Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: rosgreenday    06/07/2008    0 recensioni
Michela è una ragazza all'apparenza normale: a scuola buoni voti, buoni risultati anche nella squadra di pallavolo dove gioca da anni.
Michela ha una sorella e una madre che le vogliono bene e farebbero tutto per lei.
Ma Michela è anche molto timida... troppo timida. Condizione esasperante, che spinge la sorella ad affrontare l'argomento, ben consapevole, che le conseguenze potrebbero non essere piacevoli.
One-shot semplice e senza pretese, sicuramente non allegra, leggermente introspettiva.
NB: ho inserito il paring giallo per alcuni termini piuttosto coloriti, niente di più.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

When no one should know

Michela

Michela guardò l’orologio stanca, poi volse lo sguardo all’entrata della palestra. Alessia, sua sorella, doveva ancora uscire. Intravide, invece della sua figura alta e snella, un gruppo di ragazzi dirigersi verso la porta. Li conosceva bene. Almeno, di vista, sapeva chi erano tutti. Fiore, Machiavelli e Lupin. Soprannomi, ovviamente, però, li conoscevano così. Giocavano nella squadra maschile di calcio del suo club, il Mirane, e da come avrebbe capito chiunque dal suo sguardo allarmato e sovrappensiero erano piuttosto popolari.

Li vide passare disinvolti per l’entrata, mentre salutavano il ragazzo dietro al bancone dell’accettazione, il figlio proprietario della palestra, era un bel giovane, che un tempo sembrava poter avere un futuro nel campo del basket. Poi stando a quanto le aveva raccontato Alessia, sempre attenta alle chiacchiere di corridoio, andando in motorino era caduto e si era rotto il legamento crociato, poteva camminare, ma certo non correre o continuare a giocare. Così la sua carriera era stata stroncata sul nascere.

I tre ragazzi intanto erano quasi usciti dalla palestra. Michela poteva sentire il loro vociare incessante. Abbassò lo sguardo e prese il cellulare, fece finta di aver ricevuto qualche messaggio per non doverli guardare. Nel frattempo malediceva sua sorella per essere di una lentezza esasperante. Aveva detto che saliva, perché si era dimenticata la giacca. Probabilmente si era fermata a chiacchierare con qualcuno. Lei era più aperta, non si faceva tutti i problemi di Michela, che aveva difficoltà a conversare anche con chi conosceva dall’asilo. Anzi soprattutto con chi conosceva dall’asilo…

Fortunatamente i ragazzi le passarono davanti indifferenti. Lei tirò un sospiro di sollievo. In quelle situazioni non sapeva mai come comportarsi. Non era, infatti, esattamente vero che li conosceva solo di vista. Lei era nella squadra femminile di pallavolo e loro nella maschile di calcio. Situazione così stabile da circa cinque anni, o forse anche più, non ricordava. Sicuramente, sapevano chi era e qualche volta ci aveva anche scambiato due parole. Tutto lì nulla di più.

Il suo problema era molto semplice e stupido, se lo ripeteva in continuazione. Era solo molto timida, tante persone erano timide e insicure. E con questo di solito liquidava le riflessioni sui suoi blocchi. Sua madre e sua sorella dicevano che c’era qualcosa di più. Forse un po’ era vero, andando alle superiori era cambiata. Michela non voleva pensarci.

Tornò a rivolgere la sua attenzione al mondo: i ragazzi erano, ormai, o così le sembrava, usciti dal suo campo visivo quando ripose il cellulare in tasca e si diresse verso il parcheggio delle biciclette. Un massaggio alla fine l’aveva mandato, aveva scritto a sua sorella che tornava a casa da sola. Ad ogni modo, felice che quella giornata fosse finita girò l’angolo ed ecco materializzarsi l’amara sorpresa, insieme alla consapevolezza che il luogo che la palestra metteva a disposizione per le biciclette era attaccato a quelli dei motorini.

Loro erano là. Lupin aveva già il casco e aspettava solo che gli amici lo imitassero per partire. Fu Fiore a vederla per primo.

“Ciao” Fu tutto quello che le disse, con fare non curante.

Lei rispose al saluto nel modo più naturale possibile.

Machiavelli la guardò sorridendo e la salutò a sua volta, Lupi si limitò a fare un cenno.

Michela sentì una vampata scaldarle il viso, poi un brivido lungo la schiena quando Machiavelli iniziò a camminare verso di lei. Era sceso dal motorino e aveva detto qualcosa agli amici. Michela era sicura di aver scorto Lupin ridacchiare.

Mille pensieri le affollarono la mente. Ultimo fra tutti quello di ricordarsi di respirare.

Ovviamente parlò lui per primo “Sei nella femminile di pallavolo, vero?”

“Sì” disse secca. Ripensandoci si maledì per non aver aggiunto qualcosa a quella risposta. Un'altra domanda, per esempio. Avrebbe potuto dire ‘Sì, perché?’ o qualcosa del genere.

Lui, però, non sembrò toccato dalla cosa. Anzi senza neanche aspettare che rispondesse aveva iniziato a frugare nel borsone. Ne tirò fuori un cellulare. Michela lo conosceva era di Ludovica il centro della sua squadra.

“Questo l’ho trovato sopra gli armadietti in atrio e mi sembrava fosse della Ludo. Non è che potresti darglielo quando la vedi?”

La sua voce era distante e disinteressata, avrebbe pensato dopo, un po’ gelosa del tono di familiarità con cui aveva pronunciato il nome della compagna di squadra.

Anna sorrise “Sì certo. Non c’è problema. La vedrò domani a scuola.”

“Perfetto. Allora ciao.” Le aveva già voltato le spalle.

“Ciao.” ora sentiva di doverlo dire per forza.

Lui si girò, ma non disse nulla sorrise e basta.

 

*****

 

Alessia

Uscì dalla palestra correndo con il cellulare ancora in mano, sperando che la sorella non se ne fosse già andata. Tirò un sospiro di sollievo quando la vide, si era appena seduta sulla bicicletta.

“Comoda, eh? Non preoccuparti minimamente la prossima volta, fai pure con calma.” Le disse Michela dalla sella della bicicletta.

Alessia le lanciò un’occhiata di fuoco.

“Sono stata dentro dieci minuti, Michi! Mica un’ora!” Provò a giustificarsi, sorridendo colpevole.

La sorella non riusciva a tenerle il broncio. Poi sapeva che non era arrabbiata per lei, ma per aver incontrato Fiore e i suoi amici.

“Muoviti dai!”

Alessia si chinò per aprire il lucchetto della bici, sentendo lo sguardo della sorella bruciare sulla schiena. Quando fu anche lei in sella incominciarono a pedalare nel più completo silenzio.

“Cosa fai questa sera?” chiese distrattamente Alessia.

Michela sbuffò “Vado a mangiare una pizza con Lily.”

“E non sei contenta?” Il tono con cui la sorella le aveva comunicato la notizia era stanco e irritato, ma Lily era la sua migliore amica. Non poteva diventare indisponente anche nei suoi confronti.

La giovane si sentì un po’ in colpa per come aveva parlato poco prima.

“Non è che abbia tanta voglia di uscire… Oggi.” Provò a giustificarsi e di solito funzionava.

Il più delle volte se la cavava, infatti, con qualche battuta pungente della sorella, ma poi finiva lì. In quel momento, però, la vide assumere un cipiglio cupo.

“Tu non hai mai voglia di uscire.” Non c’era nessuna malizia canzonatoria nella sua voce.

Michela provò ad allentare la tensione creatasi. “Bhe dai. Ora non esagerare! Solo perché oggi sono un po’ così…”

La sorella le fece cenno di smettere. Sventolava la mano in aria come se dovesse scacciare una mosca.

“Michi…” iniziò, il suo sono non era più gaio, una maschera d’inflessibilità le copriva il volto “…lo sai, dove voglio arrivare…”

Lei abbassò la testa colpevole “Ale, per favore…” supplicò.

“Fermiamoci un attimo dai” propose Alessia guardandola colpevole.

Michela si mise a urlare “No! No, che non ci fermiamo! Tanto lo so quello che devi dire e se tacessi per non mortificarmi ulteriormente te ne sarei grata!”

Le ultime parole le erano uscite strozzate, Alessia sentiva da un metro il nodo alla gola che ora la costringeva al silenzio. Per non tradire altre emozioni.

“Siamo preoccupati… Io e mamma…” La sua voce si era fatta improvvisamente più tenera. Non doveva aggredirla così. Sapeva che Michela era sempre stata sensibile. Anche prima di quell’episodio, che aveva trasformato le loro vite.

Una lacrima solitaria la rigò il volto. “E fate male.”

“Michela adesso fermiamoci e parliamone.” Le intimò Alessia. Non era proprio il massimo discutere di certe cose correndo in bicicletta.

L’altra aveva cambiato espressione. Niente più aria contratta e affranta. Tutto nel tentativo di fermare le lacrime, ma sapeva che stava per scoppiare.

“Io non ho niente da dirti.” Affermò inflessibile.

Alessia pensò che fosse meglio lasciar perdere e continuare il discorso a casa, ma non le riusciva proprio di vederla così. Aveva troppe cose da dire e temeva che se avesse aspettando non ci sarebbe più riuscita. Così provò di nuovo.

“Per favore fermiamoci.”

“No.” La secca risposta, che ricevette. Michela non guardava più verso di lei.

Lei sbuffò sonoramente “Allora ti parlerò qui. Davanti a tutti. In mezzo alla strada.”

“Fa’ come credi.”

“Perfetto.”

Seguirono attimi d’impalpabile silenzio. Tutto sembrava vuoto e nullo. I faggi scorrevano dietro e davanti a loro. Il gorgoglio del fiume e il ronzio delle macchine riempivano i loro pensieri. Girano dentro “Via Calvetti”.

Alessia si fece forza. “Michela, devi capire che quello che è successo è tragico, ma noi dobbiamo superarlo. Anche dopo tutto questo la vita continua. Non siamo le prime e non saremo certo le ultime cui è accaduta una cosa del genere.”

Michela non disse nulla continuava a pedalare senza volgere sguardi alla sorella, che così decise di continuare.

“Sai la mamma, in fondo, ha reagito bene. Ora lavora e noi siamo di nuovo una famiglia, ma tu, Michi, ti sei chiusa, capisci?” Nonostante il tono non era una domanda. “Hai paura degli estranei, di parlargli e non dire che sei timida adesso. Prima parlavi con le persone, ora le fuggi. Parli solo con quella Lily che hai conosciuto qualche mese fa…”

Michela la interruppe bruscamente “Adesso è Lily il problema?! Prima t’incazzi perché non me la sentivo di uscire con lei, ora non va più bene!?” Era fuori di sei e urlava a dismisura.

Alessia la guardò allibita.

Non adesso, Michi. Calmati.

“Michi…” alitò appena la ragazza con aria supplicante.

Lei tacque, riprendendo a respirare. Alcuni passanti le fissavano. Sentiva il volto in fiamme.

Alessia non ci pensò due volte e tornò alla carica. “Capisci cosa intendo? Sei diventata strana.”

Tacque anche lei, valutando se era il caso di continuare. Poteva essere pericoloso sulla strada dov’erano prima, ma ora. Lì ogni tanto passava solo qualche autobus.

Così si arrischiò a dire una cosa, che sapeva già avrebbe scatenato le reazioni più avverse nella sorella.

“Tu eviti chiunque sappia…”

Boom.

Michela frenò di colpo. Immobilizzata sulla sella della sua bicicletta.

Alessia continuò a parlare. “Ora è inutile, che fai quella faccia! L’altro giorno la mamma di Lily ha fatto le condoglianze alla mamma per la morte del marito. Cioè, ma Michi, ti rendi conto?! Dici ai tuoi nuovi compagni di classe che papà è morto?!”

Il tono rigido della diciassettenne, che poi era diventato tenero, si era indurito nuovamente.

Michela scoppiò a piangere. Questo non impedì alla sorella di continuare ad aggredirla. Dirle cosa sapeva della sua situazione l’aveva fatta arrabbiare. La stessa rabbia provata quando la mamma glielo aveva detto.

Scese dalla bici e tornò a dar contro alla ragazza.

“Michela, cazzo, guardarmi! Non era solo tuo padre! Porca troia, anch’io ho sofferto e non credere che la mamma non stia ancora male. La verità è che quell’uomo era un bastardo infa…”

Lì s’interruppe, aveva visto Michela muovere impercettibilmente le labbra.

“Cos’hai detto?” Parlava ansimando, la sfuriata di poco prima l’aveva scossa. Sentiva il sudore imperlarle la fronte. I suoi bei capelli castani si erano attaccati a essa.

Michela aveva il viso distrutto era scossa da tremiti e singhiozzi. Un liquido biancastro le colava dal naso e si mescolava con il sudore e le lacrime.

Si passò una mano sulla faccia. “Ale stai zitta… torniamo a casa.”

“Come sarebbe a dire stai zitta?!” Riprese a sbraitare.

“Michi, non so se ti rendi conto, ma quel vile ci ha lasciate! Ci ha abbandonate e se n’è andato con quella puttana!”

Una piccola folla si era radunata a osservarle.

La quindicenne aveva smesso di piangere. “Non parlare di lui in questo modo.” Intimò alla sorella, la voce sempre piatta e strozzata.

“E come dovrei parlarne? Come dovrei chiamarlo sentiamo?! Il caro papà, che si scopava una troia tradendo la moglie? Così va meglio? Oppure il caro papà che ci voleva talmente bene da scappare senza un saluto!?”

Michela non calcolò neanche quello che la sorella aveva detto. “Stai zitta!” urlò tappandosi le orecchie con le mani.

“Cosa cazzo vuol dire stai zitta!?” Alessia era furibonda, le vene del collo si dilatavano sistematicamente, non sembrava neanche più lei. Aveva dimenticato i buoni propositi di far ragionare la sorella in modo civile e di riportarla a casa per continuare la discussione.

La rabbia per la fuga del padre. La rabbia per quel biglietto. Le tornarono alla mente gli occhi della madre, lei non voleva piangere davanti alle sue figlie, ma era scoppiata. Alessia l’aveva guardata mentre gridava straziata. Da quel giorno non l’aveva più vista piangere.

“Vuol dire che devi tacere! Tu e la mamma fate tanto le rassicuranti: la vita continua Michi, che fine ha fatto Marco? E Federica? Perché non li inviti più a casa?” Una pausa. Si guardò intorno, la gente le guardava costernata, alcuni ridevano, altri si passavano una mano sulla faccia mestamente, quelli che sapevano.

Michela continuò “La verità è che vi sentite in colpa!”

“Cosa?” La voce di Alessia era glaciale.

“Vi sentite in colpa perché quello che è successo è stata colpa vostra. Voi trattavate male papà, la mamma non gli parlava quasi più, lo avevate isolato…”

Alessia si avvicinò “Smettila, non sai quel che dici.” Le intimò, ma anche a lei la minaccia suonò vuota. Una frase fatta senza significato.

Infatti, lei continuò “…eravate due vipere! Lo avete fatto scappare voi!”

 

*****

 

Michela

Un sonoro schiaffo la colpì in piena faccia. Michela sentì qualcuno trattenere un grido. Portò una mano alla faccia, non c’era il solito formicolio, non avvertiva nulla. Si sforzò per raddrizzare il collo e guardare la sorella. Poi un sapore metallico, quasi ferroso, si abbassò di nuovo. Sputò sangue.

Quando finalmente alzò lo sguardo, vide Alessia, la mano ferma a mezz’aria. Nei suoi occhi non percepì il rimorso, che si era aspettata.

“Ascoltami bene…” La sua voce non era più altera. Era ancor più rigida e gelida di quando avevano iniziato a discutere appena fuori la palestra.

“Ale per favore…” Non era stata Michela a parlare, la voce veniva da dietro Alessia. Apparteneva a un ragazzo. Francesco.

Lei alzò una mano, poi si girò a guardarlo, uno sguardo, Michela pensò, che non ammetteva repliche.

Ricominciò a parlare “E’ giusto che sappia. Non può continuare a vivere nella sua bella favoletta. Non può inventarsi un mondo tutto suo.” Si rivolse di nuovo a lei. “La mamma non ci dorme la notte. Hai capito, piccola stronza? E’ così che la ripaghi? Dicendo che è colpa nostra o cazzate simili?”

Lei aprì la bocca per controbattere, sempre quel sapore ferroso, ora iniziava a sentire la guancia in fiamme. “Siete voi che non lo avete ripagato per tutto l’amore che…”

Un altro schiaffo, poi un altro ancora. Stava aspettando il terzo, ma non sentì nulla, solo Alessia urlare e dimenarsi sopra di lei.

“Lasciami! Lasciami!”

Per la seconda volta alzò la testa. Il viso davvero in fiamme. Vide la sorella sospesa a mezz’aria. Francesco l’aveva sollevata di peso, lei continuava a dimenarsi.

“Adesso basta, Ale. Calmati.” La voce rassicurante del ragazzo si confondeva con il vociare della folla.

Per la prima volta, da quando aveva gettato la bicicletta per terra, si guardò indietro. Vide la Signora Navigli, un’anziana del suo quartiere con una donna che non aveva mai visto, discutevano. Ogni tanto la donna si girava a guardare la scena di sua sorella che sbraitava, si girò anche Michela, ma solo per un attimo. E in quell’attimo ebbe paura.

Non l’aveva mai vista così. Livida in volto, gli occhi iniettati di sangue la fissavano insistentemente.

Un pensiero che più tardi si pentì di aver formulato.

Quella mi ammazza.

Tornò a guardare la Signora Navigli. Riuscì a cogliere frammenti della conversazione.

“…sa il padre se n’è andato con…”

“…sì, sì…”

“…no la madre era a pezzi…”

“…uno psichiatra?”

“No, non ha voluto…”

“…ma…”

“…era inevitabile…”

“…e quello che…”

“No, per carità…”

“Ma allora?”

“Probabilmente non sapeva a chi incolpare. E’ sempre stata una ragazza strana.”

“Su via!”

“No, non scherzo.”

“Signora…”

“No, no, mi creda.”

“…sa, ma dopo tanti anni…”

Michela avrebbe voluto saltarle addosso. Come si permetteva? Che ne sapeva lei? Non era riuscita a capire tutto, ma aveva capito che la dava della pazza.

Si rimise ad ascoltare.

“…una brava ragazza…”

“Scusi non…”

“E una moglie amorevole!”

Alessia aveva smesso di strillare.

La Signora Navigli continuò il suo delirante discorso, o almeno, era così che Michela, che  ascoltava e stringeva i pugni, lo giudicava.

“Povera Lucrezia!”

“…certo che…”

“…almeno Alessia è tanto brava.”

Michela non ce la fece più. Si alzò di scatto, ma non si diresse verso la Signora Navigli.

Passò davanti a Alessia, che si mise a urlare qualcosa. Michela s’impose di non ascoltare. Francesco le sorrideva incoraggiante.

Lei si fece largo tra la folla che la guardava a occhi sbarrati.

“Michi…” Qualcuno la chiamava. Era Marco. Michela ebbe un tuffo al cuore. Era un anno che non lo vedeva. Dopo la fuga del padre aveva chiuso i rapporti con tutti quelli che sapevano. Tutti gli amici delle madie e delle elementari.

Era per questo che si sentiva in soggezione anche con Machiavelli e Fiore.

Era per questo che Lupin la trattava con freddezza. Lui aveva perso la madre, anni prima, ma lui aveva reagito…

No, basta. Non ci devo pensare.

Inforcò la bicicletta e si mise a correre.

Qualcuno la chiamava. Voci arrabbiate, affrante, imploranti. Le intimavano di tornare indietro.

Non diede ascolto a nessuno.

Passò con il rosso a un semaforo. Poi vide un bar, fu tentata di entrare e chiedere da bere qualcosa di forte, ma non si volle fermare. Sentiva la necessità di scappare da tutto e da tutti. Di seppellire il passato.

Non voleva più sentir parlare di suo padre.

 

*****

 

Alessia

“Va meglio?” La sua voce era calda e rassicurante.

Alessia sorrise “Sì, grazie.”

Francesco si sedette accanto a lei, su una panchina, dove di solito si aspetta l’autobus.

I curiosi avevano iniziato ad andarsene.

Speriamo che nessuno abbia chiamato la polizia.

Attorno a lei qualche amico e conoscente. Francesco le passava una mano sulla schiena. Per la prima volta, dopo lo schiaffo dato a sua sorella, si guardò intorno. Ad attirare la sua attenzione fu Marco. Un tempo era il migliore amico di Michela. Erano cresciuti insieme quei due.

Alessia si ricordava ancora dei giochi di quando erano piccoli, quando rovesciavano i cuscini del divano e facevano finta che fossero dei mostri da abbattere. Correvano festanti in giardino con cappelli di carta sulla testa. Catturavano le lucciole. Poi alle medie il tempo dei giochi era finito: ascoltavano musica, andavano sul computer, facevano stupidi scherzi telefonici, prendevano un gelato all’Alaska.

Le mancavano quei tempi, eppure era passato solo un anno.

“Marco!” Provò ad alzare la voce, ma sentiva la gola secca e dolorante, lui, però, capì tutto.

Si stava avvicinando.

Alessia sospirò, Francesco lo salutò con un cenno.

“Visto come siamo ridotte?” La voce roca.

Marco sorrise mestamente “Ale mi dispiace…”

Lei lo zittì “Lo so, ma non è stata colpa tua.”

Non rispose, ma era evidente che avrebbe voluto dire qualcosa.

Si passò una mano fra i capelli.

Alessia aveva preso a fissarlo

Forse lo metto a disagio.

“Bhe io andrei.”

“Come? Di già?”

Marco sorrise ancora, sembrava meno tirato di prima.

“Non mi sembra il caso di restare…”

Lei abbassò la testa, il peso di ciò che aveva fatto cominciava a farsi sentire.

“Capisco. Non dev’essere stato facile per te. Voglio dire, eravate molto amici tu e Michela.”

“Vuoi sapere come mi sono sentito prima?”

Alessia era diventata speranzosa, ma non avrebbe saputo dire in cosa sperava.

“Dimmi!” lo incoraggiò.

Marco lanciò uno sguardo a Francesco, che continuava a passare una mano sulla schiena di Alessia. Lui non aveva più la sua amica, se n’era andata insieme a suo padre. La sua Michela non esisteva più.

“Mi sembrava di vedere due estranee. Era come se fossi tornato a casa aspettandomi di trovare tutto nei soliti luoghi, ma al mio ritorno niente era più come prima.”

Fece una pausa.

“Non è colpa tua, però. E Alessia, per quello che vale… Puoi dire a Michela che io per lei ci sarò sempre.”

Alessia pensava che quello sarebbe stato il momento giusto per piangere commossa, ma non ci riuscì.

“Lo farò.” Disse, poi guardò Marco che si allontanava.

 

*****

 

Fine.

Allora premetto che non piace molto neppure a me questa one-shot. E’ nata parecchio tempo fa e ho iniziato a scriverla durante un’ora di storia, poi mi sono stufata e l’ho ripresa circa una settimana fa, cambiando, fra l’altro, buona parte della trama.

Credo che non ci sia altro da dire, come al solito commenti ed eventuali critiche costruttive sono ben accetti.

Ringrazio subito, (non potendo farlo dopo) chiunque, per prima cosa sia riuscito a finire di leggere la storia e, secondo, decida di dedicare un po’ del suo tempo per recensirla.

Un bacio a tutti.

 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: rosgreenday