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Autore: ArashiStorm    29/03/2014    2 recensioni
[SPOILER per la fine di ACIII]
...Lo aveva perso, anzi lo aveva ucciso lui stesso, poco più di un mese fa. Le sue mani potevano dirsi ancora bagnate del suo sangue, anche se non solo del suo, perché insieme a quello di Haytham Kenway, dalla lama celata che teneva al braccio, colava anche il sangue, ben più odiato, di Charles Lee. E se non provava nessun pentimento per quell'ultimo omicidio, lo stesso non poteva dirsi del macigno che sentiva nel cuore per l'uccisione del padre. Soprattutto ora che, dopo la lettura del suo diario, era riuscito, forse, a capirlo anche se ancora non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarlo...
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aveline de Grandpré, Connor Kenway, Haytham Kenway, Kaniehtì:io (Ziio)
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco il nuovo capitolo. Mi scuso con i lettori, soprattutto con le uniche due ragazze che recensiscono sempre, per la grande attesa tra un capitolo e l'altro ma real life docet. Spero che la storia continui a piacervi. Buona lettura. Edit: mi son resa conto che avevo usato la seconda persona con Connor nei confronti di Haytham...(sono troppo abituata a giocare e a leggere in inglese XD) ho corretto facendogli usare il "Voi". Scusate la svista.


 5. When We Meet


Ormai si era fatta buio, la foresta si nascondeva nelle tenebre mentre Connor vi si immergeva al galoppo, spronando il cavallo a fare in fretta. Era vero che avesse un'idea di dove suo padre potesse essersi diretto, ma era anche vero che tale ipotesi era piuttosto irreale, eppure, senza capire il perchè, si sentiva sicuro nella sua intuizione.

Mentre cavalcava, certo della direzione nonostante l'oscurità, si ritrovò a pensare che era assai probabile che poche ore prima, mentre lui e Aveline si avvicinavano a New York, nello stesso momento Haytham stesse facendo il percorso contrario. Non si erano incrociati però, Connor se ne sarebbe accorto, quindi l'unica opzione possibile era che suo padre si fosse allontanato dai sentieri segnati per gettarsi nel folto della foresta, lontano da occhi indiscreti di viaggiatori e soldati. La cosa, non aveva timore ad ammetterlo, lo preoccupava non poco. Era consapevole di come Haytham, nonostante l'età, fosse ancora perfettamente in grado di badare a se stesso, ma al tempo stesso sapeva che l'uomo era senza armi in quanto le sue gli erano state tolte e ora giacevano sotto chiave a casa di Jack. Non aveva nemmeno la lama celata, di cui ora Connor conosceva la provenienza, poiché quella era riposta sul tavolo nei sotterranei di villa Davenport. Senza armi nella natura selvaggia...se un lupo, o peggio ancora un orso, avesse dovuto attaccarlo non avrebbe nemmeno avuto la possibilità di parlargli prima di doverne accertare la morte, questa volta con sicurezza.
A quel pensiero gli tornò in mente il loro scontro a Fort George. Più ci pensava più si rendeva conto di quanto Aveline avesse ragione. Non aveva combattuto sul serio, l'Haytham, quello vero, avrebbe avuto facilmente la meglio su un ragazzo ferito quale era lui in quel momento. Poco importa quanta determinazione avesse, era ferito, arrabbiato e poco lucido, eppure...suo padre non aveva azionato la lama celata quando lo aveva messo al tappeto, e non lo aveva preso alle spalle quando all'inizio ne aveva avuto tutto il tempo. No, si era annunciato decretando la fuga di Lee e mettendosi lui stesso tra Connor e il suo secondo in comando. Se fino a qualche giorno fa avrebbe potuto dire che suo padre avesse voluto ancora una volta tentare di portarlo dalla sua parte, oggi invece, dopo aver letto il suo diario, Connor sapeva che Haytham era perfettamente conscio che non sarebbe mai riuscito a fargli cambiare idea e che se si fossero affrontati uno dei due sarebbe morto. E Connor, ora, poteva dirsi certo che suo padre avesse già deciso a chi dei due sarebbe toccato quel destino.
Provò rabbia a quel pensiero, si disse che era perché si sentiva preso in giro e truffato in qualche modo, eppure sotto sotto, nel suo cuore c'era altro, un sentimento ben diverso dalla rabbia derivata da un inganno, era un sentimento molto più subdolo e doloroso e che, più il tempo passava, più assomigliava a quello che tanto, troppo tempo fa, aveva provato vedendo sua madre sparire sotto un muro di fuoco.

Scosse la testa nel tentativo di allontanare tutti quei pensieri dalla sua mente. Non era quello il momento di rimuginare sul passato. Era nel bel mezzo della frontiera, in piena notte e alla ricerca di tracce che sapeva bene suo padre avrebbe cercato di nascondere. Sfortunatamente per Haytham però, Connor era molto più abile del padre nella caccia e gli fu relativamente facile riuscire a trovare indizi utili nella sua ricerca che, come si era aspettato, lo aveva condotto al luogo in cui fin dall'inizio era certo di trovare il genitore.
Arrivò al suo villaggio natio con l'alba che si stiracchiava stanca aldilà delle montagna, donando al mondo una luce ancora fioca e debole, molto più debole del fuoco che Connor vide acceso al centro del villaggio. Vicino a quella piccola fonte di calore, un uomo gli dava le spalle, seduto con la schiena dritta. Sulla testa nessun cappello...il suo in fondo era tra le mani di un bambino a New York.

Connor scese da cavallo e si avvicinò piano.

«Charles è morto» disse l'uomo senza voltarsi. Connor annuì con un si che non tradì rimorso alcuno. «Per mano mia» aggiunse. E  questa volta fu Haytham ad annuire in silenzio.

«Sei venuto per assicurarti di non lasciare il lavoro a metà una seconda volta?»

«Non voglio uccidervi»

Haytham si voltò, e per la prima volta dopo Fort George i suoi occhi incontrarono nuovamente quelli di suo figlio. Connor vi lesse sincera sorpresa che lo indusse a fermare quel contatto visivo portando lo sguardo al terreno.

«Non ho mai voluto farlo in realtà» continuò poi, mentre la sua mano teneva ancora le redini del cavallo.

Haytham non rispose. Si prese del tempo per continuare ad osservare il figlio. In quegli anni in cui aveva avuto modo di conoscerlo, capì  di non averlo mai guardato abbastanza. Era vero che gli era bastato uno sguardo per capire che fosse figlio suo, i lineamenti dei Kenway e gli occhi di Ziio erano inconfondibili sul volto del nativo, ma Haytham non aveva mai posto tanta attenzione su quanto quel ragazzo fosse, beh, un ragazzo appunto. Era giovane eppure sulle sue spalle gravava un fardello che anche un adulto avrebbe faticato a reggere. Era giovane, ma indossava una maschera da adulto. Haytham chiuse gli occhi e sospirò riconoscendo in suo figlio la sua stessa maledizione, quella che ti costringe a crescere senza un'infanzia normale, circondato da intrighi, tradimenti e sangue. Forse la si sarebbe potuta chiamare la maledizione dei Kenway.

L'uomo tornò ad osservare le fiamme che s'alzavano e s'abbassavano. Lanciò un altro pezzo di legno tra le braci e riprese la parola notando come suo figlio fosse rimasto immobile nello stesso punto senza aggiungere altro alla sua ultima frase.

«Perché sei venuto allora Conn...» si fermò «no, anzi non dovrei chiamarti così...non è il tuo vero nome, dico bene?»

Il ragazzo sussultò alzando nuovamente gli occhi sul padre. «Come lo sapete?» chiese, si era detto sempre sicuro che sua madre non avesse mai avuto contatti con Haytham dopo la sua nascita e che quindi non gli avesse mai rivelato di aver avuto un figlio e ancor meno quale fosse il suo nome.

«Ci pensavo qualche ora fa, in realtà...» rispose Haytham, ignaro delle ipotesi che si susseguivano nella mente di Connor «un nome inglese, anzi americano lo si direbbe ora, beh ... tua madre non lo avrebbe mai scelto. Invece mi è tornato alla mente ... il figlio di Davenport...lui si chiamava Connor. È stato il vecchio Achilles a darti quel nome vero?» chiese infine l'uomo voltandosi quel poco che bastava a permettergli di vedere la reazione del figlio.

Connor annuì, stringendo le redini del cavallo senza nemmeno accorgersene e senza capirne il motivo.

«Dunque come ti chiami...figliolo?» aggiunse quell'ultima parte con cautela quasi fosse in punta di piedi su un precipizio senza fondo.
Connor rimase in silenzio per alcuni istanti, poi si lascio scappare un leggero sorriso.

«Non sapreste comunque pronunciarlo» dichiarò con ilarità.

Haytham sbuffò tra l'offeso e il divertito. «Beh che dici di mettermi alla prova, potrei stupirti»

Il ragazzo lo guardò a lungo, poi distolse lo sguardo e sputò il suo nome pronunciandolo volutamente veloce.

«Ratonhnakè:ton»

Ci fu silenzio. Haytham si prese alcuni istanti prima di cercare di riprodurre quel suono che alle sue orecchie non poteva nemmeno essere definita come parola di senso compiuto. Ci provò più volte, ma ogni tentativo era accolto con uno scuotimento della testa del figlio segno inequivocabile dell'errore nella pronuncia.

«Aaah è inutile» decretò dopo almeno una decina di tentativi «se pensavo che il nome di tua madre fosse complicato, il tuo è proprio impronunciabile. Non riesco a capacitarmi di come voi possiate capirvi con quella strana lingua.»

«Ve l'avevo detto che non sareste riuscito a pronunciarlo» concluse il ragazzo avvicinandosi al genitore.

«Vorrà dire che continuerò a chiamarti Connor, in fondo è il nome che ti ha dato tuo padre»

Connor si fermò di colpo, guardando Haytham con uno sguardo perplesso e leggermente ferito.

«Achilles non era mio padre!» ribatté il ragazzo con una decisione e un tono tale da far voltare Haytham in modo brusco. In quelle parole aveva sentito non solo irritazione ma anche una vena di sofferenza e delusione che non si sarebbe aspettato nella voce del figlio.

«Che voi lo vogliate o no, siete voi mio padre!» aggiunse Connor sempre mantenendo lo stesso strano tono.

«Pensavo fossi tu a non volerlo»

Connor sussultò. Non lo voleva? c'era forse mai stato un momento in cui aveva voluto dimenticarsi del fatto che Haytham Kenway era il suo vero padre? Forse l'unico istante in cui avrebbe dato qualsiasi cosa per non averlo avuto come genitore era stato quello in cui si era visto costretto ad infilargli la lama celata alla gola. Si, in quel momento avrebbe voluto che quell'uomo, dallo sguardo triste e risoluto allo stesso tempo, fosse stato solo il gran maestro templare delle colonie. Se così fosse stato Connor avrebbe archiviato la sua morte insieme a tutte le altre di cui le sue mani si erano sporcate e invece quella era probabilmente una delle poche, se non l'unica insieme a quella del suo amico Kanen'ton:kon, che gli pesava sul cuore. Non poteva infatti negare che la notizia di saperlo ancora in vita avesse alleggerito quel peso in modo quasi irritante.

«Achilles è stato il mio mentore, è stato importantissimo per me. Mi ha insegnato tanto, mi ha cresciuto quando mia madre se ne andata, ma per quanto io gli sia grato e lo ricordi con immensa sofferenza...Egli non è mio padre. Non lo è stato e non lo sarà mai. Quella seccatura è soltanto vostra»

«Seccatura? Averti come figlio non è mai stata una seccatura. Un problema forse, una preoccupazione anche, ma mai una seccatura. Non ho mai avuto intenzione di rinnegarti ma ho sempre pensato che fossi tu a non considerarmi tuo padre»

Connor si rilassò tirando un lungo sospiro mentre oltre le montagne il sole cominciava a regalare più luce costringendo il ragazzo a portare una mano alla fronte per proteggersi dai tiepidi raggi che gli colpivano gli occhi.

«Ricordate quando mi sono dovuto procurare quel travestimento per entrare nella birreria mentre inseguivamo Church?» chiese spostandosi leggermente dalla zona colpita dal sole.

Haytham annuì seguendo con cura gli spostamenti del figlio.

«Mi annunciaste come vostro figlio quella volta...Ne fui sorpreso...»

«Sono stato incauto, avrei dovuto pensare che non avresti vol...»

«Ne sono stato felice» lo interruppe Connor «li per li non capii come mai, ma le vostre parole mi fecero felice. Ora penso di aver capito perché»

Haytham scoppiò a ridere «Beh se stai cercando di commuovermi caschi cale...figliolo» disse intercalando alla risata qualche colpo di tosse improvvisa.

Connor si irritò. Era ancora ingenuo per riuscire a comprendere quel magro tentativo di sviare il discorso da parte di Haytham. Eppure l'uomo si diede dello stupido per non aver immaginato che quelle sue parole avrebbero irritato Connor, certo, ma non lo avrebbero convinto ad allontanarsi. Al contrario infatti, il ragazzo allungò il passo con intenzioni che ben presto cambiarono quando gli occhi del giovane poterono vedere dove la mano sinistra del padre era sempre stata premuta fino ad ora.

Il sole aveva ormai illuminato tutto il villaggio ma tutto quello che Haytham sentì prima che si facesse nuovamente buio fu la voce del ragazzo, spaventata, come solo quella di un figlio poteva essere.

«Voi siete ferito!!»

  
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