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Autore: Sys    27/03/2014    1 recensioni
Un po’ le mancava il confidarsi con qualcuno ma non sapeva nemmeno con chi avrebbe potuto farlo in realtà. Lui era il suo migliore amico, lui era colui in cui riponeva tutta la sua fiducia, era la sua spalla destra, era quella persona con cui condividere tutto, era il suo sacco da boxe personale quando doveva sfogarsi, era la sua spalla su cui piangere dopo una giornata da dimenticare.
Lui era il suo amore, quello vero, probabilmente il primo.
Lui era il suo vero primo amore.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA PRIMA REGOLA

 
«I tell myself, "this time it's different." 
No goodbyes, cause eyes can't bear to say it. 
"I'll never survive on one that's coming", if I stay.
Just walk away! And don't look back.
Cause if my heart breaks, It's gonna hurt so bad.
 
You know I'm strong, but I can't take that.
Before It's too late,  just walk away

Gliel’aveva promesso eppure lei non ci aveva mai creduto troppo. Insomma, sapeva che sarebbe finita così. Lo sapeva mentre camminavano abbracciati sulla spiaggia, lo sapeva quando lo trovava nel bel mezzo della notte e suonare il pianoforte della nonna nel soggiorno, lo sapeva quando cucinava per lui, perfino quando lo guardava in quegli occhi blu pieni di speranza. Speranza. Chissà se la ragazza ne aveva mai avuta? Forse no. Forse il motivo per il quale non voleva impegnarsi troppo in quella relazione era proprio quello: lei non aveva mai creduto nelle sue parole, né aveva mai sperato che quello che lui le aveva detto diventasse realtà.
Non perché fosse cattiva, non perché non avesse fiducia in lui.
Non perché fosse egoista.
O forse quello sì.
Lei non ci aveva creduto per la semplicissima ragione di non voler soffrire non ora, non ancora. Non l’avrebbe sopportato.
Aveva passato dei momenti meravigliosi con lui, se li era goduti al massimo ma appena il ragazzo partì lei non fece altro che dimenticarli, o meglio, cacciarli a forza nel subconscio, facendo finta che non fossero mai esistiti. Fingendo che quella mattina di ottobre, stranamente soleggiata, lui non si fosse mai alzato dal letto col piumone addosso - lui aveva giustificato per il freddo, poi giustamente sgridato dalla ragazza per l’averlo trascinato sul parquet sporco della casa. - e non si fosse mai seduto sullo sgabello della cucina di legno scuro per bere la sua solita tazzona di latte e cereali, naturalmente con del cacao che in quella casa non mancava mai, altrimenti lui non l’avrebbe mangiato. Finse che non fosse mai accaduto che il giovane, dopo che ebbe svuotato il recipiente, si fosse avvicinato a lei e l’avesse abbracciata e fece finta di aver dimenticato anche quando, mentre lei era tutta presa dall’abbraccio, lui portò una delle sue mani nel sacchetto della farina e ne versò una buona manciata sui capelli. Dimenticare come lei l’aveva rincorso mentre la melodica risata di lui faceva da sottofondo era stata forse la cosa più difficile. 
Finse anche di dimenticare quella camminata, in dicembre, un paio di anni prima, per le strade di Londra addobbate per il Natale, poco prima che lui partisse, quando i suoi occhi si erano incantati vedendo quella gigantesca giostra e lui, l’aveva fissata sorridendo, quasi nostalgicamente come se già si stesse preparando a quei momenti senza di lei. Senza alcun dubbio la prese per mano e la portò alla biglietteria, dove un signorotto, vestito quasi elegantemente li guardava svogliatamente, mantenendosi il viso con la mano, mentre il gomito poggiava stanco sul tavolino che aveva davanti. Diede loro due biglietti ma lui non fece nemmeno a tempo a girarsi che già la giovane era scappata sulla giostra. Il ragazzo tentò di raggiungerla ma lei continuava a percorrere il perimetro del gioco in movimento e  l’unica cosa che lui era riuscito ad acchiappare per ora era solo la sua risata. Fino a quel punto: il giovane smise di muoversi in modo antiorario e la prese per i fianchi quando lei meno se l’aspettava. Non smise un secondo di ridere e la risata della ragazza contagiò anche lui che dovette tenersi alla scala per salire al piano superiore per non perdere l’equilibrio. Le accarezzò dolcemente i riccioli scuri e le baciò le labbra. Poi si perse per l’ennesima volta nei suoi occhi.
Dimenticò, o cercò di dimenticare, anche quel giorno in cui lui l’aveva trovata stretta nelle coperte, con gli occhi semichiusi, mentre in televisione trasmettevano uno dei vecchi cartoni della Disney, di quelli che fanno sognare. Lui tentò di prenderla in braccio per portarla nella loro camera così che potesse dormire più comodamente ma fu bloccato dagli occhi sbarrati di lei non appena la toccò.
Notò subito che erano più lucidi del solito e si preoccupò non poco. Tuttavia lei lo tranquillizzò subito, dicendogli che aveva gli occhi lucidi ed arrossati per colpa dell’influenza che per tutto il giorno l’aveva tenuta incollata a quel divano grigio. Pochi minuti dopo lui le stava accarezzando la testa, accuratamente poggiata alla sua spalla, mentre lei sorseggiava poco a poco tutto il tè nella tazza. “Perché stiamo guardando Cenerentola?” la domanda la fece pensare. Era un abitudine che aveva da quando era piccola guardare i cartoni quand’era malata, come lo era quella di restare in pigiama e legare i suoi lunghi e boccolosi capelli neri in una treccia. 
Non raccontò mai delle canzoni cantate a squarciagola in macchina il sabato mattina quando i due decidevano di togliersi lo sfizio ed andare al mare lasciando a casa cellulari e altre cianfrusaglie e dedicarsi l’uno all’altro solamente. Non raccontò dei litigi, non raccontò dei baci, non raccontò delle giornate a fare da babysitters alle sue sorelle. Né raccontò di quella volta in cui passarono tutto il pomeriggio a parlare distesi in un campo di grano perdendo totalmente la concezione del tempo. Mai. A nessuno.
Un po’ le mancava il confidarsi con qualcuno ma non sapeva nemmeno con chi avrebbe potuto farlo in realtà. Lui era il suo migliore amico, lui era colui in cui riponeva tutta la sua fiducia, era la sua spalla destra, era quella persona con cui condividere tutto, era il suo sacco da boxe personale quando doveva sfogarsi, era la sua spalla su cui piangere dopo una giornata da dimenticare.
Lui era il suo amore, quello vero, probabilmente il primo.
Lui era il suo vero primo amore.
Chissà se per il ragazzo era lo stesso.
Ma forse, tutti i momenti passati assieme, non li aveva dimenticati. Si sa: la notte il cervello deve prendersi una pausa e tutte le paure, i desideri nascosti, i sensi di colpa e le verità non riconosciute vengono a galla. Di notte non si ha il controllo su ciò che si pensa. Forse è per quello che da quando lui era partito gli incubi erano sempre più fitti e i ricordi riaffioravano come fiori in primavera.
Alla fin fine, Eloise dovette ammettere che il suo incubo peggiore si era avverato: si era innamorata, di lui. Lo aveva capito dopo svariate notte in cui sognava di tutti i momenti passati insieme e si svegliava piangendo e andava avanti almeno per una mezzora senza riuscire a fermare le lacrime che imperterrite solcavano le sue guance.
Le mancava terribilmente, e ora sì che era in un bel guaio perché lui non sarebbe più tornato.
E ne era sicura al cento per cento: gliel’aveva detto lui.
L’ultima volta che si erano visti l’aveva portata dietro uno dei capannannoni del lunapark per cui lei, la sua inguaribile bambina, aveva insistito ad andare. Le aveva ricordato quanto l’amava, e quanto l’anno insieme era passato velocemente. Di come si addormentava col sorriso sulle labbra la sera e di come la mattina si alzava volentieri al solo pensiero di poterla vedere.
Ma poi Eloise aveva dovuto fare i conti con la realtà: lui doveva partire.
Così la mattina dopo la salutò a malincuore con il cuore in mano e solo un leggero bacio sulla guancia ancor prima che lei si potesse svegliare così che sarebbe stato tutto più facile. La guardò, girata su un fianco con il lenzuolo stropicciato stretto fra le mani, la bocca rosea semiaperta e il respiro leggero. Era la visione più bella che avesse mai potuto chiedere. “Ti amo”. Le disse. “Se mai tornerò la prima cosa che farò sarà venire da te.” Le sussurrò, scostandole i capelli dal viso pallido. “Mi mancherai come l’ossigeno, mi mancherai come nessun altro mai mi è mancato.” Continuò. “Penserò a te ogni minuto, sarai il mio prima pensiero la mattina e l’ultimo se mai il destino decidesse di farmi chiudere gli occhi eternamente.” Riprese. “Ti amo.”
Si fissò un secondo, e notò che per la prima volta aveva gli occhi più lucidi del solito. Una delle regole principali sarebbe stata “non piangere”, avrebbe solo reso la lontananza più vera, e più dura, ma il ragazzo era più che sicuro che l’avrebbe infranta non poche volte.
  «Non piangere.» si disse, sempre di fronte allo specchio.
Con un passo veloce e senza girarsi indietro uscì di casa senza notare la lacrima che bagnava lenta la guancia sinistra di Eloise, la prima di tante, che, sfortunatamente per lei, era stata sveglia tutto il tempo e aveva dovuto repirimere i singhiozzi che avrebbero fatto star male anche lui, ma non l’avrebbero fatto piangere.
La prima regola era “non piangere mai”.
Avrebbero solo reso il tutto più difficile.
Si alzò, si diresse verso lo specchio. Ancora poteva vederlo, era ancora lì, il suo profumo, il suo calore, la goccia che lentamente gli era scesa lungo la guancia era per terra.
Si fissò.
  «Non piangere.» si ripromesse. 

 



 
I One Direction non mi appartengono.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

Sys ♥.
  
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