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Autore: Loop    27/03/2014    3 recensioni
“Non so perché ma mi sento in dovere di ricordarti che non sono il tuo capo, stasera. E che se vuoi puoi cacciarmi a pedate da casa tua.”
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aaron Hotchner, Spencer Reid
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Note: tutto questo non ha scopo. Non ha senso e soprattutto è lontano anni luce dall'avere una qualche parvenza di pretesa. Io mi annoiavo e la mia bff sbroccava su Criminal Minds e mi sono sentita in dovere di darle qualcosa quindi this is 4 u Talia, bubu of my <3



Checkmate



Hotchner è un leader nato. Lo capisci dal modo in cui si muove, in cui parla. Sostenere il suo sguardo è difficile. Spencer, quando sono sul campo, non ci riesce mai. Lascia semplicemente vagare gli occhi lungo le sue spalle, sul nodo della cravatta, senza soffermarsi troppo sul viso. Senza correre il rischio di sentirsi troppo nudo, troppo vulnerabile.
Nessuno sostiene lo sguardo di Hotch, a parte Gideon.
Quando però sono da soli, nel microscopico appartamento di Spencer, a giocare a scacchi – che è un modo come un altro per  Aaron per non pensare al divorzio, uno dei tanti e probabilmente il più efficace – succede qualcosa, come una decontrazione.
Sono gli unici momenti in cui Spencer ha la possibilità di intravedere un Hotchner diverso, umano. Più o meno. Quasi rilassato. Aaron ride, stappa malamente la quinta o la sesta birra, con disappunto di Spencer che trova davvero poco costruttiva l’assunzione di alcolici durante un’attività che richiede una soglia d’attenzione piuttosto alta come gli scacchi, e continua a raccontare aneddoti vagamente sconcertanti del suo periodo al College.
“E’ davvero un peccato che tu abbia finito il college prima che ti spuntasse la barba, ti sei perso un periodo fantastico.”
“ Io..” Spencer si guarda i piedi, imbarazzato. Non è abituato a sentire Hotchner parlargli con questa libertà, a un tono di voce così alto, per giunta.
“Scusami, scusami. Non volevo offenderti.”
Senza smettere di ridacchiare, Aaron passa la sua birra a Spencer. Che, contro ogni sua aspettativa, la prende, bevendo un timido sorso.
“Non so perché ma mi sento in dovere di ricordarti che non sono il tuo capo, stasera. E che se vuoi puoi cacciarmi a pedate da casa tua.”
Lo sguardo di Aaron torna per un attimo serio, penetrante. Il suo sguardo da profiler.
“Lo so. Non voglio cacciarti. E’ stata una mia idea quella di insegnarti a giocare a scacchi – anche se mi sarei aspettato uno studente migliore.”
Aaron butta la testa all’indietro e ride, tremendamente divertito dalla serietà di Spencer, sempre così rigido e formale. Poi sospira, soffermandosi per un secondo a guardare la scacchiera e la posizione di schiacciante dominanza delle pedine di Reid.
“Sei impressionante, Spence. E mi dispiace che tu debba sentirtelo dire così spesso.”
Spencer deglutisce a vuoto. Ecco. Questo è Aaron Hotchner. E questa è la sua umanità tutta particolare, così difficile da intravedere e così parsimoniosamente elargita.
“Io non… non è così brutto. E’, hm, complicato a volte.”
“Lo so.”
Lo sguardo di Hotch è di nuovo cambato. Adesso è quasi caloroso. Dolce, forse.


Aaron non ricorda esattamente a che birra era quando si sono messi a guardare Star Trek. The Next Genetation, ovviamente perché Picard batte Kirk su tutti i fronti per Aaron e Spencer non si è sentito di arguire a riguardo più del dovuto.
Sul divano largo lo stretto necessario per ospitare due persone a stento, Hotch ha preso a sbadigliare dopo la seconda puntata. Dev’essere piuttosto tardi, giudica Spencer. Non che abbia intenzione di menzionare la cosa, è ovvio. La pericolosa vicinanza di Hotch è qualcosa di totalmente nuovo e totalmente elettrizzante – in una maniera che allarma le sue convinzioni sui rapporti interpersonali e, in un substrato denso e poco chiaro, la sua libido, forse.
Anche così, mezzo addormentato, Aaron ha un ché di dominante. Stende le gambe, stiracchiandosi, e allarga le braccia fino a sfiorare le spalle magre di Spencer, che per una ragione che non è chiara neppure a lui ha cominciato a sudare freddo. Eppure la casualità dei gesti di Aaron è del tutto innocente: è abituato a toccare le persone, conscio della garanzia del loro consenso. E’ qualcosa che riguarda il modo stesso in cui riesce, con la più istintiva naturalezza, a creare il contatto fisico: le sue mani grandi, i muscoli lunghi, solidi, la sua presenza rassicurante. La sua sicurezza. E’ un fascino atavico da cacciatore. E nel momento esatto in cui Spencer realizza di stare seriamente elaborando questi pensieri, qualcosa come una violenta agitazione gli secca di colpo la bocca, incollandogli la lingua al palato.
“Dovrei… dovrei andare, è davvero tardi.” Biascica Aaron.
“N-no, non dovresti.” Si trova a rispondere troppo frettolosamente Spencer, muovendosi nervosamente sul sedile “Non sei nelle condizioni migliori per metterti alla guida e… hm, mi fa piacere. Se resti, intendo.”
Ecco. Si è scoperto. L’ha saputo nell’esatto momento in cui ha pronunciato l’ultima frase.
Potrebbe tranquillamente riaccompagnarlo a casa.
Non gli costerebbe nulla.
Potrebbe ma non vuole.
Quello che vuole è che Hotch resti o, quantomeno, prolungare il più possibile quel contatto.
“E dove dormirei?” Chiede Aaron, con una nota diversa, fonda, nella voce.
Spencer non sa cosa rispondere. Si limita a guardarlo boccheggiando.
Sullo schermo della tv le immagini dell’Enterprise che sfreccia nello spazio profondo scivolano a volume bassissimo. Aaron ha preso il viso di Spencer tra le mani mentre il ragazzo è ancora immobile, interdetto.
Reid sa che sta per baciarlo nel momento in cui Aaron supera la barriera dello spazio minimo personale. Quando sente la sua bocca calda, comunque, ha già smesso di pensare.
Le mani di Hotch scivolano sicure lungo il suo collo magro – e nella decisione con cui lo guidano a stendersi sotto di lui non c’è nulla di brillo o vagamente offuscato dall’alcol.
“Basta che mi dici di andarmene, ragazzino, e io me ne vado. Nessun problema.”
“Stai scherzando, spero.”
  
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