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Autore: AHARU_    27/03/2014    1 recensioni
«No» fu l'unica cosa che riuscì a dire.No. No. No!
L'angelo lo prese per le spalle, provò a scuoterlo e pregò Dio.
Lo pregò per un miracolo. Uno solo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balthazar, Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio, Sesta stagione
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Autrice: AHARU_ 

Pairing: Castiel/Balthazar 

Fandom: Supernatural 

Raiting: Giallo 

Words: 2672 

NdA: Non amo particolarmente questa coppia ma ho notato che pochi ci scrivono qualcosa: così ho raccolto la sfida con me stessa e ci ho provato.

Allora tutto parte in quella sala d'albergo dove hanno portato il bimbetto senz'anima, e finisce nella casa di Balthazar.

Come al solito, ringrazio chiunque leggerà e, sopratutto, chi vorrà commentare <3 ENJOY.

Disclaimer: I personaggi non mi appartengono (purtroppo) e non ci guadagno nulla.



Il giorno in cui ti ho perso...

Dean Winchester non aveva mai visto quell'espressione. Lui, l'uomo giusto – almeno così avevano detto gli angeli ormai un vita prima -, l'uomo che aveva sacrificato tutto quanto solo per avere in premio ancora più dolore e sofferenza, non aveva mai immaginato che qualcuno potesse assumere l'espressione che, Castiel, aveva in quel momento al semplice suono di quel nome.

«Balthazar» la voce di Dean sputò tra i denti quel nome, troppo deluso, ancora, da un angelo per riservargli un minimo di rispetto. «Era un tuo amico?»

Ma la sua voce fu abbastanza da riportarlo alla lucidità, mentre la realtà ripiombava su di lui.

Sam puntò gli occhi multicolre sul trench polveroso dell'angelo, macchiato qua e là da gocce di sangue, cercando di carpire da quel viso così inespressivo un indizio su cosa significasse quel nome.

Ma Castiel non fece niente. Sistemò i polsini della camicia sgualcita, con qualche colpo lasciò cadere a terra i frammenti di vetro incastrati nelle pieghe del trench ed enumerò nella mente tutti gli ingredienti che gli servivano per l'esperiemento.

«Un grande amico Dean – l'angelo strinse i pugni in un morsa letale, perfino le ossa dell dita sembravano essere sul punto di cedere. E ben presto, la prima, minuscola, goccia di sangue accarezzò la sua pelle. - ma pensavo fosse morto in battaglia»

Dean non si accorse dei muscoli contratti della sua mascella, ne delle rughe leggere intorno i suoi occhi, divenuti improvvisamente vuoti. Non si rese conto che l'uomo davanti a lui stava combattendo, con tutta la forza che possedeva, contro un qualcosa che lo tormentava da millenni e che, adesso, lo stava investendo con una nuova ondata di dolore e senso di colpa.

Castiel, fin da quando aveva memoria, era sempre stato un ottimo soldato. Aveva ucciso e torturato senza avere il minimo ripensamento: ma una morte gravava, pesante come un macigno, sulla sua coscenza. Una morte che aveva tentato di dimenticare, ma che ritornava sempre nei suoi ricordi: un'immagine fissa che si stampava dietro i suoi occhi, pugnalandolo ad ogni respiro.

«Voi figli di puttana avete avuto combattuto anche prima dell'apocalisse?»

Senza dire nulla, Castiel preparò l'incantesimo, prendendosi con forza il sangue dell'amico. Osservò i due fratelli fissarlo in attesa di una risposta, inclinò la testa d'un lato riducendo gli occhi ad una fessura.

Ricordava bene quella guerra.

L'ultima grande battaglia del paradiso, avvenuta migliaia di anni prima.

E Castiel era lì, in prima linea, come si confà ad un soldato devoto a Dio.

Orgoglioso. Spavaldo.

Ricordava quella meravigliosa terra devastata dalla furia dei due schieramenti, capitanati – un litigio idiota tra fratelli ecco di cosa si trattava in realtà - da Raffaele e Michele. Angeli creati dal Padre per amarsi e sostenersi - per essere fratelli.

Angeli che fino ad un momento prima salmoneggiavano insieme, e che il momento dopo furono costretti a scegliere una fazione in cui combattere. Fazioni diverse solo nel colore dell'armatura.

Castiel e Balthazar erano riusciti a rimanere uniti. Fianco a fianco durante gli scontri, a coprirsi le spalle reciprocamente.

Anno dopo anno.

Fino a quel giorno.

La guerra stava lentamente distruggendo il paradiso da più di dieci anni: c'erano dei momenti, però, in cui tutto cessava.

Rari istanti in cui nessun urlo di dolore impregnava l'aria, in cui nessuno dei suoi fratelli implorava la pietà celeste.

Istanti in cui regnava solo il silenzio.

E Balthazar li amava, quei momenti. Al contraro di Castiel: vagare senza una meta certa, riposare ed aspettare, non erano cose che, durante la battaglia, riusciva a fare.

Il volere di Dio, perpetrato da Michele era di sconfiggere Raffaele e le sue manie di conquista, non di stare a poltrire sotto la pioggia di un'immensa radura grigiastra.

«Sempre con il broncio Castiel?» il sussurro gli vibrò nell'orecchio, i polsi sfiorarono leggermente la sua guancia mentre posava i palmi dell mani sulle sue spalle, dolcemente, quasi in fare fraterno. «Bisogna farti rilassare un po', amico mio»

Castiel non si voltò, ma già dalla prima parola sapeva esattamente chi stava parlando. Il corpo poteva essere diverso - Balthazar amava cambiare il proprio contenitore così spesso che aveva semplicemente smesso di farci caso -, ma lo avrebbe riconosciuto ovunque.

«A chi hai rubato questo giovane corpo?»

In qualche modo, i contenitori dell'angelo erano tutti simili. Stessa corporatura, colore di capelli e degli occhi; e in ognuno di essi Balthazar lasciava una firma indelebile del suo passaggio, qualcosa che definiva come un suo "marchio": piccole parole in enochiano tatuate appena accanto alla "V" dell ossa iliache. Parole che lo tenevano nascosto da ogni angelo esistente.

«E' un centurione romano, Marcellus» Balthazar non si dilungò in inutili parole, nè prestò ascolto alle sue prediche; semplicemente lo spinse ad alzarsi, imponendogli con una certa veemenza di seguirlo.

Erano pochi, ormai, i paradisi personali rimasti fuori dalla devastazione: tenuti segreti, erano quelli che gli arcangeli avevano ordinato di non sfiorare e, naturalmente, di non inquinare con la presenza di angeli gerarchicamente minori.

Ma, ovviamente, Balthazar era riuscito a trovare un'entrata secondaria che dava su una scogliera affacciata allo specchio d'acqua.

Un immenso lago colorato da migliaia di sfumature diverse, abbracciato da una catena montuosa che nascondeva quella porzione di paradiso in terra, a chiunque non ne conoscesse l'entrata.

«A chi appartiene?»

«Ha importanza?»

Senza proferire parola l'angelo slacciò l'armatura, sfilò la veste candida gettandola lontano. I capelli corvini gli lambivano la schiena, creando un forte contrasto con la pelle diafana, gli occhi azzurri divennero quasi trasparenti. Con un tremito, rilassò i muscoli e spalancò le ali - pura grazia sotto i colori di un'eterna domenica.

Con pochi passi, Balthazar raggiunse il limite della scogliera: un' invitante salto di centinaia di metri, si stagliava sotto di lui. Riusciva quasi a vederlo attraverso l'acqua piatta, increspata leggermente da un soffio di vento frizzante. Il corpo asciutto, quasi etereo, accarezzato dai colori dell'alba.

«Vieni con me?»

Castiel sussultò impercettibilmente, fissò il volto giovane e sorridente, scese per le spalle, percorrendo il braccio teso verso di lui. In un attimo dimenticò le ferite, il dolore, la guerra: lasciò cadere la veste a terra, posò la spada argentata, rilassò le spalle e aprì le ali. Candide e tremanti, ma incredibilmente grandi – pure e lucenti come solo un soldato devoto poteva possedere.

Castiel non disse nulla: intrecciò le dita in quelle dell'amico lasciandosi cadere, sorridendo, giù dalla scogliera: due angeli in volo, stretti in un unico abbraccio.

La caduta fu più lenta di quanto, entrambi, si aspettassero: petto contro petto, con le ali ad escuderli dal mondo intero, osservavano quella piccolissima porzione di paradiso mutare velocemente, fino a scomparire del tutto appena raggiunta la superficie del lago.

L'acqua era tiepida anche in profondità, dove i raggi del sole non riuscivano a penetrare. Migliaia di minuscoli pesci guizzavano qua e là, stando ben attenti a non avvicinarsi ai due angeli.

Qualcosa riusciva a rompere l'oscurità del fondale, portando a galla un bagliore flebile: in lontananza un bambino dalle vesti consunte, correva gridando, felice, di aver trovato abbastanza oro da sistemare la sua famiglia.

Castiel si mosse appena in direzione dell'amico; per un secondo pensò di protestare per la loro fuga dal campo di battaglia, in fondo sarebbe bastato poco per andarsene – uno schiocco di dita e puff! sarebbe ritornato in quel prato delle valli irlandesi un tempo meraviglioso ma che, ora, ricordava un cimitero troppo vasto per essere curato. -.

Ma una domanda bruciava nella sua gola, si dimenava e scalciava.

«Tu hai mai pianto?»

Castiel non seppe mai perchè glielo chiese: forse perchè nessuno aveva mai voluto rispondergli e quella sembrava l'occasione perfetta per ricevere, finalmente, una risposta. Forse per curiosità. O, forse, perchè dopo anni passati ad osservare gli umani e le loro sofferenze, si era ritrovato a chiedere come sarebbe stato provare una tale sensazione.

«Gli angeli non piangono Castiel. Perchè quando lo fanno il paradiso di ferma; non scendono lacrime. Il pianto di un angelo è un lamento, un urlo che gela l'anima e che ti cambia irreversibilmente. Gli angeli non sono in grado di piangere» Balthazar lo fissava con occhi sgranati, stupiti da una simile domanda. Sapeva bene che solo una volta gli angeli avevano pianto, tutti insieme: l'ultima volta che Dio era comparso nel paradiso, l'ultima volta che gli angeli furono fratelli.

«Non possono piangere perchè amano solo il proprio padre. Obbediscono agli ordini, non fanno altro Castiel» poi il suo viso sembrò addolcirsi sotto il peso di un sorriso; con una mano lisciò i capelli lunghi, togliendo da davanti agli occhi poche ciocche, abbastanza da permettergli di vedere meglio ciò che aveva davanti a lui. Castiel, nel suo corpo minuto, sembrava un bambino sperduto chissà dove, pieno di vita, di speranza.

La pelle color miele, costellata da piccole gocce, sembrava risplendere sotto il sole nascente; le labbra sottili e rosee erano leggermente aperte donando a quel viso troppo giovane, un'espressione rilassata e curiosa.

Ed era bello, bellissimo. Più di ogni paradiso, più di ogni alba, più di ogni Dio...

«Quelle scimmie senza peli invece! Da quano sono sceso sulla terra per prendere un contenitore ho imparato molte cose. Ho visto molte cose! Non c'è solo l'amore per Dio, Castiel. Ne esistono altri! Più travolgenti, fisici, umani.»

L'angelo diminuì la distanza con un colpo di reni, i capelli bagnati danzavano sul filo dell'acqua, incorniciando lo sguardo celeste che sembrava volerlo spogliare di ogni paura.

Senza quasi accorgersene, si ritrovarono avvinti in una sorta di attrazione magntica. E davvero Castiel non voleva cedere, ma Balthazar gli era così vicino da fargli sentire il suo profumo pungente, misto a quello salmastro del lago, appropiarsi con forza delle sue narici, scivolando giù per la gola; talmente vicino da poter sentire il suo respiro caldo accelerare, da poter vedere i suoi occhi azzurri, addolcirsi per un solo, piccolo, istante... che non resistette più.

Un unico piccolo bacio, dolce e possessivo. Delicato ma, al contempo, pieno di una forza invisibile che li legava da miliardi di anni.

E annegarono in quella sensazione, in quell'assoluta e perfetta pace che avvolgeva tutto intorno a loro.

Balthazar, ad un soffio dalle sue labbra, artigliò i capelli scuri, facendoli scivolare tra le sue dita; spinse la fronte contro la sua, guardandolo fisso negli occhi - due mari che si perdevano l'uno nell'altro.

«Vieni con me» Balthazar nascose il suo viso nell'incavo della sua spalla, fece vibrare le ali e con l'estremità sfiorò quella dell'amico: la testa girava e girava e un piccolo gemito sfuggì alle labbra ancora arrossate.

«Sono qui» rispose ingenuamente, chiudendo gli occhi. Con le dita percorse il profilo del suo collo disegnando, in maniera quasi ipnotica, linee circolari sulla pelle umida.

E l'amico rise; una risata semplice, rassegnata. Come poteva anche solo pensare che Castiel, l'angelo che distrusse due intere città solo per un ordine, abbandonasse i suoi compagni nel bel mezzo della battaglia?

«E' vero, sei qui»

Balthazar lo strinse, tremò al contatto della sua pelle, si fece violenza per non forzarlo ad andare oltre quel semplice bacio – Dio. Nella sua mente lo vedeva perdersi nell'estasi di un orgasmo, incapace di tenere gli occhi aperti, incapace di lasciare il contatto che li teneva uniti... - poi, in un battito d'ali, prese il volo, sussurrando un'unico, placido "mi dispiace".

°°°°

Quando la guerra li costrinse a riprendere i loro doveri Castiel sapeva, in un modo che non sarebbe mai riuscito a spiegare, che qualcosa non andava. Non solo perchè erano circondati ma qualcosa, nello sguardo celeste di Balthazar, si era rotto.

Schiena contro schiena i loro nemici cadevano veloci, obbligati a soccombere a quella che sembrava essere una perfetta combinazione di armi da guerra,

La spada nelle loro mani, l'unica arma che possedevano, ruotava e colpiva ad ogni affondo, dilaniava, feriva.

Sibili acuti, seguiti dalla luce abbagliante di una grazia morente si disperdevano nell'aria: una canzone di guerra che pulsava nelle vene, saliva lungo la spina dorsale, esplodendo nel cervello e provocando nei due angeli un'insana sensazione di felicità.

Ma qualcosa, in un istante, andò storto: nella confusione una mossa sbagliata, un movimento fatto troppo tardi poteva essere fatale; e Castiel, troppo pieno di se per ammettere anche solo l'dea di commettere un errore, rimase ferito ad una gamba.

Una ferita profonda che bruciava e bruciava, sempre di più, abbastanza da farlo cadere a terra: un dolore, simile ad un ago che penetrava lentamente, s'impossessò della sua testa.

L'odore di sangue, intriso nella terra, gli offuscò la vista: vide Balthazar corrergli incontro, spaventato come mai prima d'ora.

E poi, il nulla.

°°°°

Castiel riuscì a svegliarsi dopo un tempo che gli parve infinito; l'odore di morte che impregnava le sue narici era talmente forte da fargli venire da vomitare.

Le ferite bruciavano, sentiva il suo sangue scivolare lungo la veste bianca e la testa... Dio. Dio!, non aveva mai provato un dolore simile.

L'armatura, che avrebbe dovuto proteggere il suo petto, sembrava volerlo stringere fino a soffocarlo; la spada lucente bruciava nella sua mano ricordandogli che, in qualche modo, era ancora vivo.

Perchè Castiel era vivo.

Uno dei pochi, ormai.

La luce del sole irritava ancora i suoi occhi, rimasti chiusi per un tempo che, ancora, non aveva quantificato. Con tutte le forze rimaste provò ad alzarsi: facendo leva con le mani si spinse in alto una, due, tre volte.

Le braccia tremarono dallo sforzo, il respiro si fece più lento quando, all'improvviso, lo vide.

Il motivo per cui non riusciva a rialzarsi: tra i milioni di corpi sparsi per le lande del paradiso uno, dall'armatura squarciata, accasciato senza vita su di lui, era Balthazar.

Per un secondo che sembrò interminabile, Castiel smise di respirare; i suoi occhi azzurri erano irriconoscibili, spenti, opachi. E le sue ali, un tempo gloriose come solo quelle degli arcangeli potevano essere, ricadevano sul prato, in cenere.

«No» fu l'unica cosa che riuscì a dire. No. No. No!

L'angelo lo prese per le spalle, provò a scuoterlo e pregò Dio.

Lo pregò per un miracolo. Uno solo.

Ma non arrivò niente: aspettò per ore, giorni, settimane.

Non gli interessava l'odore, diventato sempre più penetrante e disgustoso: Balthazar, il compagno di sempre, era morto per colpa sua.

Spalancò le ali candide, sanguinanti dalla battaglia, tremanti, e le richiuse, dolcemente, sul corpo che aveva tra le braccia. Lo cullò, avvicinò la fronte alla sua cercando, sotto l'odore di sudore e l'odore di morte, uno più personale – il suo.

Ma non lo trovò.

«No»

E Castiel, il figlio del giovedì, pianse.

°°°°°

«Pensavo fossi morto» la sua voce risuonava delusa nella stanza. Anche se, per chi sapeva ascoltare, era presente, nitida come non mai, una vibrazione di pura felicità.

La sua casa rispecchiava completamente il suo carattere: non si era stupito, infatti, di trovare come benvenuto luci stroboscopiche e una musica assordante.

Per anni si era sentito in colpa, per millenni era stato divorato dal rimorso di essere svenuto, quel giorno. Di aver permesso a quel bastardo di morire.

«Ogni dannatissimo giorno rivedevo i tuoi occhi spenti. Io – Castiel strinse pugni. Avrebbe voluto prenderlo a calci, fargli provare anche solo una goccia di quel dolore che lo aveva tormentato in tutti quel tempo. Si avvicinò lentamente, passo dopo passo. - Io ho pianto la tua morte»

«Lo so, scusami»

L'uomo non disse altro. Ma, in effetti, non c'era nient'altro da dire in quel momento, senza cadere nel superfluo.

«Dovevo andarmene di lì. E per ingannare tutti, dovevo ingannare te. »

In un gesto veloce – e inaspettato – l'angelo lo strinse a se, sorridente come era sempre stato nei suoi ricordi. E quella rabbia che Castiel sentiva nel petto, scemò in un istante quando si rese conto, finalmente, che Balthazar era lì.

Che Dio, dopo millenni, aveva esaudito il suo miracolo.



E' il giorno in cui ho perso me stesso.

   
 
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