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Autore: Francine    27/03/2014    5 recensioni
Frammenti di vita quotidiana, sparsi nello spazio e nel tempo, all'ombra del Grande Tempio di Athena.
(Personaggi serie classica e Lost Canvas)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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#10 De Consolatione Philosophiae




Prompt:  Vacanza
Titolo: De Consolatione Philosophiae
Autore: Francine
Fandom: Saint Seiya
Personaggi: Leo Aiolia – Scorpio Milo – Virgo Shaka
Genere: Commedia
Rating: Verde
Avvertimenti: AU
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine) 2324/5
Eventuali note dell’autore: possibile presenza di OOC. Anzi, quasi sicura presenza di OOC. Io metto le mani avanti. Decidete voi.
Partecipa alla Challenge Slice of Life
 
 



«È la Filosofia. Va un casino, quest’anno, la Filosofia.»
(Jacobean Mugatu, 2014)
 
 


 
 

Aiolia getta l’asciugamano bagnato sulla panca alle sue spalle. «Allora, per stasera è tutto confermato?»
«Stasera?»
«La partita di calcetto. Gold contro Bronze. Non dirmi che te ne sei dimenticato…»
«No, io no», ribatte Milo raccattando i boxer dalla sacca. Fa un caldo micidiale. Anche per essere Luglio. Anche per essere ad Atene. E tutto quel frinire di cicale lo manderà al manicomio. Lo sfiora l’idea di non indossare nulla. A che servirebbe? I vestiti gli aderirebbero al corpo. Ricomincerebbe a sudare. E dovrebbe lavarsi di nuovo. Che seccatura, l’estate.
«Gli altri?», insiste Aiolia.
«Quali altri?», gli domanda Milo, facendosi coraggio e sperando che la stoffa leggera dei boxer non gli si appiccichi alle chiappe all’istante.
«Aldebaran, Kanon, Mu…»
Una risatina ironica interrompe l’elencazione del Leone.
«Aldebaran esce con una ragazza. Kanon non c’è. Ha da fare. E Mu ha detto che deve provare una nuova polvere d’oricalco a grammatura ultrafine. Una cosa del genere.»
«Aldebaran esce con una ragazza?» Lo sguardo sconcertato di Aiolia riceve come risposta un’alzata di spalle da parte di Milo. «Quindi?»
«Quindi?!», ripete lo Scorpione, la massa anarchica di capelli tenuta a bada da un elastico di spugna sottile che sta per alzare bandiera bianca. Alza gli occhi al soffitto e sbuffa. «Quindi, che facciamo? Giochiamo tu ed io contro loro cinque? A meno che tu non ti aspetti un aiuto dall’oltretomba», prosegue indicando l’esterno dello spogliatoio, dove il sole batte forte e caldo e intenso e le cicale friniscono impazzite.
«Non dire queste cose, ché porta male. E poi sei tu il superstizioso tra noi due.»
«Bah», ribatte Milo agguantando i pantaloni. «Per stasera non se ne fa nulla. Chiameremo i Bronze e fisseremo un altro giorno. Che palle! E ho anche discusso per giocare a calcetto stasera, questo è il bello!»
Aiolia sbuffa. «Ma com’è possibile che solo noi due ci siamo liberati?»
«Perché solo noi due abbiamo il laccio al collo», risponde Milo indossando una canotta. Nera. Suda al solo pensiero, ma non è andato tanto per il sottile quando ha riempito la propria sacca. Ha aperto un cassetto, arraffato due vestiti puliti ed è uscito per andare all’appuntamento con Aiolia. Un allenamento intensivo. Come una volta. Come quand’erano ragazzi e sfogavano tutte le loro energie menando le mani nell’arena. «Negherò fino alla morte di aver detto una cosa simile. Lo sai.»
Aiolia annuisce. «Che seccatura…»
«Sì, non dirmelo. Ho discusso per due ore per poter andare a giocare a calcetto e poi non se ne fa niente. Sai quando mi ricapiterà? Te lo dico io. Mai più.» Milo chiude la sacca con stizza. «Anzi, sai che facciamo? Stasera usciamo.»
«Perché no? Fammi avvisare Marin», dice il Leone prendendo il cellulare. La mano di Milo cala sul suo polso implacabile, come la lama di una ghigliottina.
«No. Non ci siamo capiti», dice lo Scorpione. Piazzandogli gli occhi azzurro carico nei suoi. «Stasera. Usciamo. Tu. Ed. Io. Ce ne andiamo a bere una cosa da Kostas. Tra maschietti. La signore se ne restano a casa a fare quello che avrebbero fatto se noi fossimo andati a giocare.»
Aiolia sgrana gli occhi verdi. «Sai che ci ammazzeranno?»
«Perché? Che facciamo di male? Ci prendiamo una vacanza di qualche ora…»
«Come sarebbe a dire perché?», domanda il Leone allargando le braccia. «Non ci lasceranno mai andare da soli, giù da Kostas. Penseranno che andiamo a donne!»
«A donne? Nella taverna di mio zio?»
«A donne, sì. Nella taverna di tuo zio, sì», ripete Aiolia. «Tu non sai quant’è gelosa Marin…»
«E tu non dirglielo. Se ti chiederà come è andata la partita, inventati una balla.»
«E se dovesse venirlo a sapere?»
«E da chi?», chiede Milo. Incuriosito, il sorriso da faina dipinto sul volto. «Kostas terrà la bocca chiusa. E io non sarò così scemo da andarglielo a dire. Marin lo saprà se tu glielo dirai.»
«Amethyst. Jade.» Bastano queste due parole perché il viso di Milo perda colore. Adesso capisci, sì?, dardeggiano gli occhi di smeraldo del Leone. «Figurati se loro due non sanno che stasera Kanon ha da fare con lei…»
«Ehi, piano… Non è detto che…»
«È detto, è detto», sentenzia il Leone agitando il cellulare come se fosse il martelletto di un giudice. «E se non si tratta di lei, povero lui quando Amethyst Jade lo verrà a sapere. Perché lo verrà a sapere. Fidati.»
«Questo posto è diventato un covo di pettegole», commenta Milo lisciandosi il mento. Sta provando a farsi crescere il pizzetto, oppure s’è dimenticato di radersi? Perché così fa davvero ridere i polli, pensa il Leone. «Io stasera voglio uscire.» Lo dice come un bambino che s’è incaponito.
«E se cambiassimo la sfida?», propone Aiolia. Perché l’idea di rientrare a casa dopo aver subodorato tre ore di libertà non lo alletta proprio. È bella, la libertà. È dolce. Sa di miele ed erba tagliata. E quando hai intravisto il sole brillare attraverso un pertugio è dura tornare alle care, quattro mura di casa. «Street basket al posto del calcetto!»
«Street basket?»
«Tre contro tre. Dovremmo farcela. E poi, a te, il calcetto neanche piace.»
«Sì, Aiolia. È tutto molto bello, ma resta il problema. Dove lo troviamo il terzo? Chiediamo a Kiki di fare gruppo? Così giochiamo con l’handicap?»
Il viso del Leone s’illumina. Di quella luce che promana quando ha un’idea geniale. Quando pensa di avere un’idea geniale. Che è troppo spesso più pericolosa che altro. «Shaka…»
«NO.»
«Perché no?», protesta Aiolia. «Non fare il guastafeste! È la soluzione ideale. E lo sai.»
«Ideale un corno!»
«Dici così perché l’idea non l’hai avuta tu», provoca il Leone, lo sguardo sottile ed il sorriso di sfida che metteva su quand’erano bambini. Prima che la morte di Aiolos precipitasse il Santuario nel terrore e nel dubbio.
«Dico così perché è un idea imbecille», ribatte lo Scorpione.
«E perché mai, sentiamo!»
«Avanti! Shaka è a suo agio nel discorrere di filosofia con Mu, passeggiando per i viali del Santuario. E non fare quella faccia. Paese che vai, usanza che trovi», ribatte lo Scorpione. «Hai mai parlato con Shaka, tu?»
Il Leone ci pensa. In effetti, l’unica e sola volta in cui si sono confrontati è stato nella Sala delle Udienze del Sacerdote. E non è andata a finire bene. Anzi.
«Punto primo.» Milo continua l’esposizione della sua teoria. «Non sappiamo se Shaka sappia tenere tra le mani una palla da basket. Punto Secondo. Non sappiamo se Shaka sappia giocare a basket. Punto Terzo. Non vorrei che Ikki pestasse duro e ce lo azzoppasse. Sai com’è, la foga del gioco e via dicendo. Punto Quarto. Chi glielo chiede a Shaka? Perché toglitelo dalla testa che lo faccia io. Quello lì è capace di tenerti mezz’ora a parlare di filosofia spicciola prima di darti retta e risponderti sì o no…»
Milo è partito. Come un treno che deraglia e passa sopra qualunque cosa incontri sul proprio cammino, sassi, alberi, strade, case, persone. Elenca le sue prove aiutandosi con le dita, lo sguardo fisso sulle mani, e non s’è accorto dell’espressione di Aiolia. Che ha sgranato gli occhioni come l’agnellino davanti al lupo.
«Milo…»
«Non ho finito. Tu gli chiedi “Ehi, ti vanno due tiri a canestro?”, e lui se ne esce con speculazioni filosofiche del tipo: “Cos’è un canestro? Sei tu che vi infili la palla o è la palla che vi si infila da sé?”. Sempre ammesso che non parta davvero per la tangente…»
«Milo…»
«… e attacchi con la filosofia orientale. Lì sei davvero fottuto. E il Nirvana. E il Sàmsara. E…»
«Samsàra
La voce calma e pacata di Shaka si infila nell’invettiva dello Scorpione. Congelandogli la spina dorsale più di quanto avrebbe fatto il potere di Camus buonanima.
Giuda!, dardeggiano gli occhi azzurri di Milo.
Ho provato ad avvertirti, gli rispondono quelli verdi di Aiolia.
Milo ruota la testa. Piano. A scatti. Come se le vertebre del suo collo fossero arrugginite ed immobili da tanto, tantissimo tempo. Ed è con un sorriso colpevole che si rivolge alla Vergine. Perché se c’è una cosa in cui Milo è bravo, oltre che nell’usare il nemico come un puntaspilli, è nel fare le imitazioni dei suoi compagni. Delle persone a lui più vicine e più care. E non è un caso che abbia dormito sul divano per una settimana di fila, solo per aver osato fare il verso anche a lei.
«Si dice Samsàra, Milo.»
«Salve, Shaka. Anche tu qui?»
Shaka scuote la testa, i lunghissimi capelli biondi che gli scendono sulle spalle. Indossa un abito tradizionale, color zafferano. Di lino. Sembra fresco. Ma con Shaka non vale. È talmente lontano e distaccato dalle cose terrene che per lui le regole della traspirazione umana non valgono. Questo nemmeno suderà, si dice Milo osservando l’espressione atarassica della Vergine. Gli occhi sono chiusi. E qualcosa, il suo istinto di sopravvivenza forse, gli suggerisce che è bene che restino così.
«Pensavo che per te la Filosofia fosse più importante…»
«Ma per me la Fi… filosofia è importante… Se potessi, la sposerei.»
«Non denigrarla, Milo. Non sta bene. E non si conviene ad un greco.»
«Non so cosa tu», abbia sentito, ma c’è stato un malinteso. Così proseguirebbe il discorso dello Scorpione, se l’altro gli concedesse il tempo per completarlo.
«La Filosofia sa essere di grande consolazione. Ricordi Boezio? La Filosofia ci aiuta. Ci alleggerisce questa vita, immersa nelle colpe del karma precedente. La meditazione permette allo spirito di elevarsi al nirvana dal samsàra, vuoto e vacuo. Non senti, nel tuo cuore, il bisogno inarrestabile di giungere alla mutki? No. No. Tu dovresti aver  superato la Brahmacharya, abbracciato ormai la Vanaprastha ed essere pronto alla Sannyasa. E invece, sei ancora schiavo della Grihastha, vero?»
Milo non ha capito una sola parola. Non ha ascoltato. Grihastha? Sannyasa? Che roba è, si chiede in un angolino del suo cervello, un soffio di vento gentile che fa oscillare appena il giunco nel canneto. Tutta la sua attenzione è concentrata sulle palpebre di Shaka.
«Non hai capito una sola parola di quello che ho detto, vero? Voi greci… così attaccati alla physis e all’origine dell’Universo da non concepire che vi sia altro, oltre il mondo del tangibile. Ma non preoccuparti. Non temere. Ti insegnerò a meditare. A concepire le Quattro Verità. A staccarti dal mondo materiale…», e Shaka solleva le palpebre. Piano. Con lentezza. Le ciglia nerissime della Vergine si aprono a ventaglio, rivelando la sclera candida. È finita, pensa Milo. E scopre che non c’è tempo per rivedere la propria vita a ritroso o il viso delle persone care prima che la luce lo inghiotta, prima che l’azzurro intenso dell’iride di Shaka riveli la struggente tonalità del cielo di primavera e… «Anche la meditazione è una forma filosofica, sai?»
E non succede proprio niente. Lui è ancora lì. Atomo dopo atomo. Shaka non l’ha disintegrato, non gli ha fatto alcun male. Gli ha solo regalato un infarto e lo stomaco gli è diventato un pezzo di ghiaccio, ma, per il resto, è vivo. E vegeto. Forse. Fra cinque minuti potrà dirlo. Dopo che avrà strozzato Aiolia.
«E aiuta anche a sopportare il caldo…»
Ok, è durata anche troppo, si dice lo Scorpione, intento a trovare un modo per uscirne senza massacrare oltre il proprio onore. In quella, il suo cellulare squilla. Lo spogliatoio si riempie del trillo del telefonino, un suono disperato di protesta, di richiesta di attenzione immediata. Un’ancora di salvezza per Milo, che si scuote dal torpore, apre la sacca e ne estrae il cellulare.
Un attimo, fa con un gesto all’indirizzo di Shaka. «Sì? Oh, ciao Amore. No, no, niente più calcetto stasera. Sì, Kanon. Sì, Amethyst Jade. Certo che ha da fare con lei? Cosa? Lei non ha da… Ma no, ma no. Ma no. Ti giuro. Io non ne so niente. Ma figurati. Ma no, quel disgraziato vorrà farle una sorpresa…» Raccatta la sacca, se la mette in spalla e copre l’altoparlante del telefonino con la mano. «Scusate, devo andare», dice, prima di riprendere a parlare al telefono: «No, non ho detto che so che Kanon vuole farle una sorpresa, ho detto che penso che…»
La porta si apre e si chiude e la sua voce riecheggia per il corridoio deserto. Nello spogliatoio sono rimasti solo Aiolia e Shaka. Le cui labbra sono incurvate in un sorriso soddisfatto.
«Per un momento ho creduto che avresti usato il tuo potere contro di lui…», gli confida Aiolia, le braccia a penzolare lungo il busto.
«Anche Milo.»
«Anche Milo. Ma che ci facevi, qui?»
«Passavo per caso», risponde la Vergine, un’espressione melliflua sul volto, che stride con la pacatezza che lo contraddistingue. E che fa più paura del sorriso da tagliola di Kanon. «Devi scusarmi, Aiolia. Ho ascoltato le parole di Milo, e non ho resistito.»
Si giustifica. Piegando la testa da una parte, come farebbe un gatto dispettoso. Poi sospira. «Si vede che forse non sono così distaccato dal mondo materiale come credevo. È meglio che torni a meditare e a ripulirmi il karma…»
«Te la stai godendo come un matto, vero?», chiede Aiolia. E quello che ottiene in risposta è quel sorriso perfido che gli regala una pelle increspata dalla paura come le acque di un placido laghetto al passaggio di una brezza bizzosa.
«Sì. Lo ammetto. Vedere quell’espressione sul viso di Milo è stato… impagabile.» Shaka si ravvia una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Per praticità più che per civetteria. «Buona giornata, Aiolia», ed esce dallo spogliatoio. Lasciandolo solo.
Demonio, si dice Aiolia, il cellulare ancora stretto tra le dita. E pensare che Marin ucciderebbe per avere capelli liscissimi come i suoi.E senza nemmeno l’ombra delle doppie punte. La voce dell’Aquila gli esplode nel cervello. Come se lei fosse lì. Aiolia sospira. Chiude la sua sacca, se la mette a tracolla e preme il tasto di richiamata rapida.
«Amore? Sono io. Indovina? Esatto, niente calcetto. Stasera ti porto a cena fuori…»
Inutile opporsi alle onde del destino, no?
 
 
 
 
Note:
Ogni tanto, un po’ di Out of Character aiuta a rinfrancare lo spirito. Non credete? Suvvia, l’ho fatto per una buona causa, e una risata non ha mai ucciso nessuno. Poiché Milo se l’è andata a cercare, Shaka ha giocato pesante. Ha tirato in ballo sia l’induismo sia il buddhismo, ben sapendo quanto lo Scorpione fosse digiuno di filosofia orientale. Qui di seguito farò chiarezza, per quanto possibile. E a tal proposito: le mie sono reminescenze dell’Università. Trattandosi non solo di dottrine filosofiche, ma anche di religioni correntemente praticate, anche in Italia, mi scuso in anticipo per eventuali fraintendimenti ed imprecisioni, non volute e non intese a recare offesa ad alcuno, dichiarandomi prontissima ad accogliere migliorie e correzioni qualora ve ne fosse bisogno.

Il titolo si rifà alla celeberrima opera di Boezio, il quale, incarcerato in attesa di essere giustiziato, trova nella Filosofia una consolazione ai propri affanni e alla vita nel carcere. Qui, la consolazione che trova Shaka è leggerissimamente diversa e forse più appagante, ma non staremo a cavillarci su, vero? Con Boezio me la vedo io. Deve ancora farsi perdonare qualcosina...

In Grecia l'ora dei fantasmi e dei ritornanti è il primo pomeriggio. Secondo una leggenda, il frinire delle cicale indurrebbe uno stadio di coscienza alterato che permetterebbe ai vivi di comunicare, o quantomeno di percepire la presenza dei defunti.

Non ho la più pallida idea di chi sia Amethyst Jade. Chiedete a Kanon.

​Kostas è lo zio di Milo, ed ha una taverna a Plaka, proprio ai piedi dell'Acropoli. Si chiama Kallistê ed è l'ultima in cima alla salita, poco prima dei cancelli che delimitano l'accesso all'Areopago, non potete sbagliare. Dite che vi mando io.
 
Nirvana: per la filosofia buddista è il fine ultimo a cui deve tendere l’individuo, la liberazione dal dolore e dalla reincarnazione in una vita futura. È l’assenza di desideri, che sono perniciosi in quanto spingono l’uomo a continuare il ciclo infinito di nascita e reincarnazione.
 
Samsàra: è l’esistenza in cui viviamo, il mondo terreno che si contrappone a quello metafisico, il piano d’esistenza in cui l’uomo continua a reincarnarsi, vita dopo vita. Per estensione, con samsàra si intende l’illusione (propriamente detta Maya).
 
Brahmacharya, è uno dei quattro stadi della vita (Ashrama) di un uomo per l’Induismo. È un periodo che dura fino ai venticinque anni ed in cui si apprende la conoscenza abbandonando la propria famiglia e andando ad abitare presso un maestro (guru), preparandosi alla propria vita futura.
 
Grihastha è il secondo stadio, quello dell’uomo sposato. All’uscita dalla Brahmacharya l’uomo si sposa e prende su di sé le responsabilità di mantenere una famiglia. In questo stadio il benessere materiale, che l’Induismo rifugge, è visto come una necessità, mentre la sessualità è uno strumento per perpetuare la specie. Dura per i successivi venticinque anni, fino al raggiungimento dei cinquanta, o dell’ingrigimento dei capelli.
 
Vanaprastha è lo stadio dell’eremitaggio, quando l’uomo, diventato nonno a sua volta, non ha più la necessità di prendersi cura dei propri figli. Compie in tal modo una rinuncia sia ai beni materiali che ai piaceri della carne, si ritira dalla vita sociale e professionale e spende il proprio tempo pregando e digiunando. È una fase della vita molto dura ed è oramai quasi obsoleta.



Sannyasa è l’ultimo stadio della vita umana, che va dai settantacinque anni fino alla morte – l’induismo stima che la vita umana duri fino a cento anni. È lo stadio della completa devozione a Dio. Non ha più né casa, né beni, né relazioni, né desideri o paure o speranze o responsabilità. L’unica cosa che lo interessa è la ricerca della Moksha, la liberazione dalla forma terrena. Anche questo stadio è pressoché quasi obsoleto nell’induismo moderno.
 
   
 
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