluto che l’atmosfera che avvolgeva le mie giornate fosse colorata,e non sempre lo stesso opaco, monocromo e triste grigio.
Sporsi delicatamente la mano verso il ripiano impolverato per tentare di prendere il libro,sedere e divorarlo,gustando la ciambella e il mio cappuccino in santa pace nell’ultimo tavolo in fondo alla biblioteca,dove non si soffermava mai nessuno. Mentre afferravo il dorso del libro, incrociai la mano di qualcuno, qualcuno che voleva rubare la mia scelta,che per circa dieci minuti avevo assaporato mentalmente e che era divenuta mia conquista, gelosamente custodita, per la prossima settimana: non ne aveva il diritto.
Mi voltai verso la persona che nel frattempo aveva ritirato la mano e che con aria quasi imbarazzata si sfregava la nuca,fissandomi,quasi volesse leggermi nel pensiero.
Rimasi per circa mezzo minuto a fissarlo, tuffandomi nei suoi occhi di caramello, osservando i suoi capelli color miele e la sua maglia aderente color crema,che lasciava trasparire il fisico da atletico. Sembrava perplesso e, con la faccia interrogativa,piegò leggermente la testa di lato; magari ti sta dicendo che sei rimasta immobile a fissarlo per troppo tempo,idiota. La mia voce interiore non tardò ad entrare ancora una volta in scena,riportandomi alla realtà dopo la figura di merda appena fatta.
<<Ho per caso dei baffi disegnati in faccia?>> esordì permettendomi di constatare che anche lui si era accorto del fatto che per un minuto avevo potuto analizzare ogni suo particolare;arrossii e abbassai di poco la testa,mentre lui emise un lieve risolino per la mia reazione da ragazza timida e insicura.
<<Beh, abbiamo scelto lo stesso libro. Sai, non capita spesso che qualcuno si avvicini alla sezione dei romanzi e degli scritti più antichi. Soprattutto se si tratta di qualcuno di sesso maschile>> ribattei,fissando i miei occhi nei suoi,tornando al mio solito pallore e mostrando una disinvolta sicurezza.
<<Allora mi sa che tu debba rivalutare le tue statistiche e constatazioni. Non sei l’unica a cui interessano i libri ingialliti>> mi fece l’occhiolino,incurvando le labbra in un quasi sorriso,mettendo le mani in tasca e poggiando la spalla sinistra allo scaffale dei libri.
<<Avevo intenzione di leggerlo la prossima settimana,ma credo che rivaluterò i miei piani. Sceglierò qualcos’ altro.>> feci un finto sorriso, come quando durante una contesa la dai vinta all’avversario per non creare discussioni; avrei voluto lottare per quelle pagine,ma quale persona,soprattutto se un ragazzo spavaldo come lui,avrebbe ceduto il libro che magari,come me,stava già pregustando? I miei occhi erano grigi più del solito,come il cielo quando sta per arrivare un forte temporale. Dannazione,era sabato,avevo aspettato un intera settimana questo giorno,e adesso,arrivata in biblioteca,pronta a scomparire per mezza giornata dal mondo ,seduta al tavolo di mogano scuro in fondo,con le ginocchia al petto ,il libro poggiato sulle gambe e il cappuccino ormai freddo poggiato accanto alla piccola confezione di cartone della ciambella, dovevo rinunciare e scegliere qualcosa che sapevo non mi avrebbe entusiasmata più di tanto. Questo non rientrava nei piani. E io odiavo scardinare i miei piani. Mi sentivo esattamente come quando sali le scale al buio e,arrivata all’ultimo scalino,tenti di salirne ancora un altro,affondi il piede nel vuoto e rimani spiazzato.
Mi sorrise,stavolta per davvero,mostrando il suo bel sorriso luminoso e,protendendo la mano verso di me: << Sono Justin >>.
Justin. In realtà io avrei scommesso si chiamasse Zack. Si,aveva la faccia da Zack. Ma qualunque fosse il suo nome,era davvero bello.
<<Scarlett, come il rosso sangue>> gli afferrai la mano e lui la strinse saldamente, fissandomi negli occhi come assuefatto.
<<E tu associ il tuo nome al colore del sangue? Buffo>> la sua espressione in quel momento era un mix tra lo stupito e il divertito,con le sopracciglia leggermente incurvate e le labbra in una flebile piega. Risi leggermente.
<<Beh no, normalmente non lo associo a nulla.. Facciamo che sono Scarlett e basta>>
<<D’accordo Scarlett e basta>> ridacchio anche lui <<Credo sia più opportuno che il libro lo prenda tu. Io ci sono capitato per caso davanti>>
<<Fa niente,ne sceglierò un altro. Alla fin fine è solo un libro>> non era vero. Erano emozioni. E di volta in volta mi avventuravo alla scoperta di queste,come se ogni volta fosse la prima.
<<Leggi speso romanzi d’amore?>>
<<Ne prendo uno alla settimana. I pomeriggi d’inverno sono troppo grigi e piovosi per stare fuori. Meglio la compagnia delle parole di una storia>>
<<Che ne dici di andare a sederci in caffetteria qui di fronte? Mi sembra il minimo dopo aver preso il libro>> nessuno mi aveva mai chiesto di sedermi a tavolo e conversare dopo 5 minuti di conoscenza.
<<Penso che ormai la mia bevanda sia diventata brodaglia velenosa. Accetto la proposta>> era di nuovo contento,con un sorriso stampato in faccia. Mi stupii di me stessa. Generalmente non avrei accettato l’invito da un completo estraneo, che tra l’altro  mi aveva sottratto in modo del tutto scorretto,secondo la mia mente, il mio libro. Mi sentivo quasi impossibilitata dal dirgli di no,come se vi fosse un vincolo che non mi permetteva di decidere ne se,ne quando,ne come avessi dovuto impedire quell’incontro e che quella conversazione continuasse. Era qualcosa di prestabilito,come se mi avesse intrappolata nei suoi occhi e io dipendessi unicamente dalle sue parole e dalle sue iridi colo caramello; sembrava mi legasse un sottile filo rosso, il filo del destino. Dopotutto io ci credevo al destino.
Ci dirigemmo alla caffetteria di fronte e sedemmo ad un tavolo all’angolo,lontano dal resto del locale poco affollato. Scostò la mia sedia,comportandosi da perfetto gentiluomo, permettendomi di sedere e ,a ruota, mi seguì, sedendomi di fronte. Incrociò le braccia poggiandole al tavolo, e mi fissò intensamente, facendomi arrossire e mettendomi in imbarazzo; avevo le mani sudate e non avrei retto un secondo di più quello sguardo iperscrutatore,così decisi di rompere quei 3 minuti di silenzio creatisi tra di noi, che sembravano invece essere stati eterni.
<<Ho per caso dei baffi disegnati in faccia?>> sorrisi e sembrai scrollarlo dal suo stato di trance improvviso. Mi guardo e rise leggermente insieme a me, poi sembrò aspettare qualche altro secondo e rispose. <<Touché>> mi fece l’occhiolino,lasciando intravedere le rughe d’espressione ei lati della sua bocca rosea.
<<Perché proprio Anna Karenina? Cioè,perché proprio Tolstoj? Non lo legge nessuno. O quantomeno,credevo di essere l’unica>>
<<Potrei chiederti la stessa cosa. Perché proprio un libro così vecchio?>>
<<Rispondi tu alla domanda,l’ho posta prima io>>
<<Perché parla di un amore che nella realtà non esiste. O perlomeno,nella mia di realtà non esiste>> fissò le sue mani per un attimo,poi continuò <<E poi mi piace tuffarmi in un epoca in cui non ci siano discoteche o fattoni all’angolo della strada. Ora rispondi tu alla domanda>> Mi fissò attendendo la risposta e poté anche lui constatare il mio stupore alla sua risposta. Aveva praticamente detto tutto quello che avrei voluto dire io.
<<Credo che oltre ad aver rubato il mio libro, tu abbia anche rubato le parole dalla mia bocca>> sorrisi flebilmente alla mia constatazione
<<Cos’è, mi leggi nella mente? O stai per caso cercando di persuadermi?>>
<<Non sono né un mago né un prestigiatore, solo forse siamo simili in qualcosa>> aveva dannatamente ragione, e io ero restia all’accettarlo. Ci pensai su qualche secondo,forse un po’ troppo e poi decisi di rispondere guidata dall’istinto,dando una risposta che neanche io ero tanto propensa ad accettare. In fondo ci conoscevamo da poco più di un ora,cosa poteva saperne lui? Come poteva?
<<Io credo che siano coincidenze>> abbassai la testa per non incontrare il suo sguardo deluso. Si creò un silenzio imbarazzante che sembrò durare anni; io continuavo a giocherellare con il mio anello spesso,mentre lui ticchettava con il dito sul tavolo di metallo. Poi decise di alzare lo sguardo e lo sentii,pesante,sovrastare il mio capo chinato verso il basso.
<<Credi anche di voler prendere qualcosa in particolare o faccio io?>> la nota di sarcasmo nella sua voce si mescolava con la delusione dell’attimo prima; un impasto omogeneo di amarezza.
<<Stupiscimi e dimostrami allora che non sono solo coincidenze>>
Si diresse al bancone e riferì alla gracile impiegata l’ordine,poi mi osservò per un attimo,come se stesse captando delle informazioni, e dopo aver rivolto un cordiale saluto alla signora oltre il bancone,ritornò al tavolo, mentre io lo osservavo avvolto dalla sua disinvoltura. Si sedette e la sua espressione affabile sembrava aver coperto la punta di amarezza del suo precedente tono di voce.
<<Perché proprio la biblioteca? Insomma, potresti andare a fare shopping come tutto il resto delle ragazze.. eppure tu decidi di rinchiuderti tra pagine e pagine il sabato mattina. Sei..affascinante>> i miei occhi in quel momento avrebbero voluto fuggire dalle orbite per quella affermazione; mai nessuno si era spinto così oltre.
<<Perché cerco un tipo di evasione diversa,che non duri quattro ore scarse e che mi serva anche a farmi da morale,ricordandomi che della mia vita mi rimangono solo macerie. E anche perché io credo di essere diversa, in tutto quello che faccio o dico. In tutto quello che ho fatto e ho detto>> <<Ma tu non puoi saperlo,tu mi conosci da un’ora e tre quarti>> sorrisi quasi delusa dalla mia stessa risposta. Era vero,la mia diversità forse aveva solo connotazione negativa. E perché neanche io conoscevo a fondo me stessa, forse mi conoscevo anche io da mezza vita e tre quarti.
<<Allora io credo che la tua diversità mi sia simile. Ma tu in questo non ci credi>> il suo sorriso mi riaccese il volto e,mentre mi prendeva una mano, sentii un sussulto provenire da dentro quasi a perforarmi il torace per un nanosecondo.
La signora dietro al bancone ci portò le nostre ordinazioni e,con mia grande sorpresa, potei notare che il cappuccino era perfetto,come lo ordinavo sempre la mattina,con la mia doppia razione di zucchero. Mi aveva stupita ancora,spiazzata di nuovo.
Parlammo del più e del meno,ma il discorso portante rimasero comunque i libri. Libri che aveva letto,che detestava,che aveva apprezzato. E anche in questo mi fece notare delle vie di incontro che io avevo osato chiamare ‘puro caso’.
<<Devo andare. Mi ha fatto piacere la chiacchierata,anzi,è andata meglio di come pensavo>>
<<Perché,come la pensavi?>>
<<In realtà pensavo che tu saresti tornato a casa con la mia conquista e io ti avrei odiato per il resto della giornata,facendo zapping tra i canali>> ridemmo all’unisono.
<<Grazie a te allora per essere ‘diversa’. E per l’esserti persa tra i libri di Tolstoj proprio oggi>>
<<Spero di poterti incontrare nuovamente Justin. Mi ha fatto davvero molto piacere>> istintivamente lo abbracciai e lui fece lo stesso,stringendomi la schiena con le sue mani forti. Sentivo il suo respiro tra i ciuffi di capelli, mentre sulle punte,come una ballerina di danza classica,cercavo di sovrastare la sua altezza, cosa impossibile dato il mio nanismo a confronto.
<<Lo spero anche io>> soffiò in modo quasi impercettibile.
Ci staccammo e io tornai a casa, a piedi,senza libro tra le mani ma con il sorriso stampato sul volto.
<<Zia Gin,sono in casa>> urlai forte per potermi fare sentire, ovunque lei fosse.
Salii in camera,mi cambiai e decisi di prendere il cellulare, che avevo completamente abbandonato nella borsa, insieme a resto delle preoccupazioni, quella mattina. Un corpo solido e voluminoso sbatté contro la mia mano,lo uscii per dargli un occhiata e rimasi sorpresa e sbalordita.
Lev Tolstoj, Anna Karenina. La scritta argentata che la mattina avevo potuto leggere sulla copertina del libro. All’interno un foglietto giallo minacciava di uscire e scivolare verso il suolo, lo afferrai e lessi: 
“We are all connected
-a gentleman”  

 
SPAZIO AUTRICE
Mi scuso per i due mesi di attesa con chiunque avesse voglia di leggere la mia storia. Diciamo che ho avuto un bel blocco dello scrittore. Spero vi piaccia e lasciate almeno un commento, una critica o qualunque cosa voi vogliate.
Thanks, an aspiring writer.

Revisionata,adesso non dovrebbe mancare alcuna parte :) 
  
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