Fanfic su artisti musicali > Led Zeppelin
Segui la storia  |       
Autore: DK in a Madow    29/03/2014    4 recensioni
[Completa!]
...mi obbligo a guardare il cielo ormai buio sotto il manto della notte, ricacciando indietro le lacrime che spingono tra le ciglia. Non un bagliore, nessun segno, solo un grande buco nero sopra le nostre teste.
Il cielo delle città non ha stelle.

*
- Ah sì? – chiedo, ostentando una sicurezza che non posseggo solo per non mostrarmi vile di fronte alla sua sfacciataggine – Ma tu chi sei?
Abbassa la testa, come presa alla sprovvista, le sue mani che afferrano la gonna del vestito stringendola nervosamente. Poi i suoi occhi tornano sui miei, così vivi, così irreali.
- Grace. – risponde in un soffio.
Accenno a un sorriso senza denti, le labbra serrate che danno forma ad un ghigno.
- Strano. – dico, dando un tiro alla mia sigaretta – Da come parli si direbbe il contrario.

*
Imparare a vedere con gli occhi del cuore e scoprire che la paura d'amare è grande quanto quella di morire, così forte da impazzire, ma capace di farti rinascere.
Una breve long nata quasi dal nulla e che è cresciuta tra le note di The Rain Song.
Come sempre, nessuna pretesa.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jimmy Page, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

8.

Your eyes held a tender light and stars fell on Alabama last night.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Birmingham (The Magical City), Alabama, 18 Maggio 1977

 

Diciotto giorni.

Diciotto, maledetti, giorni senza di lei.

Non un tocco, non un suono. Bastano poche settimane senza una chitarra per mandarmi fuori di testa e a darci dentro con la solita merda. Poi riprende il tour, finalmente la double neck tra le mie mani ansiose e sudate, ed ecco che arriva, puntuale come la morte. L’errore. Una nota inciampa, poi due. Cambiamo canzone. Di nuovo. Così, fino alla fine del concerto, fino allo sguardo esasperato di Jonesy che non sa se continuare a sopportare o provare a trovare il coraggio per darmi un calcio in culo.

Bonzo sorride. Poi beve, fine della storia. Dio solo sa in che condizioni è il suo fegato, ma sono l’ultimo che ha voce in capitolo al riguardo, specialmente mentre ingurgito l’ultimo sorso di Jack tutto d’un fiato. So solo che John è l’unico a parlarmi con gentilezza, così insolita per un orso come lui, e poi mi solleva da terra con un braccio, come se fossi un bambino, solo per vedermi ridere.

Poi c’è Robert e il nostro solito tira e molla. Le sue lamentele sulle mie esibizioni sono un’arma a doppio taglio che feriscono entrambi, ma sono necessarie come punti a carne viva che chiudono una ferita rimasta aperta. Le difficoltà ci allontanano, ma ci ritroviamo per provare a scalarle. Insieme. Da soli saremmo persi, non sapremmo dove andare, piume perse nel vento che non sanno più volare.

Silenziosamente, scendo dal palco, gli applausi che ci accompagnano fino a quando John non scompare nel backstage, io che imbocco il corridoio verso i camerini, stanco. Poi, un rumore di passi, così mi volto a guardare, ma lo sguardo alle mie spalle è troppo basso per ricambiare il mio.

- Jonesy!

Solleva la testa, una serie di rughe che va a ricamare il centro della sua fronte, in un’espressione di confusione così perfetta da farmi avvertire l’irritazione tra le dita dei piedi.

- Jim. – risponde freddo, facendo per aprire la porta del suo camerino, ma io lo blocco, il mio viso che cerca il suo.

- Non vuoi guardarmi in faccia?

Lo fa, con disprezzo. Per non dire disgusto.

- Ti sembra una faccia, quella? – chiede, indicandomi col mento – Io vedo solo la maschera di un uomo che gioca a fare l’onnipotente.

- Dimmi Jonesy, da quanto tempo pensi questo di me? – chiedo, il mio tono di voce che aumenta insieme alla rabbia e la voglia di sferrargli un pugno in faccia.

- Da quando il James che conoscevo ha abbandonato l’amore per la Musica per poter amare solo se stesso. – sputa fuori, la calma e la freddezza inglesi che da tempo ho lasciato perdere - Sei così preso dalla tua immagine che non ti rendi conto di non averne più una, di esserti lasciato solo il disegno di te stesso impresso nella mente malata che hai. Sei così impegnato a commiserarti che hai anche perso le palle per affrontarti. Guardati, James! Sei un fottuto morto che cammina! – termina, il fiato corto, la voce che inizia a diventare isterica, io che tremo furioso – Ed io non sono Robert, Jim! Io non verrò a farti da balia. Fosse stato per me, ti avrei già sferrato un calcio in culo e aspettato che tu ti riprenda. – dice, puntandosi un dito contro il petto, io che seguo ogni sua singola parola sulle sue labbra – Ma lui no. Lui dice che sarà la Musica a guarirti.

- E tu? – lo interrompo, per poi afferrare il colletto della sua camicia inamidata – Tu cosa consiglieresti, dottore? – chiedo sarcastico, a un centimetro dal suo volto.

- Dovresti andartene in riabilitazione.

- Io sto bene. – dico a denti stretti.

- Sì? – fa, sollevando le sopracciglia – Allora dimmi, da quant’è che non senti Scarlet?

- Cosa c’entra Scarlet adesso?

- Dimmi da quant’è che non le telefoni, che non le mandi qualcosa, che non le scrivi una lettera. Dillo, Jimmy! – urla, prendendomi per le spalle, la sua calma che va a pezzi insieme ai suoi nervi – Non ci sei più per nessuno, Jim, tranne che per te stesso. Sul palco dimentichi le note, non improvvisi più come un tempo. E l’amore. Quello che t’illuminava gli occhi quando ti nominavano la tua principessa. – aggiunge, arrochito, mentre inizio a deglutire solo per ignorare il vuoto all’altezza dello stomaco – Non c’è più. I tuoi occhi erano spenti, vuoti mentre ti parlavo di tua figlia. Come puoi abbandonarla? Come fai a mandare tutto a puttane come se niente fosse, James?

E così dicendo mi strattona via, aprendo e scomparendo dietro la porta del suo camerino, facendola sbattere con tutta la rabbia che ha nelle mani, le mie che tremano. Con lo sguardo perso nel vuoto, inizio a cercare il mio camerino a intuito, trovandolo dopo una manciata di secondi, muovendomi come se fossi una marionetta mossa da fili invisibili che, partendo dalle mie braccia e dai piedi, finiscono tra le mani di un cervello che ormai è perso in un labirinto di rimpianti, di cose e persone dimenticate, lasciate a metà strada, mentre io imboccavo quella che, secondo me, poteva condurmi verso quel firmamento sul quale avrei scritto il mio nome.

Mi rendo conto che John ha ragione, mentre mi libero della mia dragon suite. Ripenso a Scarlet, alle telefonate mancate, ai gesti negati, troppo preso da me stesso e dalla convinzione di fare sempre la cosa giusta. È dall’inizio del tour che non sento la sua voce, che non chiamo Charlotte per avere loro notizie, che arrivo alla reception di ogni hotel dando l’ordine di non farmi passare nessuna telefonata. Isolato, legato da una camicia di forza fatta da tutte le mie paranoie, le mie paure, in mano solo un rasoio di presunzione e autocommiserazione che, invece di liberarmi, mi taglia i polsi.

Respiro, mi faccio forza. Al nostro ritorno in hotel, la reception è deserta. Così, afferro una cornetta, compongo un numero e subito un telefono dall’altra parte dell’oceano prende a squillare.

Uno.

Due squilli.

Il quarto segue il terzo.

Forse non sono a casa.

- Pronto?

Una vocina così acuta, dolce, ma decisa. È il suono che fa la mia principessa quando corre alla cornetta più in fretta di sua madre. Nel petto, il mio cuore ha accelerato i suoi battiti.

- Scarlet! – balbetto, la voce arrochita dall’emozione – Amore mio.

- Papà! – urla, quasi posso vederla saltellare sul posto, tenendo la cornetta con due mani contro la testolina bionda – Papà, come stai?

- Bene, tesoro. – sussurro, passandomi una mano tra i capelli – Adesso sto bene. Tu?

- Benissimo, pà! – esclama, per poi prendere fiato, il suo tono di voce che cambia all’improvviso – Papà?

- Dimmi amore!

- Perché non hai più chiamato me e la mamma? – chiede, lasciando trasparire il suo essere ferita dalla mia assenza.

- Scarlet, papà non ha avuto molto tempo … - mento. Mi faccio schifo.

- Non ci vuoi più bene? – chiede, la voce che trema. Sta piangendo.

- Amore mio, non dirlo! – dico, affannandomi – Papà ti ama. Lo sai. Sei la mia vita, Scarlet.

- E allora perché non hai chiamato? – domanda di nuovo – Sei arrabbiato con me?

- Ma cosa dici, tesoro? – chiedo allarmato – No! Perché dovrei esserlo?

- Perché non ti ho salutato quando sei partito. – sussurra, tirando su col naso.

- Scarlet, ascoltami. – dico, tentando di restare calmo, di trattenere le lacrime – Cosa ti ho detto di fare ogni notte?

- Di guardare le stelle. – dice e quasi posso vederla asciugarsi le guance piene, il labbro inferiore sollevato in un broncio – Che lo avresti fatto anche tu, così ci incontriamo.

- Giusto, piccola mia. – dico, incoraggiandola - Non preoccuparti se non mi hai salutato. Io e te ci vediamo tutte le notti.

Non è convinta. Dall’altra parte, Scarlet continua a singhiozzare in silenzio.

- E molte notti sono venuto a trovarti. – sussurro dolcemente – Stanotte per esempio!

- Davvero? – esclama, stupita.

- Sì. – affermo – Ogni tanto vengo a trovarti nei sogni, non te ne sei accorta?

- È vero! – esclama entusiasta – Stanotte eri qui! Andavamo a Headley Grange e zio Robert mi portava sulle spalle.

- E se non sbaglio, ho intrecciato una corona di fiori per te!

- Sì! – dice, la voce acuta più che mai – Era bellissima papà!

- Come te, amore. – sorrido.

Penso che la mente umana sia strana. Raccontandole un mio sogno, ho scoperto che era anche il suo. Forse l’anima davvero è in grado di viaggiare. O forse è il sangue a tenerci uniti anche con l’oceano in mezzo. Oppure la mente è capace di grandi cose, anche di combinare un incontro a occhi chiusi tra padre e figlia.

- Ci sogneremo anche stanotte, papà?

- Certo amore. – prometto – Tutte le notti che vorrai.

- Mi porterai a Bron-y-aur? Voglio sedermi sulla sedia a dondolo di zio Robert e giocare a braccio di ferro con zio John! – esclama tutto d’un fiato, mentre dalla cornetta arriva la voce di Charlotte che chiama Scarlet.

- Prometto, Scarlet. – le dico – Ora vai, amore, la mamma ti sta cercando.

- Va bene, pà! – sussurra – Ti voglio bene. – aggiunge, con una sincerità disarmante che mi stringe un nodo alla gola. Ma riesco ancora a parlare.

- Ed io ti amo, piccola.

 

 

*

 

 

Quando entro nella mia stanza, le palpebre si abbassano sotto la pesantezza del sonno, ma qui l’aria è irrespirabile, così decido di aprire la finestra sul cielo dell’Alabama, così nero, così trapunto di stelle da richiamare lo sguardo per una notte intera. Sorrido, penso a Scarlet, tutta la voglia di vivere che io ho perso, sembra quasi voler ricominciare a scorrermi nelle vene quando penso a lei.

Poi, un lampo, qualcosa che si muove nella strada deserta e così abbasso lo sguardo, la mia bocca che si spalanca dall’incredulità.

È lei.

La riconoscerei anche al buio.

Solleva la testa, sembra quasi che abbia avvertito i miei occhi su di lei. Senza perdere tempo, abbandono la stanza, quasi cado per le scale, ma quando sono in strada, lei è lì che aspetta, immobile, l’accenno di un sorriso sulle labbra.

- Ciao James. – sussurra.

- Ciao. – sorrido, l’istinto innato che mi spinge ad avvicinarla, ma lei, come sempre, fa un passo indietro – Che fine avevi fatto? – chiedo col fiatone.

- Ho avuto da fare. – risponde con naturalezza.

- Cosa? – insisto contro la sua freddezza.

- Trovare il modo di starti lontana. – dice, le sue guance che si colorano teneramente, mentre un fiore d’orgoglio mi sboccia al centro del petto.

- Mi fa piacere vedere che non ci sei riuscita. – annuisco, passandomi la lingua sulle labbra – Mi dispiace per l’ultima volta. – aggiungo seriamente.

- Non preoccuparti. – dice lei, inclinando la testa da un lato e incrociando le braccia al petto – So chi sei. Non mi ha sorpreso vederti in una situazione del genere. – commenta, con una semplicità che mi fa sentire mediocre, mentre mette a nudo la mia natura, fatta di presunzione e menefreghismo.

- Non darti delle colpe. – sussurra, mentre mi accorgo di aver fissato il vuoto per un po’ di minuti – Sei buono, James. Il problema è che ancora non hai trovato il modo di dimostrarlo – Vieni con me. Parliamo.

Senza proferire parola, la seguo, lungo un percorso che solo Grace conosce, fino ad un parco, alberato e silenzioso, la luna e le stelle unici lampioni accesi nelle vicinanze. Dopo qualche minuto di trance, mi accorgo finalmente di essere nei Birmingham Botanical Gardens, mentre il profumo dolce e intenso di tutti i fiori che ci sono mi riempie le narici. Mi sembra di avvicinare un luogo segreto, sacro. È un qualcosa che somiglia all’entrare ad occhi aperti in un sogno.

Ma è la realtà e le parole di Grace tornano a rimbalzarmi nella mente.

- Ho paura che tu ti stia sbagliando. – dico – Oggi ho telefonato mia figlia dopo due mesi di silenzio. Le mancavo. Aveva paura che fosse colpa sua, che fossi arrabbiato con lei.

Grace non risponde, mi cammina accanto senza fare rumore, imitando i miei passi, mentre mi stringo nella mia giacca.

- Sono spregevole, Grace.

- E cosa proponi di fare? – chiede, arrestandosi, sedendosi tra l’erba. La imito, guardandomi intorno. Gli alberi formano un cerchio perfetto intorno a noi, delineando quello che sembra il centro del parco. Il vento si è fermato, tutto è quiete. Qui non arriva nemmeno il rumore del traffico. Mentre dentro di me si scatena una tempesta di pensieri e sensazioni, qui intorno tutto tace, creando armonia col volto di Grace, disteso e paziente, in attesa di una mia risposta.

- Non lo so. – dico.

- Bugiardo. – dice sarcastica – Il solito bugiardo. A furia di mentire, prendi in giro anche te stesso.

- Che ne sai? – chiedo, più insicuro che nervoso.

- Basta guardarti, James. – dice, mentre lo fa con un’intensità che mi fa sentire nudo, stranamente vulnerabile – Stai male e il tuo malessere lo trasmetti a chi ti sta intorno. Eppure rimani fermo, non fai nulla. Sai perfettamente qual è la decisione più giusta da perdere, ma ti rifiuti, perché sei così dipendente da quei momenti di invincibilità ed ebbrezza che dover smettere ti rincresce, facendoti dimenticare che continuando così non ti resterà abbastanza da vivere per poterne godere ancora di quell’effimera felicità.

Lo ha detto tutto d’un fiato, il mio corpo che prende a tremare come una foglia.

- Perché? – chiede – Avevi tutto. Talento, carisma. Eri bellissimo, James! – sussurra, le sue guance che tornano ad arrossarsi – E guardati ora. Sei debole, a malapena ti reggi in piedi e hai il volto scavato, deforme.

Serro la bocca, incapace di aggiungere altro. Continuo a tremare, quasi mi stesse torturando fisicamente con ogni parola che esce dalle sue labbra.

- Non sei più tu. – dice, aggrottando la fronte – Perché?

- Perché iniziavo a sentirmi stanco, Grace! – esplodo, la mia voce che esce dalla gola in maniera innaturale mentre urlo – Perché non trovavo l’ispirazione, perché non sopportavo più di essere indicato come un infame, di vedermi dipinto dei peggiori colori su qualsiasi rivista. Ho solo una fottuta passione per l’occulto, ma non sono quello che dicono loro. E non sono una razza di pedofilo depravato. Tanti altri si sono scopati ragazzine appena tredicenni! – continuo, le lacrime che iniziano a rigarmi le guance mentre sento le labbra gonfiarsi sotto lo sforzo del pianto – Volevo che mi ascoltassero. Volevo solo suonare. – ingoio saliva e muco ormai, mentre mi si apre il cuore e faccio uscire qualsiasi cosa ci sia stata al suo interno – Poi l’incidente di Robert, ho avuto paura per lui, i suoi figli e la mia Scarlet. Loro in Grecia ed io a Londra a farmi come un dannato per tentare di scrivere qualcosa. A Malibù, Robert era immobile in un letto col bacino a pezzi e io non sapevo che fare, mentre Bonzo e Jonesy erano in Europa, fuori da qualsiasi problema. – singhiozzo, buttandomi le mani sul viso – E a volte penso che venderei davvero l’anima al diavolo per non sentire più tutte queste voci intorno a me, che parlano, parlano e non dicono un cazzo. Voglio solo un po’ di pace, Grace.

Mi asciugo le guance con le maniche, mentre tiro pesantemente col naso, Grace che mi guarda con un’espressione affranta, ma comprensiva. Non c’è condanna sul suo viso, solo una tremenda voglia di fare qualcosa per me che le fa brillare gli occhi. È quello che sento, quello che provo mentre riprendo fiato.

- Questa vita grava sulle mie spalle, Grace. – sussurro, stringendo i pugni – Ormai non la vivo più da un bel po’. Me la porto dietro e basta. – concludo, per poi buttarmi contro l’erba, la schiena che raggiunge il suolo con un tonfo, le mie mani abbandonate sul grembo.

Da quando è iniziato il mio personale inferno, questa è la prima volta che mi sfogo, che sputo fuori  le mie amarezze, che mi sento finalmente libero di frignare come un bambino e sentirmi sollevato, di aver diviso questo peso e di potermi, anche se poco, rialzare. Chiudo gli occhi, mentre sento un rumore alla mia destra. Erba schiacciata.

- Ti senti meglio?

Annuisco ad occhi chiusi alla domanda di Grace.

- Sicuro?

- Sì. – dico, riaprendo gli occhi, incontrando il cielo sopra di noi – Anche se vorrei capire chi diavolo sei. – sussurro, senza guardarla – A volte ho paura che tu sia una mia allucinazione, uno scherzo del mio cervello. – mi volto a guardarla, giusto per vedere che reazione ha, ma il suo volto è di marmo, impassibile – Poi penso che a Pontiac anche Bonzo ti ha vista e questo un po’ mi rincuora. – dico, accennando una risata di sollievo, ma lei no. Grace scatta a sedere, gli occhi sgranati puntati su di me.

- Che succede? – domando allarmato, mettendomi a sedere anch’io.

- Nulla. – dice, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

- Non avrebbe dovuto vederti? – chiedo, mentre altre mille ipotesi si delineano nella mia mente.

- Non lo so, James. – dice, scuotendo la testa e fissando il vuoto – Non lo so più.

- Beh. – sospiro, vedendo la sua faccia buffamente amareggiata – Almeno siamo in due ad avere lo stesso dubbio. – dico, tentando un sorriso, ma lei rimane imbronciata, gli occhi blu che saettano veloci. Sta cercando una spiegazione, ma ha tutta l’aria di esserne ancora lontana.

- Hey. – sussurro, avvicinandomi un po’ - È tutto ok.

- No. Non lo è. – dice.

- Sì invece. – annuisco – A volte ho paura che tu sia una povera ragazzina che ha perso la memoria e non sa più dove andare, ma di certo non seguiresti me. – dico teneramente, mentre lei finalmente mi guarda – A volte credo che tu venga da chissà dove. – aggiungo, serio, facendola impallidire – Ma di certo non da questa terra.

- E cosa ti sei detto? – chiede, impaurita quanto me.

- Che preferisco non saperlo. – dico, deglutendo pesantemente, mentre i nostri occhi si chiamano, si cercano e i nostri volti, inconsciamente si avvicinano.

- Non farlo, James. – sussurra, a un passo dalle mie labbra.

- Perché?

- Ho paura di cosa potrebbe succedere. – ammette, ma da come lo ha detto, non si riferisce di certo a cosa potrebbe accadere tra noi. Ma a me.

- Lasciami provare. – sussurro, supplicandola, mentre intorno a noi cala una nebbia leggera, che fa brillare le punte dei fili d’erba e, all’orizzonte alle spalle di Grace, le stelle sembrano brillare più forte, quasi fossero fiamme incastrate nel cielo. Ho un brivido di paura, ma lo combatto, mentre una nuvola di fumo scappa dalle mie labbra. Vista da vicino, Grace è ancora più bella, la pelle liscia, bianca. La sua intera immagine richiama purezza, mentre una ciocca di capelli le ricade sul naso.

- James… - sussurra.

- Shh. – la zittisco, stringendo tra le dita alcuni fili d’erba – Qualsiasi cosa accada, sarà meno forte del rimorso che avrò per sempre se non lo faccio. – sussurro, mentre le sue guance che si colorano di nuovo e le mie labbra, tremando, si poggiano delicatamente sulle sue e si tendono in avanti. Ne cerco il sapore sulla punta della lingua. Sono dolci, quasi un frutto proibito, mentre iniziano a muoversi impacciate e innocenti, quasi non avesse mai baciato, quasi fossi il primo uomo che incontra sulla terra.

Grace, venuta da chissà dove, fragile contro le labbra di un uomo che ha conosciuto tante donne, ma mai nessuna strana quanto lei. E mai, potrei giurarlo, ho sentito il cuore così presente, quasi facesse le fusa contro i muscoli del petto, così felice di battere e di vivere. E mentre le mie labbra si mescolano con le sue, perdo fiato e lo riprendo da lei. Intorno a noi l’aria si è fatta calda, quasi come se questo posto stesse cercando di nasconderci, di isolarci, creando una bolla in cui il tempo è sospeso e non esistiamo altro che noi due, soli, piccoli, labbra contro labbra. Riapro gli occhi, felice, e mi stacco da lei, che mi guarda confusa e poi mi sorride, quasi sollevata. Una luce tenera invade i suoi occhi.

- Visto? Siamo ancora vivi. – dico, facendola ridere – Non è successo niente!

- Già! – dice, continuando a ridere piano, mentre osservo il cielo. La luce delle stelle è così intensa e grande che sembra ci stiano cadendo addosso, come a voler partecipare a questa strana unione, a questo bacio assurdo, che mi porterò nel cuore come il più bello della mia vita.

- Sono felice, Grace! – confesso.

- Anche io. – dice di rimando, sorridendo, quando noto qualcosa sotto il suo naso.

- Grace?

- Sì?

- Stai sanguinando. – dico, indicandole il naso con un dito.

- Cosa? – chiede, portandosi una mano alle narici, le sue dita che subito si sporcano di rosso.

- Aspetta, dovrei avere un f… - ma non faccio in tempo a terminare la frase, che una riga sottile di sangue prende a scorrere dalla sua tempia sinistra.

- Devo andare. – dice, allarmata e scattando in piedi, tamponandosi il naso con una mano.

- Ma dove, Grace? – chiedo, più agitato di lei – Tu… hai bisogno di aiuto. – urlo, mentre lei mi volta le spalle e scappa. D’istinto, prendo ad inseguirla, ma qualcosa intercetta il mio piede, facendomi inciampare e cadere a terra.

- Grace!!! – urlo, mentre la vedo sparire tra gli alberi, la gonna che svolazza da un lato all’altro dei suoi fianchi.

Poi, una pesantezza scura si accanisce sulle mie palpebre, un freddo incontrollabile e, senza più sapere chi o dove sono, abbandono la guancia contro l’erba, cadendo in un buio profondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Angolo della pazza:

Salve! ^^
Finalmente, non vedevo l'ora che arrivasse questo capitolo. *^*
Beh, potete immaginare perché. :'3
Ehm, nulla. Diciamo che da qui in poi si dovrebbero un attimo delineare le cose. Forse. Dipende da quanto sarò capace di rendere "su carta" ciò che ho in mente.
Bene, oggi sono in vena di ringraziamenti.
Innanzitutto, ringrazio Ire. Grazie perché m'incoraggi sempre, ma prima di tutto incoraggia te stessa. Sai a cosa mi riferisco. Spero che questo momento "no" passi in fretta, beddha! ♥
Ringrazio Zelda per le sue bellissime recensioni. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle per messaggi. Sei un tesoro, davvero! :*
Ringrazio Cimma e Slyth, le mie recensitrici "vedo, non vedo". Grazie anche a voi! ^^
Grazie ad Idra, che ogni tanto spunta dal nulla. Rivederti qui mi fa sempre sorridere, caVa.
E grazie a chi legge, segue e preferisce in silenzio. Certo, vedersi qualche parolina nelle recensioni fa sempre piacere, ma vedere sia il numero delle visite che quello delle preferenze crescere poco a poco mi fa sempre piacere.
E ringrazio anche voi, che magari leggete ma non volete dire nulla. E' anche per voi che continuo a scrivere. :3
Detto ciò, ESIGO (♥) che voi facciate un salto sulla cara, buona, vecchia Sweet Old Desire. Io e Ire stiamo buttando il sangue per quella storia e continuerò a pubblicizzarla perché ci sono troppo affezionata.
Bene, ho detto tutto. Credo.
Un abbraccio,

Franny

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Led Zeppelin / Vai alla pagina dell'autore: DK in a Madow